mercoledì 6 luglio 2011

in a Silent Tao




Woodlawn Cemetery, Bronx, Bronx County, New York, USA

Perché “Kind of Blue” è così importante

60 anni fa Miles Davis pubblicò il disco più venduto della storia del jazz, che non sarebbe mai più stato la stessa cosa

di Stefano Vizio Il Post 17 agosto 2019

Nel 1959, l’anno che uscì il disco di Miles Davis Kind of Blue, il jazz era in un momento strano della sua storia. Per oltre un decennio era stato l’indiscutibile avanguardia della musica statunitense e una delle più efficaci manifestazioni della vivacità e della raffinatezza della cultura popolare americana. Ed era stato, fino a quel momento, una musica quasi unicamente afroamericana nei suoi interpreti, nella sua estetica, nei suoi linguaggi. Qualcosa però stava cambiando. Charlie Parker, il più grande sassofonista che fosse mai esistito, era morto da ormai quattro anni. E con lui era andata scemando l’energia e la vitalità del bebop, il sottogenere del jazz che senza esagerare aveva rivoluzionato l’idea stessa di cosa fosse la musica occidentale, tra le altre cose per aver messo al centro la sua esecuzione dal vivo. Il rock ‘n roll stava muovendo i suoi primi passi, a sua volta grazie ad alcuni visionari musicisti neri, mentre altri musicisti bianchi stavano dimostrando di sapere a loro volta fare del gran jazz, da Dave Brubeck a Chet Baker.

I vecchi paradigmi su cui si era basato il jazz nei quindici anni precedenti stavano cominciando a stare stretti ai musicisti, che stavano pian piano trovando il modo di sfogare questa loro insofferenza rompendo sempre più regole e ritrovando la propulsione creativa tipica del primo bebop in forme musicali sempre più libere e intellettuali. Davis nel 1959 aveva 33 anni ed era già una celebrità, prima come trombettista bebop e poi come leader di band di talento spropositato, capaci di ridefinire l’estetica di un genere come era successo anni prima con Birth of the Cool, un disco che aveva portato all’estremo compimento tutti gli aspetti del bebop, segnandone sostanzialmente la fine.


Passato nel 1956 alla casa discografica Columbia, Davis era uno dei jazzisti più potenti e influenti di quel periodo, e aveva a disposizione la massima libertà creativa e i migliori musicisti in circolazione. Negli anni precedenti aveva messo insieme il suo cosiddetto “primo grande quintetto”, che però era andato incontro a varie sostituzioni e aggiunte, diventando un sestetto. Alla sezione ritmica c’erano Jimmy Cobb e Paul Chambers, rispettivamente alla batteria e al contrabbasso, mentre ai fiati c’erano Cannonball Adderley, che suonava il sax alto e aveva un’impostazione più classicamente blues, e John Coltrane, uno che da qualche anno era considerato tra i migliori del giro e che però doveva ancora essere decifrato, un po’ per il suo carattere introverso e un po’ per il suo stile ancora in definizione.

Al piano Davis aveva assoldato Bill Evans, un musicista bianco che aveva le sue stesse idee su un sacco di cose, idee che in quel momento erano rarissime se non uniche nella scena jazz. Davis infatti si era stufato dei funzionamenti alla base del bebop, e stava cercando un modo di suonare che permettesse una maggiore libertà espressiva, che consentisse più possibilità nell’esplorazione melodica. Quello che Davis aveva in testa era un modo nuovo di pensare le improvvisazioni, che da quindici anni rappresentavano il cuore della musica jazz. Per sua fortuna, qualche anno prima il compositore e pianista George Russell aveva pubblicato un libro fino ad allora semisconosciuto, sul quale Davis avrebbe basato una delle più importanti rivoluzioni della musica del Novecento.


In Lydian Chromatic Concept of Tonal Organization, Russell introdusse l’idea di musica modale. Semplificando moltissimo un concetto che spesso è difficile da comprendere anche per chi studia musica, Russell propose un nuovo tipo di improvvisazione, che non si basasse più sugli accordi ma su una serie di scale dette appunto “modali”. Queste scale non erano quelle tradizionali, maggiori o minori, ma avevano nomi come eolica, misolidia, frigia o locria, ed erano associate a dei “modi”, ciascuno dei quali era collegato a un’atmosfera o a un sentimento diversi. Può sembrare fantascienza, ma Russell non si era inventato niente: le note di quelle scale erano sempre sette, ed erano ovviamente prese tra le dodici note esistenti nella musica occidentale, ma gli intervalli tra di loro erano diversi da quelli associati alle tradizionali scale maggiori e minori.

L’armonia alla base del bebop si basava su una progressione rapida e molto ritmata di accordi. Queste progressioni si basavano a loro volta su schemi consolidati e complessi, e rappresentavano una griglia strettissima all’interno della quale dovevano muoversi i musicisti nelle improvvisazioni: essenzialmente, un normale assolo bebop consisteva in virtuosi arpeggi suonati sulle scale – maggiori o minori – associate a ciascun accordo. A ogni cambio di accordo, cambiavano le note suonate dai musicisti: ma sempre quelle erano. Chi improvvisava doveva sempre pensare all’accordo successivo, e ogni 32 battute tutta la progressione si ripeteva. Ovviamente i migliori jazzisti si muovevano in questi schemi con una naturalezza incredibile, senza pensare a ogni battuta alle note permesse e a quelle vietate: ma per quanto naturale fosse, le improvvisazioni erano vincolate a quel tipo di ragionamento.


Davis voleva suonare in modo diverso, e capì come farlo dopo aver conosciuto Russell. Sostanzialmente, con il jazz modale Davis si liberò non tanto degli accordi quanto dei vincoli che si portavano dietro. Per farlo sviluppò un nuovo tipo di armonia, basata su progressioni in cui gli accordi si alternavano con meno frequenza, ed erano suonati in modo diverso. Qui entrò in gioco Bill Evans, che come Davis si era appassionato alla musica modale e che aveva perfezionato un modo di suonare gli accordi senza suonare la tonica, cioè la nota che definisce – e dà il nome – all’accordo. In questo modo il tappeto armonico dei brani era più sospeso e meno “quadrato”, e dava maggiori libertà ai musicisti solisti. Questi ultimi, da parte loro, erano invitati a suonare senza pensare agli accordi ma a una serie di scale e ai “modi” che evocavano.

Le improvvisazioni della band di Davis cominciarono quindi ad assumere un ruolo diverso nell’economia dei brani. Se nel bebop c’era un tema (la melodia orecchiabile), seguito da una serie vorticosa di improvvisazioni concluse poi da una ripetizione del tema, i pezzi del nuovo jazz modale erano diversi. C’erano sempre i temi, ma nelle improvvisazioni i musicisti erano invitati a crearne di nuovi, sviluppando melodie più efficaci, più libere e più armoniose, meno macchinose di quelle del bebop. La possibilità di attingere a scale diverse, ciascuna con un “modo” associato, senza preoccuparsi dell’accordo sottostante e di quello che lo avrebbe immediatamente seguito, rendeva tutto possibile. Nel 1958 il sestetto di Davis registrò quello che si ritiene essere il primo pezzo del jazz modale, “Milestones”.


Ebbe un grande successo e soddisfò molto Davis, che si mise al lavoro per un intero disco “modale”. Convinse i suoi musicisti, che nel frattempo stavano intraprendendo sempre più a tempo pieno le carriere soliste, a tornare insieme e il 2 marzo li radunò ai Columbia Studios di Manhattan. Coltrane, Adderley, Chambers e Cobb non avevano idea di cosa avrebbero suonato; Evans ce l’aveva un po’ di più, ma l’unico ad avere le idee davvero chiare era Davis. Invece di consegnare ai musicisti dei tradizionali spartiti, diede loro delle essenziali annotazioni con delle serie di scale e delle linee melodiche. Quel giorno la band registrò “So What”, “Freddie Freeloader” e “Blue in Green”. Nel secondo giorno di registrazione, arrivato il 22 aprile, sette settimane dopo, la band registrò “All Blues” e “Flamenco Sketches”. Quello che secondo la maggior parte dei critici è il più importante disco della storia del jazz fu concluso interamente in due giorni di registrazioni.

Non tutto Kind of Blue è in realtà un disco modale. “Freddie Freeloader” e “All Blues” sono infatti due pezzi molto tradizionali, basati su una progressione blues. Ma negli altri tre Davis e la sua band applicarono totalmente i concetti sviluppati da Russell e perfezionati da Davis ed Evans, creando una cosa che non si era mai vista prima. Gli assoli del disco sono estremamente melodici, soprattutto quelli di Coltrane, che aveva uno stile più istintuale e meno conservatore di quello di Adderley.

Uno degli esempi più efficaci è “So What”: l’intero pezzo si basa su una progressione di una semplicità quasi primitiva, sedici battute di Re minore, otto di Mi bemolle minore, altre otto di Re minore, in modo “dorico”. Il tema, uno dei più famosi della storia del jazz, si basa su un botta e risposta essenziale tra contrabbasso e tromba, che presto lascia spazio all’assolo di Davis, che sviluppa una serie di melodie talmente efficaci e musicali che funzionano sostanzialmente come “nuovi temi”, ripresi più volte e ripetuti con variazioni.

Quando subentra Coltrane comincia riprendendo a sua volta una delle ultime melodie proposte da Davis, aumentando la velocità per sviluppare le sue nuove soluzioni melodiche, per esempio ripetendo frasi molto simili su registri diversi. Adderley, nella sua improvvisazione, suona subito una serie di motivi discendenti molto orecchiabili e simili tra loro, con sonorità tipicamente blues, e a tratti propone invece rapide scale più tradizionali, che ricordano gli assoli bebop. L’ultimo assolo è quello di Evans, che suona degli accordi usando il pianoforte quasi come uno strumento a percussione. La sua è l’improvvisazione più essenziale e dimessa, ma in realtà nell’accompagnamento di “So What” Evans non ripete praticamente mai la stessa cosa: tutta la sua parte non è altro che un lunghissimo dialogo con i solisti.


Il tema inizia a 0.33; l’assolo di tromba di Davis comincia a 1.31; l’assolo di sax di Coltrane comincia a 3.26; l’assolo di sax di Adderley comincia a 5.18; l’assolo di piano di Evans comincia a 7.07.

Kind of Blue ebbe da subito un enorme successo, sia di pubblico che di critica. Oggi si ritiene sia il disco jazz più venduto di sempre, con oltre quattro milioni di copie, ed è in cima alla stragrande maggioranza delle classifiche dei migliori dischi jazz di sempre. Fu un disco che aprì un’epoca nuova nel genere, insieme all’altra grande innovazione di quegli anni, il free jazz. A differenza del jazz modale, il free jazz risolse i vincoli delle progressioni armoniche del bebop rifiutando (quasi) tutte le regole, invece che adottandone di nuove. Lo teorizzò Ornette Coleman in The Shape of Jazz to Come, che uscì alla fine dello stesso anno.
Il jazz suonato in precedenza non finì il giorno che uscì Kind of Blue. Coltrane, per esempio, pubblicò l’anno successivo Giant Steps, un disco che portava all’estremo l’improvvisazione basata sui cambi di accordi. Ma diventò presto chiaro che la musica stava andando in un’altra direzione, e che c’era stato un prima e un dopo il 1959. The Shape of Jazz to Come Kind of Blue furono i due dischi che inaugurarono il jazz del decennio successivo, e che influenzarono pesantemente anche i musicisti rock che attinsero a piene mani non tanto dalle innovazioni nella teoria musicale quanto dall’impostazione mentale che stava dietro a quelle innovazioni.
Ma la vera grandezza di Kind of Blue, si dice spesso ancora oggi, è di aver saputo concretizzare questa rivoluzione musicale in un disco che è indiscutibilmente bellissimo, e che peraltro piace generalmente a tutti, anche a chi non sa niente di quello che c’è dietro, e addirittura a chi normalmente detesta il jazz. È un disco che si presta a molti piani di lettura, che viene suonato ogni giorno come sottofondo nei cocktail bar del mondo e sul quale vengono contemporaneamente tenuti seminari universitari, e che continua a essere in cima alle liste dei consigli sui dischi da cui partire per cominciare ad ascoltare jazz.

L'Avventura (Fante di Denari)


Quando siamo immersi in uno spirito d'avventura, ci muoviamo come questo bambino. Fiduciosi, usciamo dall'oscurità della foresta ed entriamo nell'arcobaleno di luce; ci muoviamo passo dopo passo, mossi dal nostro senso di meraviglia, nell'ignoto. In verità, l'avventura non ha nulla a che fare con studi strategici, mappe, programmi e organizzazione. Il Fante di Arcobaleno rappresenta una qualità che ci può arrivare ovunque, a casa o in ufficio, in un luogo selvaggio o in città, durante un progetto creativo o nella nostra relazione con gli altri. Ogni volta che ci muoviamo in ciò che è nuovo e ignoto con lo spirito fiducioso di un bambino - innocente, aperto e vulnerabile - perfino la cosa più piccola che la vita ci presenta può diventare una grande avventura.

Lo Zen afferma che la verità non ha nulla a che vedere con un'autorità, la verità non ha nulla a che vedere con la tradizione, con il passato - la verità è una realizzazione radicale e del tutto personale. Ci devi arrivare da solo. Il sapere è qualcosa di certo; la ricerca di una conoscenza personale è un azzardo estremo. Nessuno può darti garanzie. Se chiedi a me qualche garanzia, posso solo garantirti il pericolo, questo è certo! Posso solo garantirti una lunga avventura in cui esistono infinite possibilità di perdersi e di non arrivare mai alla meta. Ma una cosa è certa: la ricerca in sé ti aiuterà a crescere. Posso solo garantirti la crescita. Ci saranno pericoli, ci saranno sacrifici; ogni giorno ti muoverai nell'ignoto, lungo percorsi non tracciati, e non ci sarà alcuna mappa da seguire, nessuna guida. Certo, ci sono milioni di pericoli, puoi andare fuori strada e ti puoi perdere, ma questo è il solo modo in cui si possa crescere. L'insicurezza è il solo modo per crescere, confrontarsi con il pericolo è il solo modo per crescere, accettare la sfida dell'ignoto è il solo modo per crescere.

Omaggio al Tao: Mstislav Leopol'dovič Rostropovič


Mstislav Leopol'dovič Rostropovič
Мстисла́в Леопо́льдович Ростропо́вич
Baku, 27 marzo 1927 – Mosca, 27 aprile 2007


Cello Tao

Novodevichy Cemetery, Moscow, Moscow Federal City, Russia







lunedì 4 luglio 2011

descrizione del Tao

René Magritte, La chambre d'ecoute, 1958
Nella descrizione di sistemi complessi e, in particolare, in quella di sistemi che presentano proprietà viventi e/o mentali, diventa fondamentale definire cosa si intenda per definizione, descrivere cosa si intenda per descrizione, spiegare che cosa si intenda per spiegazione.
Infatti termini come "mente" - "coscienza" - "conoscenza" - "realtà" - "mondo" - Sé" - "Io" - "creatività" - "intelligenza"- "intuizione" - "emozione" . "sacro" etc. sono radicalmente di tipo logico differente da termini quali "mela" - "aeroplano" - "forza" - "energia" - "velocità" - "cellula" - "organismo" - "riproduzione" etc.
Questi tre termini hanno la proprietà di poter essere applicati l'uno all'altro e a se stessi, per cui la definizione andrebbe descritta e spiegata, la descrizione definita e spiegata e la spiegazione definita e descritta, oltre che definire la definizione, descrivere la descrizione e spiegare la spiegazione.
Al riguardo si dovrebbe tenere presente l'affermazione di Bateson che i termini, definizioni, descrizioni e spiegazioni che si vorrebbero utilizzare per un dato sistema complesso dovrebbero essere della stessa complessità, o dello stesso livello logico, del sistema al quale si applicano:

"...dovremmo seguire l'esempio delle entità di cui parliamo"

"Ne segue che, quando parliamo di entità viventi, gli enunciati relativi alla 'stabilità' dovrebbero essere sempre contrassegnati da un riferimento a qualche proposizione descrittiva, in modo da chiarire a quale tipo logico appartenga la parola "stabile". Più avanti ... vedremo che "ogni" proposizione descrittiva dev'essere caratterizzata secondo il tipo logico del soggetto, del predicato e del contesto.

Se questo vale per tutti i sistemi complessi - artificiali e naturali - a maggior ragione vale per quelli mentali o concettuali, che non hanno un'incarnazione diretta a livello fisico, e che sono termini creati dalla mente per essere applicati alla mente stessa.
Alcuni punti sono i seguenti:
  • la descrizione è descritta come una rappresentazione in uno specifico linguaggio metaforico
Dalla definizione lessicografica di rappresentazione:

rappresentazione s. f. [dal lat. repraesentatio -onis, der. di repraesentare «rappresentare»]: L’attività e l’operazione di rappresentare con figure, segni e simboli sensibili, o con processi varî, anche non materiali, oggetti o aspetti della realtà, fatti e valori astratti, e quanto viene così rappresentato.

La rappresentazione è quindi descrivere "una cosa" con "un'altra cosa", una "mela" con una rappresentazione verbale del tipo "oggetto con forma sferica composto da una parte superficiale detta buccia, un contenuto semi-solido detto polpa e con la presenza di semi", oppure "frutto del melo", con una rappresentazione fotografica, pittorica, scultorea, matematica, fisico-chimica, letteraria, in alcuni casi musicale.
La descrizione come rappresentazione, anche nel linguaggio verbale tecnico, è molto simile alla metafora, dove, a parte la coloritura retorica, si descrive "una cosa" come se fosse "un'altra cosa". Il fatto è che, per la distinzione tra mappa e territorio, il come se è sempre valido, il descritto non è mai la descrizione, qualunque sia la rappresentazione utilizzata - tra di loro vi è un salto logico analogo a mappa e territorio, qualsiasi sia la rappresentazione che utilizziamo per il descritto. La descrizione è quindi una riformulazione, ovvero la sostituzione di una rappresentazione di qualcosa con un'altro tipo, diverso, di rappresentazione, nell'ambito di un contesto metaforico, dove l'ipotesi per cui vi sia una distinzione chiara tra rappresentazioni che sono "realistiche" e quelle che sono meramente allusive si può considerare un mito.
Ad esempio, l'espressione della legge di gravitazione universale nella formulazione della fisica classica di Newton del 1687 è espressa come nella metafora fisica che la forza di attrazione gravitazionale tra due corpi con massa è proporzionale al prodotto delle due masse ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra i due corpi. Lo stesso concetto potrebbe essere esprimibile con altre metafore, come nel caso del metalogo di Bateson su cosa sia un istinto, dove  la legge viene espressa come "Si potrebbe semplicemente dire che la luna ha un istinto la cui forza varia in maniera inversamente proporzionale al quadrato della distanza…" oppure, analogamente, si potrebbe ipotizzare che l'universo è permeato da un amore universale che attrae tutti i corpi in modo proporzionale alla loro "corporeità" ed inversamente proporzionale alla distanza della distanza tra di loro.
La radicale differenza e validità della metafora fisica è che con una ulteriore definizione di forza come prodotto tra la massa di un corpo e la sua variazione della variazione della posizione nel tempo, l'accelerazione, ed applicandola alla legge di gravità si ottengono le equazioni del moto di un corpo in un campo di forza gravitazionale, permettendo di calcolare la sua posizione nel tempo, mentre nelle metafore di "istinto" e "amore universale" non vi è ulteriore articolazione possibile in quanto le loro definizioni sono "chiuse in se stesse" in modo tautologico.
E' evidente come nel caso dell'estensione della legge di gravitazione universale classica alle equazioni di campo della relatività generale in forma tensoriale:


altre metafore, oltre quella fisico-matematica, siano impraticabili, se non delle illustrazioni divulgative.


  • proliferazione indefinita dei termini in una descrizione
Ammettiamo di voler descrivere il termine "mela". "mela" può essere descritto come "frutto dell'albero denominato melo (Malus domestica)". In questa descrizione si introducono almeno due termini da definire, "frutto" e "albero". Continuando ad articolare la descrizione definendo e descrivendo questi termini se ne introdurranno altri e, in linea di principio, per descrivere il termine "mela" diventa necessario introdurre tutte le migliaia di termini della botanica e della biologia i quali, a loro volta, vanno definiti e descritti. Per evitare questa proliferazione infinita si introducono, particolarmente nei sistemi formali quali la geometria e i sistemi assiomatici, la nozione di concetto primitivo, un termine del quale si rinuncia la definizione.

  • la descrizione di un elemento/oggetto è possibile anche come evento/processo/relazione
Nella descrizione di "mela" come "oggetto con forma sferica composto da una parte superficiale detta buccia, un contenuto semi-solido detto polpa e con la presenza di semi" la mela viene intesa come un oggetto/elemento; nella descrizione come "frutto del melo" il termine "frutto" già intende che la mela, più che oggetto è parte di un processo, quello di riproduzione, per cui un melo riproduce un altro melo.
Di fatto la descrizione come processo vale per qualsiasi oggetto/elemento che abbia un livello fisico: certamente vale per ogni sistema vivente (dalla polvere alla polvere) ma anche per oggetti apparentemente molto stabili nel tempo come una roccia, la quale ha avuto un periodo di formazione durante l'età della Terra, stimato in circa 4.65 miliardi di anni, se non dell'Universo, di circa 13 miliardi anni.
Una terminologia più completa è quella suggerita da Varela nella forma:

"la cosa" / il processo che porta alla "cosa"

nel caso specifico mela/ontogenesi della mela, e nel caso del melo melo/filogenesi del melo. E' da notare come in questa forma si abbia si abbia descritto/descrizione e anche descrivente/descritto, per cui si ha descrivente/descritto/descrizione con una complementarietà ricursiva tra descrizione e descrivente. La descrizione del descritto non porta solo informazioni su cosa è descritto ma anche, e in molti casi soprattutto, su chi lo descrive.
  • la descrizione, nelle sue diverse rappresentazioni, è espressa nel linguaggio metaforico specifico dell'ambito/contesto di descrizione/rappresentazione
Per illustrare come uno specifico termine possa essere descritto in varie rappresentazioni metaforiche - e a maggior ragione un racconto - usiamo il termine "temporale", nel suo significato metereologico:

definizione da vocabolario: s.m. Breve e violenta perturbazione atmosferica, con venti di forte intensità, scrosci di pioggia e scariche elettriche.

fisica, in particolare fisica dell'atmosfera:  in linea di principio un temporale è spiegabile con modelli fisico-matematici basati sulla fluidodinamica e su equazioni di calcolo basate su grandezze statistiche macroscopiche come velocità dell'aria, pressione, densità, temperatura, umidità etc.
In pratica la risoluzione e anche solo la definizione delle equazioni di calcolo nei vari parametri sono impraticabili a causa della complessità del fenomeno, se non per una descrizione qualitativa della struttura, della formazione, dei fenomeni associati (come fulmini e tuoni).

metereologia, in particolare modelli computazionali metereologici di previsione:
le indicazioni della fisica dell'atmosfera sono utilizzate per la descrizione della struttura temporalesca, ad esempio a celle, della formazione del fenomeno (ad esempio frontale, convettivo, orografico), dell'evoluzione delle fasi (sviluppo, maturità, dissipazione, scomparsa) e della modelizzazione sulla base delle variabili macroscopiche al fine di stimare una previsione delle condizioni atmosferiche per cui si sviluppa il fenomeno, la sua intensità, durata, estensione, il volume delle precipitazioni etc.

Confronto tra le previsioni di precipitazione effettive nel Marzo 2002 e quelle previste da cinque modelli metereologici. Si nota come la differenza aumenti dalla sistuazione di pioggia leggera a quella di forte precipitazione.

NOAA National Severe Storms Laboratory

scienze della complessità: un fenomeno temporalesco è un tipico esempio a livello fisico-atmosferico di sistema complesso, in quanto è un sistema fuori equilibrio termodinamico, aperto, dissipativo, il cui stesso confine di sistema è indefinibile e in cui il numero e la connessione tra le variabili in gioco è molto elevato. Valgono per il temporale le stesse considerazioni che Weaver ha fatto per i problemi di complessità organizzata, anche se in questo caso si tratta di una complessità disorganizzata ma in cui il grado di complessità in termini di variabili, processi, interazioni tra variabili e processi etc è molto elevata: non è possibile definire in termini di probabilità il fenomeno perchè non vi è un modello che le fornisca, l'unico approccio possibile è quello di stima previsionale adottato dalla metereologia; eppure, per il paradosso della complessità, ogni pastore che valga il latte delle sue mucche alzandosi la mattina e "annusando" l'aria sa dire - spesso con estrema precisione - se, quando e dove vi sarà un temporale, quanto durerà, quanta pioggia produrrà etc.

fotografica:





poesia occidentale:

Un bubbolìo lontano…
Rosseggia l’orizzonte,
come affocato, a mare;
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare:
tra il nero un casolare:
un’ala di gabbiano.

G. Pascoli, "Il temporale", Myricae, 1891-1911

haiku orientale:

un banano nel temporale;
il gocciolio dell’acqua nel catino
scandisce la mia notte

Matsuo Basho, 1644-1694

pittura italiana del 500:

Giorgione, "La Tempesta", 1505-1508 circa, Gallerie dell'Accademia, Venezia
musica leggera occidentale:



combinazione di musica classica occidentale e illustrazione visiva:


Per abduzione si intende che se C è una collezione di dati/fatti e P una proposizione che spiega C (cioè che se vera spiega C) e nessun'altra ipotesi/proposizione spiega C meglio di P allora P probabilmente è corretta/vera.

Il seguente brano di Bateson illustra le caratteristiche dell'abduzione:
"Siamo talmente avvezzi all'universo in cui viviamo e ai nostri poveri metodi di riflessione su di esso, che quasi non ci accorgiamo, per esempio, del fatto che è sorprendente che sia possibile l'abduzione, del fatto che si può descrivere un certo evento o cosa (per esempio un uomo che si rade davanti allo specchio) e poi ci si può guardare intorno e cercare nel mondo altri casi che obbediscano alle stesse regole da noi escogitate per la nostra descrizione. Possiamo esaminare l'anatomia di una rana e poi guardarci intorno per scoprire altri esempi delle stesse relazioni astratte ricorrenti in altre creature, compresi, in questo caso, noi stessi.
Questa estensione laterale delle componenti astratte della descrizione è chiamata "abduzione", e spero che il lettore la veda con occhi nuovi. La possibilità stessa dell'abduzione ha un che di misterioso, e il fenomeno è enormemente più diffuso di quanto il lettore possa sulle prime aver supposto.
La metafora, il sogno, la parabola, l'allegoria, tutta l'arte, tutta la scienza, tutta la religione, tutta la poesia, il totemismo, l'organizzazione dei fatti nell'anatomia comparata: tutti questi sono esempi o aggregati di esempi di abduzione, entro la sfera mentale dell'uomo.
Ma ovviamente la possibilità dell'abduzione giunge fino alle radici stesse della scienza fisica: ne sono esempi storici l'analisi newtoniana del sistema solare e il sistema periodico degli elementi.
Viceversa, qualunque pensiero sarebbe del tutto impossibile in un universo in cui non ci si potesse attendere l'abduzione."
 
  • una descrizione dipende dal livello logico










Il termine "mela", per la distinzione tra mappa e territorio, qualunque sia la sua descrizione è automaticamente da porsi al livello logico 1 (la mappa, la descrizione, la rappresentazione), dove a livello 0 (il territorio, il descritto) vi è l'oggetto "mela". I nomi non sono le cose nominate e si pongono a livello logico superiore. Tale distinzione sembra superflua, soprattutto con termini che corrispondono ad entità che hanno un livello fisico ma, come dimostrato ad esempio dal gruppo di Bateson, fondatore degli studi sul modello sistemico-relazionale della comunicazione umana, diverse patologie mentali possono essere modellate come una confusione tra tipi logici diversi, ad esempio se si presenta una fotografia di una mela ad una persona diagnosticata come schizofrenico può succedere che la mangi, magari commentando poi che non era molto buona.
E' da notare che l'attribuzione a livello logico 1 di descrizioni e spiegazioni vale praticamente per ogni disciplina scientifica che abbia un livello (gerarchico) fisico. Ad esempio, uno dei testi fondamentali di biologia cellulare:


nelle sue centinaia di pagine di definizioni, descrizioni e spiegazioni rimane sempre e comunque al livello logico 1.
Il passaggio al livello logico 2 richiede un passaggio a termini di termini - metatermini -, descrizioni di descrizioni - metadescrizioni - e spiegazioni di spiegazioni - metaspiegazioni -.
A questo livello appartengono termini come "schema" - "struttura" - "organizzazione" - "processo" - "relazione" - "apprendimento II" utilizzati, ad esempio, per la (meta) descrizione dei sistemi viventi.
Il passaggio al livello logico 3 richiede l'utilizzo di meta-metatermini, meta-metadescrizioni e meta-metaspiegazioni. Termini quali "conoscere la conoscenza" - "essere coscienti della coscienza" - "apprendimento III" - "pensare i pensieri" "può la mente descrivere se stessa?" etc si possono porre a questo livello logico, con tutte le conseguenze paradossali che possono derivare da un uso non corretto della gerarchia dei livelli logici.
Un livello logico 4 è quasi impossibile da descrivere; come nota Bateson la combinazione di ontogenesi e filogenesi raggiunge un meta-meta-metaprocesso a livello 4.

In alcuni casi può succedere che si preferisca la descrizione al descritto.
Un esempio "abbastanza reale" è quello di un luogo di lavoro frequentato prevalentemente da una categoria professionale genericamente considerata "qualificata" e con una tipologia di lavoro considerata "intellettiva", dove nel locale mensa gli scomparti contenenti le posate abbiano etichettato (in modo superfluo) il tipo di posata contenuto: "forchette" - "cucchiai" - "coltelli". Può succedere saltuariamente che lo scomparto contenga delle posate diverse da quelle etichettate, ad esempio dove vi è scritto "coltelli" vi siano dei cucchiai: una frazione statisticamente significativa delle persone in questo caso rimane "bloccata" dalla inconcepibile discrepanza tra quanto descritto e l'effettivo contenuto, passando diverso tempo a decidere se credere alla propria percezione sensoriale o al proprio intelletto. Una parte significativa decide per l'intelletto, ritenendo questo lo strumento migliore per decidere, e quindi prende un cucchiaio come un coltello, lamentandosi poi, cercando di tagliare la bistecca, che la qualità dei cucchiai in questa mensa è molto scarsa.
  • la descrizione della complessità richiede termini a livello logico 2 o superiori
Per illustrare, in estrema sintesi, il variare delle descrizioni ai vari livelli logici prendiamo il più semplice sistema complesso vivente: la cellula.
Al livello logico 0 vi è la cellula, "il descritto", la Ding an sich.
Al livello logico 1 vi sono le descrizioni della cellula. A livello scritto queste sono l'insieme delle migliaia di libri, atti di congresso, articoli specialistici etc che negli negli ultimi due secoli hanno descritto questo sistema. Tutte queste descrizioni sono del sistema, ma non sul sistema, in questo caso si dovrebbe "uscire" (concettualmente) dal sistema stesso.
A livello logico 2 abbiamo le descrizioni delle descrizioni della cellula - meta-descrizioni sul sistema che si basano sulle descrizioni del livello inferiore. A questo livello vi sono le meta-descrizioni che identificano la meta-struttura della cellula come struttura dissipativa di Prigogine, la meta-organizzazione come l'autopoiesi e il meta-processo come cognizione di Maturana e Varela, sintetizzati nella meta-descrizione struttura-organizzazione-processo da Capra.
A livello logico 3 si trova l'ontogenesi (lo sviluppo della specifica cellula) e la filogenesi (lo sviluppo biologico di tutte le cellule). Entrambe, nel loro complesso, si pongono come complessità della complessità, richiedendo meta-meta-meta-descrizioni, e sono determinate da due specifiche caratteristiche: la prima che la cellula ha una sua ontogenesi come qualsiasi organismo vivente, la seconda è che è l'elemento costitutivo di tutti gli altri organismi viventi vegetali ed animali. L'ontogenesi cellulare può portare quindi sia ad un'altra cellula sia, nel caso dell'unione dei gameti in uno zigote nella riproduzione sessuata, ad un nuovo organismo sia ad una crescita incontrollata di tipo tumorale. La filogenesi cellulare coincide con la ricerca sull'origine della vita; tra le varie teorie si segnala la teoria degli ipercicli di Eigen, premio Nobel per la Chimica 1967. Ulteriori argomenti fondamentali per la filogenesi cellulare sono l'evoluzione e la specializzazione cellulare per formare i vari tessuti utilizzati dalle specie vegetali e animali superiori.


Una analogia per comprendere le descrizioni ai vari livelli logici è quella geometrica/dimensionale.
In questa analogia la cellula, "il descritto", "l'oggetto" a livello 0  è analogo ad un punto in uno spazio a dimenzione zero.


Le varie descrizioni a livello 1 sono analoghe ad una linea in uno spazio unidimensionale.

Le meta-descrizioni a livello 2 sono analoghe ad una figura in uno spazio bidimensionale, ad esempio il metamodello SOP:


Le meta-meta-descrizioni a livello 3 di ontogenesi e filogenesi sono analoghe a figure solide in uno spazio tridimensionale.
L'ontogenesi, intesa come storia delle trasformazioni di un'unità autopoietica come risultato di una storia di interazioni, a partire dalla struttura iniziale, può essere rappresentata come una sfera:

La sfera in 3D rappresenta l'interazione tra due processi ricursivi, da un lato la conservazione della struttura autopoietica lungo tutta la vita dell'organismo, dall'altro la conservazione (pena la non-sopravvivenza) dell'adattamento all'ambiente. Variazioni dell'autopoiesi si riflettono sull'adattamento, e viceversa. Una rappresentazione più precisa potrebbe essere una sfera frattale, un frattale a forma sferoidale, o una sfera con superficie frattale, per illustrare le innumerevoli ricursioni tra autopoiesi e adattamento che ogni organismo, in ogni momento della sua vita biologico, si trova ad affrontare.
Una illustrazione convenzionale di un'ontogenesi cellulare è data, ad esempio, dagli elementi del sangue:
La filogenesi di un particolare organismo, o di una famiglia/specie di organismi, è convenzionalmente rappresentata sotto forma di albero:
Ernst Haeckel, L'albero della vita, 1866
Una rappresentazione 3D è stata suggerita da Maturana e Varela per illustrare la loro concezione del processo evolutivo della filogenesi come deriva naturale a partire da un elemento primario:


La metafora di Maturana e Varela è che l'evoluzione sia come dei rivoli d'acqua che scendono lungo una montagna, a partire dalla cima dove si pone l'elemento primario che ha dato origine alla vita. I diversi percorsi evolutivi lungo la montagna corrispondono alle varie derive strutturali filogenetiche determinate dall'ambiente, rappresentato dalla montagna.
Una vista dall'alto rende conto della complessità delle linee evolutive lungo il percorso temporale:


Maggiore è la distanza dalla cima maggiore è la complessità degli organismi prodotti e delle loro linee evolutive.

La combinazione di ontogenesi e filogenesi  è analoga ad una figura in uno spazio a quattro dimensioni.  La si può conoscere/descrivere solo come sezioni, che sono figure tridimensionali, ad esempio le figure precedenti in 3D di ontogenesi e filogenesi possono essere sezioni di questa figura in 4D sotto determinate condizioni, ad esempio ambiente costante, momento temporale specifico della filogenesi, etc.
A questo livello oltre all'evoluzione ontogenetica e filogenetica è necessario tenere in conto anche l'evoluzione dell'ambiente, che è ricursiva sia verso l'ontogenesi sia riguardo alla filogenesi. Ad esempio, quando durante l'evoluzione le cellule incominciarono a produrre ossigeno, tramite la fotosintesi clorofilliana, questo modificò l'ambiente arricchendolo di ossigeno, e a sua volta l'aumento di ossigeno produsse una modificazione sulla filogenesi cellulare, e più in generale su tutti gli organismi.












  • descrizione e spiegazione sono connesse da una tautologia
In logica, se P è una proposizione, si definisce tautologia:

se P allora P

ed è evidentemente sempre vera, indipendentemente che P sia vera o falsa. Il contrario di una tautologia è una contraddizione, del tipo:

se P allora non P

ed è evidentemente sempre falsa.

I seguenti brani di Wittgenstein e Bateson possono essere utili per la comprensione del rapporto tra descrizioni, spiegazioni e tautologie:

Le proposizioni della logica sono tautologie.
6.11 (3) Le proposizioni della logica dicon dunque nulla. (Esse sono le proposizioni analitiche.) 
6.12 (03+7) Che le proposizioni della logica siano tautologie mostra le proprietà formali - logiche - del linguaggio, del mondo. 
Che le sue parti costitutive, collegate così, producano una tautologia, caratterizza la logica delle sue parti costitutive. Affinché proposizioni collegate in un determinato modo producano una tautologia, esse devono avere determinate proprietà della struttura. Che esse, connesse così, producano una tautologia, mostra dunque che esse possiedono queste proprietà della struttura.
6.121 Le proposizioni della logica dimostrano le proprietà logiche delle proposizioni connettendole in proposizioni che dicon nulla. 
Questo metodo si potrebbe chiamare anche un metodo zero. Nella proposizione logica, le proposizioni sono poste in equilibrio l'una con l'altra, e lo stato d'equilibrio indica allora come queste proposizioni devono essere costituite logicamente.
6.122 (4) Ne risulta che possiamo far anche senza le proposizioni logiche, poiché, in una notazione rispondente, possiamo riconoscere le proprietà formali delle proposizioni per mera ispezione delle proposizioni stesse. 
6.123 (3) È chiaro: Le leggi logiche non possono sottostare esse stesse, a loro volta, a leggi logiche. 
(Non v'è, come intendeva Russell, per ogni "tipo" un principio di contraddizione ad esso proprio; uno basta, poiché esso non è applicato a se stesso.)
6.124 Le proposizioni della logica descrivono l'armatura del mondo, o, piuttosto, la rappresentano. Esse "trattano" di nulla. Esse presuppongono che i nomi abbiano significato, e le proposizioni elementari senso: E questo è il loro nesso con il mondo. È chiaro che deve indicare qualcosa sul mondo il fatto che certi nessi di simboli - che per essenza hanno un determinato carattere - siano tautologie. In questo è il fatto decisivo. Dicemmo che nei simboli che usiamo qualcosa è arbitrario, altro no. Nella logica solo quest'altro esprime: Ma ciò vuol dire: nella logica, non siamo noi ad esprimere, con l'aiuto dei segni, ciò che vogliamo; nella logica è la natura stessa dei segni naturalmente necessari ad esprimere: Se conosciamo la sintassi logica d'un qualsiasi linguaggio segnico, son già date tutte le proposizioni della logica. 
6.125 (1) È possibile, anche secondo la stessa antica concezione della logica, dare in anticipo una descrizione di tutte le proposizioni logiche "vere". 
6.126 (5) Se una proposizione appartenga alla logica si può calcolare calcolando le proprietà logiche del simbolo. 
Ed è quanto facciamo quando "dimostriamo" una proposizione logica. Infatti, senza curarci d'un senso e d'un significato, formiamo la proposizione logica da altre secondo mere regole dei segni. 
La dimostrazione delle proposizioni logiche consiste nel farle nascere da altre proposizioni logiche per applicazione successiva di certe operazioni, le quali, dalle prime, riproducono sempre nuove tautologie. (E invero solo le tautologie seguono da una tautologia.) 
Naturalmente questo modo di mostrare che le sue proposizioni sono tautologiche è affatto inessenziale alla logica, per ciò stesso che le proposizioni, dalle quali la dimostrazione muove, devono mostrare, e senza dimostrazione, d'essere tautologie.
6.127 (1) Tutte le proposizioni della logica sono d'egual ordine; tra esse non vi sono né leggi fondamentali né proposizioni derivate che siano tali per essenza. 
Ogni tautologia mostra da sé che è una tautologia.
6.13 La logica non è una dottrina, ma un'immagine speculare del mondo. 
La logica è trascendentale.













VERSIONI MOLTEPLICI DEL MONDO.

Il caso della 'Descrizione', della 'Tautologia' e della 'Spiegazione'

Tra gli esseri umani la descrizione e la spiegazione sono entrambe tenute in gran conto, ma questo caso di informazione raddoppiata si distingue dalla maggior parte degli altri esempi esposti nel presente capitolo in quanto la spiegazione non contiene informazioni nuove e diverse rispetto a quelle già presenti nella descrizione. Anzi, gran parte delle informazioni presenti nella descrizione vengono di solito gettate via e solo una parte piuttosto piccola di ciò che doveva essere spiegato viene, di fatto, spiegata. Ma la spiegazione ha certamente un'importanza enorme, e certamente "sembra" fornire un sovrappiù di comprensione che va oltre quella contenuta dalla descrizione. Questo sovrappiù di comprensione offerto dalla spiegazione è in qualche modo legato a ciò che abbiamo ottenuto ...; combinando due linguaggi?
Per studiare questo caso è necessario dare prima una breve definizione di queste tre parole: "descrizione, tautologia e spiegazione".

Una descrizione pura comprenderebbe tutti i fatti (cioè tutte le differenze effettive) immanenti nei fenomeni da descrivere, ma non indicherebbe alcun genere di connessione tra questi fenomeni che potrebbe renderli più comprensibili. Per esempio un film sonoro, magari corredato di registrazioni di odori e di altri dati sensoriali, potrebbe costituire una descrizione completa o sufficiente di ciò che è accaduto in un certo istante davanti a una batteria di macchine da ripresa. Ma quel film non riuscirà a connettere tra loro gli eventi mostrati sullo schermo, e di per sè non fornirà alcuna spiegazione. Per contro, una spiegazione può essere completa senza essere descrittiva. “Dio ha creato tutto ciò che esiste” è una frase pienamente esplicativa, ma che non dice nulla nè sulle cose nè sulle loro relazioni.

Nella scienza questi due tipi di organizzazione di dati (descrizione e spiegazione) sono connessi da quella che si chiama, con termine tecnico, "tautologia". Gli esempi di tautologia vanno dal caso più semplice, l'asserzione “Se P è vera, allora P è vera”, a strutture elaborate come la geometria euclidea, in cui “Se gli assiomi e i postulati sono veri, allora il teorema di Pitagora è vero”. Un altro esempio potrebbe essere dato dagli assiomi, definizioni, postulati e teoremi della teoria dei giochi di von Neumann. In un tale insieme di postulati, assiomi e teoremi non si sostiene naturalmente che alcuno degli assiomi o dei teoremi sia in alcun senso 'vero' in modo indipendente, o vero nel mondo esterno.
Anzi, von Neumann ... sottolinea espressamente le differenze tra il suo mondo tautologico e il mondo più complesso delle relazioni umane. Tutto ciò che si sostiene è che se gli assiomi sono questi e i postulati sono quelli, allora i teoremi saranno questi e questi. In altre parole, la tautologia si limita a fornire "connessioni tra proposizioni". Il creatore della tautologia gioca la sua reputazione sulla validità di tali connessioni.

La tautologia non contiene alcuna informazione e la spiegazione (cioè la proiezione della descrizione sulla tautologia) contiene solo le informazioni che si trovavano nella descrizione.
La 'proiezione' asserisce implicitamente che i legami che tengono insieme la tautologia corrispondono a relazioni presenti nella descrizione. La descrizione, d'altro canto, contiene informazione, ma non contiene nè logica nè spiegazione. Per un qualche motivo, gli esseri umani attribuiscono un enorme valore a questa combinazione di modi di organizzare l'informazione o il materiale.
Per illustrare come descrizione, tautologia e spiegazione si combinino tra di loro, citerò un esercizio che ho assegnato parecchie volte alle mie classi. Devo la formulazione del problema all'astronomo Jeff Scargle, ma della soluzione sono responsabile io.
Il problema è questo:
Un uomo si rade tenendo il rasoio nella destra. Guardandosi allo specchio vede la propria immagine che si rade con la sinistra, e dice: “Toh, la destra e la sinistra si sono scambiate. Perchè‚ non si sono scambiati il basso e l'alto?”.
Il problema veniva presentato agli studenti in questa forma: ciò che si chiedeva loro era di risolvere la confusione in cui evidentemente si trova l'uomo e fatto ciò, di discutere la natura della spiegazione.
Nel problema così com'è posto vi sono almeno due trabocchetti: un trucco distrae lo studente spostando la sua attenzione sulla destra e la sinistra. In realtà, lo scambio è avvenuto tra il davanti e il dietro, non fra la destra e la sinistra. Ma oltre a ciò vi è un problema ancor più sottile, cioè che le parole "destra" e "sinistra" non appartengono allo stesso linguaggio a cui appartengono "alto" e "basso". "Destra" e "sinistra" sono parole di un linguaggio interno, mentre "alto" e "basso" sono parti di un linguaggio esterno. Se l'uomo guarda verso sud e la sua immagine verso nord, l'alto è in alto nell'uomo così come lo è nella sua immagine. Il suo lato est è sul lato est dell'immagine e quello ovest è sul lato ovest dell'immagine. "Est" e "ovest" appartengono allo stesso linguaggio di "alto" e "basso", mentre "destra" e "sinistra" fanno parte di un linguaggio diverso. Nel problema così com'è stato posto c'è quindi un tranello logico.
E' necessario comprendere che "destra" e "sinistra" non possono essere definite e se si cerca di farlo si finisce in un mare di guai. L'"Oxford English Dictionary" definisce "sinistra" come “l'epiteto distintivo della mano che normalmente è la più debole”. Il compilatore del dizionario dimostra apertamente il suo imbarazzo. Il Webster dà una definizione più utile, ma l'autore bara. Una delle regole nella compilazione di un dizionario è che per la definizione principale non si deve ricorrere alla comunicazione ostensiva. Quindi il problema è di definire "sinistra" senza riferirsi a un oggetto asimmetrico. Il Webster (1959) dice: “La parte del corpo rivolta a ovest quando si guarda verso il nord, di solito il lato della mano meno usata”. Ciò equivale a usare l'asimmetria di rotazione della terra.
In verità è impossibile dare questa definizione senza barare. L'"asimmetria" è facile da definire, ma non vi sono mezzi verbali - e non ve ne "possono" essere - per indicare di quale delle due metà (speculari) si parla.
Una spiegazione deve fornire qualcosa di più che una descrizione e, alla fine, la spiegazione ricorre a una "tautologia", la quale, così come io l'ho definita, è un corpo di proposizioni legate insieme in modo tale che i legami "tra le proposizioni" siano necessariamente validi.
La tautologia più semplice è “Se P è vera, allora P è vera”.
Una tautologia più complessa sarebbe “Se Q segue da P, allora Q segue da P”. Partendo di qui, si può costruire a piacere qualsiasi complessità. Ma si è sempre entro i confini della proposizione introdotta dal "se", fornita non dai dati, ma da "noi stessi". Questa è una tautologia.
Ora, una spiegazione è una proiezione delle parti di una descrizione su una tautologia, e diventa accettabile nella misura in cui vogliamo e possiamo accettare i legami della tautologia. Se i legami sono 'autoevidenti' (cioè se appaiono indubitabili a voi), allora la spiegazione costruita su quella tautologia sarà per voi soddisfacente. E questo è tutto. E' sempre una questione di storia naturale, una questione di fede, immaginazione, fiducia, rigidità, eccetera, dell'organismo, cioè di voi o di me.
Vediamo su quale tautologia possiamo fondare la nostra descrizione delle immagini speculari e della loro asimmetria.
La mano destra è un oggetto asimmetrico e tridimensionale, e per definirla avete bisogno di informazioni che leghino almeno tre polarità. Per renderla diversa da una mano sinistra bisogna fissare tre clausole descrittive binarie: bisogna distinguere la direzione verso il palmo da quella verso il dorso, la direzione verso il gomito da quella verso la punta delle dita, la direzione verso il pollice da quella verso il mignolo. Costruiamo ora la tautologia per asserire che l'inversione di una qualunque di queste tre proposizioni descrittive binarie crea l'immagine speculare (l'opposto stereoscopico) della mano da cui siamo partiti (cioè crea una mano 'sinistra').
Se ponete le mani palmo contro palmo in modo che il palmo destro guardi verso nord, quello sinistro guarderà verso sud e otterrete una situazione simile a quella dell'uomo che si rade.
Ora il postulato fondamentale della nostra tautologia è che "l'inversione in una dimensione genera sempre il suo opposto stereoscopico". Da questo postulato segue (si può dubitarne?) che l'inversione in "due" dimensioni genera l'opposto dell'opposto (cioè riporta alla forma di partenza). L'inversione in tre dimensioni genera di nuovo l'opposto stereoscopico e così via.
Per dare spessore alla nostra spiegazione ci serviremo ora del procedimento che il logico americano C. S. Peirce chiamava "abduzione" ["abduction"], individueremo cioè altri fenomeni pertinenti e mostreremo che anch'essi sono esempi della nostra regola e possono essere proiettati sulla stessa tautologia.
Immaginate di essere un fotografo di una volta, con un panno nero sopra la testa, e di guardare dentro l'apparecchio sul vetro smerigliato dove si vede il viso del soggetto da fotografare. La lente dell'obiettivo si trova tra il vetro e il soggetto. Sul vetro vedrete l'immagine capovolta e ribaltata, con la destra al posto della sinistra, ma sempre rivolta verso di voi. Se il soggetto tiene qualcosa nella destra, lo terrà nella destra anche sul vetro, ma ruotato di 180 gradi.
Se ora praticate un foro sulla parte anteriore della camera oscura e guardate l'immagine formata sul vetro smerigliato o sulla lastra, la cima del capo del soggetto sarà in basso, il mento sarà in alto, il lato sinistro sarà a destra, non solo, ma ora l'immagine sarà rivolta verso il soggetto. Avete invertito tre dimensioni, quindi ora vedete di nuovo il suo opposto stereoscopico.
La spiegazione consiste dunque nel costruire una tautologia, assicurando il più possibile la validità dei suoi legami, così che essa vi sembri di per sè evidente il che in fin dei conti non è mai del tutto soddisfacente perchè‚ nessuno sa che cosa verrà scoperto in seguito.
Se la spiegazione è quale io l'ho descritta, ci si può ben chiedere che vantaggio traggano gli esseri umani da un'operazione così scomoda e arzigogolata e in apparenza così inutile. Si tratta di una questione di storia naturale, e io credo che il problema venga almeno in parte risolto quando osserviamo che gli esseri umani sono molto negligenti nel costruire le tautologie su cui basare le loro spiegazioni. In tal caso, si potrebbe supporre, il sovrappiù è di segno negativo, e invece sembra che non sia così, a giudicare dal favore di cui godono certe spiegazioni tanto informali da essere fuorvianti.
Una forma comune di spiegazione vuota è il ricorso a quelli che ho chiamato “princìpi dormitivi”, prendendo il termine "dormitivo" da Molière. Nel "Malade imaginaire" c'è una coda in latino maccheronico nella quale viene rappresentato sulla scena l'esame orale medioevale di un candidato dottore. Gli esaminatori chiedono all'esaminando perchè‚ l'oppio faccia dormire e quello risponde trionfante: “Perchè‚, sapienti dottori, esso contiene un principio dormitivo”.
Possiamo figurarci il candidato che passa il resto dei suoi giorni a sottoporre l'oppio a distillazione frazionata in un laboratorio biochimico per poi identificare la frazione in cui è rimasto il cosiddetto principio dormitivo.
Una risposta migliore alla domanda dei dottori interesserebbe non solo l'oppio, ma una relazione tra l'oppio e la gente. In altre parole, la spiegazione dormitiva falsifica effettivamente la realtà dei fatti, ma l'importante, credo, è che anche con le spiegazioni dormitive è sempre "possibile l'abduzione". Dopo aver enunciato come fatto generale che l'oppio contiene un principio dormitivo, è possibile usare questo tipo di locuzione per un grandissimo numero di altri fenomeni. Possiamo per esempio dire che l'adrenalina contiene un principio vivificante e la reserpina un principio calmante. Otterremo così, bench‚ in modo impreciso e inaccettabile sotto il profilo epistemologico, una serie di appigli per afferrare un grandissimo numero di fenomeni che appaiono formalmente paragonabili. E, in effetti, essi sono formalmente paragonabili in questo senso, che in ciascuno di questi casi si commette lo stesso errore di invocare un principio "interno a una componente". Resta il fatto che sotto il profilo della storia naturale - e la storia naturale ci interessa non meno dell'epistemologia in senso stretto - l'abduzione è molto comoda per la gente mentre la spiegazione formale è spesso tediosa. “L'uomo pensa secondo due generi di termini: gli uni sono i termini naturali, che egli ha in comune con le bestie; gli altri sono i termini convenzionali (della logica), di cui beneficia solo l'uomo”.
In questo capitolo si sono esaminati diversi modi in cui combinando informazioni di genere diverso o provenienti da sorgenti diverse si ottiene qualcosa di più che la loro addizione. L'aggregato è più grande della somma delle sue parti poichè‚ la combinazione delle parti non è una semplice addizione, ma possiede la natura di una moltiplicazione o di un frazionamento, o della creazione di un prodotto logico. Un attimo di illuminazione.
Così, per completare questo capitolo e prima di tentare anche solo un elenco dei criteri del processo mentale, è opportuno considerare brevemente questa struttura in modo molto più personale e universale.
Ho invariabilmente attenuto il mio linguaggio a un modo 'intellettuale' o 'oggettivo', che è adatto a molti scopi (e da evitarsi solo quando è usato per evitare di riconoscere la prospettiva e la posizione dell'osservatore).
Rimuovere il quasi oggettivo, almeno in parte, non è difficile, e questo cambiamento di modo è proposto da domande del tipo: Di che cosa tratta questo libro? Che cosa significa per me personalmente? Che cosa sto tentando di dire o di scoprire?
Alla domanda “Che cosa sto tentando di scoprire?” non è poi così impossibile rispondere come ci vorrebbero far credere i mistici. Dal modo in cui il ricercatore conduce la sua ricerca, si può arguire a quale tipo di scoperta può giungere; e sapendolo, si può sospettare che quella scoperta sia ciò che, segretamente e inconsciamente, egli desidera.
Nel presente capitolo si è definito e illustrato un "modo di ricerca", e pertanto questo è il momento di porre due domande: Che cosa sto cercando? A quali problemi mi hanno condotto cinquant'anni di scienza?
Il modo della ricerca mi pare chiaro e potrebbe essere chiamato il "metodo del confronto doppio o multiplo".

Infine, tutto questo confrontare confronti era un crescendo che voleva preparare l'autore e il lettore alla riflessione sui problemi della Mente Naturale. Anche lì incontreremo il confronto creativo. La tesi platonica del libro è appunto che l'epistemologia è una metascienza indivisibile e integrata il cui oggetto è il mondo dell'evoluzione, del pensiero, dell'adattamento, dell'embriologia e della genetica: la scienza della mente nel senso più ampio del termine.
Confrontare questi fenomeni (confrontare il pensiero con l'evoluzione e l'epigenesi con entrambi) è il "modo di ricerca" della scienza detta “epistemologia”
Oppure, nel linguaggio di questo capitolo, possiamo dire che l'epistemologia è il sovrappiù che si ottiene combinando gli elementi di comprensione offerti da ciascuna di queste scienze genetiche.
Ma l'epistemologia è sempre e inevitabilmente "personale". La punta della sonda è sempre nel cuore dell'esploratore: qual è la "mia" risposta al problema della natura del conoscere? Io mi abbandono alla convinzione fiduciosa che il mio conoscere è una piccola parte di un più ampio conoscere integrato che tiene unita l'intera biosfera o creazione.