from "Keith Jarrett: Last Solo". Tokyo'84
martedì 8 maggio 2012
il Te del Tao: XXXVIII - ESPONE LA VIRTÙ
XXXVIII - ESPONE LA VIRTÙ
La virtù somma non si fa virtù
per questo ha virtù,
la virtù inferiore non manca di farsi virtù
per questo non ha virtù.
La virtù somma non agisce
ma non ha necessità di agire,
la virtù inferiore agisce
ma ha necessità di agire.
La somma carità agisce
ma non ha necessità di agire,
la somma giustizia agisce
ma ha necessità di agire,
il sommo rito agisce
e se non viene corrisposto
si denuda le braccia e trascina a forza.
Fu così che
perduto il Tao venne poi la virtù,
perduta la virtù venne poi la carità,
perduta la carità venne poi la giustizia,
perduta la giustizia venne poi il rito:
il rito è labilità della lealtà e della sincerità
e foriero di disordine.
Chi per primo conosce è fior nel Tao
e principio di ignoranza.
Per questo l'uomo grande
resta in ciò che è solido
e non si sofferma in ciò che è labile,
resta nel frutto
e non si sofferma nel fiore.
Perciò respinge l'uno e preferisce l'altro.
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Tao
da dove veniamo? chi siamo? dove andiamo? dal Tao, nel Tao, verso il Tao
Paul Gauguin,
Where Do We Come From? What Are We? Where Are We Going?
oil on canvas, 1897-1898, Museum of Fine Arts, Boston
Where Do We Come From? What Are We? Where Are We Going?
oil on canvas, 1897-1898, Museum of Fine Arts, Boston
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Interludio Tao
gioco e fantasia del Tao - 13-16
13. Ciò che si è detto sopra a proposito del gioco può essere usato come un esempio introduttivo per la discussione degli inquadramenti e dei contesti. Riassumendo, è nostra ipotesi che il messaggio 'Questo è gioco' stabilisca un quadro paradossale, paragonabile al paradosso di Epimenide.
Di questa situazione si può dar conto con il diagramma seguente:
La prima asserzione in questo quadro è una proposizione autocontraddittoria relativa a se stessa: se quest'asserzione è vera, allora dev' essere falsa; qualora sia falsa, dev'essere vera. Ma questa prima asserzione porta con sé tutte le altre asserzioni del quadro: così se la prima è vera, tutte le altre devono essere false; e, viceversa, se la prima è falsa, tutte le altre devono essere vere.
14. Chi possiede una mente logica noterà un non sequitur: si potrebbe in effetti insistere che, anche se la prima asserzione è falsa, resta possibile, dal punto di vista logico, che qualcuna delle altre asserzioni del quadro sia falsa. Tuttavia è caratteristica del pensiero inconscio, o «primario», l'incapacità del soggetto di distinguere tra 'alcuni' e 'tutti', e !'incapacità di distinguere tra 'non tutti' e 'nessuno'. Sembra che queste distinzioni siano compiute da processi mentali superiori o più consci, i quali nell'individuo non psicotico servono a correggere il pensiero 'in bianco e nero' dei livelli inferiori. Noi supponiamo, e questa supposizione sembra ortodossa, che il processo primario funzioni senza interruzioni, e che la validità psicologica del quadro paradossale del gioco dipenda da questa parte della mente.
15. D'altra parte, mentre è necessario invocare il processo primario come principio esplicativo per cancellare la nazione di 'alcuni', che dovrebbe stare fra 'tutti' e 'nessuno', ciò non significa che il gioco sia semplicemente un fenomeno del processo primario. La distinzione tra 'gioco' e 'nongioco', come la distinzione tra fantasia e non-fantasia, è certo una funzione del processo secondario, o «ego». All'interno del sogno, il sognatore di solito non si rende conto di sognare, e all'interno del 'gioco' gli si deve spesso ricordare: « Questo è gioco ».
Similmente, all'interno del sogno o della fantasia, il sognatore non impiega il concetto di 'falso': egli impiega asserzioni di ogni tipo, ma ha la curiosa incapacità di formulare meta-asserzioni; egli non è in grado, se non quando è in procinto di svegliarsi, di sognare un'asserzione relativa al suo sogno (vale a dire, che lo 'inquadri').
Ne consegue pertanto che l'inquadramento di gioco, impiegato come qui facciamo, cioè come un principio esplicativo, comporta una speciale combinazione dei processi primario e secondario. Ciò è tuttavia collegato a quanto è stato detto prima, quando si è sostenuto che il gioco segna un passo avanti nell'evoluzione della comunicazione, anzi il passo cruciale nella scoperta delle relazioni di tipo mappa-territorio. Nel processo primario la mappa e il territorio sono identificati; nel processo secondario essi possono essere distinti. Nel gioco vengono sia identificati sia distinti.
16. È necessario ricordare un'altra anomalia logica di questo sistema: che la relazione logica tra due proposizioni comunemente descritta col termine 'premessa' è divenuta intransitiva. In generale tutte le relazioni asimmetriche sono transitive. Tipica in questo senso è la relazione 'più grande di'; se A è più grande di B, e B è più grande di C, allora tradizionalmente si conclude che A è più grande di C. Ma nei processi psicologici la transitività delle relazioni asimmetriche non sussiste: la proposizione P può essere premessa per Q, Q può essere premessa per R, e R può essere premessa per P. Anzi, nel sistema che stiamo considerando, il circolo è ancora più ristretto: il messaggio: «Tutte le asserzioni contenute in questo quadro sono false» dev'essere preso come premessa nella valutazione della sua stessa verità o falsità. (Si confronti con l'intransitività della preferenza psicologica discussa da McCulloch. Il paradigma di tutti i paradossi di questo tipo generale è «l'insieme di tutti gli insiemi che non sono elementi di se stessi», fornito da Russell. Qui Russell dimostra che il paradosso è generato dal fatto che la relazione «è elemento di» viene considerata intransitiva). Con questo avvertimento, cioè che in psicologia la relazione 'premessa' è verosimilmente intransitiva, useremo la parola 'premessa' per indicare una dipendenza di un'idea o di un messaggio da un altro, analoga a quella dipendenza di una proposizione da un'altra che, in logica, viene espressa dicendo che la proposizione P è una premessa per Q.
(A Theory of Play and Fantasy, 1954) - 12
Di questa situazione si può dar conto con il diagramma seguente:
La prima asserzione in questo quadro è una proposizione autocontraddittoria relativa a se stessa: se quest'asserzione è vera, allora dev' essere falsa; qualora sia falsa, dev'essere vera. Ma questa prima asserzione porta con sé tutte le altre asserzioni del quadro: così se la prima è vera, tutte le altre devono essere false; e, viceversa, se la prima è falsa, tutte le altre devono essere vere.
14. Chi possiede una mente logica noterà un non sequitur: si potrebbe in effetti insistere che, anche se la prima asserzione è falsa, resta possibile, dal punto di vista logico, che qualcuna delle altre asserzioni del quadro sia falsa. Tuttavia è caratteristica del pensiero inconscio, o «primario», l'incapacità del soggetto di distinguere tra 'alcuni' e 'tutti', e !'incapacità di distinguere tra 'non tutti' e 'nessuno'. Sembra che queste distinzioni siano compiute da processi mentali superiori o più consci, i quali nell'individuo non psicotico servono a correggere il pensiero 'in bianco e nero' dei livelli inferiori. Noi supponiamo, e questa supposizione sembra ortodossa, che il processo primario funzioni senza interruzioni, e che la validità psicologica del quadro paradossale del gioco dipenda da questa parte della mente.
15. D'altra parte, mentre è necessario invocare il processo primario come principio esplicativo per cancellare la nazione di 'alcuni', che dovrebbe stare fra 'tutti' e 'nessuno', ciò non significa che il gioco sia semplicemente un fenomeno del processo primario. La distinzione tra 'gioco' e 'nongioco', come la distinzione tra fantasia e non-fantasia, è certo una funzione del processo secondario, o «ego». All'interno del sogno, il sognatore di solito non si rende conto di sognare, e all'interno del 'gioco' gli si deve spesso ricordare: « Questo è gioco ».
Similmente, all'interno del sogno o della fantasia, il sognatore non impiega il concetto di 'falso': egli impiega asserzioni di ogni tipo, ma ha la curiosa incapacità di formulare meta-asserzioni; egli non è in grado, se non quando è in procinto di svegliarsi, di sognare un'asserzione relativa al suo sogno (vale a dire, che lo 'inquadri').
Ne consegue pertanto che l'inquadramento di gioco, impiegato come qui facciamo, cioè come un principio esplicativo, comporta una speciale combinazione dei processi primario e secondario. Ciò è tuttavia collegato a quanto è stato detto prima, quando si è sostenuto che il gioco segna un passo avanti nell'evoluzione della comunicazione, anzi il passo cruciale nella scoperta delle relazioni di tipo mappa-territorio. Nel processo primario la mappa e il territorio sono identificati; nel processo secondario essi possono essere distinti. Nel gioco vengono sia identificati sia distinti.
16. È necessario ricordare un'altra anomalia logica di questo sistema: che la relazione logica tra due proposizioni comunemente descritta col termine 'premessa' è divenuta intransitiva. In generale tutte le relazioni asimmetriche sono transitive. Tipica in questo senso è la relazione 'più grande di'; se A è più grande di B, e B è più grande di C, allora tradizionalmente si conclude che A è più grande di C. Ma nei processi psicologici la transitività delle relazioni asimmetriche non sussiste: la proposizione P può essere premessa per Q, Q può essere premessa per R, e R può essere premessa per P. Anzi, nel sistema che stiamo considerando, il circolo è ancora più ristretto: il messaggio: «Tutte le asserzioni contenute in questo quadro sono false» dev'essere preso come premessa nella valutazione della sua stessa verità o falsità. (Si confronti con l'intransitività della preferenza psicologica discussa da McCulloch. Il paradigma di tutti i paradossi di questo tipo generale è «l'insieme di tutti gli insiemi che non sono elementi di se stessi», fornito da Russell. Qui Russell dimostra che il paradosso è generato dal fatto che la relazione «è elemento di» viene considerata intransitiva). Con questo avvertimento, cioè che in psicologia la relazione 'premessa' è verosimilmente intransitiva, useremo la parola 'premessa' per indicare una dipendenza di un'idea o di un messaggio da un altro, analoga a quella dipendenza di una proposizione da un'altra che, in logica, viene espressa dicendo che la proposizione P è una premessa per Q.
(A Theory of Play and Fantasy, 1954) - 12
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venerdì 27 aprile 2012
la via dal KaliYuga al Tao
"Il presente è incerto, pieno di angosce, e il futuro, se proiettato nel corso attuale del divenire del pianeta, un disastro annunciato. Ci troviamo di fronte a una crisi globale a doppio senso: crisi delle civilizzazioni tradizionali sotto il colpo dello sviluppo e della globalizzazione (la cosiddetta occidentalizzazione) e crisi della nostra civilizzazione occidentale, produttrice di questo divenire accelerato, in cui la scienza e la tecnica non hanno più alcun controllo e il profitto è assunto a maître di ogni azione e pensiero. Il nuovo dio è diventato il capitalismo finanziario, generato dal fanatismo religioso risvegliatosi dopo la morte del totalitarismo comunista: questa prospettiva non può che condurci, partendo dal dato presente, alla conclusione che il futuro sarà assolutamente catastrofico. Ciò che si è perduto è il credere nel progresso come via storica, non ci facciamo più cullare dall’illusione della possibilità di un avvenire positivo. Fino a quando il presente sarà carico di ansia e terrore, angoscia, ci rifugeremo nel passato, spiega Morin, nell’identità, nella religione. È a partire da questa constatazione che si capisce anche questo risveglio delle religioni. Una parte delle nuove generazioni si converte all’integrismo religioso; questo si può ben vedere ora in molti paesi arabo-musulmani.
La situazione attuale è aggravata anche dalla constatazione del fatto che esiste un grande vuoto di pensiero: le vecchie generazioni hanno creduto alla rivoluzione, al comunismo, alla società detta industriale, alla prosperità, alla fine della crisi. C’erano la speranza, le rivoluzioni, ed ora queste speranze sono distrutte. C’è bisogno di nuovi pensatori, e che le coscienze vengano provocate. Hölderlin diceva “la dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva”. Forse il momento è arrivato, sempre più gravi e urgenti le questioni che ci interrogano e che esigono una presa di posizione e un’azione. L’improbabile, quello che secondo il filosofo, è la sola possibilità di risvegliare le coscienze e rendere il probabile non-probabile, è la vitalità della società civile, una creatività portatrice d’avvenire. Le idee sono dappertutto, bisogna mettersi all’opera".
Nel libro lei critica l'idea di sviluppo. Perché?
"La mondializzazione porta in sé l'occidentalizzazione e il mito dello sviluppo fondato sull'idea di una crescita infinita. È un mito che ci porta dritti contro un muro. Non possiamo continuare a riempire il Pianeta di automobili, di centrali e di megalopoli. Questo modello di sviluppo - figlio di un liberalismo economico senza regole, tutto teso a produrre e a consumare sempre di più - comporta conseguenze disastrose per la biosfera e le risorse naturali. Oggi, si parla molto di sviluppo sostenibile, che però mi sembra solo una mezza misura. In realtà, occorre affrontare e spaccare il nocciolo duro, tecno-economico, del concetto tradizionale di sviluppo, per salvarne solo alcuni elementi da mettere al servizio di un altro modello di sviluppo umano. È un problema urgente che riguarda tutti".
È per questa ragione che parla di Terra-patria?
"L'aspetto positivo della mondializzazione è che ormai c'è una comunità di destino di tutti gli esseri umani, ovunque essi si trovino. Siamo tutti di fronte agli stessi problemi fondamentali e alle stesse minacce mortali, sul piano ecologico, climatico, sociale, nucleare, ecc. Una patria è una comunità di destini, quindi la Terra è la patria comune che dobbiamo cercare di salvare in una situazione dove sembra non esserci più futuro e quindi prevalgono l'incertezza, la paura e le logiche regressive. In passato si pensava che la storia fosse guidata dalla legge del progresso. Le crisi del XX secolo hanno spazzato questa illusione".
Che cosa fare allora?
"Al sistema terrestre minacciato da tutte le parti resta solo la via della metamorfosi. In natura, un sistema, quando non riesce più a risolvere i propri problemi vitali, se non vuole perire, è costretto alla metamorfosi. Il bruco è capace di autodistruggersi e autoricostruirsi per diventare una farfalla. L'idea della metamorfosi non è una follia, è una realtà che si è già realizzata altre volte nella storia del Pianeta, nella preistoria ma anche nel Medioevo".
La metamorfosi è però un'operazione complessa e delicata...
"Per salvarsi occorre avere un approccio dialettico, nel tentativo di tenere insieme idee che sulla carta si oppongono. Non credo alla rivoluzione che fa tabula rasa del passato, producendo spesso realtà peggiori di quelle che ha voluto trasformare. Al contrario, abbiamo bisogno di tutte le riforme culturali della storia dell'umanità per trasformare e trasformarci. Per questo è necessario conservare tutti gli aspetti positivi della mondializzazione, che per me contiene il meglio e il peggio. Insomma, occorre al contempo mondializzare e de-mondializzare a seconda degli ambiti, favorire la crescita ma talvolta la decrescita, tenere conto dello sviluppo ma anche dell'inviluppo, della trasformazione come della conservazione. Questa strategia complessa ci consente di conservare la speranza, che naturalmente non è una certezza. Anzi, visto il contesto, la speranza è perfino improbabile. La storia però ci insegna che a volte l'improbabile è riuscito a prendere il sopravvento".
La scienza ha un compito privilegiato in questo processo?
"Anche la scienza è ambivalente, dato che porta in sé minacce e speranze. La scienza moderna si è sviluppata nel XVII e XVIII secolo, liberandosi da ogni controllo morale e politico. Si è così garantita libertà di ricerca e autonomia. C'è stato un periodo in cui la scienza, la tecnica, la ragione, la giustizia, la democrazia e l'uguaglianza avanzavano assieme. Oggi non è più così. La scienza si sviluppa a una velocità senza precedenti, che non lascia il tempo alla società di elaborare un pensiero capace di accompagnarla. La scienza si occupa dei fatti e non dei valori, ma il suo potere sulle nostre vite è diventato enorme, senza dimenticare che spesso essa è pesantemente condizionata dalla ricerca del profitto a ogni costo. È dunque necessario reintrodurre una riflessione etica che ne regoli gli eccessi".
Nel libro lei propone diverse riforme concrete. Con quali priorità?
"Tutte le riforme devono cominciare contemporaneamente, perché sono tutte collegate tra loro. Le riforme della scienza, della conoscenza e dell'educazione sono però prioritarie perché fondamentali. In ambito scientifico, ma non solo, abbiamo bisogno di un approccio interdisciplinare, per non perdere di vista la visione d'insieme. Quando le conoscenze sono troppo specialistiche, frammentarie e prive di collegamenti si rischia di produrre una nuovo tipo di accecamento. Ma naturalmente, per salvare l'umanità, occorre lanciare al contempo anche le altre riforme, quelle che riguardano la società e il nostro modo di vivere, la nostra relazione con le risorse e la biodiversità, come pure il nostro modo di produrre e consumare, di costruire le città e di spostarci. Ci sono solo due modi per uscire da una crisi. La regressione che torna al passato oppure la creatività che, con un grande sforzo d'immaginazione, inventa soluzioni inedite. Io ho scelto da tempo questa seconda possibilità".
"La mondializzazione porta in sé l'occidentalizzazione e il mito dello sviluppo fondato sull'idea di una crescita infinita. È un mito che ci porta dritti contro un muro. Non possiamo continuare a riempire il Pianeta di automobili, di centrali e di megalopoli. Questo modello di sviluppo - figlio di un liberalismo economico senza regole, tutto teso a produrre e a consumare sempre di più - comporta conseguenze disastrose per la biosfera e le risorse naturali. Oggi, si parla molto di sviluppo sostenibile, che però mi sembra solo una mezza misura. In realtà, occorre affrontare e spaccare il nocciolo duro, tecno-economico, del concetto tradizionale di sviluppo, per salvarne solo alcuni elementi da mettere al servizio di un altro modello di sviluppo umano. È un problema urgente che riguarda tutti".
È per questa ragione che parla di Terra-patria?
"L'aspetto positivo della mondializzazione è che ormai c'è una comunità di destino di tutti gli esseri umani, ovunque essi si trovino. Siamo tutti di fronte agli stessi problemi fondamentali e alle stesse minacce mortali, sul piano ecologico, climatico, sociale, nucleare, ecc. Una patria è una comunità di destini, quindi la Terra è la patria comune che dobbiamo cercare di salvare in una situazione dove sembra non esserci più futuro e quindi prevalgono l'incertezza, la paura e le logiche regressive. In passato si pensava che la storia fosse guidata dalla legge del progresso. Le crisi del XX secolo hanno spazzato questa illusione".
Che cosa fare allora?
"Al sistema terrestre minacciato da tutte le parti resta solo la via della metamorfosi. In natura, un sistema, quando non riesce più a risolvere i propri problemi vitali, se non vuole perire, è costretto alla metamorfosi. Il bruco è capace di autodistruggersi e autoricostruirsi per diventare una farfalla. L'idea della metamorfosi non è una follia, è una realtà che si è già realizzata altre volte nella storia del Pianeta, nella preistoria ma anche nel Medioevo".
La metamorfosi è però un'operazione complessa e delicata...
"Per salvarsi occorre avere un approccio dialettico, nel tentativo di tenere insieme idee che sulla carta si oppongono. Non credo alla rivoluzione che fa tabula rasa del passato, producendo spesso realtà peggiori di quelle che ha voluto trasformare. Al contrario, abbiamo bisogno di tutte le riforme culturali della storia dell'umanità per trasformare e trasformarci. Per questo è necessario conservare tutti gli aspetti positivi della mondializzazione, che per me contiene il meglio e il peggio. Insomma, occorre al contempo mondializzare e de-mondializzare a seconda degli ambiti, favorire la crescita ma talvolta la decrescita, tenere conto dello sviluppo ma anche dell'inviluppo, della trasformazione come della conservazione. Questa strategia complessa ci consente di conservare la speranza, che naturalmente non è una certezza. Anzi, visto il contesto, la speranza è perfino improbabile. La storia però ci insegna che a volte l'improbabile è riuscito a prendere il sopravvento".
La scienza ha un compito privilegiato in questo processo?
"Anche la scienza è ambivalente, dato che porta in sé minacce e speranze. La scienza moderna si è sviluppata nel XVII e XVIII secolo, liberandosi da ogni controllo morale e politico. Si è così garantita libertà di ricerca e autonomia. C'è stato un periodo in cui la scienza, la tecnica, la ragione, la giustizia, la democrazia e l'uguaglianza avanzavano assieme. Oggi non è più così. La scienza si sviluppa a una velocità senza precedenti, che non lascia il tempo alla società di elaborare un pensiero capace di accompagnarla. La scienza si occupa dei fatti e non dei valori, ma il suo potere sulle nostre vite è diventato enorme, senza dimenticare che spesso essa è pesantemente condizionata dalla ricerca del profitto a ogni costo. È dunque necessario reintrodurre una riflessione etica che ne regoli gli eccessi".
Nel libro lei propone diverse riforme concrete. Con quali priorità?
"Tutte le riforme devono cominciare contemporaneamente, perché sono tutte collegate tra loro. Le riforme della scienza, della conoscenza e dell'educazione sono però prioritarie perché fondamentali. In ambito scientifico, ma non solo, abbiamo bisogno di un approccio interdisciplinare, per non perdere di vista la visione d'insieme. Quando le conoscenze sono troppo specialistiche, frammentarie e prive di collegamenti si rischia di produrre una nuovo tipo di accecamento. Ma naturalmente, per salvare l'umanità, occorre lanciare al contempo anche le altre riforme, quelle che riguardano la società e il nostro modo di vivere, la nostra relazione con le risorse e la biodiversità, come pure il nostro modo di produrre e consumare, di costruire le città e di spostarci. Ci sono solo due modi per uscire da una crisi. La regressione che torna al passato oppure la creatività che, con un grande sforzo d'immaginazione, inventa soluzioni inedite. Io ho scelto da tempo questa seconda possibilità".
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giovedì 26 aprile 2012
Nessuna Cosa (il Papa) - V Major
Essere sospesi nel vuoto può terrorizzare e disorientare. Nulla a cui aggrapparsi, nessun senso di orientamento, non un solo segnale di quali scelte o possibilità si possano trovare davanti a noi. Ma proprio questo stato di pura potenzialità esisteva prima della creazione dell'universo.Ora tutto ciò che puoi fare è rilassarti in questo nulla, cadere in questo silenzio tra le parole, osservare questo vuoto che esiste tra il respiro che entra e quello che esce. Fai tesoro di ogni istante di vuoto che l'esperienza ti dona. Sta per nascere qualcosa di sacro.
Buddha ha scelto una delle parole con maggior potenziale - shunyata. Il termine inglese equivalente, "il nulla", non è altrettanto bello. Ecco perché vorrei tradurlo come "nessuna-cosa": perché il nulla non è semplice nulla, è tutto. Vibra di ogni possibilità. È potenziale, potenzialità assoluta. Ancora non è manifesto, ma contiene ogni cosa. All'inizio è la natura, alla fine è la natura, perché dunque fare tanto chiasso nel mezzo? Perché preoccuparsi tanto, essere così ansiosi, così ambiziosi, nel mezzo; perché creare tanta disperazione? L'intero viaggio va dal nulla al nulla.
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