martedì 1 febbraio 2011

il numero del Tao non è la quantità di Tao


IL NUMERO E' DIVERSO DALLA QUANTITA'.

Questa differenza è fondamentale per ogni genere di attività teoretica nelle scienze del comportamento, per ogni genere di speculazione su ciò che accade tra gli organismi o al loro interno come parte dei loro processi di pensiero.
I "numeri" sono il risultato del contare, le "quantità" sono il risultato del misurare. Si capisce quindi come i numeri possano essere precisi, poichè‚ fra ciascun intero e il successivo c'è discontinuità: fra il "due" e il "tre" c'è un salto. Nel caso della quantità questo salto non c'è; e poichè‚ nel mondo della quantità mancano i salti, è impossibile che le quantità siano esatte. Si possono avere esattamente tre pomodori; non si possono mai avere esattamente tre litri d'acqua. La quantità è sempre approssimata.
Anche quando la distinzione tra il numero e la quantità è chiara, vi è un altro concetto da riconoscere e distinguere sia dal numero sia dalla quantità. Per quest'altro concetto non esiste, credo, alcuna parola nella nostra lingua, quindi dobbiamo contentarci di ricordare che esiste un sottoinsieme di "strutture" o "configurazioni" ["patterns"] i cui elementi sono di solito chiamati  “numeri”. Non tutti i numeri si ottengono contando e in effetti sono i numeri più piccoli e pertanto più comuni che spesso non vengono contati ma riconosciuti a colpo d'occhio come configurazioni. I giocatori di carte non si soffermano a contare i semi dell'otto di picche, anzi possono riconoscere le disposizioni caratteristiche dei semi fino al  “dieci”.
In altre parole: il numero appartiene al mondo della struttura formale, della "Gestalt" e del calcolo numerico; la quantità appartiene al mondo del calcolo analogico e probabilistico.
Certi uccelli possono in qualche modo distinguere i numeri fino a sette, ma non si sa se ciò avvenga perchè‚ contano o perchè‚ riconoscono delle strutture. L'esperimento che più di ogni altro si approssimò alla verifica di questa differenza tra i due metodi fu compiuto da Otto Koehler con una cornacchia. L'uccello fu addestrato a fare quanto segue: si prepara un certo numero di tazzine con coperchèio, nelle quali vengono posti bocconi di carne. Alcune tazzine contengono un solo boccone, altre due o tre, altre nessuno. A parte c'è un piatto che contiene un numero di bocconi di carne superiore al numero complessivo di quelli contenuti nelle tazzine. La cornacchia impara a togliere il coperchèio da ciascuna tazzina così da poter mangiare i bocconi che vi si trovano. Quando ha mangiato tutta la carne delle tazzine, può andare al piatto e mangiare lo "stesso numero" di bocconi che ha trovato nelle tazzine. Se mangia dal piatto più carne di quella che era nelle tazzine, viene punita. Essa è in grado di apprendere questa procedura.
Ora la domanda è: la cornacchia conta i bocconi, oppure usa qualche altro metodo per identificarne il numero? L'esperimento è progettato con cura per costringere l'uccello a contare: le sue azioni vengono interrotte dall'atto necessario a sollevare i coperchèi e la sequenza è resa ancora più confusa dal fatto che alcune tazzine contengono più di un boccone e altre nessuno. Con questi accorgimenti lo sperimentatore ha tentato di impedire alla cornacchia di creare una qualche sorta di struttura o di ritmo mediante il quale riconoscere il numero dei pezzetti di carne. In questo modo l'uccello viene obbligato, per quanto è possibile farlo, a contare i bocconi.
Non è escluso, naturalmente, che il processo di prendere la carne dalle tazzine diventi una specie di danza ritmica, e che il ritmo venga in qualche modo ripetuto dall'uccello quando prende la carne dal piatto. La questione è probabilmente ancora irrisolta, ma nel complesso l'esperimento è piuttosto convincente e fa propendere per l'ipotesi che la cornacchia, più che riconoscere una qualche struttura nella disposizione dei bocconi o nella successione delle proprie azioni, conti effettivamente i pezzi di carne.
E' interessante osservare il mondo biologico nei termini posti dalla seguente domanda: i vari casi in cui si manifesta il numero debbono essere considerati come esempi di "Gestalt", di numero contato o di pura quantità? C'è una differenza piuttosto notevole, ad esempio, tra l'enunciato  “Questa rosa semplice ha cinque petali e cinque sepali, anzi la sua simmetria è strutturata sul cinque” e l'enunciato  “Questa rosa ha centododici stami, questa ne ha novantasette e quest'altra solo sessantaquattro”. Il processo che controlla il numero degli stami è sicuramente diverso da quello che controlla il numero dei petali o dei sepali. E' interessante notare invece che nella rosa doppia, dove a quanto pare alcuni degli stami si sono trasformati in petali, il procedimento per determinare il numero dei petali da produrre è in seguito a ciò passato da quello che normalmente limita a cinque il numero dei petali a qualcosa di simile al processo che determina la "quantità" degli stami. Possiamo dire che nella rosa semplice normalmente i petali sono  “cinque”, ma gli stami sono  “molti”, dove  “molti” è una quantità variabile da rosa a rosa.
Tenendo presente questa differenza, possiamo ora osservare il mondo biologico e chiederci qual è il numero più grande che i processi di crescita possono trattare come struttura fissa e oltre il quale la cosa riguarda la quantità. Per quanto ne so, i 'numeri' più comuni nella simmetria delle piante e degli animali, specialmente nella simmetria radiale, sono il due, il tre, il quattro e il cinque.
Il lettore può divertirsi a raccogliere casi in natura di numeri rigidamente controllati oppure organizzati in una certa struttura formale. Sembra, per una qualche ragione, che i numeri più grandi siano limitati a successioni lineari di segmenti, come le vertebre dei mammiferi, i segmenti addominali degli insetti e la segmentazione anteriore dei lombrichi. (Dalla parte del capo la segmentazione è controllata in modo piuttosto rigido fino ai segmenti che portano gli organi genitali. Il loro numero varia da specie a specie, ma può arrivare fino a quindici. Scendendo oltre, la coda ha 'molti' segmenti). A queste osservazioni è interessante aggiungere il comune fenomeno che un organismo, una volta scelto un numero per la simmetria radiale di un qualche suo insieme di parti, ripeterà lo stesso numero in altre parti. Un giglio ha tre sepali, tre petali, sei stami e un ovario trilobato.
Ciò che pareva la bizzarria o la peculiarità di un'operazione umana - cioè che noi occidentali ricaviamo i numeri contando o riconoscendo strutture e configurazioni, mentre ricaviamo le quantità da una misurazione - sembra proprio, in fin dei conti, una sorta di verità universale. Tanto la cornacchia quanto la rosa sono costrette a mostrare che anche per loro - per la rosa nella sua anatomia e per la cornacchia nel suo comportamento (e ovviamente nelle segmentazioni delle sue vertebre) - esiste questa profonda differenza tra numeri e quantità.
Cosa significa ciò? Il problema è molto antico e risale certo a Pitagora, che si dice avesse incontrato una regolarità simile nella relazione tra le armoniche.
Per porre questi problemi possiamo servirci dell'esarettangolo discusso nel paragrafo 5. Abbiamo visto là che le componenti della descrizione potevano essere svariatissime. In quel caso sarebbe stata pura illusione attribuire a un "modo di organizzare" la descrizione una validità maggiore che a un altro. Ma per quanto riguarda le quantità e i numeri biologici sembra di essere davanti a qualcosa di più profondo. Questo caso differisce da quello dell'esarettangolo? E se sì, in che modo?
E' mia opinione che nessuno dei due casi è così banale come a prima vista potevano sembrare i problemi dell'esarettangolo. Ritorniamo alle verità eterne di sant'Agostino:  "Ascoltate le parole tonanti pronunciate da questo santo verso il 400 d.C.: 'sette più tre fa dieci; sette più tre ha sempre fatto dieci; mai e in nessun modo sette più tre ha fatto qualcosa di diverso da dieci; sette più tre farà sempre dieci".
Sostenendo l'antitesi tra numeri e quantità indubbiamente mi avvicino all'asserzione di una verità eterna, e Agostino sarebbe certo d'accordo.
Tuttavia, potremmo replicare al santo:  “Verissimo, sì. Ma è proprio questo ciò che vuoi e intendi dire? E' certamente anche vero che tre più sette fa dieci, che due più uno più sette fa dieci, che uno più uno più uno più uno più uno più uno più uno più uno più uno più uno fa dieci. In effetti, la verità eterna che tu cerchi di asserire è molto più generale e profonda del caso particolare di cui ti sei servito per esprimere quel profondo messaggio”. Ma possiamo convenire che la verità eterna, più astratta, è difficile da enunciare con precisione e senza ambiguità.
In altre parole, è possibile che dei vari modi di descrivere l'esarettangolo molti siano solo manifestazioni in superficie della stessa più profonda e più generale tautologia (considerando la geometria euclidea come un sistema tautologico).
Ritengo che sia corretto affermare non solo che le varie formulazioni descrittive dell'esarettangolo concordano alla fin fine su ciò che i descriventi credevano di vedere, ma anche che esiste un accordo su un'unica più profonda e generale tautologia nei cui termini sono organizzate le varie descrizioni.
In questo senso la distinzione tra numeri e quantità non è, credo, banale, e lo dimostra l'anatomia della rosa coi suoi  “cinque” petali e i suoi  “molti” stami, dove le virgolette indicano che i nomi dei numeri e delle quantità sono manifestazioni in superficie di idee formali immanenti nella rosa in crescita.

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