lunedì 15 ottobre 2012

il Tao, certamente

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Gianni è un ladro d’appartamenti. Abilissimo, lavora in genere durante l’estate, quando le case rimangono vuote a causa delle vacanze. Certo, ci sono le porte più che blindate, gli allarmi, i guardiani notturni, le trappole elettroniche, ma Gianni, in vent’anni d’attività, ha acquistato un’esperienza tale da fargli schivare tutti i pericoli. Si autodefinisce, compiacendosene, un ladro puro, perciò non ha mai voluto portare un’arma con sé.
L’appartamento dove quella notte è entrato, dopo averne neutralizzato le sofisticate e costose difese, è chiaramente abitato da un uomo assai ricco.
Non c’è traccia di una presenza femminile, il proprietario o è scapolo o si è diviso dalla moglie. I quadri, certamente d’autore, appesi alle pareti non gli interessano. Lui ruba piccoli oggetti di valore che i proprietari non usano portarsi appresso e che spesso rinchiudono in una cassaforte nascosta. La prima cosa da fare perciò è scoprire dove si trova. Normalmente, ci mette pochi minuti. La cassaforte in genere è celata dietro un quadro, un ripiano coperto di libri, uno specchio. Questa no, non si fa trovare. Eppure deve esserci, Gianni lo sente a fiuto. Finalmente la scopre in cucina, dietro il secchio della spazzatura, accanto alle tubature del lavello.
Ingegnoso, bisogna riconoscerlo. Gianni gongola. Se l’hanno messa lì, è segno che deve contenere qualcosa di molto valore.
L’apre dopo un’ora di lavoro, la combinazione era difficilissima. Dentro c’è una scatola da scarpe. Solleva il coperchio, scorge tre grosse mazzette di banconote da centomila lire. Bel colpo, può bastare. Infila la scatola nel piccolo trolley che contiene anche gli strumenti di lavoro ed esce indisturbato.
Veste sempre bene e perciò a quell’ora è un signore qualsiasi con una valigia che arriva al posteggio più vicino e dà un indirizzo al tassista. Che non è quello di casa, corrisponde a una via parallela a quella dove c’è la sua abitazione. Il resto di strada se lo farà a piedi, meglio essere prudenti.
Nel suo appartamento, apre la scatola, prende le mazzette. Ogni mazzetta è da cinquecento milioni. In tutto, un miliardo e mezzo. Uno dei colpi più fortunati della sua carriera. Oltretutto quel denaro è al netto del ricettatore.
Poi s’accorge che dentro alla scatola c’è ancora qualcosa. È una busta bianca, grande, che aderisce interamente al fondo. L’estrae, l’apre. Dentro ci sono due negativi e due normali buste da lettera. Guarda i negativi controluce. Rappresentano due momenti di uno stesso atto. Un uomo e una donna sopra un letto, nudi, che fanno l’amore. L’uomo è di schiena, il volto della donna invece è chiarissimo. La prima busta è indirizzata al proprietario dell’appartamento appena visitato, ha letto la targhetta sul citofono e accanto alla porta, Ing. Dario Regoli, e sul retro c’è scritto il mittente: Claudia Risi, via Arenula 23. Legge la lettera, che è brevissima.
Dopo aver ceduto al tuo infame ricatto ho atteso invano i negativi. Ti supplico, fammeli avere.
La seconda busta è identica alla prima. La lettera dice:
Nemmeno stavolta mi hai fatto avere i negativi. Sappi che ti ho dato il mio corpo per l’ultima volta. Non lo farò mai più. Sei un essere disgustoso, un farabutto. Distruggi i negativi e non mi tormentare più.
Ma i negativi sono sempre lì e questo vuol dire che l’ingegnere intende ancora sfruttarli. Guarda le date del timbro postale, l’ultima lettera risale a una settimana prima. Ha ragione quella povera donna, l’ingegnere è proprio un bel mascalzone. Si compiace d’avergli levato, sia pure casualmente, la possibilità di continuare il ricatto. Decide all’istante di far avere i negativi alla donna. Così come le rapine in banca, anche il ricatto gli ripugna. Ma come fare? Spedirglieli anonimamente sarebbe un azzardo, se è sposata, la lettera potrebbe andare a finire tra le mani del marito. Oppure lei potrebbe attribuirla a una resipiscenza dell’ingegnere e questo proprio non gli va.
L’indomani mattina, all’ora di pranzo, è davanti al portone di via Arenula 23. Dal citofono risulta che all’interno dodici abita l’avvocato Sergio Risi. Dev’essere il marito. Risponde una voce femminile.
«C’è l’avvocato?»
«Sì. Chi è?»
Non replica, s’allontana. Va a mangiare nel primo ristorante che trova. Perde tempo fino a quando non si fanno le quattro. Torna in via Arenula. Il portone ora è aperto, il portiere sta spazzando l’ingresso.
«Desidera?»
Gianni tende la mano. Il portiere fa lo stesso e si ritrova con cinquantamila lire che s’affretta a intascare.
«Mi dica.»
Gianni gli dice quello che vuole. Il portiere non ha nulla in contrario.
Gianni si piazza nel bar di fronte, ordina un caffè, poi un altro. Dopo una mezzora una bella donna più vicina ai trenta che ai quaranta, alta, bionda, elegante, esce dal portone. Dietro di lei, il portiere si leva il cappello, si gratta la testa. È il segnale convenuto.
Gianni, che ha pagato le consumazioni in anticipo, la raggiunge, l’affianca.
«Signora...»
Ma quella equivoca, non lo guarda nemmeno.
«Vada via.»
«Signora, la prego, mi stia a sentire.»
«Se non mi lascia in pace, chiamo una guardia» dice la donna affrettando il passo.
Gianni non sa che fare, poi ha un’ispirazione.
«Le devo parlare dell’ingegner Regoli.»
È come se le avesse dato una mazzata in testa. La donna diviene pallidissima, non può più fare un passo, per stare dritta deve appoggiarsi con le spalle al muro.
«Che vuole... lui... ancora da me?»
Ha la voce rotta, trattiene a stento il pianto. Gianni ne ha una grande pietà.
Le si avvicina fino a poterle sussurrare:
«Signora, sono un ladro. Sono andato a rubare in casa dell’ingegnere. Ho qui con me le lettere e i negativi. Se li riprenda.»
Ha messo il tutto in un’unica busta. La donna ha capito, ma non è in grado di muoversi. Allora Gianni le prende la borsetta, l’apre, vi caccia dentro la busta, gira sui tacchi e se ne va. Fatti un po’ di passi, si volta. La donna ha ripreso a camminare, ancora insicura sulle gambe. E in quel preciso momento due giovinastri a bordo di un motorino s’avventano su di lei, le scippano la borsetta, fuggono a tutto gas.

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