martedì 7 dicembre 2010

la Rete del Tao


Questo sappiamo.
Che tutte le cose sono legate
come il sangue
che unisce una famiglia...
Tutto ciò che accade alla Terra,
accade ai figli e alle figlie della Terra.
L'uomo non tesse la trama della vita;
in essa egli è soltanto un filo.
Qualsiasi cosa fa alla trama,
l'uomo la fa a se stesso.

Ted Perry, ispirandosi al capo indiano Seattle

lunedì 6 dicembre 2010

RICERCAR il Tao



Musica Antiqua Köln
J.S. Bach, Musicalisches Opfer: il Tema Regio

Thomaskirche,Leipzig, Saxony (Sachsen), Germany

Divisione e Totalità del Tao


LA DIVISIONE INPARTI E IN TOTALITA' DELL'UNIVERSO PERCEPITO E' VANTAGGIOSA E FORSE NECESSARIA, MA NESSUNA NECESSITA' DETERMINA COME CIO' DEBBA ESSERE FATTO.

Ho tentato molte volte di insegnare questo concetto generale a varie classi di studenti, e a questo fine mi sono servito della figura 1.

 
Per la presentazione, la figura viene tracciata sulla lavagna con una certa cura, ma senza le lettere che contrassegnano i vari vertici. Si chiede alla classe di dare della 'cosa' una descrizione scritta lunga circa una pagina. Quando tutti hanno finito, si confrontano i risultati. Essi si suddividono in diverse categorie: a) Circa il dieci per cento o meno degli studenti afferma, ad esempio, che l'oggetto è uno stivale, o, più pittorescamente, lo stivale di un gottoso, o addirittura un cesso. E' evidente che chi ascoltasse queste o simili descrizioni analogiche o iconiche troverebbe difficile riprodurre l'oggetto.
b) Un numero molto più elevato di studenti vede che l'oggetto contiene la maggior parte di un rettangolo e di un esagono, e dopo averlo diviso in parti a questo modo, passa a cercare di descrivere le relazioni tra il rettangolo e l'esagono incompleti. Solo alcuni di loro (ma di solito, e sorprendentemente, uno o due in ogni classe) scoprono che è possibile tracciare un segmento BH e prolungarlo fino a toccare la base DC in un punto I, tale che il segmento HI completi un esagono regolare (figura 2). 


Questo segmento immaginario definirà le proporzioni del rettangolo ma, naturalmente, non le lunghezze assolute. Di solito mi congratulo con questi studenti per la loro capacità di creare ciò che somiglia a molte ipotesi scientifiche che 'spiegano' una regolarità percettibile in termini di qualche entità creata dall'immaginazione.
c) Molti studenti preparati ricorrono a un metodo di descrizione operativo: partono da un qualche punto del perimetro (sempre un vertice, si noti) e di lì procedono, solitamente in senso orario, a dare le istruzioni per disegnare l'oggetto.
d) Esistono anche altri metodi di descrizione ben conosciuti che nessuno studente ha finora seguito. Nessuno è partito dall'asserzione:  “E' fatto di gesso e lavagna”. Nessuno ha mai usato il metodo del cliché a mezzatinta, suddividendo la superficie della lavagna con un reticolo (di rettangoli arbitrari) e assegnando a ogni casella del reticolo un  “sì” o un  “no” a seconda che contenga o non contenga una parte dell'oggetto. Naturalmente, se il reticolo è rado e l'oggetto è piccolo, andrà persa una quantità molto rilevante d'informazione. (Si pensi al caso in cui tutto l'oggetto è più piccolo di una casella del reticolo: la descrizione consisterà allora in un numero di  “sì” compreso tra uno e quattro, secondo come cadono le divisioni del reticolo rispetto all'oggetto). Si tratta comunque, in linea di principio, del modo in cui vengono trasmessi, con impulsi elettrici, i cliché delle illustrazioni dei giornali, e anzi, del modo in cui funziona la televisione.
Si noti che nessuno di questi metodi di descrizione dà alcun contributo alla "spiegazione" di questo oggetto, l'esarettangolo. La spiegazione deve sempre scaturire dalla descrizione, ma la descrizione da cui essa scaturisce conterrà sempre di necessità caratteristiche arbitrarie, come quelle esemplificate qui.


 













METALOGO: PERCHÉ LE COSE HANNO CONTORNI? (1953)

Figlia Papà, perché le cose hanno contorni?
Padre Davvero? Non so. Di quali cose parli?
F. Sì, quando disegno delle cose, perché hanno i contorni?
P. Be', e le cose di altro tipo ... un gregge di pecore? O una conversazione? Queste cose hanno contorni?
F. Non dire sciocchezze. Non si può disegnare una conversazione. Dico le cose.
P. Sì ... stavo solo cercando di capire che cosa volevi dire. Vuoi dire: «Perché quando disegniamo le cose diamo loro dei contorni?», oppure vuoi dire che le cose hanno dei contorni, che noi le disegniamo oppure no?
F. Non lo so, papà, devi dirmelo tu. Che cosa voglio chiederti?
P. Non lo so, tesoro. C'era una volta un artista molto arrabbiato che scribacchiava cose di ogni genere, e dopo la sua morte guardarono nei suoi quaderni e videro che in un posto aveva scritto: «1 savi vedono i contorni e perciò li disegnano», ma in un altro posto aveva scritto: «I pazzi vedono i contorni e perciò li disegnano ».
F. Ma che cosa voleva dire? Non capisco.
P. Be', William Blake - questo era il suo nome - era un grande artista e un uomo molto arrabbiato. E a volte arrotolava le sue idee, facendone palline di carta che poi gettava alla gente.
F. Ma perché era tanto arrabbiato, papà?
P. Perché era tanto arrabbiato? Be' ... molta gente pensava che lui fosse matto - proprio matto - pazzo, quando era arrabbiato. E questa era una delle cose che lo facevano arrabbiare da matti. E poi si arrabbiava con certi artisti che dipingevano le figure come se le cose non avessero contorni. Li chiamava "la scuola sbavacchiante".
F. Non era molto tollerante, vero, papà?
P. Tollerante? Dio santo ... Sì, lo so ... questo è quello che ti ficcano in testa a scuola. No, Blake non era molto tollerante. Non pensava neppure che la tolleranza fosse una buona cosa. Pensava che confondesse tutti i contorni e impantanasse tutto ... che rendesse tutti i gatti grigi. Così che nessuno fosse più in grado di vedere nulla in modo chiaro e netto.
F. Sì, papà.
P. No, questa non è una risposta. Cioè, 'Sì, papà' non è una risposta. Quello che mi fa capire questa risposta è solo che tu non sai qual è la tua opinione ... e quello che dico io o che dice Blake non vale un fico secco per te e che la scuola ti ha così rintontito coi discorsi sulla tolleranza che non sai più vedere la differenza tra una cosa e l'altra.
F. (Piange).
P. Santo cielo, scusami, ma mi sono arrabbiato. Ma non proprio con te. Mi sono arrabbiato per l'approssimazione con cui la gente pensa e agisce ... e poi predicano la confusione e la chiamano tolleranza.
F. Ma, papà ...
P. Sì?
F. Non so. Mi pare di non essere capace di pensare molto bene. È tutto così confuso.
P. Mi spiace. Credo di essere stato io a confonderti quando ho cominciato a sfogarmi.

...

F. Che cosa vuoi dire per te che una conversazione ha un contorno? Questa conversazione ha avuto un contorno?
P. Oh, certamente sì. Ma ancora non possiamo vederlo, perché la conversazione non è ancora finita. Non si può vederlo mai, quando ci si è in mezzo. Perché se tu potessi vederlo, saresti prevedibile - come una macchina. E io sarei prevedibile, e noi due insieme saremmo prevedibili...
F. Ma io non ti capisco. Prima dici che è importante essere chiari nelle cose. E ti arrabbi con le persone che confondono i contorni. E poi pensiamo che è meglio essere imprevedibili e non essere come macchine. E tu dici che non possiamo vedere i contorni della nostra conversazione finché non è finita. Allora non ha importanza se siamo chiari o no. Perché tanto non possiamo farci niente.
P. Sì, lo so ... e io stesso non capisco ... Ma, comunque, chi ha voglia di farci niente?

Tras-Formazione (La Morte) - XIII Major


La figura centrale di questa carta siede sopra il vasto fiore del vuoto, e tiene in mano i simboli della trasformazione - la spada che spezza l'illusione, il serpente che si rinnova cambiando la propria pelle, la catena spezzata delle illusioni e il simbolo yin/yang della dualità trascesa. Una delle mani è posata in grembo, aperta e ricettiva. L'altra è protesa verso il basso, e tocca la bocca di un volto addormentato, a simbolizzare il silenzio che insorge quando ci riposiamo. E' tempo per un profondo abbandono. Permetti a qualsiasi dolore, tristezza o difficoltà di esistere, semplicemente, accettandone la "fattualità". La situazione è molto simile all'esperienza di Gautama il Buddha allorché, dopo anni di ricerca, finalmente rinunciò, sapendo che non c'era null'altro che potesse fare. Quella stessa notte si illuminò. La trasformazione, come la morte, giunge a tempo debito. E, come la morte, ti trasporta da una dimensione all'altra.

Nello Zen un Maestro non è un semplice insegnante. In tutte le religioni ci sono solo insegnanti. Ti insegnano materie che non conosci, e ti chiedono di credere, poiché non c'è modo di portare quelle esperienze nella sfera oggettiva: neppure l'insegnante le ha conosciute - ci ha creduto, e ora trasmette a qualcun altro il proprio credo. Lo Zen non è un mondo di credenti; non si addice a coloro che hanno fede, bensì a quelle anime audaci in grado di lasciar cadere ogni fede, ogni mancanza di fede, dubbi, ragione, mente, ed entrare semplicemente nella loro pura esistenza, priva di qualsiasi confine. Ciò porta con sé un'incredibile trasformazione. Pertanto, lasciatemi dire che, mentre gli altri sono impegnati in filosofie, lo Zen si coinvolge in una metamorfosi, in una trasformazione. È una vera e propria alchimia: ti trasforma da vile metallo in oro. Ma il suo linguaggio dev'essere compreso non con la ragione, né con la mente intellettuale, ma con il tuo cuore amorevole. Oppure limitandosi semplicemente ad ascoltare, senza preoccuparsi del fatto che si tratti o meno di verità. All'improvviso viene un momento in cui vedi ciò che in tutta la tua vita è sempre stato inafferrabile. All'improvviso si aprono quelle che Buddha chiama "le ottantaquattromila porte".

immagini del Tao

 
I PROCESSI DI FORMAZIONE DELLE IMMAGINI SONO INCONSCI.

Questa asserzione generale sembra sia vera per tutto ciò che accade tra la mia azione a volte conscia di rivolgere un organo di senso verso una sorgente di informazione e l'azione conscia di ricavare informazioni da un'immagine che 'io' credo di vedere, udire, sentire, gustare o odorare. Anche un dolore è sicuramente un'immagine creata.
Gli uomini, gli asini e i cani indubbiamente sono tutti consci di ascoltare e addirittura di drizzare le orecchie nella direzione del suono. Quanto alla vista, un oggetto che si muova alla periferia del mio campo visivo richiamerà la mia 'attenzione' (qualunque cosa voglia dire), sicch‚ volgerò gli occhi e anche il capo per guardare. E' un atto spesso conscio, ma a volte quasi automatico, al punto che passa inosservato. Spesso sono conscio di girare il capo, ma ignoro quale oggetto periferico mi abbia spinto a farlo. La retina periferica riceve moltissime informazioni che rimangono fuori della coscienza - forse, ma non sicuramente, sotto forma d'immagine.
I "processi" della percezione sono inaccessibili; solo i "prodotti" sono consci e, ovviamente, sono i prodotti ad essere necessari. I due fatti generali - primo, che non sono conscio del processo di formazione delle immagini che vedo consciamente, e, secondo, che in questi processi inconsci io uso tutta una gamma di presupposti che vanno a integrarsi nell'immagine compiuta - sono, per me, il principio dell'epistemologia empirica.
Tutti, ovviamente, sappiamo che le immagini che 'vediamo' sono in realtà fabbricate dal cervello o dalla mente; ma saperlo con l'intelletto è molto diverso dal rendersi conto che è davvero così.
...
Siamo d'accordo che sotto il profilo dell'adattamento ha senso presentare alla coscienza soltanto le immagini, senza spreco di attività psicologica per rendere cosciente la loro formazione. Ma non esiste alcuna chiara ragione fondamentale per cui si debbano usare proprio le immagini, o anzi si debba essere "consapevoli" delle fasi dei nostri processi mentali.
Il ragionamento suggerisce che la formazione delle immagini è forse un metodo vantaggioso o economico per far passare informazioni attraverso un qualche genere di "interfaccia". In particolare, quando un essere umano deve operare in un contesto tra due macchine, è vantaggioso che esse gli forniscano le loro informazioni sotto forma di immagini.
Un caso che è stato studiato sistematicamente è quello di un artigliere addetto a un pezzo antiaereo su una nave. Le informazioni provenienti da una serie di dispositivi di puntamento orientati su un bersaglio in volo vengono riassunte all'artigliere sotto forma di un punto mobile su uno schermo (cioè di un'immagine). Sullo stesso schermo vi è un altro punto, la cui posizione riassume la direzione in cui è puntato il cannone antiaereo. L'uomo può spostare questo secondo punto girando certe manopole del dispositivo. Queste manopole modificano anche il puntamento del cannone. L'uomo deve manovrare le manopole finch‚ i due punti sullo schermo non coincidono: allora spara.
Il sistema contiene due interfacce: sistema sensore-uomo e uomo-sistema effettore. Naturalmente, è possibile immaginare in questo caso che le informazioni tanto in entrata quanto in uscita possano essere trattate facendo uso di segni discreti piuttosto che di una presentazione iconica. Tuttavia a me pare che il dispositivo iconico sia senz'altro più vantaggioso, non solo perchè‚, in quanto essere umano, io sono un costruttore di immagini mentali, ma anche perchè‚ in queste interfacce le immagini sono economiche o efficienti. Se questo ragionamento è corretto, sarebbe logico congetturare che i mammiferi formano immagini perchè‚ i loro processi mentali devono attraversare molte interfacce.
La nostra non-consapevolezza dei nostri processi di percezione ha alcuni interessanti effetti collaterali. Ad esempio, quando questi processi operano senza essere controllati dal materiale in entrata proveniente da un organo di senso, come nel caso del sogno o dell'allucinazione o dell'immaginazione eidetica (*), è talora difficile dubitare della realtà esterna di ciò che le immagini sembrano rappresentare. Per converso, è forse un bene "non" conoscere o quasi il meccanismo di creazione delle immagini percettive. Ignorando questo lavoro, siamo liberi di "credere" a ciò che ci dicono i nostri sensi. Potrebbe essere scomodo dubitare continuamente della validità dei messaggi mandati dai nostri sensi.

(*) Un immagine mentale è "eidetica" se possiede tutte le caratteristiche della cosa che viene percepita, specialmente se è riferita a un organo di senso, e sembra così provenire dall'esterno.

giovedì 2 dicembre 2010

Tao potabile e non-potabile

l'acqua ben giova alle creature e non contende,
resta nel posto che gli uomini disdegnano.
Per questo è quasi simile al Tao.

Strani Anelli del Tao


Nella trattazione dei sistemi complessi a più livelli logici di descrizione possono comparire circolarità ricursive autoreferenziali che, sviluppandosi su più livelli, si richiudono al punto di partenza.


Douglas Hofstadter è stato il primo a occuparsene in "Gödel, Escher, Bach: un'eterna ghirlanda brillante", vincitore di un Premio Pulitzer nel 1980, definendoli "Strani Anelli", e sviluppandoli nel caso della costruzione logico-formale dei teoremi di Gödel, delle partiture musicali di J.S. Bach, in particolare "L'arte della fuga" e la "Offerta Musicale", e nelle opere di M.C. Escher.

«Mi resi conto che per me Gödel, Escher e Bach erano solo ombre proiettate in diverse direzioni da una qualche solida essenza centrale. Ho tentato di ricostruire l'oggetto centrale e ne è uscito questo libro. »



"... Godel, Escher, Bach: un grande logico, un grande pittore, un grande musicista. Che cosa lega questi nomi, a parte la gloria? Uno Strano Anello. E che cos'è uno Strano Anello? Ci suggerisce Hofstadter: « Il fenomeno dello "Strano Anello" consiste nel fatto di ritrovarsi inaspettamente, salendo o scendendo lungo i gradini di qualche sistema gerarchico, al punto di partenza ». è un fenomeno che Escher ha disegnato, che Bach ha messo in musica, che Godel ha posto al centro del suo teorema. ..." (D.H.)

triangoli di Penrose
Hofstadter ha ulteriormente sviluppato il tema dell'autoreferenza in "Anelli nell'Io":


M.C. Escher: Moebius strip II

M.C. Escher, Relativity, 1953
Arte della Fuga: Contrappunto IV

Arte della Fuga: Manoscritto dell'ultima pagina dell'ultima fuga, incompiuta - Deutsche Staatsbibliothek Berlin

Offerta Musicale: tema principale RICERCAR






martedì 30 novembre 2010

la non-oggettività del Tao

La perdita di distinzione tra osservatore e osservato, già evidente al livello 0 fisico e argomento della IIa cibernetica, si estende in generale a tutti i livelli di descrizione/interazione:
Margaret Mead and Gregory Bateson in Bajoeng Gedé (photograph by Walter Spies)

NON ESISTE ESPERIENZA OGGETTIVA.

Ogni esperienza è soggettiva. ... è il nostro cervello a costruire le immagini che noi crediamo di 'percepire'.
E' significativo che ogni percezione - ogni percezione conscia - abbia le caratteristiche di un'immagine. Un dolore è localizzato in una parte del corpo: ha un inizio, una fine e una collocazione, e si evidenzia su uno sfondo indifferenziato. Queste sono le componenti elementari di un'immagine. Quando qualcuno mi pesta un piede, ciò che sperimento non è il suo pestarmi un piede, ma l'"immagine" che io mi faccio del suo pestarmi il piede, ricostruita sulla base di segnali neurali che raggiungono il mio cervello in un momento successivo al contatto del suo piede col mio. L'esperienza del mondo esterno è sempre mediata da specifici organi di senso e da specifici canali neurali. In questa misura, gli oggetti sono mie creazioni e l'esperienza che ho di essi è soggettiva, non oggettiva.
Tuttavia, non è banale osservare che pochissimi, almeno nella cultura occidentale, dubitano dell'oggettività di dati sensoriali come il dolore o delle proprie immagini visive del mondo esterno. La nostra civiltà è profondamente basata su questa illusione.

il Te del Tao: X - SAPER AGIRE

 
X - SAPER AGIRE

Preserva l'Uno dimorando nelle due anime:
sei capace di non farle separare?
Pervieni all'estrema mollezza conservando il ch' i :
sei capace d'essere un pargolo?
Purificato e mondo abbi visione del mistero:
sei capace d'esser senza pecca?
Governa il regno amando il popolo:
sei capace di non aver sapienza?
All'aprirsi e al chiudersi della porta del Cielo
sei capace d'esser femmina?
Luminoso e comprensivo penetra ovunque:
sei capace di non agire?
Fa vivere le creature e nutrile,
falle vivere e non tenerle come tue,
opera e non aspettarti nulla,
falle crescere e non governarle.
Questa è la misteriosa virtù..

lunedì 29 novembre 2010

apparenza e sostanza del Tao

Apparenza:


Camden University USA

" We have been involved in distance learning for a number of years. Camden University prides itself in providing tertiary education that is relevant in this age and era. We have a team of well qualified and experienced faculty and support staff who really care about their students and this is what makes us stand out from other distance learning University. We put students first. Our academic programs are modern, challenging and very relevant to the current needs of the industry, government and public life.

If you as student feel that you need a University which cares for you and where are the emphasis is on student welfare and quality education, the Camden University should be your choice. Make the Right decision and further your education at Camden University.

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Sostanza:


"e insomma forse è una storia noiosa ma non ti tocca ascoltarla per forza, mi ha detto lei, perché aveva sempre saputo che sarebbe andata a finire così, comunque secondo lei era successo durante il primo anno di college a Camden, e precisamente un fine settimana, un venerdì di settembre, tre o quattro anni fa, e si era sbronzata a tal punto che era finita in un letto, aveva perduto la verginità (tardi: a diciott'anni) nella stanza di Lorna Slavin - perché allora era una matricola e aveva una compagna di stanza, e Lorna, ricorda, era al terzo o quarto anno, e qualche volta andava dal suo ragazzo che stava fuori dal campus, uno che secondo lei doveva essere al secondo anno di specializzazione in ceramica mentre era solo uno della New York University, o uno studente di cinema venuto su nel New Hampshire giusto per il party Sotto il Vestito Niente, oppure uno del posto. Lei per dirla tutta aveva messo gli occhi su qualcun altro quella sera…"

"Ho finito la canna e la Heineken. Poi l'ho coperta col lenzuolo e sono stato lì, con le mani nelle tasche del cappotto. Ho pensato: ora tolgo il lenzuolo. Ho tolto il lenzuolo. Poi le ho tirato su le braccia e le ho guardato i seni, li ho toccati. Magari la violento, meditavo. Ma erano quasi le quattro e da lì a sei ore avevo lezione, anche se la prospettiva di andarci era piuttosto remota. Uscendo, le ho rubato una copia di Cent'anni di solitudine, ho spento lo stereo, e via, contento e forse un pò imbarazzato. Ero al quarto anno. Lei era carina. E' finita che lei ha detto a tutti che non mi veniva duro, comunque".

non provare ma esplorare il Tao


LA SCIENZA NON PROVA MAI NULLA.

La scienza talora "migliora" le ipotesi, talora le confuta, ma la "prova" è un altro paio di maniche e forse non si dà mai, se non nel regno della tautologia completamente astratta. Talvolta possiamo dire che "se" sono dati il tale e il talaltro postulato o supposizione astratta, "allora" la tale e talaltra cosa deve assolutamente seguire. Ma la verità su ciò che può essere "percepito" o raggiunto induttivamente partendo dalla percezione è qualcosa di affatto diverso.
Ammettiamo che la verità significhi una corrispondenza precisa tra la nostra descrizione e ciò che descriviamo, o tra la nostra rete totale di astrazioni e deduzioni e una qualche comprensione totale del mondo esterno. La verità in questo senso non è raggiungibile. E anche se ignoriamo le barriere della codificazione, cioè la circostanza che la nostra descrizione sarà fatta di parole, cifre o figure, mentre ciò che descriviamo sarà di carne, sangue e azione, anche se trascuriamo questo ostacolo della traduzione, non potremo mai sostenere di aver raggiunto la conoscenza ultima di alcunch‚.
Un modo convenzionale di presentare argomentativamente questo punto è più o meno il seguente: supponiamo che io vi dia una serie (di numeri o di altre indicazioni) e vi fornisca anche il presupposto che la serie è ordinata. Supponiamo per semplicità che si tratti di una serie di numeri:

2, 4, 6, 8, 10, 12...

Poi vi chiedo:  “Qual è il numero successivo di questa serie?”. Probabilmente risponderete:  “14”.
Ma in questo caso io replicherò:  “Niente affatto il numero successivo è 27”. In altre parole, la vostra immediata generalizzazione sulla base dei dati forniti all'inizio, che si trattasse cioè della serie dei numeri pari, è stata dimostrata sbagliata o solo approssimata dall'evento successivo.
Andiamo avanti. Continuerò la mia esposizione generando la serie seguente:

2, 4, 6, 8, 10, 12, 27, 2, 4, 6, 8, 10, 12, 27, 2, 4, 6 8, 10, 12, 27...

Se ora vi chiedo di indovinare il numero successivo, probabilmente direte  “2”. Dopo tutto, vi sono state fornite tre ripetizioni della successione da 2 a 27, e se avete una buona preparazione scientifica influirà su di voi il presupposto detto "rasoio di Occam" o "regola della parsimonia", cioè la preferenza per le più semplici tra le ipotesi che si conformano ai fatti. Ma i fatti, quali sono? In realtà i fatti che voi avete a disposizione non vanno oltre la fine della successione (forse incompleta) che vi ho dato.
Voi "ritenete" di poter prevedere, e in effetti sono stato io a suggerirvi questo presupposto. Ma la sola base che possedete è la vostra preferenza (inculcata) per la risposta più semplice e la fiduciosa convinzione che la mia richiesta significasse davvero che la successione era incompleta e ordinata.
Sfortunatamente (o forse fortunatamente) il fatto successivo non è in realtà mai accessibile: tutto ciò che possedete è la speranza della semplicità, e il fatto successivo può sempre portarvi al livello di complessità successivo.
Oppure diciamo che, qualunque successione di numeri io vi presenti, esisteranno sempre alcuni modi semplici di descriverla, ma vi sarà un numero "infinito" di modi alternativi non vincolati dal criterio della semplicità.
Supponiamo che i numeri siano rappresentati da lettere:

 x, w, p, n

e così via. Queste lettere potrebbero rappresentare numeri qualsiasi, magari frazioni. Basta solo che io ripeta la serie tre o quattro volte in una qualche forma verbale o visiva, o comunque sensoriale, anche sotto forma di stimolazione dolorosa o cinestetica, perchè‚ voi cominciate a percepire in essa una struttura. Nella vostra mente - e nella mia - essa diventerà un tema, e avrà un valore estetico: in questa misura sarà familiare e comprensibile.
Ma la struttura può venir cambiata o spezzata dall'addizione, dalla ripetizione, da qualunque cosa vi costringa a percepirla in modo nuovo, e questi cambiamenti non possono essere mai previsti con assoluta certezza perchè‚ non sono ancora avvenuti.
Non abbiamo sufficiente conoscenza del modo in cui il presente sfocerà nel futuro; non saremo mai in grado di dire:  “Ecco! Il modo in cui percepisco e interpreto questa serie vale per tutte le sue componenti prossime e future”, oppure:  “La prossima volta che m'imbatterò in questi fenomeni, sarò in grado di prevedere l'intero loro corso”.
La previsione non può mai essere valida in modo assoluto e perciò la scienza non può mai "provare" una proposizione generale e neppure "verificare" un singolo enunciato descrittivo e arrivare così alla verità ultima.
Vi sono altri argomenti per mostrare questa impossibilità. La tesi di questo libro...presuppone che la scienza sia un "modo di percepire" e di dare per così dire  “senso” a ciò che percepiamo. Ma la percezione opera solo sulla differenza. Ricevere informazioni vuol dire sempre e necessariamente ricevere notizie di "differenza", e la percezione della differenza è sempre limitata da una soglia. Le differenze troppo lievi o presentate troppo lentamente non sono percettibili: non offrono alimento alla percezione.
Quindi ciò che noi, come scienziati, possiamo percepire è sempre limitato da una soglia: ciò che è subliminale non giunge ad arricchire le nostre cognizioni. In qualsiasi istante, la nostra conoscenza è sempre funzione della soglia dei mezzi di percezione di cui disponiamo. L'invenzione del microscopio, del telescopio, degli strumenti per misurare il tempo fino a una frazione di nanosecondo e per pesare quantità di materia fino a un milionesimo di grammo, tutti questi raffinatissimi dispositivi di percezione svelano quel che era del tutto imprevedibile ai livelli di percezione raggiungibili in precedenza.
Non solo non possiamo far previsioni sul momento successivo nel tempo, ma, più radicalmente, non possiamo far previsioni relative allo stadio successivo della dimensione microscopica, della distanza astronomica o del passato geologico. La scienza, come metodo di percezione - perchè‚ essa non può pretendere di essere altro che questo -, così come ogni altro metodo di percezione, ha una capacità limitata di raccogliere i segni esteriori e visibili di ciò che può essere verità.
La scienza non prova, "esplora".

Dialoghi Immortali del Tao: ma come parli??! le Parole sono importantiii!


Reporter: Io non lo so, però senz'altro lei ha alle spalle un matrimonio a pezzi...
Michele: Che dice???
Reporter: Forse ho toccato un argomento che non...
Michele: No... no... è l'espressione. Non è l'argomento, non è l'argomento, non è l'argomento... è l'espressione.
Matrimonio a pezzi Ma come parla...!?!?!
Reporter: Preferisce "rapporto in crisi"? ma è così kitsch...
Michele: Kitsch! Dove le andate a prendere queste espressioni, dove le andate a prendere...??!??!(toccandosi il cuore)
Reporter: Io non sono alle prime armi...
Michele: Alle prime armi... ma come parla?
Reporter: ...anche se il mio ambiente è molto "cheap"...
Michele: Il suo ambiente è molto...?
Reporter: È molto "cheap"
Michele: Ma come parla? [schiaffo sonoro]
Reporter: Senta, ma lei è fuori di testa!
Michele: E due. Come parla! Come parla! Le parole sono importanti. Come parlaaaaaaaaaa!

Ogni scolaretto sa del Tao

Margaret Mead e Gregory Bateson
Nel primo capitolo di Mente e Natura Bateson delinea una serie di evidenze (ironicamente intitolate "Ogni scolaretto sa che..." (o dovrebbe sapere che...) le quali esprimono esplicitamente una base per un'epistemologia dei sistemi viventi:

"By education most have been misled;
So they believe because they were so bred.
The priest continues what the nurse began,
And thus the child imposes on the man".

"I più sono stati sviati dall'istruzione;
credono a questo e quello perchè‚ così li hanno educati.
Il prete continua ciò che iniziò la balia,
e in tal modo il bambino inganna l'uomo."

John Dryden, "The Hind and the Panther"

La scienza, come l'arte, la religione, il commercio, la guerra e anche il sonno, è basata su "presupposti". Essa, tuttavia, differisce dalla maggior parte delle altre branche dell'attività umana non solo perché sono i presupposti degli scienziati a determinare le vie seguite dal pensiero scientifico, ma anche perché gli obiettivi stessi di questi ultimi consistono nel controllo e nella revisione dei vecchi presupposti e nella creazione di nuovi.
In quest'ultima attività, è chiaramente desiderabile (ma non assolutamente necessario) che lo scienziato abbia piena coscienza dei propri presupposti e sia in grado di enunciarli. Inoltre, per dare giudizi scientifici è vantaggioso e necessario conoscere i presupposti dei colleghi che lavorano nello stesso campo. Soprattutto, è necessario che il lettore di testi scientifici conosca i presupposti di chi scrive.
Ho insegnato varie branche della biologia del comportamento e dell'antropologia culturale a studenti americani di diverse scuole e ospedali, dalle matricole universitarie agli psichiatri interni, e mi sono imbattuto in una stranissima lacuna nel loro modo di pensare, che deriva dalle carenza di certi "strumenti" concettuali. Questa carenza è distribuita in modo abbastanza uniforme a tutti i livelli di istruzione, tra gli studenti di entrambi i sessi, tra chi si occupa di letteratura o arte e chi si occupa di scienza. Si tratta, in modo specifico, dell'ignoranza dei presupposti non solo della scienza, ma anche della vita di ogni giorno.
Questa lacuna, stranamente, è meno clamorosa in due gruppi di studenti che molto farebbe supporre in forte contrasto tra loro: i cattolici e i marxisti. Entrambi i gruppi, per riflessione personale o per averne sentito parlare, sanno qualcosa sugli ultimi 2500 anni del pensiero umano, e riconoscono entrambi, in una certa misura, l'importanza dei presupposti filosofici, scientifici ed epistemologici. Ad entrambi è difficile insegnare, perchè‚ tale è l'importanza che essi attribuiscono alle premesse e ai presupposti “giusti”, che l'eresia equivale per loro a una minaccia di scomunica. E' naturale che chi nell'eresia sente un pericolo si preoccuperà di chiarire bene a se stesso i propri presupposti e diventerà una specie di esperto in materia.
Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, se non la tecnica.
L'argomento di questo libro è molto vicino a ciò che sta al centro della religione e dell'ortodossia scientifica. I presupposti - e alla maggior parte degli studenti bisogna insegnare come si presenta un presupposto - sono cose da portare alla luce del giorno.
C'è tuttavia un'altra difficoltà, tipica soprattutto dell'ambiente americano. Nei loro presupposti gli americani sono indubbiamente rigidi al pari di chiunque altro (e sono rigidi, su questi argomenti, quanto l'autore del presente libro), ma reagiscono in modo strano di fronte a qualunque enunciazione precisa di un presupposto. Di solito, una tale enunciazione è considerata ostile o ironica oppure (ed è la cosa più grave) è avvertita come "autoritaria".
Accade così che in questo paese, fondato per garantire la libertà religiosa, l'insegnamento della religione sia bandito dal sistema dell'istruzione pubblica. Naturalmente, chi appartiene a una famiglia poco religiosa non riceve alcuna preparazione religiosa fuori della famiglia.
Di conseguenza, enunciare in modo formale e articolato una qualunque premessa o presupposto significa trovarsi di fronte alla sottile resistenza non della contraddizione, poichè‚ chi ascolta non conosce le premesse contraddittorie e non sa enunciarle, ma di quella raffinata sordità che i bambini usano per allontanare da sé i comandi e gli ammonimenti di genitori, insegnanti e autorità religiose.
Sia come sia, io credo all'importanza dei presupposti scientifici, all'idea che esistano modi più o meno buoni di costruire le teorie scientifiche e alla necessità di una chiara enunciazione dei presupposti, così da poterli migliorare.
Questo capitolo è dedicato perciò a un elenco di presupposti, alcuni familiari, altri sconosciuti ai lettori i cui pensieri sono stati tenuti lontani dalla brutale idea che certe proposizioni sono semplicemente errate. Alcuni strumenti di pensiero hanno perso il loro filo e sono quasi del tutto inutili, altri sono così taglienti da risultare pericolosi. Ma il saggio avrà l'uso degli uni e degli altri.
Vale la pena tentare di individuare certi presupposti fondamentali che tutte le "menti" devono condividere, o viceversa, definire la mente elencando un certo numero di queste caratteristiche fondamentali della comunicazione.

mercoledì 24 novembre 2010

variazioni del Tao: Glenn Herbert Gould


Alessio Medrano era seduto all’aperto in un bar di Milano aspettando le colleghe di lavoro. Queste arrivano, tiratissime, tacco 12, e Alessio, leggermente infastidito, si gira di tre quarti per non vederle.
Passa un ragazzo con le variazioni di Gould e Alessandra commenta: “Solo una musica che è uno stato del silenzio si può riuscire a sentire in mezzo a questo casino del cazzo”.
Alessio si gira istantaneamente e la guarda fisso.
“Pensavi che ero una cretina, vero?” dice Alessandra.
liberamente estratto da:

http://www.glenngould.com/