British artist, physicist, and all-around science enthusiast Paul Friedlander produces kinetic light sculptures that provide a colorful feast for the eyes. Each piece in his body of work offers a visual medley of light and motion by rapidly rotating a piece of string through white light. The vibrating rope becomes invisible to the human eye, but colors from the light (which would normally be invisible to the naked eye) are revealed in rapid succession. The scientific artist gives insight into the history of his career shift into the arts and explains the science in it all: "I decided to focus on kinetic art: a subject in which I could bring together my divided background and combine my knowledge of physics with my love of light. In 1983, at London's ICA, I exhibited the first sculptures to use chromastrobic light, a discovery I had made the previous year. Chromastrobic light changes color faster than the eye can see, causing the appearance of rapidly moving forms to mutate in the most remarkable ways."
Il mondo ebbe un principio
che fu la madre del mondo.
Chi è pervenuto alla madre
da essa conosce il figlio,
chi conosce il figlio
e torna a conservar la madre
fino alla morte non corre pericolo.
Chi ostruisce il suo varco
e chiude la sua porta
per tutta la vita non ha travaglio,
chi spalanca il suo varco
ed accresce le sue imprese
per tutta la vita non ha scampo.
Illuminazione è vedere il piccolo,
forza è attenersi alla mollezza.
Chi fa uso della vista
e torna ad introvertere lo sguardo
non abbandona la persona alla rovina.
Questo dicesi praticar l'eterno.
Esiste un tempo e un luogo per il controllo, ma se lo poniamo a capo delle nostre vite, finiamo per essere totalmente rigidi. Questa figura è ingabbiata negli angoli delle piramidi che la circondano. La luce brilla e risplende dalle sue superfici lucenti, ma non penetra. È come se fosse praticamente mummificata all'interno della struttura che ha costruito intorno a sé. I pugni sono chiusi, lo sguardo è vuoto, quasi cieco. La parte inferiore del corpo, sotto la tavola, è a punta di spada, una punta tagliente che divide e separa. Il suo mondo è ordinato e perfetto, ma non è viva - non può lasciar spazio ad alcuna spontaneità o vulnerabilità. L'immagine del Re di Nuvole ci ricorda di fare un respiro profondo, allentare la cravatta e prendere le cose alla leggera. Se accadono degli errori, va bene così. Se le cose sfuggono un po' di mano, probabilmente è ciò che il dottore ha prescritto. Nella vita c'è molto, molto di più che avere tutto sotto controllo.
Le persone controllate sono sempre nervose, poiché in cuor loro è ancora nascosto un profondo subbuglio. Se non ti controlli, se fluisci, sei vivo, allora non sei nervoso. Non si pone il problema del nervosismo: ciò che accade, accade. Non hai aspettative per il futuro, non reciti, perché mai dovresti essere nervoso? Per controllare la mente si deve restare così rigidi e freddi da impedire lo scorrere nelle membra e nel corpo di qualsiasi energia vitale. Se permetti all'energia di fluire, quelle repressioni affioreranno. Ecco perché la gente ha imparato a essere fredda, a toccare gli altri senza toccarli veramente, a vedere le persone senza vederle. La gente vive in base a dei cliché: "Ciao, come stai?". Parole prive di significato che servono solo a evitare l'incontro tra due persone. Le gente non si guarda negli occhi, non si tiene per mano, non cerca di sentire l'energia dell'altro, non permette un vicendevole riversarsi nell'altro - terrorizzata, riesce a cavarsela appena, fredda e morta, chiusa in una camicia di forza.
Professore, Lei sostiene giustamente che gli individui hanno bisogno di identità. Però la novità è che, mentre una volta l’identità era una sola, oggi – afferma – si cambia identità più volte nella vita. Secondo Lei, l’identità si rinegozia continuamente. Dunque, l’identità è un processo che non dipende soltanto dalla scelta dell’individuo, ma anche dalla società, perché l’individuo la rinegozia anche a partire dal contesto sociale che lo circonda. Essendo chiamato a cambiare più volte identità nella propria vita, l’individuo incorpora una certa dose di ansia. È inevitabile quest’ansia, secondo Lei? Oppure la rinegoziazione dell’identità potrebbe essere un fatto liberatorio?
È una domanda molto importante, direi cruciale per la nostra situazione contemporanea. L’identità entra nella consapevolezza sociale in tempi molto recenti.
I miei contemporanei non erano affatto preoccupati di queste questioni. In realtà, non so se si siano mai posti il problema o se mai abbiano dovuto rispondere alla domanda: chi sono? La risposta che avrebbero dato sarebbe stata: l’identità è la comunità in cui siamo nati. E la comunità balza alla consapevolezza sociale come un problema laddove la comunità ha perso tante delle sue caratteristiche peculiari, cioè laddove ha perso il suo ruolo lasciando all’individuo il compito di darsi certe risposte. La risposta alla domanda “Chi sono io?” è stata lasciata ai singoli. Oggi gli individui sono chiamati ad autodeterminarsi con le proprie forze.
Non amo molto il concetto di identità, preferisco quello di identificazione perché mette in evidenza il fatto che si tratta di un processo con dei risvolti pratici; un processo costante, senza fine. Citerò Jean Paul Sartre, uno dei filosofi più influenti in Europa. Sartre ci ha spronato a organizzare le nostre vite, insegnandoci che dobbiamo costruire da soli il nostro “progetto di vita”. Fatto questo, tutto il resto è semplice. Perché per qualunque forma di vita l’appartenenza, per esempio, a una classe sociale – quella borghese, quella dei lavoratori… – fornisce un codice di comportamento che si può imparare a memoria. Questo codice di comportamento, queste istruzioni, questi consigli, cambiano costantemente di giorno in giorno. L’oggi è completamente diverso da ieri. Quindi il processo di identificazione deve essere portato avanti. Non si tratta solo di identificazione, ma piuttosto di riidentificazione. Per questo nei miei libri ho parlato di una modernità liquida.
E perché parlo di liquidità? Voi sapete bene quali sono le caratteristiche dei liquidi: si distinguono per una caratteristica fondamentale, e cioè non conservano la stessa forma per troppo tempo, hanno la tendenza a cambiare di continuo. Possono condensarsi – in un contenitore assumeranno una certa forma – ma possono anche fuoriuscire. Cambiano, e l’impatto è imprevedibile. L’obbligo di ri-identificazione porta a uno stato di ansia acuta. Due sono gli aspetti fondamentali: l’uno attraente, l’altro invece molto doloroso. L’elemento attraente di questa dinamica è che questa situazione non è determinata, non è pienamente definita, quindi è aperta a esiti inattesi, e c’è soprattutto l’opzione di scelta. C’è dunque la prospettiva di poter cambiare la propria condizione, di migliorarla. D’altro canto, nella stessa situazione ci si sente molto a disagio, si ha una sensazione di incertezza, di insicurezza personale, perché non si può prevedere il futuro. I grandi cambiamenti degli ultimi cento anni erano imprevisti e inattesi. Il collasso del sistema dei crediti, per esempio, non era previsto. Ci confrontiamo quindi con un costante senso di inconsapevolezza, non solo perché i grandi eventi sono imprevedibili, ma perché la nostra stessa vita quotidiana non può essere facilmente prevista: per esempio, l’azienda per la quale lavorate e da cui dipende il vostro sostentamento quotidiano potrebbe fondersi con un’altra azienda e quindi chiudere i cancelli del vostro stabilimento e spostarsi in un altro paese in cui ci sono più prospettive di guadagno e più vantaggi.
Pensate al vostro compagno o alla vostra compagna di vita, o a un amico o un’amica. Un mio caro amico inglese, Anthony Giddens, un altro sociologo, ha coniato il concetto di relazioni pure, esaltando la libertà di scelta. Abbiamo quindi relazioni pure, a cui non è connessa alcuna forma di vincolo. Le persone, cioè, decidono di formare una coppia o un rapporto perché si aspettano delle gratificazioni, ma nessun altro impegno è implicato in questa scelta. È un lusso di cui i nostri antenati non hanno mai potuto godere. Questa “purezza” di rapporti senza impegno ha creato però una situazione di forte ansia. Per poter stabilire dei rapporti puri abbiamo bisogno di due persone, mentre per poter infrangere questo rapporto ne basta una. Quindi, se una delle due persone è sufficiente per rompere il rapporto, le due persone vanno a letto la sera svegliandosi al mattino con un senso di paura: che cosa deciderà il mio partner? si sarà stancato? C’è dunque una persona che ha un ruolo preminente rispetto all’altra: di nuovo, l’incertezza. Oltre a questa incertezza, c’è un altro flagello: la sensazione di impotenza. Se anche potessimo prevedere quello che succederà, saremmo incapaci di agire per contrastare questa evoluzione. Non abbiamo il potere, non abbiamo la forza di farlo. Questa è la ragione per cui la negoziazione dell’identità, oggi, è un processo senza fine.
Da: Vite liquide: vivere felici e moderni, Padova, 27 maggio 2011
L’Etica degli Affari nella Modernità Liquida
“L’etica ha bisogno del sentimento di appartenenza comune,
di solidarietà, di una responsabilità mutua
che ci faccia prendere consapevolezza di questa responsabilità.”
…
La modernità nasce sotto il segno della managerialità: le cose devono cambiare e un nuovo ordine, diverso dall’esistente, deve essere edificato (diverso, non migliore, sebbene ogni manager possa essere convinto di lavorare per quello migliore).
È così che due giovanotti di 22 e 27 anni, dalla loro casa sul Reno, scrissero il “Manifesto del partito comunista”, osservando le magnifiche forze della borghesia all’opera per “sciogliere” tutto quanto era solido, per rimpiazzarlo con qualcos’altro. Quello che quei due giovanotti non dissero, e non potevano dire perché avrebbero dovuto aspettare altri 130 anni, è che quello “scioglimento” era diverso da quello che è in corso ai giorni nostri. Lo scioglimento della modernità solida non era infinito: aveva un principio e una fine, era un processo necessario alla creazione di un altro ordine.
Gli imprenditori, i manager di allora scioglievano i solidi non tanto perché a loro non piacessero, quanto perché non erano abbastanza solidi e quindi andavano rimpiazzati con altri che potessero durare per sempre e fossero perfetti. La perfezione era dunque uno stato nel quale qualsiasi cambiamento sarebbe stato un peggioramento. Nessun miglioramento sarebbe stato più possibile: la modernità solida era tutta concentrata nella costruzione dell’ordine perfetto. Il mondo era visto come un ammasso di problemi da risolvere: se c’erano mille problemi, ogni problema risolto significava un problema in meno da risolvere. La modernità è dunque “solida” se agisce per creare altri solidi che non si possano sciogliere. Nella scienza e in ogni altro campo d’indagine è possibile scoprire ogni segreto dell’universo affinché l’ordine costituito sia perfetto e indistruttibile. Funzionale a questa visione era un’idea di etica basata su diritti e doveri duraturi, se non eterni, almeno lunghi quanto il proprio tempo di vita, che permettessero a ciascuno di elaborare un progetto di vita. Una volta che si fosse avuto un tale progetto, ogni passo per realizzarlo diveniva chiaro. A un ventenne di oggi tutto ciò pare comico e impossibile, gli sembrerebbe tanto avere un progetto per il prossimo anno. Un tempo un lavoratore della Ford, la fabbrica paradigmatica del periodo “solido”, poteva considerarsi tale a vita. Oggi, un giovane sogna di andare a lavorare nella Silicon Valley, oppure per Bill Gates, dove guadagnerà una fortuna ma non sarà in grado di prevedere i possibili sviluppi del suo lavoro, del suo ruolo come lavoratore, negli anni successivi.
Cos’è cambiato? Nella modernità solida era innanzitutto il capitale a essere solido. Non solo le fabbriche non potevano essere trasportate ma gli stessi capitalisti dipendevano per la loro fortuna dai lavoratori. Lavoratori e capitalisti erano legati indissolubilmente fra loro e al territorio. Era come nella formula matrimoniale “finché morte non ci separi.”
Perché la vita fosse sopportabile, bisognava trovare un modus vivendi valido per ogni componente dell’unione. Per questo motivo, la modernità solida fu un tempo di conflittualità incredibilmente bassa; si cercava piuttosto la continua stipula di accordi.
Un importante sociologo ha scritto che la vita di fabbrica tendeva a decomporre le capacità individuali ma, allo stesso tempo, rafforzava le capacità sociali. Tutte le invenzioni del tempo erano soggette alla stessa logica.
…
Da: “L’etica degli affari nella modernità liquida”, 27 marzo 2004, Milano.
Jeroen Anthoniszoon van Aken detto Hieronymus Bosch, il Maestro di Hertogenbosch Nave dei folli olio su tavola, 1494 Musée du Louvre, Paris
Angels Fear Revisited: Gregory Bateson’s Cybernetic Theory of Mind Applied to Religion-Science Debates
Mary Catherine Bateson
Bateson and Religion
Gregory used to quote Kipling’s lines, “There are nine and sixty ways of constructing tribal lays, And—every—single—one—of—them—is—right.”. That is, I think, a fairly interesting way of talking about religion: to say that there is something that human religions are trying to get at that matters. And they get at some of it in many different ways which include vast amounts of nonsense, much of it dangerous, but we perhaps do not yet have a better way of getting at it, whatever it is. For Gregory, that something could be approached by describing mind in cybernetic terms and recognized aesthetically in the similarities of living systems, the pattern that connects.
Gregory was profoundly ambivalent about what we generally call religion, but deeply concerned with the alienation created by the Cartesian mind–body partition that has been so liberating for science and yet leads to a whole series of isomorphic dualisms separating the sacred from the secular and our species from the rest of nature . He said that he “had always hated muddle-headedness and always thought it was a necessary condition for religion”. He grew up exposed to religious texts, reading the Bible in order – it was hoped – to avoid “empty-headed atheism”, and exposed to the art that surrounds religion, great master drawings and above all the works of William Blake collected by his father. There was an extraordinary Blake water color of “Satan Exulting over Eve” hanging in the dining room in his childhood (now in the Tate Gallery in London).
According to David Lipset, William Bateson, the pioneering geneticist who was Gregory’s father, was not a great student of the prophetic books of Blake – but Gregory went on to read them and other religious texts and poetry, puzzling over the content as well as the aesthetic value. Gregory grew up in a family that sturdily insisted that orthodox religion was nonsense, and at the same time he was stimulated by exposure to religious images, metaphors and poetry that demanded a different kind of understanding.
Gregory planned the book that became Angels Fear to discuss religion and aesthetics as ways of knowing that might prove to be indispensable to human survival and to that recognition of the larger interactive system of the biosphere he called wisdom. “The sacred (whatever that means) is surely related (somehow) to the beautiful (whatever that means)”. For him, as a scientist, to begin to talk about religion and aesthetics was to step onto dangerous ground – Where Angels Fear to Tread – places he felt it was essential to venture, but where he was going to get into trouble with his colleagues, and he knew it. Yet the exclusion of certain ideas – the Cartesian partition of ways of knowing – seemed to him damaging.
"Il cuore della saggezza" (o Sutra del cuore della perfezione della saggezza, più brevemente Sutra del cuore; datazione incerta, posteriore al I secolo d.c.; si ha menzione di una versione cinese circa del 200-250 d.c., di probabile origine indiana) é uno dei più conosciuti e popolari sūtra del buddhismo Mahāyāna. E' un breve testo nella forma di un dialogo spontaneo tra il bodhisattva-mahāsattvaAvalokiteśvara e l'arhatŚāriputra in presenza del Buddha (qui nominato come "il Vittorioso"). Il testo discute della vacuità - assenza di una propria intrinseca natura - dei cinqueaggregati (skandha) costituenti ogni persona.
Così ho udito una volta. Il Vittorioso si trovava a Rajagrha sul Picco dell’Avvoltoio insieme ad una vasta comunità di monaci e ad una vasta comunità di bodhisattva.
In quell’occasione, il Vittorioso stava serenamente assorto nella meditazione sulle varietà dei fenomeni detta “Visione profonda”. E contemporaneamente il bodhisattva-mahasattva nobile signore Avalokitesvara – praticando completamente la profonda Perfezione della Saggezza – vedeva i cinque aggregati mondani e vedeva che essi erano totalmente vuoti di una propria intrinseca natura.
Allora, grazie al potere del Buddha, il venerabile Sariputra disse queste parole al bodhisattva-mahasattva nobile signore Avalokitesvara: “Quale metodo dovrà apprendere un figlio di nobile lignaggio che desideri impegnarsi nella pratica della profonda Perfezione della Saggezza?”
A queste parole, il bodhisattva-mahasattva nobile signore Avalokitesvara così rispose al venerabile figlio di Saradvati:
“Sariputra, un figlio o una figlia di nobile lignaggio che desideri impegnarsi nella pratica della profonda Perfezione della Saggezza, dovrebbe riflettere esattamente in questo modo: vedere che i cinque aggregati stessi sono completamente vuoti di una propria intrinseca natura.
La forma è vuota, la vacuità è forma. La forma non è diversa dalla vacuità, e la vacuità non differisce dalla forma. Di tale natura sono anche la sensazione, la discriminazione, le formazioni mentali e la coscienza.
Similmente, Sariputra, tutti i fenomeni sono vuoti, sono privi di caratteristiche, non nascono e non cessano, non sono contaminati né privi di contaminazione, non diminuiscono né aumentano.
In tal modo, Sariputra, in (termini di) vacuità non esiste forma né sensazione né discriminazione né formazione mentale né coscienza; né occhio né orecchio né naso né lingua né corpo né mente; né forma visiva né suono né odore né sapore né sensazione tattile né oggetto mentale; né sfera visiva e (così via) fino a quella mentale e a quella della coscienza mentale. Non esiste l’ignoranza, né l’estinzione dell’ignoranza e così via fino alla vecchiaia-e-morte e all’estinzione di vecchiaia-e-morte.
Di tale natura (vuota) sono anche la sofferenza, l’origine, la cessazione ed il sentiero.
Non vi è saggezza né realizzazione né mancanza di realizzazione.
In questo modo, Sariputra, a causa della mancanza di realizzazioni, tutti i bodhisattva si basano fermamente sulla Perfezione della Saggezza, senza oscurazioni mentali, senza paura; essi trascendono realmente ogni azione erronea ed alla fine raggiungono il nirvana.
Tutti i buddha che dimorano nei tre tempi sono divenuti buddha perfetti dell’insuperabile, completa e perfetta Illuminazione basandosi fermamente sulla Perfezione della Saggezza.
Perciò, il mantra della Perfezione della Saggezza – il mantra della grande conoscenza, il mantra insuperabile, il mantra uguale all’ineguagliabile, il mantra che placa veramente ogni sofferenza – va davvero considerato come non ingannevole e saggio.
Viene enunciato il mantra della Perfezione della Saggezza:
Sariputra, è così che i bodhisattva-mahasattva insegnano la profonda Perfezione della Saggezza.”
In quel momento, il Vittorioso – riemergendo dalla profonda concentrazione – lodò in questo modo il bodhisattva-mahasattva nobile signore Avalokitesvara per avere bene agito: “Bene, bene! è così, figlio di nobile lignaggio; è così, figlio di nobile lignaggio. Praticando in tal modo la profonda Perfezione della Saggezza, si diventa realizzati. Per questo, tutti i Tathāgata si rallegrano.”
A queste parole del Vittorioso, il venerabile figlio di Saradvati, il bodhisattva-mahasattva nobile signore Avalokitesvara, l’intero sèguito e il mondo dei deva, degli uomini, degli asura e dei gandharva si rallegrarono e lodarono le parole del Vittorioso.
Qui si conclude il cuore della nobile Perfezione della Saggezza.
Oh Shariputra, la forma non è che vuoto, il vuoto non è che forma;
ciò che è forma è vuoto, ciò che è vuoto è forma;
lo stesso è per sensazione, percezione, discriminazione e coscienza.
Tutte le cose sono vuote apparizioni, Shariputra.
Non sono nate, non sono distrutte, non sono macchiate, non sono pure;
non aumentano e non decrescono.
Perciò nella vacuità non c'è forma né sensazione, né percezione, né discriminazione, né coscienza;
Non ci sono occhi né orecchi, naso, lingua, corpo, mente;
Non ci sono forma né suono, odore, gusto, tatto, oggetti;
né c'è un regno del vedere,
e così via fino ad arrivare a nessun regno della coscienza;
non vi è conoscenza, né ignoranza,
né fine della conoscenza, né fine dell'ignoranza,
e così via fino ad arrivare a né vecchiaia né morte;
né estinzione di vecchiaia e morte;
non c'è sofferenza, karma, estinzione, via;
non c'è saggezza né realizzazione.
Dal momento che non si ha nulla da conseguire, si è un bodhisattva.
Poiché ci si è interamente affidati alla prajna paramita,
la mente non conosce ostacoli;
dal momento che la mente non conosce ostacoli
non si conosce la paura, si è oltre il pensiero illusorio,
e si raggiunge il Nirvana.
Poiché tutti i Buddha
del passato, del presente e del futuro
si affidano interamente alla prajna paramita, conseguono la suprema illuminazione.
Sappi dunque che la prajna paramita è il grande mantra,
il mantra più alto,
il mantra supremo e incomparabile,
capace di placare ogni sofferenza.
Ciò è vero.
Non è falso.
Perciò io recito il mantra della prajna paramita,
Che dice:
Gate, gate, paragate, parasamgate, bodhi, svaha!
(andate, andate, andate insieme all'altra sponda, completamente sull'altra sponda, benvenuto risveglio!)
Qual è la struttura che connette
il granchio con l’aragosta,
l'orchidea con la primula
e tutti quattro con me?
E me con voi?
E tutti noi
con l’ameba da una parte
e lo schizofrenico dall’altra?
"I maggiori problemi nel mondo risultano dalla differenza tra come funziona la natura e come la gente pensa."
A very schematic view of the history of umanity;poorlydrawnlines
E ricordati, io ci sarò. Ci sarò su nell’aria. Allora ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte, chiudi gli occhi e cercami. Ci si parla. Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio.
Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio
Coloro che ci hanno lasciati non sono degli assenti, sono solo degli invisibili: tengono i loro occhi pieni di gloria puntati nei nostri pieni di lacrime.
Agostino d'Ippona
Avrei voluto mettermi a piangere forte, ma non potevo. Non avevo più l'età per versare lacrime, avevo fatto troppe esperienze. Esiste anche questo al mondo, la tristezza di non poter piangere a calde lacrime. È una di quelle cose che non si può spiegare a nessuno, e anche se si potesse, nessuno la capirebbe. È una tristezza che non può prendere forma, si accumula quietamente nel cuore come la neve in una notte senza vento.
Una volta, quando ero più giovane, avevo provato a esprimerla a parole. Ma non ne avevo trovata una che potesse trasmettere il mio sentimento ad altri, anzi nemmeno a me stesso, così avevo rinunciato. E avevo chiuso sia le mie parole sia il mio cuore. La tristezza troppo profonda non può prendere la forma delle lacrime.
Murakami Haruki, La fine del mondo e il paese delle meraviglie
"Non è come nasci, ma come muori, che rivela a quale popolo appartieni."
Alce Nero, 1890
Tra la notte che cessa
e l'inizio del giorno,
il mio cuore ha urgenza
della tua nostalgia.
Non è che ti desideri
o ti voglia avere,
o in sogno, volando, baci
il sogno di vederti.
Vuole solo nostalgia di te;
ama il ricordarti, e non
l'ombra della verità
o il corpo dell'illusione.