Nel sesto libro della saga di Castaneda, del 1981, prosegue la consapevolezza di Castaneda sugli insegnamenti dei suoi maestri - in assenza di questi dopo la loro scomparsa - insieme agli altri apprendisti di cui ha scoperto l'esistenza e di cui viene riconosciuto come conduttore (il loro "Nagual"). Nel corso di questo e dei successivi racconti Castaneda scopre che le esperienze che aveva vissuto con i suoi maestri, e di cui ha raccontato nei primi quattro libri, sono solo metà della storia, immagazzinata nell'attenzione e memoria consuete - la prima attenzione; l'altra metà è invece a lui completamente sconosciuta perché contenuta nella seconda attenzione. La frequentazione con gli altri apprendisti lo porta a recuperare sempre più pezzi di vita e conoscenze completamente sepolte nell'inconscio, gettando una nuova luce sulle sue esperienze e sui modelli della stregoneria.
PROLOGO
Malgrado sia antropologo, questa non è, strettamente, un'opera di antropologia; ciononostante essa ha le sue radici nell'antropologia culturale, in quanto ebbe inizio, anni fa, come una ricerca sul campo nell'ambito di questa disciplina. A quell'epoca m'interessata lo studio dell'uso delle piante medicinali tra gli indios del Messico del sudovest e del nord.
Con gli anni la mia ricerca mutò direzione per effetto sia del suo stesso impulso sia della mia evoluzione personale. Lo studio delle piante fu sostituito da quello di un sistema di credenze che mi sembrava facesse da ponte tra almeno due culture diverse.
Il responsabile di questo cambiamento d'interessi fu un indio Yaqui del Messico settentrionale, Don Juan Matus, che più tardi mi presentò a Don Genaro Flores, un indio mazateco del Messico centrale. Entrambi esercitavano un'arte ancestrale, nota ai nostri giorni come stregoneria, che si ritiene sia una forma primitiva di scienza medica e psicologica ma che di fatto è una tradizione di praticanti estremamente autodisciplinati e di pratiche estremamente sofisticate.
I due uomini diventarono per me maestri più che informatori, ma io continuavo, procedendo a tentoni, a considerare il mio un compito da antropologo; passai anni a cercare di ricostruire la matrice culturale da questo sistema; perfezionando una tassonomia, uno schema di classificazioni, una ipotesi sulla sua origine e sulla sua espansione. Furono tutti sforzi inutili, poiché alla fine le pressanti forze immanenti in questo sistema sviarono i miei sforzi intellettuali e mi costrinsero a diventare un adepto.
Sotto l'influenza di questi due potenti personalità il mio lavoro si è trasformato in un'autobiografia, nel senso che, dal momento in cui si è operato questo cambiamento, mi sono sentito spinto a riferire tutto quanto mi stava accadendo. E' un'autobiografia particolare, poiché non sto trattando con quello che mi succede come uomo, in essa non descrivo né i fatti giornalieri della mia esistenza di uomo comune, né gli stati soggettivi generati da questo vivere giorno per giorno. Descrivo piuttosto gli eventi che si snodano nella mia vita come risultato dell'adozione di un insieme concatenato di idee e di pratiche aliene. In altre parole, il sistema di credenze che volevo studiare mi ha fagocitato, e per poter continuare la mia ricerca devo pagare un prezzo straordinario: la mia vita di uomo di questo mondo.
Per tali ragioni devo affrontare il difficile problema di spiegare qual è ora la mia attività. Mi sono molto allontanato dalle mie radici di uomo comune occidentale e di antropologo, e devo prima di tutto ripetere che questo non è un racconto di fantasia. Quello che sto per descrivere è un mondo estraneo al nostro; sembra quindi irreale.
Addentrandomi sempre di più nei meandri della stregoneria, quello che inizialmente sembrava un sistema di credenze e di pratiche primitive, risulta ora un mondo vastissimo e complicato. Per capire questo mondo e per poterlo spiegare agli altri devo usare me stesso in modo sempre più complesso e raffinato. Qualsiasi cosa mi succeda, non è più qualcosa che di prevedibile né assimilabile a ciò che gli altri antropologi conoscono sui sistemi di credenze degli indios del Messico. Mi trovo quindi in una difficile situazione; tutto quello che posso fare basso in queste circostanze è raccontare quello che mi è successo, così come mi è successo. Non posso fornire nessuna garanzia della mia buona fede se non riaffermando che non conduco una doppia vita e che mi sono impegnato a seguire i principi del sistema di Don Juan nella mia esistenza quotidiana.
Dopo che Don Juan Matus e Don Genaro Flores, i due stregoni indios che mi iniziarono ai loro segreti, furono soddisfatti del sapere che mi avevano infuso, mi salutarono e se ne andarono. Capii che dal quel momento era mio compito portare avanti quello che da loro avevo appreso.
Nell'adempimento di questo compito ritornai in Messico e trovai che Don Juan e Don Genaro avevano altri nove apprendisti stregoni: cinque donne e quattro uomini. La donna più anziana si chiamava Soledad; veniva poi María Elena, soprannominata "la Gorda"; le altre tre, Lydia, Rosa e Josefina, erano più giovani ed erano chiamate "le sorelline." I quattro uomini erano, in ordine di età, Eligio, Benigno, Nestor e Pablito: gli ultimi tre erano chiamati "i Genaros" poiché erano molto intimi di Don Genaro.
Sapevo già che Néstor, Pablito ed Eligio, che non si vedeva più in giro, erano apprendisti, ma ero stato portato a credere che le quattro ragazze fossero sorelle di Pablito e Soledad la loro madre. in quegli anni frequentai poco Soledad e la chiamai sempre "dona Soledad", in segno di rispetto, poiché era la più vicina a Don Juan per età. Anche Lydia e Rosa mi erano state presentate, ma la nostra conoscenza era stata troppo breve e casuale per permettermi di capire chi fossero realmente. la Gorda e Josefina le conoscevo solo di nome. Avevo già incontrato Benigno, ma ignoravo completamente i suoi rapporti con Don Juan e Don Genaro.
Per motivi che non riuscivo a capire ragioni sembrava che tutte persone fossero state in attesa del mio ritorno in Messico. Mi dissero che si aspettavano che io dovessi prendere il posto di Don Juan come loro capo, il loro Nagual. Mi informarono che Don Juan e Don Genaro erano spariti della faccia della Terra e altrettanto aveva fatto Eligio. Sia gli uomini che le donne credevano che nessuno dei tre fosse morto: erano solo passati in un altro mondo, differente dal nostro solito, pur tuttavia non meno reale.
Le donne - specie dona Soledad – si scontrarono violentemente con me fin dal primo incontro. Tuttavia furono lo strumento di una catarsi che si produsse dentro di me. Il contatto con loro provocò una misteriosa effervescenza misteriosa nella mia vita. Da quando le conobbi il mio modo di pensare e di capire le cose subì un drastico cambiamento. Tutto questo non accadde però a un livello di coscienza: anzi, dopo la mia prima visita mi trovai più confuso che mai e tuttavia nel mezzo di questo caos scopersi una base molto solida. Nell'impatto del nostro scontro scoprii in me stesso risorse che non avevo mai immaginato di possedere.
La Gorda e le tre sorelline erano esperte sognatrici; me ne diedero prova spontaneamente e mi mostrarono volontariamente mi diedero consigli e mi mostrarono la loro abilità. Don Juan mi aveva descritto l'arte del sognare come la capacità di utilizzare i propri sogni ordinari e trasformarli in una consapevolezza controllata in virtù di una speciale forma di attenzione che lui e Don Genaro chiamavano la seconda attenzione.
Mi aspettavo che i tre Genaros si mettessero a mostrarmi le loro abilità in un altro capitolo dell'insegnamento di Don Juan e Don Genaro, "l'arte dell’agguato". Mi era stata descritta come un insieme di pratiche e di attitudini che permettevano a una persona di ricavare il massimo beneficio da qualsiasi situazione immaginabile. Ma tutto quello che i Genaros mi dissero sull’agguato non aveva né la forza né la coerenza che mi ero aspettato. Conclusi che quelle persone non erano affatto esperte in quell'arte o che semplicemente non volevano rivelarmela.
Interruppi la mia indagine perché si sentissero a loro agio con me, ma tutti, uomini e donne, si erano rasserenati visto che non favevo più domande, certi che mi stessi infine comportando da Nagual. Ciascuno mi chiese guida e consiglio.
Per soddisfarli fui obbligato a iniziare un completo riesame di tutto quello che Don Juan e don Genaro mi avevano insegnato, per penetrare ancora a fondo nell'arte della stregoneria.
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