Pitigliano, Alex Gutkin |
ECOLOGIA E FLESSIBILITÀ NELLA CIVILTÀ URBANA*
* Nell' ottobre 1970 l'autore fu invitato a presiedere un convegno ristretto di cinque giornate sulla «Ristrutturazione dell'ecologia di una grande città», patrocinato dalla Wenner-Gren Foundation. Uno degli scopi del convegno era di far incontrare i partecipanti con i pianificatori nell'ufficio del sindaco di New York,]ohn Lindsay, per esaminare le parti più qualificanti della teoria ecologica. Questo saggio fu scritto per il convegno e riveduto in seguito. Il sesto paragrafo, sulla "Trasmissione della teoria», fu aggiunto più tardi e contiene riflessioni successive al convegno.
In primo luogo converrà non proporsi uno scopo preciso o definitivo, bensì avere un'idea astratta di ciò che si potrebbe intendere per salute ecologica. Questa nozione generale guiderà tanto la raccolta dei dati quanto la valutazione delle tendenze osservate.
La mia proposta consiste allora nel definire un'ecologia sana della civiltà umana più o meno a questo modo:
Un sistema unico di ambiente più una civiltà umana elevata in cui la flessibilità della civiltà si armonizzi con quella dell'ambiente per dar luogo a un complesso sistema dinamico, aperto a mutamenti graduali di caratteristiche anche fondamentali (cioè programmate rigidamente).
Passiamo ora a considerare alcuni termini di questa definizione di salute sistemica e a metterli in relazione con le condizioni che si riscontrano nel mondo esistente.
La mia proposta consiste allora nel definire un'ecologia sana della civiltà umana più o meno a questo modo:
Un sistema unico di ambiente più una civiltà umana elevata in cui la flessibilità della civiltà si armonizzi con quella dell'ambiente per dar luogo a un complesso sistema dinamico, aperto a mutamenti graduali di caratteristiche anche fondamentali (cioè programmate rigidamente).
Passiamo ora a considerare alcuni termini di questa definizione di salute sistemica e a metterli in relazione con le condizioni che si riscontrano nel mondo esistente.
UNA CIVILTÀ ELEVATA
È evidente che l'introduzione dei metalli, della ruota e della scrittura ha reso sempre più instabile il sistema uomo-ambiente. Dimostrano questo asserto la deforestazione dell'Europa e i deserti causati dall'attività umana nel Medio Oriente e in Africa.
Le civiltà nascono e muoiono. Una nuova tecnologia per lo sfruttamento della natura o una nuova tecnica di sfruttamento degli altri uomini permette la nascita di una civiltà. Ma, quando raggiunge i limiti di ciò che può sfruttare in quel dato modo, quella civiltà è destinata prima o poi a scomparire. La nuova invenzione provvede libertà d'azione o flessibilità, ma l'esaurimento di questa flessibilità conduce alla morte.
O l'uomo è troppo intelligente, e allora siamo condannati, oppure non è stato abbastanza intelligente da limitare la sua brama a comportamenti che non distruggano il sistema dinamico complessivo. lo propendo per la seconda ipotesi.
Si rende allora necessario elaborare una definizione di civiltà 'elevata'.
a) Non sarebbe saggio (anche se fosse possibile) tornare all'innocenza degli Aborigeni australiani, degli Eschimesi e dei Boscimani, perché ciò comporterebbe la perdita della saggezza che ha spinto a questo ritorno e non farebbe che rimettere in moto daccapo tutto il processo.
b) Si deve quindi presumere che, sotto il profilo tecnico, una civiltà 'elevata' possieda tutti gli strumenti necessari a favorire, mantenere (e anche incrementare) questo tipo generale di saggezza. Questi strumenti potrebbero benissimo comprendere anche calcolatori e complesse apparecchiature di comunicazione.
c) Una civiltà 'elevata' deve possedere (nelle istituzioni educative e religiose) tutto ciò che è necessario per mantenere nella popolazione la saggezza necessaria e per fornire alle persone soddisfazione fisica, estetica e creativa. Ci dev'essere armonia tra la flessibilità delle persone e quella della civiltà. Nella civiltà dev' esserci diversità, non solo per accogliere la diversità genetica e di esperienza delle persone, ma anche per creare la flessibiltà e il 'preadattamento' necessari ad affrontare mutamenti imprevedibili.
d) Una civiltà 'elevata' dovrebbe limitare le proprie interazioni con 1'ambiente. Dovrebbe consumare risorse naturali non rinnovabili solo allo scopo di facilitare i mutamenti necessari (come una crisalide in metamorfosi deve vivere dei propri lipidi). Per il resto il metabolismo della civiltà deve dipendere dall'energia che l'astronave Terra riceve dal Sole. Di conseguenza è necessario un grande progresso tecnico. E' probabile che, se si usassero come fonti di energia solo la fotosintesi, i venti, le maree e l'energia idrica, il pianeta potrebbe mantenere, con la tecnologia attuale, solo una piccola frazione dell'attuale popolazione umana.
LA FLESSIBILITÀ
Per conseguire nello spazio di poche generazioni qualcosa che somigli al sistema sano ora immaginato, o anche solo per uscire dal solco fatale del destino di cui la nostra civiltà è oggi prigioniera, sarà necessaria una grandissima flessibilità. Conviene dunque esaminare con una certa attenzione questo concetto, che è assolutamente cruciale. Dovremmo valutare non tanto i valori e le tendenze delle variabili attinenti quanto la relazione tra queste tendenze e la flessibilità ecologica.
Rifacendomi a Ross Ashby, supporrò che qualsiasi sistema biologico (per esempio l'ambiente ecologico, la civiltà umana e il sistema che risulta dalla combinazione dei due) si possa descrivere in termini di variabili interconnesse, ciascuna delle quali abbia una soglia di tolleranza superiore e una inferiore, oltre le quali non possono non presentarsi disagi, patologie e da ultimo la morte. Entro questi limiti la variabile può modificarsi (e di fatto si modifica) per conseguire l'adattamento. Se, per effetto di una qualche tensione, una variabile è obbligata ad assumere un valore prossimo al suo limite di tolleranza superiore o inferiore, diremo che il sistema è 'alle strette' rispetto a questa variabile, ovvero che manca di 'flessibilità' sotto questo aspetto.
Ma, poiché le variabili sono interconnesse, se una variabile è alle strette, di solito le altre non possono essere modificate senza forzare la variabile alle strette. Quindi la perdita di flessibilità si diffonde in tutto il sistema. In casi estremi il sistema accetta solo quei mutamenti che modificano i limiti di tolleranza della variabile alle strette. Per esempio una società sovrappopolata ricerca quei cambiamenti (aumento di cibo, nuove strade, più case, e cosi via) che possono rendere più accettabili le condizioni patologiche e patogene della sovrappopolazione. Ma proprio queste modificazioni ad hoc possono portare, alla lunga, a patologie ecologiche più fondamentali.
In sostanza si può dire che le patologie della nostra epoca sono il risultato cumulativo di questo processo, l' esaurimento della flessibilità in risposta a tensioni di vario genere (specie quella dovuta al sovraccarico demografico) e al rifiuto di accettare quei sottoprodotti della tensione (per esempio epidemie e carestie) che sono da sempre i correttivi del sovraccarico demografico.
L'ecologo teorico si trova di fronte a un dilemma: da una parte, se vuole che i suoi consigli siano ascoltati, deve in primo luogo raccomandare tutto ciò che può dare al sistema un contributo positivo di flessibilità; dall'altra, le persone e le istituzioni con cui ha a che fare hanno una naturale propensione a divorare tutta la flessibilità esistente. L'ecologo deve insomma creare flessibilità e impedire che la civiltà la invada consumandola immediatamente.
Ne segue che mentre il suo fine è quello di accrescere la flessibilità, e quindi egli è meno dispotico dei pianificatori sociali (che in genere tendono a incrementare i controlli di legge), l'ecologo deve anche esercitare una certa autorità per conservare la flessibilità già esistente o quella che può essere creata. Su questo punto (come per le risorse naturali non rinnovabili) le sue raccomandazioni debbono essere dispotiche.
La flessibilità sociale è una risorsa preziosa quanto il petrolio o il titanio e dev' essere amministrata in modo opportuno, onde essere sfruttata (come i lipidi) per i mutamenti necessari. Grosso modo, poiché l'esaurimento della flessibilità è dovuto a sottosistemi rigenerativi (che cioè si esaltano) interni alla civiltà, in ultima analisi sono questi sottosistemi che devono essere tenuti sotto controllo.
A questo punto è importante osservare che la flessibilità sta alla specializzazione come l'entropia sta all'entropia negativa. La flessibilità può essere definita come potenziale non impegnato di cambiamento.
Un centralino telefonico presenta il massimo di entropia negativa, di specializzazione, di carico d'informazione e di rigidità quando tanti dei suoi circuiti sono usati che una sola chiamata in più potrebbe bloccare il sistema. Il centralino presenta un massimo di entropia e di flessibilità quando nessuno dei suoi circuiti è impegnato. (In questo esempio lo stato di non uso non è uno stato impegnato).
Si osservi che la contabilità della flessibilità è frazionaria (e non sottrattiva, come quella del denaro o dell'energia).
LA DISTRIBUZIONE DELLA FLESSIBILITÀ
Ancora secondo Ashby, la distribuzione della flessibilità tra le molte variabili di un sistema è una questione di grandissima importanza.
Il sistema sano che abbiamo immaginato sopra può essere paragonato a un acrobata sulla corda. Per mantenere la verità dinamica della sua premessa fondamentale ("Sono sulla corda"), l'acrobata dev'essere libero di passare da una posizione di instabilità a un'altra; vale a dire: certe variabili, come la posizione delle braccia e la loro velocità di movimento, devono avere una grande flessibilità, che l'acrobata sfrutta per mantenere la stabilità di altre caratteristiche più fondamentali e generali. Se le sue braccia sono bloccate o paralizzate (cioè isolate dalla comunicazione), egli cade.
A questo proposito, è interessante considerare l'ecologia del nostro sistema giuridico. Per ovvie ragioni è difficile controllare per legge i princìpi etici e astratti fondamentali da cui dipende il sistema sociale. Storicamente, infatti, gli Stati Uniti vennero fondati sul principio della libertà religiosa e della libertà di pensiero, di cui è un esempio classico la separazione tra Stato e Chiesa.
D'altra parte, è abbastanza facile promulgare leggi che fissino i particolari più episodici e superficiali del comportamento umano. In altre parole, al proliferare delle leggi il nostro acrobata è sempre più limitato nel movimento delle braccia, ma gli viene dato il permesso di cadere dalla corda. Si noti di passaggio che l'analogia dell'acrobata si può applicare a un livello superiore. Durante il periodo in cui l'acrobata impara a muovere le braccia in modo appropriato, è necessario fornirgli una rete di sicurezza, cioè è necessario concedergli la libertà di cadere dalla corda. La libertà e la flessibilità rispetto alle variabili più fondamentali possono essere necessarie durante il processo di apprendimento come durante la creazione di un nuovo sistema attraverso il cambiamento sociale.
Questi sono paradossi dell'ordine e del disordine che l'ecologo teorico e il pianificatore devono valutare.
Comunque sia, non è infondato asserire che negli ultimi cent'anni, specie negli Stati Uniti, i mutamenti sociali hanno portato a una distribuzione inappropriata della flessibilità tra le variabili della civiltà. Le variabili che dovrebbero essere flessibili sono state bloccate, mentre quelle che dovrebbero essere relativamente stabili, e cambiare solo con lentezza, sono state rese più libere.
In ogni caso, il ricorso alla legge non è certo il metodo più adatto per stabilizzare le variabili fondamentali. Ciò dovrebbe avvenire grazie ai processi dell' educazione e della formazione del carattere, quelle componenti cioè del nostro sistema sociale che ora sono, e presumibilmente saranno, soggette alla massima perturbazione.
Erik Johansson |
LA FLESSIBILITÀ DELLE IDEE
Una civiltà funziona sulla base di idee aventi tutti i gradi possibili di generalità. Queste idee sono presenti (alcune in forma esplicita, altre in forma implicita) nelle azioni e nelle interazioni delle persone; alcune sono consce e ben definite, altre sono vaghe e molte sono inconsce. Alcune sono largamente condivise, altre si radicano in modo differenziato nei vari sottosistemi della società.
Se riteniamo che la riserva di flessibilità sia un concetto fondamentale per comprendere come funziona il sistema ambiente-civiltà, e se è vero che tutta una categoria di patologie è collegata a un uso dissennato di questa risorsa, allora la flessibilità delle idee avrà certo una parte importante nella nostra teoria e nelle nostre pratiche.
Per chiarire questo punto diamo qualche esempio di idee fondamentali della cultura:
«La regola aurea», «Occhio per occhio» e «Giustizia».
«Il senso comune dell'economia della scarsità» contrapposto a «Il senso comune dell'abbondanza»,
«Il nome di questa cosa è "sedia"», e molte delle premesse reificanti della lingua.
«La sopravvivenza del più adatto» contrapposta a «La sopravvivenza dell' organismo-più-ambiente».
Le premesse della produzione di massa, delle sfide, del]'orgoglio, e così via.
Le premesse del transfert, le idee sulla formazione del carattere,le teorie sull'educazione, e così via.
I modelli delle relazioni interpersonali - dominanza, amore, e così via.
In una civiltà le idee (come tutte le altre variabili) sono interconnesse, in parte attraverso una sorta di 'psico-logica' e in parte attraverso un consenso generale sugli effetti quasi concreti dell'azione.
Una caratteristica di questa complessa rete di determinazione delle idee (e delle azioni) è che spesso certe maglie della rete sono deboli, ma ogni singola idea o azione è soggetta a una determinazione multipla da parte di molti fili intrecciati. Quando andiamo a letto, spegniamo la luce spinti in parte dall' economia della scarsità, in parte dalle premesse del transfert, in parte dal bisogno di privatezza, in parte dal bisogno di ridurre gli stimoli sensoriali, e così via.
Questa determinazione multipla si riscontra in tutti i settori della biologia. Di norma, ogni aspetto dell'anatomia di un animale o pianta e ogni particolare del comportamento sono determinati da molti fattori, interagenti a livello sia genetico sia fisiologico; e, allo stesso modo, i processi di qualunque ecosistema dinamico sono il risultato di una determinazione multipla.
Inoltre, in un sistema biologico, è piuttosto raro imbattersi in una funzione che sia direttamente detenninata solo dal bisogno che essa soddisfa. La nutrizione è regolata più dalla golosità, dall'abitudine e dalle convenzioni sociali che dalla fame; e la respirazione è governata più dall'eccesso di anidride carbonica che dalla carenza di ossigeno. E così via.
All'opposto, i prodotti dei pianificatori e degli ingegneri sono concepiti per soddisfare bisogni specifici in modo molto più diretto, e quindi sono meno adattabili. È probabile che le molte cause che spingono a mangiare assicurino l'esecuzione di questo atto necessario in un'ampia gamma di circostanze e di sollecitazioni, mentre se la nutrizione fosse regolata solo dall'ipoglicemia, basterebbe un disturbo di quest'unica via di regolazione per causare la morte. Le funzioni biologiche essenziali non sono controllate da variabili potenzialmente letali, e sarà bene che i pianificatori lo tengano ben presente.
Su uno sfondo tanto complesso non è facile costruire una teoria della flessibilità delle idee e formulare un'economia della flessibilità. Vi sono tuttavia due indicazioni relative al problema teorico più importante. Entrambe discendono dal processo stocastico che è alla base dell'evoluzione o dell'apprendimento e che porta alla nascita di questi sistemi interconnessi di idee. Considereremo dapprima la 'selezione naturale', che decide quali idee sopravviveranno più a lungo; poi vedremo come l'azione di questo processo porti talvolta a imboccare vicoli ciechi evolutivi.
(Più in generale io considero il destino in cui la nostra civiltà è entrata un caso particolare di vicolo cieco evolutivo. I comportamenti che offrivano vantaggi a breve scadenza sono stati prima adottati, poi sono stati programmati rigidamente e, sui periodi più lunghi, hanno cominciato a dimostrarsi disastrosi. Questo è il paradigma dell'estinzione per perdita di flessibilità. E questo paradigma è certo ancora più letale quando i comportamenti abituali vengono selezionati al fine di rendere massimi i valori di certe variabili singole).
In un semplice esperimento di apprendimento (o in qualsiasi altra esperienza), un organismo, specie un essere umano, acquisisce un'ampia varietà di informazioni. Impara qualcosa sull' odore del laboratorio; impara qualcosa sui modelli di comportamento dello sperimentatore; impara qualcosa sulla propria capacità di apprendere e su che cosa si prova a dare la risposta 'giusta' o 'sbagliata'; impara che nel mondo esistono cose 'giuste' e cose 'sbagliate'. E così via.
Se poi viene sottoposto a un altro esperimento di apprendimento (o a un'altra esperienza), l'organismo acquisisce nuove informazioni: alcune informazioni del primo esperimento sono ripetute o confermate, altre sono contraddette.
In breve, alcune delle idee acquisite nella prima esperienza sopravvivono alla seconda, e la selezione naturale ribadisce in modo 'tautologico' che le idee che sopravvivono sopravviveranno più a lungo di quelle che non sopravvivono.
Ma anche nell'evoluzione mentale vi è un'economia della flessibilità. Le idee che sopravvivono all'uso ripetuto vengono in effetti gestite in un modo speciale, che è diverso dal modo in cui la mente tratta le idee nuove. Il fenomeno della formazione delle abitudini seleziona le idee che sopravvivono all'uso ripetuto e le colloca in una categoria più o meno separata. Queste idee fidate sono allora a disposizione per l'uso immediato senza un esame approfondito, mentre le parti più flessibili della mente possono essere riservate alla gestione di problemi nuovi.
In altre parole, la frequenza d'uso di una data idea diviene un fattore determinante di sopravvivenza in quell'ecologia delle idee che chiamiamo 'Mente'; oltre a ciò, la sopravvivenza di un'idea di uso frequente è ulteriormente favorita dal fatto che la formazione di abitudini tende a rimuovere questa idea dal campo dell'esame critico.
Ma la sopravvivenza di un'idea è certamente determinata anche dalle sue relazioni con altre idee. Le idee possono sostenersi a vicenda o contraddirsi l'un l'altra; possono combinarsi con maggiore o minore facilità. Possono influire l'una sull'altra in modi complessi e sconosciuti in sistemi polarizzati.
Di solito sono le idee più generali e astratte a sopravvivere all'uso ripetuto. Le idee più generali tendono così a divenire premesse da cui dipendono altre idee. Queste premesse divengono relativamente rigide.
In altre parole, nell'ecologia delle idee si svolge un processo evolutivo legato all'economia della flessibilità, e questo processo stabilisce quali idee subiranno una programmazione rigida.
Lo stesso processo fa sì che queste idee programmate rigidamente divengano nuclei o nodi entro costellazioni di altre idee, poiché la sopravvivenza di queste idee dipende da come esse si attagliano alle idee programmate rigidamente.' Ne segue che qualsiasi cambiamento di queste ultime può comportare un cambiamento in tutta la costellazione ad esse collegata.
Ma la frequenza con cui un'idea viene confermata in un dato intervallo di tempo non costituisce una dimostrazione che essa sia vera o pragmaticamente utile a lungo termine. Scopriamo oggi che parecchie premesse profondamente radicate nel nostro stile di vita non sono affatto vere e risultano
patogene quando vengano attuate mediante la tecnologia moderna.
City Fortress by alexandreev |
L'ESERCIZIO DELLA FLESSIBILITÀ
Sopra si è affermato che la flessibilità complessiva di un sistema dipende dalla circostanza che molte delle sue variabili si mantengano al centro del loro intervallo di tolleranza. Ma esiste un'inversa parziale di questa asserzione generale:
Poiché molti sottosistemi della società sono per forza di cose rigenerativi, il sistema nel suo complesso tende a 'espandersi' invadendo ogni area di libertà non sfruttata.
Un tempo si diceva che "La Natura ha orrore del vuoto", e in effetti sembra che qualcosa del genere valga per il potenziale inutilizzato di cambiamento in qualunque sistema biologico.
In altre parole, se una data variabile rimane troppo a lungo nei pressi del suo valore centrale, altre variabili finiscono con l'usurpare la sua libertà, restringendone i limiti di tolleranza, finché la sua libertà di movimento si annulla; o, più precisamente, finché, per compiere qualsiasi movimento, essa è costretta a disturbare le variabili usurpatrici.
In altre parole, la variabile che non modifica il proprio valore diviene ipso facto programmata rigidamente. In effetti, descrivere in questo modo la genesi delle variabili programmate rigidamente equivale a descrivere la formazione delle abitudini.
Come mi disse una volta un maestro giapponese Zen, «Abituarsi a qualsiasi cosa è terribile».
Da tutto ciò discende che, affinché una data variabile mantenga la propria flessibilità, o questa flessibilità viene esercitata oppure è necessario tenere sotto controllo diretto le variabili usurpatrici.
Viviamo in una società che sembra preferire i divieti alle esigenze positive e quindi tentiamo di legiferare (ad esempio con leggi antitrust) contro le variabili usurpatrici; e tentiamo di difendere le 'libertà civili' bacchettando legalmente le forze usurpatrici.
Tentiamo di proibire certe usurpazioni, ma forse sarebbe meglio incoraggiare le persone ad avere conoscenza delle loro libertà e flessibilità e a usarle più spesso.
Nella nostra civiltà persino l'esercizio fisico, la cui funzione più propria sarebbe di mantenere la flessibilità di molte variabili fisiologiche spingendole a valori estremi, diventa uno 'sport da poltrona'; e lo stesso vale per la flessibilità delle norme sociali: andiamo al cinema o nei tribunali (o leggiamo i giornali) per avere un'esperienza vicaria di comportamenti eccezionali.
Jean-Francois Rauzier |
LA TRASMISSIONE DELLA TEORIA
In tutte le applicazioni della teoria alle questioni umane ci s'imbatte nel problema della formazione di quanti hanno il compito di attuare i piani. Questo articolo è in primo luogo un'esposizione della teoria ai pianificatori; è un tentativo di fornir loro almeno alcune idee teoriche. Ma nel corso della ristrutturazione di una grande città, che può richiedere da dieci a trent'anni, i piani e la loro esecuzione debbono passare per la testa e per le mani di centinaia di persone e di decine di commissioni.
È importante che le cose giuste vengano fatte per i motivi giusti? E necessario che coloro che rivedono e attuano i piani comprendano le intuizioni ecologiche che hanno guidato i pianificatori? Oppure questi ultimi devono inserire nell'ordito del loro piano incentivi collaterali che spingano in seguito gli esecutori ad agire per ragioni affatto diverse da quelle che hanno ispirato il piano?
È un vecchio problema di etica, che turba (per esempio)ogni psichiatra. Deve il terapeuta ritenersi soddisfatto se un paziente si riadatta alla vita normale per ragioni nevrotiche o sbagliate?
Il problema non è solo etico nel senso ordinario, è anche ecologico. I mezzi con cui un uomo influenza un altro uomo fanno parte dell'ecologia delle idee che governano la loro relazione e fanno parte del più ampio sistema ecologico entro il quale si colloca questa relazione.
L'affermazione più severa della Bibbia è quella di san Paolo, che rivolgendosi ai Galati dice: «Dio non può essere beffato», e quest'affermazione vale per la relazione tra l'uomo e la sua ecologia. Non serve addurre a pretesto che un certo peccato d'inquinamento o di sfruttamento in fondo è di poco conto o che è stato commesso senza intenzione o con le migliori intenzioni. Oppure dire "se non l'avessi fatto io l'avrebbe comunque fatto qualcun altro". I processi ecologici non possono essere beffati.
D'altra parte, quando il puma uccide il cervo non lo fa certo per proteggere l'erba da un'eccessiva brucatura.
In effetti il problema di come comunicare le nostre argomentazioni ecologiche a coloro che vogliamo indirizzare verso quella che a noi sembra una 'buona' direzione ecologica è a sua volta un problema ecologico. Noi non siamo fuori dell' ecologia che stiamo pianificando: ne facciamo sempre e comunque parte.
In questo sta il fascino e il terrore dell'ecologia: che le idee di questa scienza stanno diventando irreversibilmente parte' del nostro stesso sistema ecosociale.
Viviamo quindi in un mondo diverso da quello del puma, il quale non prova né il fastidio né la gioia che danno le idee sull'ecologia. Noi invece sì.
Credo che queste idee non siano malvagie e che la nostra massima necessità (ecologica) sia la loro diffusione via via che si sviluppano, e via via che si sviluppano proprio grazie al processo (ecologico) della loro diffusione.
Se questo mio giudizio è corretto, allora le idee ecologiche implicite nei nostri piani sono più importanti dei piani stessi, e sarebbe una follia sacrificare queste idee sull'altare del pragmatismo. Alla lunga non conviene 'vendere' i piani con superficiali argomentazioni ad hominem che nascondono o contraddicono l'intuizione più profonda.
Mexico City |
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