Giotto di Bondone (1267-1337), Il Giudizio Universale, 1303-1305, Cappella degli Scrovegni, Padova |
martedì 11 ottobre 2011
Tao complesso livello 4: il modello sistemico-relazionale del comportamento e dell'interazione umana
A partire dagli anni 50 fino a tutti i 70 lo studio del comportamento e dell'interazione umana ha subito un cambiamento logico paradigmatico rispetto ai modelli della psicologia classica utilizzati fino a quel momento.
Il salto di paradigma, iniziato negli Stati Uniti per opera di due gruppi di ricerca e successivamente continuato anche in Europa, è stato determinato da diversi fattori, tra i quali:
Benchè i modelli intrapsichici abbiano una loro indubbia validità, ad esempio la fondamentale suddivisione conscio/inconscio, nella quale solo una minima parte dei processi psichici e mentali possono (e devono) essere presenti alla coscienza, il problema di collegare questi modelli "interni" e quindi - per definizione - non direttamente osservabili, con il complesso comportamento "esterno" dell'individuo è non scontato, se non in forme molto indirette quali l'interpretazione dei sogni, le associazioni libere etc. tipiche della psicologia freudiana e post-freudiana.
Quattro sono le scuole che, storicamente, hanno sviluppato il nuovo paradigma: due negli Stati Uniti, attive nello stesso luogo - Palo Alto - (in periodi sovrapposti, con alcuni membri comuni e addirittura condividendo per un certo periodo gli stessi locali di lavoro) e per questo conosciute entrambe (e spesso confuse l'un l'altra) come "Scuola di Palo Alto", due in Europa, una a Londra e l'altra a Milano, più una quinta da considerarsi "parallela" ed integrativa alle altre.
Queste scuole oltre al modello sistemico-relazionale dell'interazione e comunicazione umana hanno anche fondato, come applicazione, la cosidetta Terapia Familiare Sistemica, lo studio e l'intervento su gruppi familiari.
Il salto di paradigma, iniziato negli Stati Uniti per opera di due gruppi di ricerca e successivamente continuato anche in Europa, è stato determinato da diversi fattori, tra i quali:
- l'influenza del movimento di prima e seconda cibernetica, con l'applicazione della teoria dei sistemi e dell'informazione ad individui e gruppi di individui.
- il riconoscimento che, a differenza dei modelli della psicologia classica esclusivamente individuali ed intrapsichici, il comportamento degli individui dipende dalle relazioni con gli altri e con l'ambiente, oltre che dalla sua storia personale e dalla sua struttura psicologica e psichica.
- il riconoscimento che le modalità di studio ed intervento devono avere come fondamento il fatto che l'unico "osservabile" è il comportamento "esterno" dell'individuo, e non le sue funzioni psichiche "interne". La descrizione dell'individuo e di gruppi di individui in interazione dovrebbe essere quindi conforme con la teoria dei sistemi ed alla cibernetica, modellizzandoli come "scatole nere" i cui processi interni sono - in linea di principio - inconoscibili, e di cui gli unici osservabili sono quelli "esterni" come il comportamento, il linguaggio, le modalità di definizione della relazione, le ridondanze di schemi comportamentali etc.
- il passaggio da una descrizione ed epistemologia formulate sull'analogia con la fisica, utilizzante termini quali "forze intrapsichiche", "energia", "tensione" etc. ad una basata sui concetti di sistemi, processi, comunicazione, scambio di informazioni e retroazione.
- una notevole influenza, almeno nelle due scuole statunitensi, fù dovuta al lavoro di Milton H. Erickson, riconosciuto come il maggior ipnoterapista dei tempi moderni, e allo studio delle sue tecniche di intervento.
Benchè i modelli intrapsichici abbiano una loro indubbia validità, ad esempio la fondamentale suddivisione conscio/inconscio, nella quale solo una minima parte dei processi psichici e mentali possono (e devono) essere presenti alla coscienza, il problema di collegare questi modelli "interni" e quindi - per definizione - non direttamente osservabili, con il complesso comportamento "esterno" dell'individuo è non scontato, se non in forme molto indirette quali l'interpretazione dei sogni, le associazioni libere etc. tipiche della psicologia freudiana e post-freudiana.
Quattro sono le scuole che, storicamente, hanno sviluppato il nuovo paradigma: due negli Stati Uniti, attive nello stesso luogo - Palo Alto - (in periodi sovrapposti, con alcuni membri comuni e addirittura condividendo per un certo periodo gli stessi locali di lavoro) e per questo conosciute entrambe (e spesso confuse l'un l'altra) come "Scuola di Palo Alto", due in Europa, una a Londra e l'altra a Milano, più una quinta da considerarsi "parallela" ed integrativa alle altre.
Queste scuole oltre al modello sistemico-relazionale dell'interazione e comunicazione umana hanno anche fondato, come applicazione, la cosidetta Terapia Familiare Sistemica, lo studio e l'intervento su gruppi familiari.
- La "Scuola di Palo Alto" di Gregory Bateson: "The Bateson Project on Schizophrenia"
- La "Scuola di Palo Alto" di Paul Watzlawick presso il Mental Research Institute
Seguendo le orme intraprese dal gruppo di Bateson e con alcuni dei suoi membri Paul Watzlavick fondò nel 1966 insieme a Don D. Jackson e Richard Fisch il Brief Therapy Center presso l'MRI. Il gruppo comprendeva, oltre a Watzlavick (che si unì all'MRI nel 1960) Jackson e Fisch anche John Weakland (che proveniva dall'originario gruppo di Bateson) e Janet H. Beavin, oltre a contributi di diversi autori quali Carlos Sluski. La scuola divenne conosciuta internazionalmente pubblicando nel 1967 un classico sull'argomento, Pragmatics of Human Communication, che si può ritenere il testo fondatore del modello sistemico-relazionale.
- Ronald D. Laing presso il Tavistock Institute a Londra
Un approccio originale al tema dei gruppi familiari, in particolare schizofrenogenici, influenzato ma non direttamente connesso al modello sistemico-relazionale, fu sviluppato dal 1964 da Ronald D. Laing presso il Tavistock Institute and Clinic a Londra.
Laing, insieme a David Cooper, è riconosciuto come uno dei promotori dell'antipsichiatria negli anni 60, conosciuta in Italia per l'opera di Franco Basaglia.
- La "Scuola di Milano" di Mara Selvini-Palazzoli
Nel 1967 la Prof.ssa Mara Selvini-Palazzoli, ispirandosi ai lavori delle due "Scuole di Palo Alto", fondò a Milano il Centro per lo Studio della Famiglia, formando un gruppo di ricerca composto da Luigi Boscolo, Gianfranco Cecchin e Giuliana Prata, divenuto internazionalmente conosciuto come "Scuola di Milano" o "Milan Approach".
Il gruppo sviluppò un approccio originale al modello sistemico-relazionale ed alle tecniche di intervento, riassunto in Paradosso e Controparadosso del 1975, oltre ad essere stato tra i primi ad estendere il modello dalle famiglie anche ad organizzazioni.
Il gruppo sviluppò un approccio originale al modello sistemico-relazionale ed alle tecniche di intervento, riassunto in Paradosso e Controparadosso del 1975, oltre ad essere stato tra i primi ad estendere il modello dalle famiglie anche ad organizzazioni.
- La programmazione neuro-linguistica di Bandler e Grinder
Nel 1975 un matematico, Richard Bandler, e un linguista trasformazionale, John Grinder, studiarono le sedute di importanti psicoterapeuti, quali Erickson e Virginia Satir, al fine di individuare delle strutture linguistiche e comportamentali che spiegassero il loro straordinario successo terapeutico. L'assunto di fondo era che il comportamento umano, benchè estremamente complesso, avesse una struttura e fosse quindi modellizzabile. L'accento era posto su cosa il terapeuta "fà" piuttosto che su quello che dice, e tantomeno sulla sua formazione professionale, intendendo per "fare" l'insieme complesso di messaggi e meta-messaggi verbali e non-verbali che avvengono in una seduta terapeutica efficace.
Da queste osservazioni "sul campo" Bandler e Grinder derivarono una serie di modelli e di tecniche pragmatiche sia per il comportamento sia per l'"interno" della scatola nera rappresentante gli individui, contributo riconosciuto dagli stessi Erickson e Satir e da Gregory Bateson nella prefazione del libro che presentava i meta-modelli sviluppati, The Structure of Magic I: A Book About Language and Therapy, del 1975.
Da queste osservazioni "sul campo" Bandler e Grinder derivarono una serie di modelli e di tecniche pragmatiche sia per il comportamento sia per l'"interno" della scatola nera rappresentante gli individui, contributo riconosciuto dagli stessi Erickson e Satir e da Gregory Bateson nella prefazione del libro che presentava i meta-modelli sviluppati, The Structure of Magic I: A Book About Language and Therapy, del 1975.
L'insieme delle tecniche e dei (meta) modelli fu denominato Programmazione Neuro-Linguistica (PNL), e negli anni successivi fino ad oggi è stato ulteriormente ed ampiamente sviluppato.
Oltre ad aver subito numerose critiche da parte dell'establishment medico-psichiatrico la PNL dà l'impressione di occuparsi più del business dei prodotti commercializzati che porsi come autentico settore di studio e ricerca; tuttavia questo non toglie che i lavori originali fino al 1980-82 rappresentino un significativo contributo al modellamento del comportamento umano e della "scatola nera" individuale.
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GDPs
lunedì 10 ottobre 2011
Solitudine (l'Eremita) - IX Major
Quando accanto a noi non c'è nessuna "persona che conti", possiamo o sentirci soli, oppure godere la libertà che la solitudine porta con sé. Quando non troviamo alcun sostegno tra gli altri per le verità che percepiamo profondamente dentro di noi, possiamo sentirci isolati e amareggiati, oppure celebrare il fatto che la nostra visione è salda a sufficienza da sopravvivere al potentissimo bisogno umano di essere approvati dalla famiglia, dagli amici o dai colleghi. Se in questo momento ti stai confrontando con una situazione simile, sii consapevole di come scegli di vedere la tua "solitudine" e assumiti la responsabilità per la scelta che hai fatto. L'umile figura di questa carta brilla di una luce che nasce dall'interno. Uno dei contributi più significativi di Gautama Buddha alla vita spirituale dell'umanità è stato quello di ribadire ai suoi discepoli: "Sii una luce per te stesso". In fin dei conti, ognuno di noi deve sviluppare dentro di sé la capacità di farsi la propria strada attraverso l'ignoto, senza alcun compagno, mappa o guida.
Quando sei solo, non è che sei solo, è che ti senti isolato - ed esiste un'incredibile differenza tra l'essere soli e il sentirsi isolati. Quando ti senti isolato, pensi all'altro, ne senti la mancanza: si tratta di una condizione negativa. Hai la sensazione che le cose andrebbero meglio, se l'altro fosse presente - un amico, la moglie, la madre, la persona amata, il marito. Sarebbe meglio se l'altro fosse presente, ma l'altro non c'è. Sentirsi isolati è frutto dell'assenza dell'altro. La solitudine è la presenza di se stessi: è un fenomeno estremamente positivo. È una presenza, una presenza che straripa. Sei così carico di presenza che puoi colmarne l'intero universo, e quindi non hai bisogno di nessuno.
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Tao Sincronico
venerdì 7 ottobre 2011
I Luoghi del Tao: la Collana della Madre
Ama Dablam, Himalaya, Nepal orientale, regione del Khumbu; vetta principale 6812 m., vetta secondaria 5563 m.
Ama Dablam (destra), Lhotse ed Everest (sinistra) |
Ama Dablam significa "collana della madre": le creste lungo i due lati sono come le braccia di una madre - ama - che protegge il suo bambino, mentre il ghiacciaio pensile rappresenta il dablam, il tradizionale doppio ciondolo indossato dalle donne Sherpa contenente immagini degli Dei.
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Interludio Tao
giovedì 6 ottobre 2011
conoscere il Tao
“CONOSCI TE STESSO”
L'antica massima greca “conosci te stesso” può contenere molti livelli di intuizione mistica, ma oltre a questi aspetti la questione ne presenta uno semplicissimo, universale e anzi pragmatico. E' certo che tutta quanta la conoscenza esterna deve in parte derivare da ciò che si chiama conoscenza di sé, "autoconoscenza".
I buddhisti sostengono che il sé è una sorta di favola. Se è così, il nostro compito sarà quello di identificare quale specie di favola sia. Ma per il momento accetterò il 'sé' come concetto euristico, come una scala utile per arrampicarsi ma forse in seguito da gettar via o da abbandonare.
Allungo la mano nel buio ed essa tocca l'interruttore della luce. “L'ho trovato, eccolo qui”, e “Ora io posso premerlo”.
Ma per poter accendere la luce non avevo bisogno di conoscere la posizione dell'interruttore o quella della mia mano. Sarebbe bastato il semplice resoconto sensoriale del contatto tra mano e interruttore. Dicendo “eccolo qui” avrei potuto essere completamente in errore e tuttavia, con la mano sull'interruttore, avrei potuto premerlo.
La domanda è: "dov'è la mia mano?" Questo elemento di autoconoscenza ha una relazione molto particolare e specifica con la questione della ricerca dell'interruttore o del "sapere" dove esso sia.
Se fossi stato ipnotizzato, per esempio, avrei potuto credere di tenere la mano sopra la testa mentre, in realtà, la tenevo tesa orizzontalmente in avanti. In tal caso, avrei situato l'interruttore in alto sopra la mia testa. Avrei addirittura potuto prendere il fatto che ero riuscito ad accendere la luce come una riprova della scoperta che l'interruttore era “sopra la mia testa”.
Noi "proiettiamo" sul mondo esterno le opinioni che abbiamo sul nostro sé e ci può spesso accadere di essere in errore sul sé eppure di muoverci, agire e interagire con i nostri amici con successo ma sulla base di opinioni false.
Che cos'è allora questo 'sè'? Che cosa, nel contesto di questo capitolo, si aggiunge all'informazione se si segue l'antica massima “conosci te stesso”?
Ricominciamo daccapo. Supponete che io 'sappia' di avere la mano sopra la testa e che 'sappia' che l'interruttore è all'altezza delle mie spalle. Supponete che io abbia ragione a proposito dell'interruttore, ma torto a proposito della mano. Nella mia ricerca dell'interruttore non metterò mai la mano dove esso si trova. Sarebbe meglio se io non 'sapessi' dov'è l'interruttore. Forse allora lo troverei con qualche movimento casuale del tipo tentativo ed errore.
Quali sono allora le regole dell'autoconoscenza? In quali circostanze è meglio (sotto il profilo pragmatico) non avere tale conoscenza che avere opinioni errate? In quali circostanze l'autoconoscenza è necessaria sotto il profilo pragmatico? I più sembrano vivere senza alcuna risposta a domande di questo genere. Anzi, sembrano vivere senza neppure porsi simili domande.
Accostiamoci alla questione con meno arroganza epistemologica. Un cane ha autoconoscenza? E' possibile che un cane "privo" di autoconoscenza sia in grado di inseguire un coniglio? Tutto il complesso di ingiunzioni che ci ammoniscono di conoscere noi stessi è forse solo un groviglio di mostruose illusioni edificate per compensare i paradossi della coscienza?
Se ci sbarazziamo dell'idea che il cane è una creatura e il coniglio un'altra e consideriamo la totalità coniglio-cane come un solo sistema, possiamo chiederci: quali ridondanze devono esistere in questo sistema affinch‚ questa parte del sistema possa inseguire quell'altra? E, magari, non possa "non" inseguirla?
La risposta ora ha un aspetto affatto diverso: l'unica informazione (cioè ridondanza) necessaria in questi casi è relazionale. Il coniglio, con la sua corsa, ha forse "detto" al cane di inseguirlo? Nell'esempio dell'interruttore, quando la mano (la 'mia' mano?) ha toccato l'interruttore, si è creata l'informazione necessaria sulla "relazione" tra mano e interruttore; ed è diventato possibile premere l'interruttore senza informazione collaterale su di me, sulla mia mano o sull'interruttore.
Il cane sa come invitarci a giocare a rincorrerlo: abbassa il mento e la gola verso il suolo e si allunga in avanti, tenendo le zampe anteriori premute contro il suolo dai gomiti alle estremità. Gli occhi sono rivolti in alto e si muovono nelle orbite senza che la testa si sposti; le zampe posteriori sono piegate sotto il corpo, pronte a scattare in avanti. Chiunque abbia mai giocato con un cane conosce bene questo atteggiamento. L'esistenza di un segnale siffatto dimostra che il cane è capace di comunicare ad almeno due livelli russelliani, o tipi logici.
Qui, tuttavia, del gioco m'interessano solo quegli aspetti che esemplificano la regola che "due descrizioni sono meglio di una".
Il gioco e la creazione del gioco debbono essere visti come un unico fenomeno e anzi, dal punto di vista soggettivo, è plausibile dire che la sequenza può essere veramente giocata solo finch‚ conserva qualche elemento creativo e inatteso. Se la sequenza è del tutto nota, essa è "rituale", bench‚ forse sempre formativa del carattere. Quando un essere umano A che gioca ha a sua disposizione un numero finito di azioni alternative, è abbastanza semplice vedere un primo livello di scoperta. Si tratta di sequenze evolutive con una selezione naturale non di elementi ma di "strutture di elementi" di azione. A tenterà varie azioni su B e scoprirà che B accetta solo certi contesti. Cioè, A deve o far precedere certe azioni da certe altre oppure collocare alcune delle proprie azioni in certe cornici temporali (sequenze di interazione) che sono preferite da B:
A 'propone' e B 'dispone'.
Un fenomeno a tutta prima miracoloso è l'invenzione del gioco tra membri di specie di mammiferi assai diverse tra loro. Ho osservato questo processo di interazione tra il nostro chow-chow e il nostro gibbone addomesticato, ed era chiarissimo che il cane reagiva in modo normale a una inattesa tiratina della pelliccia. Il gibbone sbucava all'improvviso dalle travi del tetto della veranda e attaccava agilmente; il cane gli correva dietro, il gibbone scappava e tutto il sistema si spostava dal portico alla nostra camera da letto, che invece di travi e travicelli scoperti aveva un soffitto a intonaco. Costretto al pavimento, il gibbone in ritirata si rivoltava contro il cane, che a sua volta si ritirava e correva sulla veranda. Allora il gibbone si arrampicava sul tetto e tutta la sequenza ricominciava daccapo e veniva ripetuta molte volte con evidente divertimento di entrambi i giocatori.
Scoprire o inventare giochi in acqua con un delfino è un'esperienza molto simile. Avevo deciso di non fornire all'anziana femmina "Tursiops" nessuna indicazione su come comportarsi con me, tranne lo 'stimolo' della mia presenza in acqua. Così rimasi seduto a braccia conserte sugli scalini che scendevano nella vasca. Il delfino mi si avvicinò e mi si mise accanto a cinque-dieci centimetri di distanza dal mio fianco. Di quando in quando, a causa del movimento dell'acqua, avveniva tra noi un accidentale contatto fisico. Apparentemente questi contatti non presentavano alcun interesse per l'animale. Dopo forse due minuti, il delfino si allontanò e si mise a nuotare lentamente intorno a me; pochi istanti dopo sentii qualcosa che mi si infilava sotto il braccio destro. Era il muso del delfino, e io mi trovai di fronte al problema di come non dare all'animale "nessuna indicazione" su come comportarsi con me. La tattica da me progettata era impossibile.
Allentai il braccio destro e lasciai che ci infilasse sotto il muso. In pochi secondi avevo sotto il braccio tutto il delfino. Esso si curvò quindi davanti a me fino a mettermisi in grembo. Da questa posizione passammo a nuotare e a giocare insieme per alcuni minuti.
Il giorno dopo eseguii la stessa sequenza, ma quando il delfino mi si allungò di fianco non aspettai per lo stesso periodo di tempo del giorno prima e gli accarezzai il dorso con la mano. Subito il delfino mi corresse: si allontanò di poco e poi si mise a nuotarmi intorno e mi diede un colpetto con il bordo anteriore della pinna caudale, atto che gli sembrò certo gentile. Quindi andò all'estremità più lontana della vasca e se ne stette là.
Anche queste sono sequenze evolutive, ed è importante vedere con chiarezza "che cosa" esattamente viene evoluto. Descrivere il gioco interspecifico di cane e gibbone o di uomo e delfino come un'evoluzione di elementi di comportamento non sarebbe corretto, poichè‚ non viene generato alcun nuovo elemento di comportamento. Anzi, in ciascuna singola creatura non si evolve alcun nuovo contesto di azione. Il cane è sempre cane, il gibbone è sempre gibbone, il delfino delfino e l'uomo uomo. Ciascuno conserva il proprio 'carattere' - la propria organizzazione dell'universo percepito - eppure è chiaro che qualcosa è accaduto. Sono state generate o scoperte certe strutture di interazione, le quali hanno avuto una durata, per quanto breve. In altre parole, vi è stata una selezione naturale di strutture di interazione. Certe strutture sono sopravvissute più a lungo di altre.
Vi è stata un'evoluzione di "accomodamento reciproco". Con un cambiamento minimo nel cane o nel gibbone il sistema cane-gibbone è diventato più semplice, più internamente coerente e integrato.
Esiste dunque una entità più ampia, diciamo A più B, che, nel gioco, compie un processo per il quale ritengo che il nome giusto sia "pratica". Si tratta di un processo di apprendimento in cui il sistema A più B non riceve informazioni nuove dall'esterno, ma solo dall'"interno del sistema". L'interazione mette a disposizione delle parti di B informazioni sulle parti di A e viceversa. C'è stato un cambiamento di confini.
Inseriamo questi dati in una cornice teorica più ampia. Facciamo un po' di "abduzione", cercando altri casi che siano analoghi al gioco nel senso che rientrano nella stessa regola.
Si noti che il termine "gioco" non limita n‚ definisce gli atti che costituiscono il gioco. "Gioco" è applicabile solo a certe ampie premesse dell'interscambio. Nel linguaggio ordinario, “gioco” non è il nome di un atto o di un'azione; è il nome di una "cornice" per l'azione. Possiamo attenderci allora che il gioco non sia soggetto alle regolari norme del rinforzo. Anzi, chiunque abbia tentato di far smettere di giocare dei bambini sa che cosa si prova vedendo che i propri sforzi vengono semplicemente incorporati nella struttura del loro gioco.
Così per trovare altri casi che rientrano nella stessa regola (o fetta di teoria) cerchiamo integrazioni di comportamento che (a) non definiscano le azioni che ne costituiscono il contenuto; e (b) non obbediscano alle regole ordinarie del rinforzo.
Due casi vengono subito alla mente: l''esplorazione' e la 'delinquenza'. Altri casi degni di considerazione sono il 'comportamento di tipo A' (che i medici psicosomatici considerano in parte eziologico dell'ipertensione essenziale), la 'paranoia', la 'schizofrenia' e così via.
Esaminiamo l''esplorazione' per vedere dove essa sia un contesto per qualche sorta di descrizione doppia, o un suo prodotto.
Primo, esplorazione (e con essa delinquenza e gioco e ogni altra parola di questa classe) è una descrizione primaria, verbale o non verbale, del sé: “Io" esploro”. Ma "ciò che" viene esplorato non è semplicemente 'il mio mondo esterno', o 'il mondo esterno come io lo vivo'.
Secondo, l'esplorazione si autoconvalida, quale che sia il suo esito, gradevole o sgradevole per l'esploratore. Se cercate di insegnare a un ratto a non-esplorare facendogli prendere una scossa quando caccia il naso nelle scatole, esso continuerà a esplorare, come abbiamo visto nel capitolo precedente, presumibilmente perchè‚ ha bisogno di sapere quali scatole sono sicure e quali pericolose. In questo senso, l'esplorazione ha sempre buon esito.
Dunque, l'esplorazione non solo si autoconvalida, ma negli esseri umani sembra generare anche assuefazione. Un tempo conoscevo un grande scalatore, Geoffrey Young, che scalò la parete nord del Cervino con una gamba sola (l'altra l'aveva persa nella prima guerra mondiale). E conoscevo un corridore di fondo, Leigh Mallory, le cui ossa sono ora a meno di sessanta metri dalla vetta dell'Everest. Questi scalatori ci suggeriscono alcune indicazioni sull'esplorazione. Geoffrey Young era solito dire che "non dare ascolto" alle lamentele di autocommiserazione e ai dolori del corpo era una delle discipline più importanti dello scalatore - e anzi, io penso, una delle soddisfazioni della scalata. La vittoria sul sé.
Un siffatto cambiamento del 'sè' è comunemente descritto come una “vittoria”, e si usano parole lineali come “disciplina” e “autocontrollo”. Naturalmente, queste sono esempi di puro soprannaturalismo e per giunta probabilmente un po' tossiche. Ciò che accade è molto più simile a un'incorporazione o a un connubio di idee sul mondo con idee sul sé.
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