MORALE E CARATTERE NAZIONALE*
* Questo saggio apparve in Civilian Morale, a cura di Goodwin Watson, proprietà letteraria della Sodety for Psychological Study of Social Issues, 1942. Viene qui ripubblicato per concessione dell'editore. Parte del materiale introduttivo è stata espunta.
Procederemo così: l. Esamineremo le critiche che si possono fare a chi volesse proporre un qualsiasi concetto di 'carattere nazionale'. 2. Questo esame ci permetterà di stabilire certi limiti concettuali entro i quali l'espressione 'carattere nazionale' è verosimilmente valida. 3. Passeremo poi, entro questi limiti, a delineare quali ordini di differenze possiamo aspettarci di trovare tra le nazioni occidentali, cercando anche, a scopo illustrativo, di individuare più concretamente alcune di queste differenze. 4. Infine esamineremo come sui problemi del morale collettivo e sulle relazioni internazionali influiscano differenze di quest' ordine.
OSTACOLI A UN QUALSIASI CONCETTO DI 'CARATTERE NAZIONALE'
Gli scienziati sono stati dissuasi dall'indagare su questioni di questo genere da numerose riflessioni, che li hanno portati a considerarle inutili o infondate. Pertanto, prima di arrischiare una qualsiasi opinione costruttiva nei confronti dell'entità delle differenze che ci si deve aspettare di trovare tra le popolazioni europee, dobbiamo esaminare queste riflessioni dissuasive.
In primo luogo si sostiene che sono non le persone, bensì le circostanze in cui esse vivono, che differiscono da una comunità all'altra; che abbiamo inevitabilmente a che fare con differenze nei precedenti storici o nelle condizioni attuali e che questi fattori sono sufficienti a spiegare tutte le differenze di comportamento, senza che si debbano invocare differenze di carattere negli individui considerati. In sostanza questo argormento è un richiamo al rasoio di Ockham, principio secondo cui non si debbono moltiplicare gli enti più di quanto sia necessario. L'argomento consiste nell'affermare che quando esistano differenze osservabili nelle circostanze, dovremmo chiamare in causa queste, piuttosto che differenze solo inferite nel carattere, le quali non sono osservabili.
A questo ragionamento si può in parte controbattere citando dati sperimentali, come le esperienze di Lewin (materiale non pubblicato), le quali misero in luce le grandi differenze nel modo in cui i tedeschi e gli americani reagivano all'insuccesso nel corso di un'esperienza: gli americani consideravano l'insuccesso come un incitamento ad accrescere i loro sforzi; la reazione dei tedeschi allo stesso insuccesso era lo scoraggiamento. Tuttavia coloro che sostengono l'influenza delle condizioni piuttosto che del carattere possono sempre replicare che le condizioni sperimentali non sono, in realtà, le stesse per i due gruppi; che il valore di stimolo di una qualsiasi circostanza dipende da come quella circostanza si staglia sullo sfondo di altre circostanze nella vita del soggetto, e che questo contrasto non può essere lo stesso per i due gruppi.
È possibile, in effetti, sostenere che, poiché per individui di formazione culturale diversa non si presentano mai le stesse circostanze, è superfluo invocare astrazioni come il carattere nazionale. Questo argomento non tiene più, io credo, quando si osservi che, dando importanza alle circostanze piuttosto che al carattere, si verrebbe a ignorare ciò che sappiamo sull'apprendimento. Forse la generalizzazione meglio documentata nel campo della psicologia è che, ad ogni dato istante, le caratteristiche di comportamento di ogni mammifero, e specialmente dell'uomo, dipendono dall'esperienza e dal comportamento precedenti di quell'individuo. Di conseguenza, quando si presume che, oltre le circostanze, anche il carattere debba essere tenuto in considerazione, non si moltiplicano gli enti più di quanto sia necessario; sulla base di altri tipi di dati, noi conosciamo l'importanza del carattere appreso, ed è questa conoscenza che ci spinge a considerare l"ente' supplementare.
Un secondo ostacolo all'accettazione della nozione di 'carattere nazionale' sorge una volta che sia stato discusso il primo. Coloro che concedono che si possa parlare di carattere nazionale possono ancora dubitare che all'interno di quel campione di esseri umani che è una nazione possa verosimilmente vigere una qualunque uniformità o regolarità. Concediamo subito che ovviamente l'uniformità non esiste, e chiediamoci che sorta di regolarità ci si possa attendere.
La critica cui stiamo cercando di controbattere può verosimilmente assumere cinque forme. 1. Il critico può far rilevare sia la presenza di differenziazione subculturale, sia le differenze tra i sessi, o tra le classi, o tra gruppi professionali all'interno della comunità. 2. Egli può far rilevare l'estrema eterogeneità e confusione di norme culturali che si può osservare nelle' comunità-crogiolo'. 3. Può citare il caso dei devianti accidentali, cioè di quegli individui che hanno subìto qualche esperienza traumatica 'accidentale', insolita per gli appartenenti alloro ambiente sociale. 4. Può far presenti i fenomeni del cambiamento culturale, e specialmente quel genere di differenziazione che nasce quando una parte della comunità ha una velocità di cambiamento minore rispetto a un'altra. 5. Infine, il critico può far presente la natura arbitraria dei confini nazionali.
Queste obiezioni sono strettamente connesse, e le risposte a tutte derivano in ultima analisi da due postulati: primo, che dal punto di vista sia fisiologico sia psicologico l'individuo è una singola entità organizzata, tale che tutte le sue 'parti' o 'aspetti' sono reciprocamente modificabili e reciprocamente interagenti; secondo, che una comunità è del pari organizzata in questo senso.
Se consideriamo una differenziazione sociale in una qualche comunità stabile - diciamo, per esempio, la differenziazione tra i sessi in una tribù della Nuova Guinea - vediamo che non è sufficiente dire che il sistema delle abitudini o la struttura dei caratteri di un sesso sono diversi da quelli dell'altro. Il punto significativo è che il sistema delle abitudini di ciascun sesso ingrana col sistema di abitudini dell'altro; che il comportamento dell'uno promuove le abitudini dell'altro.2 Così per esempio si ritrovano tra i sessi strutture complementari, come ammirazione-esibizionismo, autorità-sottomissione e assistenza-dipendenza, o combinazioni di queste. Fra tali gruppi non è mai dato di osservare reciproca irrilevanza.
Benché sia purtroppo vero che molto poco si sa sui termini della differenziazione delle abitudini tra classi, sessi, gruppi professionali, ecc., esistenti nelle nazioni occidentali, non credo sia arrischiato applicare questa conclusione generale a tutti i casi di differenziazione stabile tra gruppi che vivono a contatto reciproco. Per me è inconcepibile che due gruppi differenti possano coesistere fianco a fianco in una comunità senza che vi sia un qualche rapporto tra le caratteristiche particolari di un gruppo e quelle dell'altro; una tale evenienza sarebbe contraria al postulato che una comunità è un'unità organizzata. Presumeremo pertanto che tale generalizzazione valga per tutte le differenziazioni stabili.
Ora, tutto ciò che sappiamo sul meccanismo della formazione del carattere - specialmente i processi di proiezione, formazione delle reazioni, compensazione e simili - ci porta a ritenere che queste strutture bipolari siano unitarie all'ìnterno dell'individuo. Se sappiamo che un individuo è abituato a esprimere palesemente metà di una di queste strutture, per esempio un comportamento autoritario, possiamo arguire con sicurezza (anche se non in termini precisi) che nella sua personalità sono allo stesso tempo contenuti i germi dell'altra metà, cioè della sottomissione. Si deve infatti ritenere che questo individuo sia abituato al binomio autorità-sottomissione, e non all'autorità o alla sottomissione soltanto. Da ciò segue che, trattando della differenziazione stabile all'interno di una comunità, siamo autorizzati ad ascrivere un carattere comune ai membri di quella comunità, purché si abbia cura di descrivere quel carattere comune nei termini dei temi di relazione tra le sezioni differenziate della comunità.
Considerazioni dello stesso tipo ci guideranno nel replicare alla seconda critica - gli estremi di eterogeneità che si manifestano nelle moderne 'comunità-crogiolo'. Supponiamo di tentare un'accurata analisi di tutti i temi di relazione tra individui e gruppi in una comunità come la città di New York; se non finissimo in manicomio assai prima di completare questo studio, dovremmo arrivare a un quadro del carattere comune che sarebbe quasi infinitamente complesso, e che comunque conterrebbe differenziazioni più sottili di quelle che la psiche umana è in grado di risolvere in se stessa. A questo punto saremmo quindi costretti, sia noi sia gli individui che stiamo studiando, a prendere una scorciatoia: a trattare cioè 1'eterogeneità come una caratteristica positiva, sui generis, dell'ambiente comune. Quando, sulla base di quest'ipotesi, cominciamo a ricercare i temi comuni del comportamento, ci accorgiamo delle chiarissime tendenze a gloriarsi dell'eterogeneità per l'eterogeneità (come nella Ballad far Amencans di Robinson-Latouche) e a ritenere il mondo costituito da un'infinità di pezzetti di indovinello slegati (come il Believe It or Not di Ripley).
La terza obiezione, il caso degli individui devianti, rientra nello stesso sistema di correlazione della differenziazione dei gruppi stabili. Il ragazzo su cui l'educazione di una scuola privata inglese non fa presa, anche se le radici prime della sua deviazione risalgono a qualche awenimento traumatico 'accidentale', reagisce proprio al sistema della scuola privata. Le abitudini di comportamento che egli acquisisce possono non seguire le norme che la scuola intende stabilire, ma sono acquisite proprio come reazione a quelle norme. Egli può acquisire (e spesso acquisisce) strutture esattamente opposte a quelle normali, ma non è concepibile che acquisisca strutture non correlate. Egli può diventare un 'cattivo' allievo di scuola privata inglese, può diventare pazzo, tuttavia le sue caratteristiche devianti saranno correlate in modo sistematico alle norme alle quali egli si ribella. In effetti si può descrivere il suo carattere dicendo che esso è correlato in modo sistematico al carattere scolastico tipo, così come il carattere degli indigeni iatmul di un sesso è correlato in modo sistematico al carattere dell'altro sesso. Il suo carattere è orientato secondo i temi e le strutture di relazione esistenti nella società in cui vive.
Lo stesso sistema di correlazione vale per la quarta osservazione, quella relativa ai cambiamenti delle comunità e al genere di differenziazione che si produce quando una parte della comunità cambia meno rapidamente di un'altra. Poiché la direzione in cui si produce un cambiamento sarà necessariamente condizionata dallo status quo ante, le nuove strutture, essendo una reazione alle vecchie, saranno correlate a quelle in modo sistematico. Finché ci limitiamo ai termini e ai temi di questa relazione sistematica, avremo quindi il diritto di aspettarci una regolarità di carattere negli individui. Inoltre l'aspettazione e l'esperienza del cambiamento possono, in alcuni casi, essere tanto importanti da divenire un fattore comune sui generis nella determinazione del carattere, allo stesso modo in cui l' "eterogeneità' può avere effetti positivi.
Infine possiamo considerare quei casi in cui i confini nazionali subiscono spostamenti, la nostra quinta critica. E ovvio che non ci si può aspettare che la firma di un diplomatico su un trattato modifichi di colpo i caratteri degli individui la cui cittadinanza viene così a cambiare. Può addirittura accadere (quando, per esempio, una popolazione indigena a livello pre-letterario venga per la prima volta portata a contatto con europei) che, per un certo tempo dopo il fatto, i due protagonisti della situazione si comportino in modo esplorativo e senza una regola, ciascuno di essi conservando le sue norme, e senza ancora manifestare alcun adattamento particolare alla situazione di contatto. Durante questo periodo non ci si devono ancora aspettare generalizzazioni che valgano per entrambi i gruppi. Assai presto, tuttavia, sappiamo che ciascuna parte manifesta strutture speciali di comportamento da impiegare nei suoi contatti con l'altra. A questo punto acquista senso chiedersi quali termini sistematici di relazione descriveranno il carattere comune dei due gruppi; e, da questo punto in poi, il livello della struttura del carattere comune aumenterà fino a che i due gruppi giungeranno a correlarsi l'uno con l'altro proprio come due classi o i due sessi in una società stabile e differenziata.
Insomma, a coloro che sostengono che le comunità umane manifestano una differenziazione interna troppo spiccata, o contengono una componente casuale troppo cospicua perché possa essere valida qualsiasi nozione di carattere comune, vorremmo rispondere che noi riteniamo invece utile tale nozione, a) purché si descriva il carattere comune in termini di relazioni tra gruppi e individui all'interno della comunità, e b) purché si conceda alla comunità abbastanza tempo perché essa possa raggiungere un certo grado di equilibrio, oppure possa accettare tanto il cambiamento quanto l'eterogeneità come una caratteristica del suo ambiente umano.