martedì 11 settembre 2012

i nove miliardi di nomi del Tao


I nove miliardi di nomi di Dio
(1953)

"Questa richiesta è un po' strana", disse il dottor Wagner atteggiandosi in modo che il suo autocontrollo apparisse credibile." Per quanto ne sappia è la prima volta che un monastero tibetano ordina un computer. Non voglio essere indiscreto, ma non avrei mai pensato che la vostra comunità potesse aver bisogno di una macchina del genere. Posso chiedervi che cosa ne volete fare?" "Volentieri", rispose il lama aggiustandosi i lembi della sua veste di seta e posando sul tavolo il regolo che aveva usato per calcolare il cambio delle valute. "Il vostro computer Mark V, può eseguire tutte le operazioni matematiche utilizzando fino a 10 decimali. Tuttavia per il nostro lavoro ci interessano le lettere, non le cifre. Vi chiederò di modificare il circuito di output in modo da stampare parole e non colonne di numeri." "Mi sembra di non afferrare bene..." "Questo è un progetto al quale stiamo lavorando da tre secoli - da quando il monastero è stato fondato. È qualcosa che in qualche modo può essere distante dal vostro modo di pensare, per questo spero che vorrete ascoltare le mie spiegazioni senza alcun pregiudizio." "D'accordo" "È abbastanza semplice. Stiamo compilando la lista che contenga tutti i possibili nomi di Dio". "Prego?" "Abbiamo buoni motivi per credere" continuò il lama imperturbabile "che tutti questi nomi possono essere scritti con non più di nove lettere del nostro alfabeto." "E avete fatto questo per tre secoli?" "Sì, avevamo calcolato che ci sarebbero stati necessari quindicimila anni per portare a termine il nostro lavoro." "Oh!" il dottor Wagner apparve confuso "adesso comprendo perché volete noleggiare una delle nostre macchine. Ma qual è esattamente lo scopo del progetto?" Per una frazione di secondo il lama esitò e Wagner temette di averlo offeso. In ogni caso nella risposta non avvertì alcun sentimento di fastidio. "Definitela una pratica rituale, se volete, ma costituisce una parte fondamentale della nostra fede. I nomi dell'Essere Supremo - Dio, Jehova, Allah, ecc. non sono altro che etichette definite dagli uomini. C'è un problema filosofico di una certa complessità, che preferirei non discutere in questa occasione, ma abbiamo la certezza che fra tutte le possibili combinazioni di lettere si trovano i veri nomi di Dio. Attraverso sistematiche permutazioni di lettere stiamo cercando di trovarli e di scriverli tutti." "Vedo. Voi avete cominciato con AAA AAA AAA e arriverete a ZZZ ZZZ ZZZ." "Esattamente, salvo che noi adoperiamo il nostro alfabeto speciale. Vi sarà certamente facile modificare la stampante in modo che usi il nostro alfabeto. Ma un problema che vi interesserà di più sarà la messa a punto di circuiti speciali che riescano a filtrare ed eliminare le combinazioni prive di significato. Per esempio, nessuna delle lettere deve apparire più di tre volte successivamente." "Tre? Siete sicuro che non sia due." "No. Tre. Ma la spiegazione completa richiederebbe troppo tempo, anche se voi foste ingrado di comprendere la nostra lingua." Wagner si affrettò a dire: "Certo, certo, continuate." "Vi sarà facile adattare il vostro computer a questo scopo. Con uno specifico programma una macchina di questo genere è in grado di permutare le lettere le une dopo le altre e stampare il risultato. Il lavoro che avrebbe richiesto quindicimila anni potrà essere portato a termine in cento giorni."
Il dottor Wagner avvertiva appena i rumori attutiti che provenivano dalle sottostanti strade di Manhattan. Egli aveva la sensazione di essere in un mondo diverso, un mondo incontaminato pieno di montagne. Lassù nel mezzo di quelle remote altitudini questi monaci tibetani, generazione dopo generazione, componevano da trecento anni la loro lista di nomi privi di senso... Non c'era dunque limite alla follia umana? Ma il dottor Wagner non doveva manifestare i suoi pensieri. Il cliente ha sempre ragione...Rispose: "Non dubito che possiamo modificare il computer Mark V in modo che stampi liste di quel genere. Mi preoccupano di più l'installazione e la manutenzione. Inoltre, di questi tempi, non sarà facile inviarla nel Tibet." "Possiamo superare questa difficoltà. I componenti sono di dimensioni sufficientemente piccole per poter essere trasportati in aereo - peraltro questa è una delle ragioni per cui abbiamo scelto la vostra macchina. Spedite i pezzi in India, ci incaricheremo noi del resto.""Desiderate assumere due dei nostri ingegneri?" "Sì, per montare e controllare la macchina durante i tre mesi di durata del progetto." "Non ho dubbi che la direzione del personale possa risolvere il problema" disse Wagner scrivendo una nota sul suo taccuino. "Ma restano da risolvere due altre questioni..." Prima che terminasse la frase, il lama tirò fuori dalla tasca un foglietto: "Questo è un documento comprovante il mio conto presso la Banca Asiatica'." "Grazie. Perfetto... Ma, se permettete, la seconda questione è così sciocca che esito a parlarne. Capita spesso che si dimentichi qualche cosa di ovvio. Che tipo di generatore di energia elettrica possedete?" "Abbiamo un generatore elettrico Diesel di 50 KW di potenza, 110 volt. È stato installato cinque anni fa e funziona bene. Ci facilita la vita, al monastero. L'abbiamo acquistato soprattutto per far girare le ruote delle preghiere." "Ah sì, certamente, avrei dovuto pensarci" fece eco il dottor Wagner.Dal parapetto la veduta faceva venire le vertigini, ma è noto che ci si abitua a tutto. Erano passati tre mesi e George Hanley non era più impressionato dai duemila piedi di strapiombo che separavano il monastero dai campi che nella pianura sembravano formare una scacchiera. Appoggiato alle pietre corrose dal vento, l'ingegnere contemplava con occhio pigro le montagne lontane, di cui non si era dato pena di conoscere il nome. Questo, pensava George, era il progetto più matto a cui aveva preso parte. "Progetto Shangri-La", l'aveva battezzato qualche collega spiritoso. Settimana dopo settimana il computer Mark V aveva coperto migliaia di fogli di parole senza senso. Paziente e inesorabile, il computer aveva disposto le lettere dell'alfabeto in tutte le possibili combinazioni, esaurendo una serie dopo l'altra. I monaci ritagliavano certe parole appena uscite dalla stampante e le incollavano in enormi registri. Entro una settimana, con la benedizione del Cielo, essi avrebbero finito. Hanley ignorava attraverso quali calcoli misteriosi essi erano arrivati alla conclusione che non occorreva studiare raggruppamenti di dieci, venti, cento lettere. Uno dei suoi incubi ricorrenti era che i piani venissero cambiati e che il gran lama (che essi avevano soprannominato Sam Jaffe, anche se non gli somigliava molto) avesse improvvisamente deciso di complicare un po' di più l'operazione e di continuare il lavoro fino all'anno 2060. Essi sarebbero stati anche capaci di farlo.George udì la pesante porta di legno sbattere al vento mentre Chuck lo raggiunse sulla terrazza. Chuck fumava, come al solito, uno di quei sigari per i quali si era reso popolare tra i lama, i quali sembravano desiderosi di godere tutti i piccoli piaceri della vita e la maggior parte di quelli grandi. C'era una cosa che li giustificava: potevano essere pazzi, però non sembravano dei puritani. Le frequenti spedizioni al villaggio non erano disinteressate..."Ascolta, George," disse Chuck con insistenza "Mi sembra che abbiamo dei problemi." "La macchina è guasta?" Questa era la peggiore eventualità che George poteva immaginare. Questo fatto poteva ritardare il loro ritorno, e niente poteva essere così orribile. In quella situazione perfino vedere degli spot commerciali in TV poteva sembrare manna dal cielo. Almeno avevano la sensazione di avere un collegamento con casa loro. "No, niente di simile" Chuck si sedette sul parapetto. Era una cosa inusuale in quanto soffriva di vertigini. "Semplicemente, ho scoperto lo scopo dell'operazione." "Ma lo sapevamo!" "Sapevamo che cosa i monaci volevano fare, ma non sapevamo perché. Si tratta di una cosa folle." "Dimmi qualcosa di nuovo" ringhiò George. "Ascolta, George, il vecchio Sam mi ha chiarito le cose. Sai che egli ogni pomeriggio va a vedere i tabulati che escono dalla stampante. Bene, stavolta mi è sembrato particolarmente eccitato. Quando gli ho detto che eravamo all'ultimo ciclo egli mi ha chiesto nel suo simpatico accento inglese, se sapevo che cosa stavano cercando di fare. Io ho risposto: "Certo!" e lui me l'ha detto. "Vai avanti!" "Bene, loro credono che quando avranno scritto tutti i Suoi nomi - che secondo loro sono circa nove miliardi - sarà raggiunto lo scopo di Dio. La razza umana avrà realizzato il compito per cui è stata creata e non ci sarà nessun motivo perché continui a vivere.Questa idea mi sembra una bestemmia." "Allora che cosa si aspettano? Il nostro suicidio?" "Non ce n'è bisogno. Quando la lista sarà terminata, Dio interverrà e sarà finita." "Adesso capisco. Quando avremo finito sarà la fine del mondo." Chuck ebbe una risatina nervosa. "È ciò che ho detto al vecchio Sam. E sai che cosa è successo? Mi ha guardato in un modo strano, come un professore guarda un allievo particolarmente stupido, e mi ha detto:"Oh! Non sarà una cosa così insignificante." George rifletté un istante."È un tipo che ha evidentemente idee larghe" disse "ma, detto questo, che cosa cambia? Sapevamo già che erano matti." "Sì. Ma non capisci che cosa può accadere? Quando la lista viene terminata e le trombedell'angelo non suonano, essi possono concludere che la colpa è nostra. Dopo tutto utilizzano la nostra macchina. Questa faccenda mi piace molto poco." "Ti seguo" disse lentamente George "ma ne ho viste altre. Quando ero ragazzo, in Louisiana, un predicatore annunciò la fine del mondo per la domenica seguente. Centinaia di tipi ci credettero. Alcuni, vendettero persino le loro case. Ma quando videro che non era successo niente non si arrabbiarono come si poteva pensare. Essi pensarono che aveva fatto male i calcoli e la maggior parte non smise di credere in lui." "Nel caso che tu non l'abbia notato, ti faccio presente che non siamo in Louisiana. Siamo soli, noi due, fra centinaia di monaci. io li adoro, ma preferirei essere altrove quando il vecchio Sam si accorgerà che l'operazione fallirà." "Sono settimane che lo desidero. Ma non possiamo fare nulla finché il contratto non scade e verranno a prelevarci per tornare a casa." "Naturalmente" disse pensosamente Chuck "potremmo tentare un piccolo sabotaggio." "Lasciamo perdere. Questo potrebbe peggiorare le cose." "Penso proprio di no. Dai un'occhiata. Lavorando ventiquattro ore al giorno, la macchina finirà le operazioni fra quattro giorni. L'aereo arriva fra una settimana. O.K. - tutto quello di cui abbiamo bisogno è trovare qualcosa che debba essere sostituito nel momento della revisione - qualcosa che sospenda il lavoro per un paio di giorni. Naturalmente metteremo tutto a posto, ma non troppo in fretta. Se calcoliamo bene il tempo, dovremmo essere all'aeroporto quando l'ultimo nome uscirà dalla macchina. A quel punto non riusciranno più a prenderci." "Non mi va" disse George "sarebbe la prima volta che diserto il lavoro. Inoltre questo tipo di comportamento li renderebbe sospettosi. Teniamoci forte e vediamo quello che succederà."Sette giorni dopo mentre i piccoli ponies di montagna scendevano per la strada a spirale, Hanley disse:"Ho un po' di rimorsi. Non scappo perché ho paura, ma perché mi dispiace. Non vorrei vedere la faccia di quelle brave persone quando la macchina si fermerà. Mi sto chiedendo come la prenderà Sam." "È buffo" rispose Chuck "ma quando lo ho salutato ha capito benissimo che noi ci mettevamo in salvo, ma la cosa per lui è indifferente perché sa che la macchina funziona in modo automatico e che il lavoro sarebbe finito presto. Dopo di che per lui non ci sarebbe stato un dopo."George si girò sulla sella e guardò indietro alla strada sulle montagne. Le costruzioni dei monasteri si stagliavano scure nel sole al tramonto. Piccole luci brillavano di quando in quando come gli oblò sul fianco di un transatlantico. Erano naturalmente delle lampade elettriche attaccate agli stessi circuiti del computer Mark V. Che cosa sarebbe capitato al computer? S’interrogò George. I monaci l'avrebbero distrutta nella loro ira e nel loro disappunto? o magari si sarebbero seduti quietamente e avrebbero ricominciato da capo i loro calcoli? Sapeva esattamente che cosa accadeva in ogni momento sulla montagna, dietro la muraglia. Il gran lama e i suoi assistenti, seduti e con i loro vestiti di seta, esaminavano i fogli, mentre alcuni novizi li ritagliavano dopo averli prelevati dalla stampante e li incollavano sull'enorme registro. Nessuno parlava. Non si sentiva altro che il rumore della stampante, dal momento che il computer Mark V lavorava in perfetto silenzio mentre elaborava migliaia di calcoli al secondo. Tre mesi di quella vita, pensava George, erano sufficienti per far impazzire chiunque. "Eccolo!" urlò Chuck indicando un punto giù nella valle "ed è davvero splendido." Era davvero splendido, pensò George. Simile a una minuscola croce d'argento il vecchio aereo da trasporto DC3 si era posato laggiù sul piccolo aeroporto. In due ore li avrebbe portati via verso la libertà e la salvezza. Questo pensiero aveva lo stesso sapore di un liquore pregiato. Chuck cullò questo pensiero mentre il pony scendeva pazientemente la china. Cominciavano a scendere le tenebre sulle alte cime dell'Himalaya. Fortunatamente la strada era buona, come lo può essere una strada in quelle regioni, ed entrambi avevano delle torce. Non si profilava alcun pericolo, solo un po' di disagio a causa del freddo pungente. Il cielo sopra di loro era perfettamente chiaro ed illuminato dalle stelle amiche.Almeno non si sarebbe corso il rischio che il pilota non riuscisse ad effettuare il decollo a causa delle condizioni del tempo, pensò George. Era l'unico pensiero che lo assillava.Cominciò a cantare, ma dopo un po' s’interruppe. Questa vasta arena di montagne che brillavano come dei fantasmi incappucciati non incoraggiava il suo entusiasmo.
George diede un'occhiata all'orologio."Dovremmo esserci fra un'ora" disse a Chuck che lo seguiva. Poi aggiunse: "Credi che il computer abbia finito i calcoli? Mi sembra che doveva essere verso quest'ora." Chuck non rispose, e George si girò sulla sella. Vide la faccia di Chuck pallida e rivoltaverso il cielo. "Guarda" mormorò Chuck. A sua volta George alzò gli occhi verso il cielo. (C'è sempre un'ultima volta per tutte le cose).
Sopra di essi, silenziosamente, le stelle, a una a una, si stavano spegnendo.

(traduzione dall’inglese di Giovanni Martini)

stati del Tao


Lo studio della coscienza, in particolare dei vari stati (d-SoC: Stato di Coscienza discreto, b-SoC: Stato di Coscienza di base, d-ASC: Stato Alterato di Coscienza discreto) che la coscienza individuale può assumere in diverse condizioni, è stato condotto da Charles T. Tart a partire dalla fine degli anni 60, con una metodologia sperimentale ed un'interpretazione sistemico-complessa.

The Systems Approach to States of Consciousness

There is a great elegance in starting out from simple ideas, slowly building them up into connected patterns, and having a complex, interlocking theoretical structure emerge at the end. Following the weaving of such a pattern, step by step, can be highly stimulating. Unfortunately, it is easy to get bogged down in the details, especially when the pattern has gaps to be filled in, and to lose track of what the steps are all about and what they are leading toward. This chapter gives a brief overview of my systems approach to state of consciousness—a brief sketch map of the whole territory to provide a general orientation before we look at detail maps. I do not define terms much here or give detailed examples, as these are supplied in later chapters. Our ordinary state of consciousness is not something natural or given, but a highly complex construction, a specialized tool for coping with our environment and the people in it, a tool that is useful for doing some things but not very useful, and even dangerous, for doing other things. As we look at consciousness closely, we see that it can be analyzed into many parts. Yet these parts function together in a pattern: they form a system. While the components of consciousness can be studied in isolation, they exist as parts of a complex system, consciousness, and can be fully understood only when we see this function in the overall system. Similarly, understanding the complexity of consciousness requires seeing it as a system and understanding the parts. For this reason, I refer to my approach to states of consciousness as a system approach.
To understand the constructed system we call a state of consciousness, we begin with some theoretical postulates based on human experience. The first postulate is the existence of a basic awareness. Because some volitional control of the focus of awareness is possible, we generally refer to it as attention/awareness. We must also recognize the existence of self-awareness, the awareness of being aware. Further basic postulates deal with structures, those relatively permanent structures/functions/subsystems of the mind/brain that act on information to transform it in various ways. Arithmetical skills, for example, constitute a (set of related) structure(s). The structures of particular interest to us are those that require some amount of attention/awareness to activate them. Attention/awareness acts as psychological energy in this sense. Most techniques for controlling the mind are ways of deploying attention/awareness energy and other kinds of energies so as to activate desired structures (traits, skills, attitudes) and deactivate undesired structures. Psychological structures have individual characteristics that limit and shape the ways in which they can interact with one another. Thus the possibilities of any system built of psychological structures are shaped and limited both by the deployment of attention/awareness and other energies and by the characteristics of the structures comprising the system. The human biocomputer, in other words, has a large but limited number of possible modes of functioning.
Because we are creatures with a certain kind of body and nervous system, a large number of human potentials are in principle available to use. but each of us is born into a particular culture that selects and develops a small number of these potentials, rejects others, and is ignorant of many. The small number of experiential potentials selected by our culture, plus some random factors, constitute the structural elements from which our ordinary state of consciousness is constructed. We are at once the beneficiaries and the victims of our culture's particular selection. The possibility of tapping and developing latent potentials, which lie outside the cultural norm, by entering an altered state of consciousness, by temporarily restructuring consciousness, is the basis of the great interest in such states. The terms states of consciousness and altered state of consciousness have come to be used too loosely, to mean whatever is on one's mind at the moment. The new term discrete state of consciousness (d-SoC) is proposed for greater precision. A d-SoC is a unique, dynamic pattern or configuration of psychological structures, an active system of psychological subsystems. Although the component structures/subsystems show some variation within a d-SoC, the overall pattern, the overall system properties remain recognizably the same. If, as you sit reading, you think, "I am dreaming," instead of "I am awake," you have changed a small cognitive element in your consciousness but not affected at all the basic pattern we call your waking state. In spite of subsystem variation and environmental variation, a d-SoC is stabilized by a number of processes so that it retains its identity and function. By analogy, an automobile remains an automobile whether on a road or in a garage (environment change), whether you change the brand of spark plugs or the color of the seat covers (internal variation). Examples of d-SoCs are the ordinary waking state, nondreaming sleep, dreaming sleep, hypnosis, alcohol intoxication, marijuana intoxication, and meditative states. A discrete altered state of consciousness (d-ASC) refers to a d-SoC that is different from some baseline state of consciousness (b-SoC). Usually the ordinary state is taken as the baseline state. A d-ASC is a new system with unique properties of its own, a restructuring of consciousness. Altered is intended as a purely descriptive term, carrying no values. A d-SoC is stabilized by four kinds of processes:
(1) loading stabilization—keeping attention/awareness and other psychological energies deployed in habitual, desired structures by loading the person's system heavily with appropriate tasks; (2) negative feedback stabilization—correcting the functioning of erring structures/subsystems when they deviate too far from the normal range that ensures stability; (3) positive feedback stabilization—strengthening activity and/or providing rewarding experiences when structure/subsystems are functioning within desired limits; and (4) limiting stabilization—restricting the range of functioning of structures/subsystems whose intense operation would destabilize the system.
In terms of current psychological knowledge, ten major subsystems (collections of related structures) that show important variations over known d-ASCs need to be distinguished: (1) Exteroception—sensing the external environment; (2) Interoception—sensing what the body is feeling and doing; (3) Input-Processing—automated selecting and abstracting of sensory input so we perceive only what is "important" by personal and cultural (consensus reality) standards; (4) Memory; (5) Subconscious—the classical Freudian unconscious plus many other psychological processes that go on outside our ordinary d-SoC, but that may become directly conscious in various d-ASCs: (6) Emotions; (7) Evaluation and Decision-Making—our cognitive evaluating skills and habits; (8) Space/Time Sense—the construction of psychological space and time and the placing of events within it; (9) Sense of Identity—the quality added to experience the makes it a personal experience instead of just information; and (10) Motor Output—muscular and glandular outputs to the external world and the body.
These subsystems are not ultimates, but convenient categories to organize current knowledge. Our current knowledge of human consciousness and d-SoCs is highly fragmented and chaotic. The main purpose of the systems approach presented here is organizational: it allows us to relate what were formerly disparate bits of data and supplies numerous methodological consequences for guiding future research. It makes the general prediction that the number of d-SoCs available to human beings is definitely limited, although we do not yet know those limits. It further provides a paradigm for making more specific predictions that will sharpen our knowledge about the structures and subsystems that make up human consciousness. There are enormously important individual differences in the structure of the d-SoCs. If we map the experiential space in which two people function, one person may show two discrete, separated clusters of experiential functioning (two d-SoCs), while the other may show continuous functioning throughout both regions and the connecting regions of experiential space. The first person must make a special effort to travel from one region of experiential space (one d-SoC) to the other; the second makes no special effort and does not experience the contrast of pattern and structure differences associated with the two regions (the two d-SoCs). Thus what is a special state of consciousness for one person may be an everyday experience for another. Great confusion results if we do not watch for these differences: unfortunately, many widely used experimental procedures are not sensitive to these important individual differences. Induction of a d-ASC involves two basic operations that, if successful, lead to the d-ASC from the b-SoC. First, we apply disrupting forces to the b-SoC—psychological and/or physiological actions that disrupt the stabilization processes discussed above either by interfering with them or by withdrawing attention/awareness energy or other kinds of energies from them. Because a d-SoC is a complex system, with multiple stabilization processes operating simultaneously, induction may not work. A psychedelic drug, for example, may not produce a d-ASC because psychological stabilization processes hold the b-SoC stable in spite of the disrupting action of the drug on a physiological level. If induction is proceeding successfully, the disrupting forces push various structures/subsystems to their limits of stable functioning and then beyond, destroying the integrity of the system and disrupting the stability of the b-SoC as a system. Then, in the second part of the induction process, we apply patterning forces during this transitional, disorganized period — psychological and/or physiological actions that pattern structures/subsystems into a new system, the desired d-ASC. The new system, the d-ASC, must develop its own stabilization processes if it is to last. Deinduction, return to the b-SoC, is the same process as induction. The d-ASC is disrupted, a transitional period occurs, and the b-SoC is reconstructed by patterning forces. The subject transits back to his customary region of experiential space. Psychedelic drugs like marijuana or LSD do not have invariant psychological effects, even though much misguided research assumes they do. In the present approach, such drugs are disrupting and patterning forces whose effects occur in combination with other psychological factors, all mediated by the operating d-SoC. Consider the so-called reverse tolerance effect of marijuana that allows new users to consume very large quantities of the drug with no feeling of being stoned (in a d-ASC), but later to use much smaller quantities of marijuana to achieve the d-ASC. This is not paradoxical in the systems approach, even though it is paradoxical in the standard pharmacological approach. The physiological action of the marijuana is not sufficient to disrupt the ordinary d-SoC until additional psychological factors disrupt enough of the stabilization processes of the b-SoC to allow transition to the d-ASC. These additional psychological forces are usually "a little help from my friends," the instructions for deployment of attention/awareness energy given by experienced users who know what functioning in the d-ASC of marijuana intoxication is like. These instructions also serve as patterning forces to shape the d-ASC, to teach the new user how to employ the physiological effects of the drug to form a new system of consciousness. This book also discusses methodological problems in research from the point of view of the systems approach: for example, the way in which experiential observations of consciousness and transitions from one d-SoC to another can be made and the shifts in research strategies that this approach calls for. The systems approach can also be applied within the ordinary d-SoC to deal with identity states, those rapid shifts in the central core of a person's identity and concerns that are overlooked for many reasons, and emotional states. Similarly the systems approach indicates that latent human potential can be developed and used in various d-ASCs, so that learning to shift into the d-ASC appropriate for dealing with a particular problem is part of psychological growth. At the opposite extreme, certain kinds of psychopathology, such as multiple personality, can be treat as d-ASCs. One of the most important consequences of the systems approach is the deduction that we need to develop state-specific sciences. Insofar as a "normal" d-SoC is a semi-arbitrary way of structuring consciousness, a way that loses some human potentials while developing others, the sciences we have developed are one-state sciences. They are limited in important ways. Our ordinary sciences have been very successful in dealing with the physical world, but not very successful in dealing with particularly human psychological problems. If we apply scientific method to developing sciences within various d-ASCs, we can evolve sciences based on radically different perceptions, logics, and communications, and so gain new views complementary to our current ones. The search for new views, new ways of coping, through the experience of d-ASCs is hardly limited to science. It is a major basis for our culture's romance with drugs, meditation, Eastern religions, and the like. But infatuation with a new view, a new d-SoC, tends to make us forget that any d-SoC is a limited construction. There is a price to be paid for everything we get. It is vital for us to develop sciences of this powerful, life-changing area of d-ASCs if we are to optimize benefits from the growing use of them and avoid the dangers of ignorant of superstitious tampering with the basic structure of consciousness.

900 Tao


mercoledì 5 settembre 2012

a lezione di Tao


Para mi solo recorrer los caminos que tienen corazón,
cualquier camino que tenga corazón.
Por ahí yo recorro, y la única prueba
que vale es atraversar todo su largo.
Y por ahí yo recorro mirando, mirando, sin aliento.


Per me esiste solo il cammino lungo sentieri
che hanno un cuore,

lungo qualsiasi sentieroche abbia un cuore.
Lungo questo io cammino,
e la sola prova che vale
è attraversarlo in tutta la sua lunghezza.
E qui io cammino guardando, guardando, senza fiato.
Don Juan

... non si può tentare nulla di più
se non stabilire il principio e la direzione di una
strada infinitamente lunga.

La presunzione di qualsiasi completezza sistematica e definitiva
sarebbe, come minimo, un'illusione.

La perfezione può essere qui ottenuta dal
singolo studioso solo nel senso soggettivo in
cui egli comunichi tutto ciò
che è stato capace di vedere.

Nel 1968 la University of California Press pubblicò un libro intitolato "The teachings of Don Juan: a Yaqui way of knowledge", basato sulla tesi di Dottorato di uno studente di antropologia dell'UCLA, Carlos Castaneda.
 

















Dall'introduzione di Walter Goldschmidt,
per lungo tempo professore di antropologia  all'UCLA:
"L'antropologia ci ha insegnato che il mondo è definito differentemente a seconda dei differenti luoghi. Non è soltanto che le persone credono in differenti divinità e si aspettano differenti destini post-mortem. È, piuttosto, che i mondi delle differenti persone hanno forme differenti. Differiscono i presupposti metafisici stessi: lo spazio non si conforma alla geometria euclidea, il tempo non scorre in continuo e unidirezionalmente, la causazione non si conforma alla logica aristotelica, l'uomo non è differenziato dal non-uomo o la vita dalla morte, come nel nostro mondo. Della forma di questi altri mondi sappiamo qualcosa dalla logica dei linguaggi indigeni, dai miti e dalle cerimonie, come ci documentano gli antropologi. Don Juan ci ha fatto intravedere il mondo di uno stregone Yaqui, e poiché lo vediamo sotto l'influsso di sostanze allucinogene, lo apprendiamo con una realtà che è totalmente diversa da quelle altre fonti. In ciò consiste lo speciale valore di questo libro.
Castaneda afferma giustamente che tale mondo, in virtù di tutte le sue differenze di percezione, ha la sua propria logica interna. Ha cercato di spiegarla dall'interno, per così dire — dal di dentro delle sue esperienze ricche e personali sotto la tutela di don Juan — piuttosto che esaminarla in termini della nostra logica. Il fatto che egli non possa riuscirvi pienamente è dovuto, più che a una sua limitazione personale, a una limitazione che la nostra cultura e il nostro linguaggio pongono alla percezione; tuttavia, nei suoi sforzi, Castaneda collega per noi il mondo di uno stregone Yaqui con il nostro, il mondo della realtà non-ordinaria con quello della realtà ordinaria.

L'importanza fondamentale dell'entrare in mondi diversi dal nostro — e quindi dell'antropologia stessa — sta nel fatto che l'esperienza ci porta a comprendere che il nostro mondo è anch'esso un costrutto culturale. Conoscendo altri mondi, quindi, vediamo il nostro per quello che è, e siamo perciò in grado anche di vedere di sfuggita ciò a cui deve in effetti assomigliare il vero mondo, il mondo tra il nostro costrutto culturale e  quegli altri mondi. Di qui l'allegoria, così come l'etnografia. La saggezza e la poesia di don Juan unite all'abilità e alla poesia del suo scrivano ci danno una visione sia di noi stessi che della realtà. Come in tutte le buone allegorie, ciò che si vede è nello spettatore, e non ha bisogno di commento.
Le interviste di Carlos Castaneda con don Juan ebbero inizio quando il primo era studente di antropologia all'Università di California, Los Angeles. Siamo grati all'autore per la pazienza, il coraggio, e la perspicacia di cui ha dato prova nel cercare e nell'affrontare la sfida del suo duplice noviziato, e per averci riferito i particolari delle sue esperienze. In questo lavoro Castaneda dimostra l'abilità essenziale del buon etnografo: la capacità di entrare in un mondo estraneo. Credo che abbia scoperto un sentiero che ha un cuore."
Le circostanze che condussero Castaneda al suo incontro ed alle sue "ricerche sul campo" con Don Juan Matus sono descritte nell'introduzione al libro:
"Nell'estate del 1960, quando studiavo antropologia all'Università di California, Los Angeles, feci alcuni viaggi nel Sud-Ovest per raccogliere informazioni sulle piante medicinali usate dagli indiani della zona. Gli avvenimenti qui descritti ebbero inizio durante uno dei miei viaggi. Ero in una cittadina di confine in attesa di un autobus della Greyhound, e chiacchieravo con un amico che mi aveva fatto da guida e da assistente nella mia ricerca. A un tratto questi si chinò verso di me e mi sussurrò che l'uomo seduto davanti alla finestra, un vecchio indiano dai capelli bianchi, sapeva molte cose sulle piante, specialmente sul peyote. Gli domandai allora di presentarmi a quell’uomo.
Il mio amico lo salutò, poi andò a stringergli la mano. Dopo che ebbero parlato per un po' mi fece cenno di unirmi a loro, ma subito mi lasciò solo col vecchio senza nemmeno curarsi di presentarci. Questi non era minimamente imbarazzato. Gli dissi il mio nome e lui disse di chiamarsi Juan e di essere al mio servizio. Parlava usando la cortese formula spagnola. Ci stringemmo la mano per mia iniziativa, quindi restammo in silenzio per un certo tempo. Non era un silenzio teso, ma una quiete, naturale e rilassata da entrambe le parti. Sebbene il viso e il collo abbronzati e rugosi rivelassero la sua età, mi colpì il fatto che il suo corpo fosse agile e muscoloso.
Dissi quindi che ero interessato a ottenere informazioni sulle piante medicinali. Sebbene in verità non sapessi quasi nulla del peyote, mi sorpresi a fingere di saperne molto, e addirittura a suggerire che parlare con me gli sarebbe stato utile. Mentre continuavo a dire stupidaggini egli annui lentamente e mi guardò, ma non disse nulla. Evitai i suoi occhi e  finimmo col rimanere, entrambi, in un silenzio morto. Alla fine, dopo un tempo che mi era parso lunghissimo, don Juan si alzò e guardò dalla finestra. Il suo autobus era arrivato. Salutò e lasciò la stazione.
Ero seccato per avergli detto delle sciocchezze, e per essere stato scrutato da quegli occhi singolari. Al suo ritorno il mio amico cercò di consolarmi per non essere riuscito a imparare nulla da don Juan. Spiegò che il vecchio era spesso silenzioso e vago, ma lo spiacevole effetto di questo primo incontro non si cancellò tanto facilmente.
Presi la risoluzione di scoprire dove don Juan abitava, e in seguito andai molte volte a fargli visita. Ogni volta cercavo di indurlo a parlare del peyote, ma senza successo. Ciò nonostante diventammo ottimi amici, e la mia indagine scientifica fu dimenticata, o per lo meno diretta in canali lontanissimi dalla mia intenzione originale.
L'amico che mi aveva presentato a don Juan spiegò più tardi che il vecchio non era originario dell'Arizona, dove ci eravamo incontrati, ma era un indiano Yaqui di Sonora, nel Messico.
Da principio vidi don Juan semplicemente come un uomo piuttosto singolare, che sapeva un mucchio di cose sul peyote e che parlava spagnolo notevolmente bene. Ma la gente con cui viveva credeva che avesse una qualche specie di ‘conoscenza segreta’, che fosse un ‘brujo’. Il termine spagnolo brujo significa mago, guaritore, stregone. Significa essenzialmente una persona dotata di poteri straordinari e di solito malvagi.
Conoscevo don Juan da un anno intero prima che mi prendesse in confidenza. Un giorno mi spiegò di possedere una certa conoscenza che aveva appreso da un maestro, un ‘benefattore’, come lo chiamava, che lo aveva diretto in una specie di noviziato. A sua volta don Juan aveva scelto me per fungere da suo novizio, ma mi avvertì che avrei dovuto assumermi un gravissimo impegno e che l'addestramento era lungo e arduo.
Descrivendo il suo maestro, don Juan usò la parola ‘diablero’. Più tardi imparai che diablero è un termine usato solo dagli indiani di Sonora. Significa una persona malvagia che pratica la magia nera ed è capace di trasformarsi in un animale: un uccello, un cane, un coyote o qualsiasi altra creatura.

...
Sebbene don Juan definisse il suo benefattore come un diablero, non menzionò mai il luogo dove aveva acquistato la sua conoscenza, né identificò il suo maestro. In effetti don Juan rivelò pochissimo della sua vita personale. Tutto quello che disse fu di essere nato nel Sud-Ovest nel 1891; di aver passato quasi tutta la sua vita in Messico; che nel 1900 la sua famiglia fu mandata in esilio dal governo messicano nel Messico centrale insieme con migliaia di altri indiani di Sonora; e di aver vissuto nel Messico centrale e meridionale fino al 1940. Così, poiché don Juan aveva viaggiato moltissimo, la sua conoscenza può essere stata il prodotto di molte influenze. E per quanto si considerasse un indiano di Sonora, non me la sento di situare con sicurezza il contesto della sua conoscenza totalmente nella cultura degli indiani di Sonora. Ma non intendo qui determinare il suo preciso milieu culturale.
Cominciai il mio noviziato sotto don Juan nel giugno 1961. Prima di allora lo avevo visto in varie occasioni, ma sempre osservandolo con l'occhio dell'antropologo. Durante quelle prime conversazioni presi degli appunti di nascosto. Più tardi, basandomi sulla mia memoria, ricostruivo tutta la conversazione. Quando cominciai a partecipare in qualità di novizio, tuttavia, quel metodo di prendere appunti diventò molto difficile, perché le nostre conversazioni toccavano argomenti molto disparati. Allora don Juan mi permise — pur se dopo molte proteste — di annotare palesemente tutto quello che veniva detto. Mi sarebbe piaciuto prendere delle fotografie e fare delle registrazioni su nastro, ma non mi avrebbe permesso di farlo.
Compii il mio noviziato prima in Arizona e poi a Sonora, perché don Juan si spostò in Messico nel corso del mio addestramento. Il procedimento che seguii consisté nell'andare ogni tanto a fargli visita per qualche giorno. Le mie visite diventarono sempre più frequenti e si protrassero più a lungo durante i mesi estivi del 1961, 1962, 1963 e 1964. Ripensandoci, credo che questo metodo di condurre il noviziato impedisse che l'addestramento fosse efficace, perché ritardava l'avvento del pieno impegno di cui abbisognavo per diventare uno stregone. Ma il metodo fu benefico dal mio punto di vista personale in quanto mi consentiva un minimo di distacco che sarebbe stato impossibile da raggiungere se avessi partecipato continuamente, senza interruzione. Nel settembre 1965 misi volontariamente fine al noviziato.
Alcuni mesi dopo aver interrotto il mio noviziato considerai per la prima volta l'idea di disporre sistematicamente gli appunti presi sul campo. Poiché i dati che avevo raccolto erano molto voluminosi, e includevano anche informazioni di vario genere, cominciai col cercare di stabilire un sistema di classificazione. Divisi i dati in settori di concetti e procedimenti affini, e disposi i settori gerarchicamente a seconda dell'importanza soggettiva: in termini, cioè, dell'effetto che ciascuno di essi aveva prodotto su di me. In tal modo arrivai alla seguente classificazione: uso di piante allucinogene; procedimenti e formule usati nella stregoneria; acquisizione e manipolazione degli oggetti dotati di potere; uso delle piante medicinali; canti e leggende.
Riflettendo sui fenomeni che avevo esperimentato mi resi conto che il mio tentativo di classificazione non aveva prodotto niente più che un inventario di categorie; qualsiasi tentativo di perfezionare il mio schema avrebbe quindi prodotto solo un inventario più complesso. Non era quello che volevo. Durante i mesi che seguirono l'interruzione del noviziato dovetti comprendere quello che avevo sperimentato, e quello che avevo sperimentato era l'insegnamento di un sistema organico di credenze per mezzo di un metodo pragmatico ed empirico. Fin dalla primissima seduta a cui avevo partecipato mi era stato evidente che gli insegnamenti di don Juan possedevano una coesione interna. Una volta che aveva deciso di comunicarmi la sua conoscenza, aveva proceduto a presentare le spiegazioni secondo passi ordinati. Scoprire e comprendere tale ordine si dimostrò per me un compito difficilissimo.
La mia incapacità di arrivare a una comprensione sembra dovuta al fatto che, dopo quattro anni di noviziato, ero ancora un principiante. Era chiaro che la conoscenza di don Juan e il suo metodo di trasmetterla erano i medesimi del suo benefattore; quindi le mie difficoltà nel comprendere i suoi insegnamenti devono essere state analoghe a quelle che egli stesso aveva incontrate. Don Juan alludeva alla nostra rassomiglianza in quanto principianti attraverso commenti casuali sulla sua incapacità di comprendere il maestro durante il noviziato. Tali osservazioni mi indussero a credere che per qualsiasi principiante, indiano o no, la conoscenza della stregoneria era resa incomprensibile dalle strane caratteristiche dei fenomeni che esperimentava. Personalmente, in quanto occidentale, trovai queste caratteristiche così bizzarre che mi fu praticamente impossibile spiegarle in termini della mia vita quotidiana, e fui costretto a concludere che qualsiasi tentativo di classificare i miei appunti in termini della mia esperienza sarebbe stato futile.
Mi fu quindi ovvio che la conoscenza di don Juan doveva essere esaminata nei termini in cui lui stesso la intendeva; solo così sarebbe diventata evidente e convincente. Nel tentativo di conciliare i miei punti di vista con quelli di don Juan, tuttavia, mi resi conto che ogni qual volta cercava di spiegarmi la sua conoscenza, usava concetti che l'avrebbero resa 'intelligibile' a lui. Poiché questi concetti mi erano estranei, cercare di comprendere la sua conoscenza nella maniera da lui seguita mi metteva in un'altra posizione insostenibile. Quindi il mio primo compito consisté nel determinare il suo ordine di concettualizzazione. Mentre lavoravo in quella direzione mi accorsi che don Juan stesso aveva dato un particolare risalto a una certa parte dei suoi insegnamenti: specificamente, gli usi delle piante allucinogene. Su questa base rividi il mio schema di categorie.
Don Juan usò, separatamente e in differenti occasioni, tre piante allucinogene: peyote (Lophophora williamsii), erba del diavolo (Datura inoxia sin. D. meteloides), e un fungo (forse Psilocybe mexicana). Gli indiani d'America conoscevano le proprietà allucinogene di queste tre piante fin da prima dei loro contatti con gli europei. A causa delle loro proprietà le piante erano state largamente impiegate per ritrarne piacere, per curare, per la stregoneria, e per ottenere uno stato di estasi. Nello specifico contesto dei suoi insegnamenti don Juan collegava l'uso della Datura inoxia e della Psilocybe mexicana con l'acquisizione di potere, un potere a cui dava il nome di 'alleato'. Collegava l'uso della Lophophora williamsii con l'acquisizione della saggezza, o la conoscenza della giusta strada da seguire.
L'importanza delle piante consisteva, per don Juan, nella loro capacità di produrre in un essere umano degli stadi di una particolare percezione. Mi fece quindi sperimentare una successione di questi stadi al fine di rivelare e confermare la sua conoscenza. Li ho chiamati "stati di realtà non ordinaria", intendendo realtà insolita in quanto opposta alla realtà ordinaria della vita quotidiana. Questa distinzione è basata sul significato intrinseco degli stati di realtà non ordinaria. Nel contesto della conoscenza di don Juan erano considerati come reali, sebbene la loro realtà fosse differenziata dalla realtà ordinaria.
Don Juan credeva che gli stati di realtà non ordinaria fossero la sola forma di apprendimento pragmatico e il solo mezzo per acquisire il potere. Dava l'impressione che le altre parti dei suoi insegnamenti non fossero fondamentali per l'acquisizione del potere. L'atteggiamento di don Juan nei confronti di tutto ciò che non era direttamente connesso con gli stati di realtà non ordinaria era permeato da questa concezione. Tutti i miei appunti sono cosparsi di annotazioni sul punto di vista di don Juan.
...
Nel sistema di don Juan l'acquisizione di un alleato significava esclusivamente lo sfruttamento degli stati di realtà non ordinaria che produceva in me attraverso l'uso delle piante allucinogene. Credeva che concentrandomi su tali stati e omettendo altri aspetti delle nozioni che mi insegnava sarei arrivato a una visione organica dei fenomeni che avevo sperimentato.
In conseguenza ho diviso questo libro in due parti. Nella prima parte presento una scelta dai miei appunti presi sul campo che trattano degli stati di realtà non ordinaria da me sperimentati durante il noviziato. Non sempre gli appunti sono in ordine cronologico perché ho dovuto adattarli alla continuità della narrazione. Non ho mai trascritto la mia descrizione di uno stato di realtà non ordinaria fino a molti giorni dopo averlo sperimentato, aspettando fino a che fossi in grado di analizzarlo con calma e oggettività. Le mie conversazioni con don Juan, tuttavia, sono state trascritte man mano che avevano luogo, immediatamente dopo ciascuno stato di realtà non ordinaria. I miei resoconti di tali conversazioni, quindi, sono stati fatti talvolta prima della piena descrizione di un'esperienza.
Gli appunti presi sul campo rivelano la versione soggettiva di quello che ho percepito mentre subivo l'esperienza. Tale versione è qui presentata proprio come l'ho narrata a don Juan, il quale richiedeva un ricordo completo e fedele di ciascun dettaglio e un racconto completo di ciascuna esperienza. Al momento di trascrivere queste esperienze, ho aggiunto dei dettagli incidentali nel tentativo di cogliere tutta l'atmosfera di ciascuno stato di realtà non ordinaria. Ho voluto descrivere più completamente possibile l'impressione emotiva che ho ricevuto.
I miei appunti rivelano anche il contenuto del sistema di credenze di don Juan. Ho condensato lunghe pagine di domande e risposte tra don Juan e me allo scopo di evitare di riprodurre il carattere ripetitivo della conversazione. Ma poiché voglio anche riflettere accuratamente l'atmosfera totale dei nostri scambi, ho cancellato solo quei dialoghi che non contribuirono alla mia comprensione della sua conoscenza. Le informazioni datemi da don Juan sulla sua conoscenza erano sempre sporadiche, e ogni apertura da parte sua corrispondeva a ore di sondaggi da parte mia. Ciò nonostante, le occasioni in cui espose liberamente la sua conoscenza furono innumerevoli.
Nella seconda parte di questo libro presento un'analisi strutturale tratta esclusivamente dai dati riportati nella prima parte. Attraverso la mia analisi ho cercato di sostenere le seguenti affermazioni: 1) don Juan presentava i suoi insegnamenti come un sistema di pensiero logico; 2) il sistema aveva un significato solo se analizzato alla luce delle sue unità strutturali; e 3) il sistema era escogitato per guidare un novizio a un livello di concettualizzazione che spiegava l'ordine dei fenomeni che aveva sperimentato."
Al seguito del primo libro Castaneda pubblicò nel 1971 e 1972 altri due libri direttamente collegati alle esperienze avute nei primi anni di frequentazione con Don Juan:


















per concludere nel 1974 con quello che si può considerare il "primo ciclo" di testimonianze:


















Dal 1977 al 1999 Castaneda pubblicò altri sei libri. Tutti, venduti in decine di milioni di copie e in numerose traduzioni, ebbero risonanza mondiale. Le sue origini, ritenute peruviane, sono incerte, così come la sua data di nascita molto particolare, il 25 Dicembre 1925. Il 27 Aprile 1998 la società incaricata di rappresentarlo comunicò l'avvenuta morte. Non ci furono funerali pubblici, il corpo si ritiene che fu cremato e le ceneri inviate in Messico.

La questione comune che i racconti di Castaneda posero, e pongono tuttora, è se sono da considerare "veri" o "falsi". Il problema fu anche per gli editori, che in generale per i primi libri non misero etichette, ma che dal quarto in poi furono catalogati come "romanzi".

Un approccio possibile alla questione è esemplificato da Bradford Keeney, che al tempo tenne alcune lezioni su Castaneda in un college del MidWest.
Nella prima lezione introdusse i racconti di Castaneda e presentò una serie di materiali che ne "dimostravano" la veridicità, portando diverse "prove" della loro autenticità, quali il conseguimento del PhD in antropologia all'UCLA e diverse altre esperienze narrate da altri autori in precedenza. Gli studenti lasciarono l'aula stupefatti dall'esistenza di un mondo in cui ci si può trasformare in un corvo e volare, essere contemporaneamente in due luoghi, "parlare" con un coyote e "catturare" gli "spiriti".
Nella seconda Keeney si scusò per quanto aveva detto, dicendo che aveva giocato di proposito uno scherzo agli studenti per dimostrare come con quanta facilità si possa portare a credere a delle argomentazioni irrazionali rivestendole di "autorità"; allo stesso modo portò altrettante "prove" della falsità dell'autore, mettendo in evidenza come fosse facile ingannare il pubblico e fargli credere come "reali" le fantasie più inverosimili. La classe discusse di come fosse stata ingannata e di come si era creata l'autenticità di queste storie.
Nella terza lezione Keeney si scusò di nuovo per averli ingannati esponendo argomenti unilaterali sia a favore che contro l'autenticità dei racconti. A questo punto la classe era pronta per poter formulare interrogativi più profondi: "che criteri usare in un particolare contesto per poter distinguere il reale dalla finzione?", "la dicotomia tra cosa è romanzo e cosa non è lo è sorge da una determinata concezione del mondo?", "fino a che punto il reale è reale?". Secondo Keeney il valore dell'opera di Castaneda è nel mettere in discussione qualsiasi pretesa di "realismo ingenuo" e di chiedersi come partecipiamo alla costruzione di questo "mondo di esperienza".
La difficoltà di comprensione delle pratiche e dei loro effetti che Don Juan tentava di insegnare fu chiaro anche allo stesso Castaneda dopo alcuni anni di esperienza in questo mondo:
"La mia incapacità di arrivare a una comprensione sembra dovuta al fatto che, dopo quattro anni di noviziato, ero ancora un principiante. Era chiaro che la conoscenza di don Juan e il suo metodo di trasmetterla erano i medesimi del suo benefattore; quindi le mie difficoltà nel comprendere i suoi insegnamenti devono essere state analoghe a quelle che egli stesso aveva incontrate. Don Juan alludeva alla nostra rassomiglianza in quanto principianti attraverso commenti casuali sulla sua incapacità di comprendere il maestro durante il noviziato. Tali osservazioni mi indussero a credere che per qualsiasi principiante, indiano o no, la conoscenza della stregoneria era resa incomprensibile dalle strane caratteristiche dei fenomeni che esperimentava. Personalmente, in quanto occidentale, trovai queste caratteristiche così bizzarre che mi fu praticamente impossibile spiegarle in termini della mia vita quotidiana, e fui costretto a concludere che qualsiasi tentativo di classificare i miei appunti in termini della mia esperienza sarebbe stato futile.
Mi fu quindi ovvio che la conoscenza di don Juan doveva essere esaminata nei termini in cui lui stesso la intendeva; solo così sarebbe diventata evidente e convincente."
La radicale differenza di ordine logico, fisico, concettuale delle esperienze incomprensibili e inconoscibili riportate da Castaneda può essere esemplificata da una tra le molte raccontate: durante un rituale guidato e sotto l'influsso del peyote (uno tra gli allucinogeni più potenti e - in linea di principo - praticamente mortale), Castaneda vive l'esperienza cosciente di trasformarsi in un corvo e di volare. Nell'interpretazione scientifica questo è del tutto normale e accettabile: sotto l'influsso di allucinogeni estremamente potenti la coscienza si altera e si hanno visioni estremamente lucide ed allucinate, mentre dal punto di vista corporeo-materiale si osserva una persona che dorme mentre ha un sogno (o un incubo). La radicale differenza è che Castaneda afferma che il suo corpo si è trasformato effettivamente in un corvo e ha volato, una dichiarazione inaccettabile sotto qualsiasi punto di vista.

Poco prima della comunicazione della sua morte nell'aprile 1998 Castaneda rilasciò una delle rare interviste ritenute autentiche ad una rivista sudamericana:
Navigando Nell'Ignoto: Un'Intervista con Carlos Castaneda
Uno Mismo, Cile ed Argentina, Febbraio 1997
di Daniel Trujillo Rivas *

Domanda: Signor Castaneda, per anni lei è rimasto in assoluto anonimato. Che cosa la ha spinto a cambiare questa condizione e a parlare pubblicamente degli insegnamenti che lei e le sue tre compagne avete ricevuto dal nagual Juan Matus?

Risposta: Ciò che ci obbliga a diffondere le idee di don Juan Matus è la necessità di chiarire cosa ci insegnò. Per noi questo è un compito che non può essere più rimandato. Le altre tre sue allieve ed io abbiamo raggiunto la conclusione unanime che il mondo in cui don Juan Matus ci introdusse è nelle possibilità percettive di tutti gli esseri umani. Abbiamo discusso tra noi su quale fosse la strada corretta da prendere. Rimanere nell'anonimato come ci aveva proposto don Juan? Non era un'opzione accettabile. L'altra strada possibile era di divulgare le idee di don Juan: una scelta molto più pericolosa e impegnativa, ma l'unica che, noi riteniamo, abbia la dignità con cui don Juan ha permeato tutto il suo insegnamento.

D: Considerando ciò che lei ha detto circa l'imprevedibilità delle azioni di un guerriero, che noi abbiamo corroborato per tre decadi, possiamo aspettarci che questa fase pubblica duri per un po'? Fino a quando?

R: Non c'è modo per noi di stabilire un criterio temporale. Noi viviamo secondo le premesse proposte da don Juan e non ce ne discostiamo mai. Don Juan Matus ci fornì il formidabile esempio di un uomo che viveva secondo ciò che diceva. E dico che è un esempio formidabile perché è la cosa più difficile da emulare; essere monolitici e allo stesso tempo avere la possibilità di fronteggiare qualsiasi cosa. Questo era il modo in cui don Juan visse la sua vita.
Date queste premesse, l'unica cosa che si può essere è un mediatore impeccabile. Non si è giocatori in questa cosmica partita a scacchi, si è solo pedine sulla scacchiera. Ciò che decide tutto è un'energia consapevole ed impersonale che gli stregoni chiamano Intento o lo Spirito.

D: Per quanto ho potuto constatare, l'antropologia ortodossa, così come i presunti difensori dell'eredità culturale pre-colombiana dell'America, minano la credibilità del suo lavoro. La convinzione che il suo lavoro sia semplicemente il prodotto del suo talento letterario, che, in ogni caso, è eccezionale, oggi continua ad esistere. Anche in altri ambiti la accusano di avere doppi valori perché, presumibilmente, la sua vita e le sue attività contraddicono ciò che la maggioranza si aspetta da uno sciamano. Come può dissipare questi sospetti?

R: Il sistema cognitivo dell'uomo occidentale ci costringe a fare affidamento su idee preconcette. Noi basiamo i nostri giudizi su qualcosa che è sempre "a priori", per esempio l'idea di ciò che è "ortodosso". Che cosa è l'antropologia ortodossa? Quella insegnata nelle sale di conferenza universitarie? Qual'è il comportamento di uno sciamano? Mettersi piume sulla testa e ballare per gli spiriti?
Sono trenta anni che la gente accusa Carlos Castaneda di aver creato un personaggio letterario solo perché ciò che riporto non concorda con gli "a priori" antropologici, le idee stabilite nelle aule o sul campo di lavoro antropologico. In ogni caso ciò che don Juan mi presentò può applicarsi solo ad una situazione che richiede azione totale, in queste circostanze, avviene molto poco o quasi nulla di preconcetto.
Non sono mai riuscito a trarre delle conclusioni circa lo sciamanismo perché per farlo bisogna essere membri attivi nel mondo degli sciamani. Per uno scienziato sociale, diciamo per esempio un sociologo, è molto semplice arrivare a conclusioni sociologiche riguardo qualsiasi soggetto relazionato con il mondo occidentale, perché il sociologo è un membro attivo del mondo occidentale. Ma come può un antropologo, che passa al massimo due anni studiando altre culture, arrivare a conclusioni sicure a quel riguardo? Ci vuole una vita per poter acquisire l'appartenenza ad un mondo culturale. Io ho lavorato per più di trent'anni nel mondo cognitivo degli sciamani dell'antico Messico e, sinceramente, non credo che ciò mi permetterebbe di trarre delle conclusioni o addirittura di proporle.
Ho discusso di questo con persone di diverse discipline e loro sembrano capire ed essere d'accordo con le premesse che sto presentando. Ma poi si girano e dimenticano ogni cosa sulla quale avevano convenuto e continuano a sostenere principi accademici "ortodossi", senza preoccuparsi della possibilità di un errore assurdo nelle loro conclusioni. Il nostro sistema cognitivo sembra essere impenetrabile.

D: Qual'è lo scopo di non permettere di essere fotografato, di registrare la sua voce o rendere noti i suoi dati biografici? Questo potrebbe influire su ciò che lei ha raggiunto nel suo lavoro spirituale e se sì, come? Non pensa che sapere chi lei sia veramente potrebbe essere utile per alcuni sinceri ricercatori della verità come modo di corroborare che è veramente possibile seguire il sentiero che lei promulga?

R: In riferimento alle fotografie e ai dati personali, le altre tre apprendiste di don Juan ed io stesso seguiamo le sue istruzioni. Per uno sciamano come don Juan, la principale idea dietro l'astenersi dal rivelare i dati personali è molto semplice. E' imperativo lasciare da parte quello che egli chiamava "storia personale". Allontanarsi dal "me" è qualcosa di estremamente fastidioso e difficile. Ciò che gli sciamani come don Juan cercano è uno stato di fluidità dove il "me" personale non conta. Egli credeva che l'assenza di fotografie e dati personali influisca su chiunque entri in questo campo di azioni in modo positivo, sebbene subliminale. Noi abbiamo l'incessante abitudine di usare fotografie, registrazioni e dati personali, ognuno dei quali nasce dall'idea di importanza personale. Don Juan diceva che è meglio non sapere nulla di uno sciamano; in questo modo invece di incontrare una persona, si incontra un'idea che può essere sostenuta; l'opposto di ciò che succede nel mondo quotidiano dove abbiamo di fronte solo persone che hanno numerosi problemi psicologici ma non idee, tutte queste persone piene fino all'orlo di "io, io, io".

D: Coloro che la seguono, come dovrebbero interpretare la pubblicità e l'infrastruttura commerciale a lato del suo lavoro letterario e che circonda la conoscenza che lei e i suoi compagni diffondete? Qual'è la sua vera relazione con Cleargreen, Incorporated e le altre società (Laugan Productions, Toltec Artists)? Sto parlando di un legame commerciale.

R: A questo punto nel mio lavoro ho avuto bisogno di qualcuno capace di rappresentarmi in relazione alla diffusione delle idee di don Juan Matus. Cleargreen è una società che ha grandi affinità con il nostro lavoro, così come Laugan Productions e Toltec Artists. L'idea di diffondere gli insegnamenti di don Juan nel mondo moderno implica l'uso di mezzi commerciali e artistici che non sono alla mia personale portata. Come società aventi una affinità con le idee di don Juan, Cleargreen, Laugan Productions e Toltec Artists sono capaci di fornire i mezzi per divulgare ciò che io voglio divulgare.
Nelle società impersonali c'è sempre una tendenza a dominare e trasformare ogni cosa venga presentata loro e adattarla alle loro proprie ideologie. Se non fosse per il sincero interesse di Cleargreen, Laugan Productions e Toltec Artists, ogni cosa detta da don Juan a quest'ora sarebbe stata trasformata in qualcos'altro.

D: C'è un gran numero di persone che in un modo o nell'altro, "si attaccano" a lei per acquisire pubblica notorietà. Qual'è la sua opinione riguardo alle azioni di Victor Sanchez, che ha interpretato e riorganizzato i suoi insegnamenti per elaborare una teoria personale? E dell'asserzione di Ken Eagle Feather che è stato scelto da don Juan per essere il suo discepolo, e che don Juan tornò indietro solo per lui?

R: Effettivamente c'è un gran numero di persone che si autodefiniscono miei studenti o studenti di don Juan, persone che non ho mai incontrato e che, posso garantire, don Juan non incontrò mai. Don Juan Matus era interessato esclusivamente alla perpetuazione del suo lignaggio di sciamani. Ebbe quattro apprendisti che sono qui ancora oggi. Ne ebbe altri che partirono con lui. Don Juan non era interessato all'insegnamento della sua conoscenza; la insegnò ai suoi discepoli perché continuassero il suo lignaggio. Dato che non possono continuare il lignaggio, i suoi quattro discepoli sono obbligati a divulgare le sue idee.
Il concetto di un maestro che insegna la sua conoscenza è parte del nostro sistema cognitivo ma non è parte del sistema cognitivo degli sciamani del Messico antico. Insegnare era assurdo per loro. Trasmettere la sua conoscenza a quelli che avrebbero perpetuato il loro lignaggio era una questione differente.
Il fatto che ci sia un numero di individui che insistono ad usare il mio nome o il nome di don Juan è semplicemente una facile manovra per trarre dei vantaggi senza troppo sforzo.

D: Consideriamo che la parola "spiritualità" significhi stato di coscienza in cui gli esseri umani sono pienamente in grado di controllare i potenziali della specie, qualcosa raggiungibile dalla trascendenza della semplice condizione animale attraverso una dura preparazione psichica, morale e intellettuale. E' d'accordo con questa asserzione? Com' è integrato il mondo di don Juan in questo contesto?

R: Per don Juan Matus, uno sciamano pragmatico ed estremamente sobrio, "spiritualità" era un'idealità vuota, un'asserzione senza basi che noi crediamo essere molto bella perché è rivestita di concetti letterari ed espressioni poetiche, ma che non va mai oltre quello.
Gli sciamani come don Juan sono essenzialmente pratici. Per loro esiste solo un universo predatorio in cui intelligenza o consapevolezza sono il prodotto di sfide di vita o di morte. Egli si considerava un navigatore dell'infinito e diceva che per navigare nell'ignoto, come fa uno sciamano, si ha bisogno di pragmatismo illimitato, sconfinata sobrietà e fegato d'acciaio.
In vista di tutto questo, don Juan credeva che la "spiritualità" fosse semplicemente una descrizione di qualcosa di impossibile da raggiungere all'interno degli schemi del mondo della vita quotidiana, e che non fosse un vero modo di agire.

D: Lei ha sottolineato che la sua attività letteraria, così come quella di Taisha Abelar e di Florinda Donner-Grau, è il risultato delle istruzioni di don Juan. Qual'è lo scopo di questo?

R: Lo scopo di scrivere quei libri fu dato da don Juan. Egli asserì che anche se non si è scrittori si può scrivere, ma lo scrivere è trasformato da azione letteraria in azione sciamanistica. Ciò che decide il soggetto e lo svolgimento di un libro, non è la mente dello scrittore ma piuttosto una forza che gli sciamani considerano essere la base dell'universo, e che loro chiamano intento. E' l'intento che decide la produzione di uno sciamano, che sia letteraria o di qualsiasi altro genere.
Secondo don Juan un praticante di sciamanismo, ha il dovere e l'obbligo di saturare se stesso con tutte le informazioni possibili. Il lavoro degli sciamani è di informarsi accuratamente su ogni cosa che potrebbe avere relazione con argomenti di loro interesse. L'atto sciamanistico consiste nell'abbandonare tutto l'interesse nel dirigere il corso delle informazioni prese. Don Juan era solito dire: "Ciò che organizza le idee che erompono da una tale fonte di informazioni non è lo sciamano, è l'intento. Lo sciamano è semplicemente un condotto impeccabile." Per don Juan scrivere era soltanto una sfida sciamanistica, non un compito letterario.

D: Se lei mi permette di asserire ciò che segue, il suo lavoro letterario presenta concetti che hanno stretta relazione con insegnamenti filosofici orientali, ma contraddice ciò che comunemente si conosce circa la cultura indigena messicana. Quali sono le similitudini e le differenze tra l'una e l'altra?

R: Non ne ho la minima idea. Non sono un esperto di nessuna delle due. Il mio lavoro consiste in un rapporto fenomenologico sul mondo cognitivo al quale don Juan Matus mi introdusse. Dal punto di vista della fenomenologia come metodo filosofico, è impossibile fare asserzioni che siano relazionate al fenomeno in esame. Il mondo di don Juan è così vasto, così misterioso e contraddittorio, che non si presta ad un esercizio di esposizione lineare; il massimo che si può fare è descriverlo, e anche solo questo è uno sforzo supremo.

D: Presupponendo che gli insegnamenti di don Juan siano diventati parte della letteratura occulta, qual'è la sua opinione circa altri insegnamenti in questa categoria, per esempio la filosofia massonica, il Rosacrucianesimo, l'Ermetismo e discipline come la Cabala, i Tarocchi e l'Astrologia quando le compariamo al nagualismo? Ha mai avuto o mantiene qualche contatto con qualcuna di queste o con i loro devoti?

R: Ancora una volta, non ho la minima idea di quali siano le premesse, o i punti di vista e i soggetti di queste discipline. Don Juan ci presentò il problema di navigare nell'ignoto e questo richiede tutto il nostro sforzo disponibile.

D: Alcuni concetti del suo lavoro, come il punto d'assemblaggio, i filamenti energetici che costituiscono l'universo, il mondo degli esseri inorganici, l'intento, l'agguato e il sognare, hanno un equivalente nella conoscenza occidentale? Per esempio, ci sono alcune persone che ritengono che l'uomo visto come uovo luminoso sia un modo di definire l'aura.

R: Per quanto ne so, nulla di ciò che don Juan ci insegnò sembra avere una controparte nella conoscenza occidentale.
Una volta, quando don Juan era ancora qui, passai un anno intero in cerca di guru, maestri e saggi che mi dessero un accenno di ciò che stavano facendo. Volevo sapere se c'era qualche cosa al mondo in quel tempo simile a ciò che don Juan diceva e faceva.
Le mie risorse erano molto limitate e mi portarono solo ad incontrare maestri celebrati che avevano milioni di seguaci e sfortunatamente non trovai alcuna similitudine.

D: Concentrandosi specificatamente sul suo lavoro letterario, i suoi lettori trovano differenti Carlos Castaneda. Prima troviamo uno studioso occidentale un pò incompetente, permanentemente confuso dal potere di vecchi indiani come don Juan e don Genaro (principalmente in A Scuola dallo Stregone, Una Realtà Separata, Viaggio a Ixtlan, L'Isola del Tonal, ed Il Secondo Anello del Potere). Più tardi troviamo un apprendista esperto in sciamanismo (ne Il Dono dell'Aquila, Il Fuoco dal Profondo, e particolarmente ne L'Arte del Sognare). Se lei è d'accordo con questa valutazione, quando e come cessò di essere l'uno per divenire l'altro?

R: Non mi considero uno sciamano o un maestro, o uno studente di sciamanismo ad un livello avanzato; né mi considero un antropologo o uno scienziato sociale nel mondo occidentale. Le mie presentazioni sono state tutte descrizioni di un fenomeno che è impossibile discernere sotto le condizioni della conoscenza lineare del mondo occidentale. Non potrei mai spiegare cosa don Juan mi stava insegnando in termini di causa ed effetto. Non c'era modo di predire cosa stesse per dire o cosa stesse per succedere. In tali circostanze, il passaggio da uno stato all'altro è soggettivo, e non qualcosa di elaborato, premeditato o un prodotto di saggezza.

D: Si possono trovare episodi nel suo lavoro letterario che sono veramente incredibili per la mente occidentale. Come può chi non è un iniziato verificare che tutte quelle "realtà separate" sono reali come lei dichiara?

R: Può essere facilmente verificato coinvolgendo il proprio intero corpo invece della sola mente. Non si può entrare nel mondo di don Juan intellettualmente, come un dilettante che cerca conoscenza veloce e rapida. Né, nel mondo di don Juan, nulla può essere verificato con certezza. La sola cosa che possiamo fare è di arrivare ad uno stato di consapevolezza accresciuta che ci permetta di percepire il mondo intorno a noi in una maniera più inclusiva. In altre parole, la meta dello sciamanismo di don Juan è di rompere i parametri della percezione storica e quotidiana e di percepire l'ignoto. Questo è il motivo per cui egli si definiva un navigatore dell'infinito. Asseriva che l'infinito si trova dietro i parametri della percezione quotidiana. Rompere questi parametri era lo scopo della sua vita. Poiché era uno sciamano straordinario, egli instillò quel medesimo desiderio in tutti e quattro noi. Ci forzò a trascendere l'intelletto ed incorporare il concetto di rompere i parametri della percezione storica.

D: Lei asserisce che la caratteristica basilare degli esseri umani è di essere "percettori di energia". Si riferisce al movimento del punto d'assemblaggio come a un fattore necessario per percepire l'energia direttamente. Come può questo essere utile ad un uomo del 21° secolo? Secondo i concetti definiti precedentemente, come può il conseguimento di questa meta aiutare il progresso spirituale di qualcuno?

R: Gli sciamani come don Juan asseriscono che tutti gli esseri umani hanno la capacità di vedere l'energia direttamente così come fluisce nell'universo. Credono che il punto d'assemblaggio, come lo chiamano, è un punto che esiste nella sfera totale di energia dell'uomo. In altre parole, quando uno sciamano percepisce un uomo come energia che fluisce nell'universo, vede una palla luminosa. In quella palla luminosa, lo sciamano può vedere un punto di maggiore brillantezza, situato all'altezza delle scapole, approssimativamene ad un braccio di distanza dietro di esse. Gli sciamani sostengono che la percezione viene assemblata in questo punto; che l'energia che fluisce nell'universo viene qui trasformata in dati sensoriali, e che i dati sensoriali vengono poi interpretati, dando come risultato il mondo della vita quotidiana. Gli sciamani asseriscono che ci viene insegnato a interpretare, e di conseguenza a percepire.
Il valore pragmatico di percepire l'energia direttamente come fluisce nell'universo è lo stesso per un uomo del 21° secolo o per un uomo del 1° secolo. Gli permette di allargare i limiti della sua percezione e di usare questo accrescimento all'interno del suo mondo. Don Juan diceva che sarebbe straordinario vedere direttamente la meraviglia dell'ordine e del caos dell'universo.

D: Lei ha presentato recentemente una disciplina fisica chiamata Tensegrità. Può spiegare che cosa è esattamente? Qual'è il suo scopo? Quale beneficio spirituale può ottenere una persona che la pratica individualmente?

R: Secondo ciò che don Juan Matus ci insegnò, gli sciamani che vissero nel Messico antico scoprirono una serie di movimenti che quando eseguiti dal corpo determinavano un tale benessere fisico e mentale che decisero di chiamare quei movimenti passi magici.
Don Juan ci disse che attraverso i loro passi magici, quegli sciamani raggiunsero un accresciuto livello di coscienza che permise loro di realizzare indescrivibili prodezze di percezione.
Nel corso delle generazioni, i passi magici furono insegnati solamente a praticanti di sciamanismo. I movimenti furono circondati da enorme segretezza e rituali complessi. Questo è il modo in cui don Juan li imparò e questo è il modo in cui li insegnò ai suoi quattro apprendisti.
Il nostro sforzo è stato di estendere l'insegnamento di tali passi magici a chiunque volesse impararli. Li abbiamo chiamati Tensegrità, e li abbiamo trasformati da specifici movimenti pertinenti solo ad ognuno dei quattro discepoli di don Juan, a movimenti generali adatti a tutti.
Praticare la Tensegrità, individualmente o in gruppo, promuove salute, vitalità, giovinezza e un senso generale di benessere. Don Juan diceva che praticare i passi magici aiuta ad accumulare l'energia necessaria ad aumentare la consapevolezza e ad espandere i parametri della percezione.

D: Oltre alle sue tre compagne, la gente che partecipa ai suoi seminari, ha incontrato altre persone, come le Chacmools, le Inseguitrici dell'Energia, gli Elementi, l'Esploratore Azzurro.....chi sono? Sono parte di una nuova generazione di veggenti guidati da lei? Se così fosse, come si può diventare parte di questo gruppo di apprendisti?

R: Ognuna di queste persone è un essere specifico che don Juan Matus, come guida del suo lignaggio, ci chiese di aspettare. Predisse l'arrivo di ognuno di loro come parte integrale di una visione. Poiché il lignaggio di don Juan non poteva continuare, a causa della configurazione energetica dei suoi quattro studenti, il loro compito fu trasformato dal perpetuare il lignaggio al chiuderlo, se possibile con una fibbia d'oro.
Noi non siamo nella posizione di cambiare queste istruzioni. Né possiamo cercare o accettare apprendisti o membri attivi della visione di don Juan. L'unica cosa che possiamo fare è di accettare i disegni dell'Intento.
Il fatto che i passi magici, protetti con tale gelosia per così tante generazioni, oggi vengano insegnati, è prova che si può davvero in maniera indiretta, divenire parte di questa nuova visione attraverso la pratica della Tensegrità e seguendo le premesse della via del guerriero.

D: In Lettori dell'Infinito, lei ha usato il termine "navigare" per definire ciò che fanno gli stregoni. State issando le vele per cominciare presto il viaggio definitivo? Il lignaggio dei guerrieri toltechi custodi di questa conoscenza, finirà con voi?

R: Si, è esatto, il lignaggio di don Juan finisce con noi.

D: C'è una domanda che mi sono posto spesso: la strada del guerriero include come fanno altre discipline, lavoro spirituale per coppie?

R: La strada del guerriero include tutto e tutti. Ci può essere un'intera famiglia di guerrieri impeccabili. La difficoltà si trova nel terribile fatto che le relazioni individuali sono basate su investimenti emotivi, e nel momento in cui il praticante mette veramente in pratica ciò che lei/lui ha imparato, la relazione si frantuma. Nel mondo di ogni giorno, gli investimenti emozionali normalmente non sono esaminati, e viviamo un'intera vita aspettando di essere ricambiati. Don Juan disse che ero un investitore duro a morire e che il mio modo di vivere e provare sentimenti poteva essere descritto semplicemente: "Io do solo ciò che gli altri mi danno."

D: Quale aspirazione di un possibile miglioramento dovrebbe avere qualcuno che desideri lavorare spiritualmente secondo la conoscenza divulgata nei suoi libri? Che cosa raccomanderebbe a coloro che desiderano praticare gli insegnamenti di don Juan da soli?

R: Non c'é modo di porre un limite su ciò che si può realizzare individualmente se l'intento è un intento impeccabile. Gli insegnamenti di don Juan non sono spirituali. Lo ripeto perché la questione è emersa più e più volte. L'idea di spiritualità non calza con la disciplina di ferro di un guerriero. La cosa più importante per uno sciamano come don Juan, è l'idea di pragmatismo. Egli distrusse le mie velleità e mi fece vedere che, da vero uomo occidentale, non ero né pragmatico né spirituale. Arrivai a capire che ripetevo la parola "spiritualità" per contrastarla con l'aspetto mercenario del mondo della vita quotidiana. Volevo fuggire dal mercantilismo del mondo della vita di ogni giorno ed il forte desiderio di fare questo lo chiamavo spiritualità. Realizzai che don Juan aveva ragione quando pretendeva che arrivassi ad una conclusione; di definire ciò che consideravo spiritualità. Non sapevo di che cosa stessi parlando.
Quello che sto dicendo potrebbe suonare presuntuoso, ma non c'è altro modo di dirlo. Ciò che uno sciamano come don Juan vuole è aumentare la consapevolezza, cioè essere capaci di percepire con tutte le possibilità umane di percezione; questo implica un compito colossale ed uno scopo inflessibile, che non può essere rimpiazzato dalla spiritualità dell'uomo occidentale.

D: C'è qualcosa che lei vorrebbe spiegare alla gente sud-americana, in special modo ai cileni? Vorrebbe fare qualche altra dichiarazione in aggiunta alle sue risposte alle nostre domande?

R: Non ho nulla da aggiungere. Tutti gli esseri umani sono allo stesso livello. All'inizio del mio apprendistato, don Juan Matus provò a farmi vedere come la situazione dell'uomo fosse comune a tutti. Io, da sudamericano, ero molto coinvolto, intellettualmente, con l'idea della riforma sociale. Un giorno rivolsi a don Juan quella che pensavo fosse una domanda assoluta: Come può rimanere impassibile di fronte alla situazione terribile dei suoi compagni uomini, gli indiani yaqui di Sonora?
Sapevo che una certa percentuale della popolazione yaqui soffriva di tubercolosi e che, a causa della loro situazione economica, non potevano curarsi.
"Sì", disse don Juan, "E' una cosa molto triste ma, vedi, anche la tua situazione è molto triste, e se credi di essere in condizioni migliori degli indiani yaqui, ti stai sbagliando. In generale la condizione umana è in un orrendo stato di caos. Nessuno sta meglio di un altro. Siamo tutti esseri che stanno andando a morire e, a meno di essere consapevoli di questo, per noi non c'è rimedio."
Questo è un'altro punto del pragmatismo degli sciamani: divenire consapevoli che siamo esseri che stanno andando a morire. Essi dicono che quando impariamo questo, tutto acquista un ordine e una misura trascendentali.

* Copyright 1997 Laugan Productions.