giovedì 2 maggio 2013

Tao in crisi

Qual è il contributo della filosofia alla formazione del pensiero europeo?
«Credo i contributi siano tre: la filosofia della storia, la filosofia del diritto e la filosofia della conoscenza o della scienza. E, in primo luogo, dal punto di vista della filosofia della storia mi pare che l'Europa sia il luogo in cui è più viva la consapevolezza di possedere un'antichità. Nelle altre culture non c'è antichità, cioè una rottura netta tra una civiltà morta e una civiltà che ricomincia. E, quindi, in Europa, c'è una duplice fonte: quella dell'antichità greco-latina da un lato e, dall'altro, della tradizione giudeo-cristiana che le succede. E nell'idea che ha formato l'intelletto europeo, mi pare che ci sia quest'idea di biforcazione: un'antichità da un lato e poi, dall'altro, un cambiamento di direzione; non è più l'antichità greco-latina, diventerà quella giudeo-cristiana, pur conservando l'apporto greco e latino. Cioè, appunto, una biforcazione ma, al contempo, la conservazione di ciò che vi è stato in precedenza.
Questo, per quanto riguarda la filosofia della storia. Poi, relativamente alla filosofia della conoscenza, nella tradizione greco-latina c'è l'idea del logos greco, dell'astrazione greca. E quest'idea di astrazione proseguirà a lungo nella filosofia. Ma d'altra parte, però, con il Rinascimento, in Europa assistiamo all'invenzione della fisica sperimentale. Quindi, quest'astrazione si proietterà nella concretezza, con una sorta di nuovo concetto che associa al contempo astratto e concreto. E anche questa è una caratteristica tipicamente europea. Infine, nella filosofia del diritto, la cosa più importante è vedere che in Europa c'è una dualità tra i paesi di diritto romano e i paesi che potremmo definire come di diritto anglosassone, cioè di diritto consuetudinario. E anche in questo caso troviamo da un lato l'idea di un logos astratto, di un'astrazione e dall'altro un'applicazione alla realtà».

Questo per il passato. Ma oggi, la filosofia può ancora al pensiero sull'Europa?
«Credo che la particolarità dell'Europa sia di aver inventato qualcosa che ci riguarda in modo molto concreto, nel senso che credo che sia stata l'Europa a inventare la nozione di "individuo". Questa nozione è già in parte presente nei Greci, in parte nel diritto romano di cui ho parlato prima, ma è distintamente presente nel pensiero a partire dal Rinascimento. Il Rinascimento costituisce nuovamente una biforcazione rispetto al Medioevo, in cui si manifesta un tratto tipicamente europeo, l'idea d'inventività e insieme la capacità di inventare l'individuo. Il processo avviato con il Rinascimento dura ancora oggi, cioè in un periodo in cui l'individuo è veramente nato: con le nuove tecnologie, ad esempio, si vede benissimo che c'è una sorta di creazione di un nuovo individuo, in un quadro di trasformazioni radicali. Oggi parliamo molto della crisi economica senza accorgerci che la crisi economica forse è solo un fenomeno prodotto da crisi molto più profonde. Per esempio, in paesi come l'Italia, la Francia, la Germania o l'Inghilterra, all'inizio del Novecento, la metà degli abitanti erano contadini. Oggi abbiamo solo lo 0,8% di contadini.
Quindi, nel ventesimo secolo, assistiamo a una crisi enorme a livello di rapporto con il mondo, di rapporto con la natura. In secondo luogo, quando sono nato io, il mondo aveva un miliardo e mezzo di abitanti. Oggi siamo sette miliardi e mezzo di persone. Di conseguenza, per i contadini non è più lo stesso mondo, per la democrazia mondiale non sono più le stesse persone. E oggi la speranza di vita è di 84 anni per le nostre compagne e, di 77 anni, credo, per gli uomini. Ma, solo cent'anni fa, la speranza di vita era di 50 anni e duecento anni fa era di 40 anni. Quindi, non è più lo stesso pianeta. Ne consegue, che la filosofia oggi deve individuare dei concetti nuovi, relativi non solo all'economia ma al posto dell'uomo nel mondo. In particolare, la filosofia può aiutare una futura Europa interrogandosi sul modo in cui gli individui si costituiranno in nuove comunità, e chiedendosi se ci sono nuove comunità da inventare. Questa è filosofia politica, un ambito in cui l'Europa è stata estremamente fertile nell'Ottocento, mentre lo è stata molto meno nel Novecento. Credo che bisognerebbe rilanciare l'idea di filosofia politica inventando nuove appartenenze ed è questo che, un po' alla cieca, sta cercando l'individuo moderno».

Quindi, biforcazione, individuo, comunità sono i concetti centrali di un'Europa filosofica. Oltre ai concetti, le chiedo se esistono degli oggetti che esprimono l'Europa nel modo più completo.
«Il suo è un indovinello... A prima vista, direi che è un oggetto enorme, la cattedrale. Perché le cattedrali sono presenti in Inghilterra, in Francia, naturalmente, a Colonia, in Germania, a Milano, ovunque in Europa. La prima è forse Santa Sofia, a Costantinopoli. Dunque la cattedrale simbolizza bene l'Europa, ma è un oggetto di un'altra epoca. Ma sono state inventate nuove cattedrali, come il Cern, a Ginevra: ecco un'istituzione europea, una comunità europea, la costruzione di una cattedrale straordinaria e qualcosa, dal punto di vista scientifico, di prettamente europeo. Non contempla minimamente di applicare la scienza e di applicarla a interessi economici. Si tratta solo di ricerca pura, di ricerca disinteressata e questo è tipicamente tedesco, tipicamente francese, tipicamente italiano. Sì, il Cern è una buona idea, è una nuova cattedrale».

Qual è la via che i giovani devono o dovrebbero percorrere per arrivare a un nuovo pensiero europeo?
«La mia prima risposta è consistita nel dire: ciò che c'è di originale nel pensiero europeo è la biforcazione rispetto all'antichità, la biforcazione rinascimentale rispetto al Medioevo, cioè l'idea che l'avvenire è imprevisto, che è inventivo, che è inatteso. Anche oggi ha luogo una biforcazione. Come dicevo, oggi siamo degli individui, siamo meno tedeschi di una volta, meno italiani di una volta, meno francesi di una volta perché sappiamo che la nazione ci è costata milioni di morti e, dunque, non ne abbiamo più bisogno. E stiamo pensando che le comunità antiche sono un po' desuete, un po' obsolete. Ora, l'idea su cui, credo, bisognerebbe un lavorare sarebbe quella di chiedersi in che modo degli individui, siano essi di Cosenza, di Berlino o di Parigi, potrebbero riuscire a inventare una nuova comunità politica che non sia dominata da istituzioni antiche, concepite in un'epoca in cui il mondo non era ciò che è diventato. Ci sono dei matematici che, una decina di anni fa, si sono posti la seguente domanda: con quante telefonate un abitante di Cosenza può raggiungere un abitante di Berlino o di Parigi? Una persona qualsiasi che chiama un'altra persona qualsiasi. Hanno fatto dei calcoli e si sono accorti che con sette telefonate chiunque sul pianeta può chiamare chiunque altro. Ma alcuni mesi fa il calcolo è stato rettificato perché ci si è accorti che con le grandi reti presenti sul web si poteva scendere a quattro. E quindi, chiunque nel mondo, tenendo in mano il cellulare, può chiamare chiunque altro con quattro telefonate. I matematici hanno chiamato questo teorema, "teorema del mondo piccolo", un mondo in cui posso chiamare chiunque altro, virtualmente, con quattro [sei] telefonate. Il che dimostra che abbiamo cambiato completamente spazio.
Nel corso della storia, chi avrebbe potuto dire "ora, tenendo in mano il mondo..."? Forse Augusto, l'imperatore romano. Possiamo immaginare un'epoca della storia in cui avrebbero potuto esserci miliardi di Augusto?».

E quasi settant'anni di pace, almeno in buona parte dell'Europa.
«Sono abbastanza vecchio per sapere che l'Europa è un miracolo, perché ho conosciuto le guerre e il fatto che non ci siano più frontiere mi pare una cosa miracolosa. E quali che siano le critiche che si possono muovere all'Europa, non bisogna dimenticare che tutti i libri di storia ci dicono che le guerre sono sempre causate da una crisi economica. Ora, ormai da vent'anni siamo in una crisi economica e, che io sappia, non ci sono state guerre. Quindi, l'Europa è perfettamente efficace a livello di istituzioni visto che è in corso una crisi, una crisi comune che, però, non ha scatenato carneficine come nel caso delle crisi precedenti».

intervista con Kurt Hilgenberg, Repubblica









non è un Tao per vecchi

Tao Paradoxico-Philosophicus 1-2



    Un dieu donne le feu     
     Pour faire l'enfer;      
      Un diable, le miel     
       Pour faire le ciel.  
   



TRACTATUS PARADOXICO-PHILOSOPHICUS

1 Postulate nothing: no observer, no distinction (e.g., object, event), not even dimensions (e.g., space, time).
1.1 Processes: consider changes (not towards the same), transformations (towards the same but different) or computations (changes or transformations in symbolic structures).
1.2 Recurrence: consider processes that continuously interact, changing, transforming or computing themselves.
1.3 Organization: consider a network of interacting processes.
1.4 Open Organization: consider an organization that does not close on itself so that it cannot maintain the activity of its processes.
1.5 Closed Organization: consider an organization that closes on itself so that any activity among its processes leads to further activity among its processes.
1.51 For the activity of a closed organization, “inside” or “outside” blend into “inside and outside”, leaving no room for “inputs”, “outputs”, “time”, or “space”.
1.52 A closed organization maintains its activity, but it does neither define nor maintain itself (its processes).



2 Organizationally closed organization (self-organized organization): consider an organization that recurrently defines and maintains itself.
2.01 This organization closes on itself so that its processes continuously regenerate the same network of processes.
2.02 This organization defines itself as a dynamically stable unity called Organizationally Closed Unity.
2.03 From the perspective of an organizationally closed unity, “inside” or “outside” blend into “inside and outside”, leaving no room for “inputs”, “outputs”, “time”, or “space”.
2.1 Self-organization: consider the recurrent regeneration of processes that allows organizationally closed unities to continuously change, transform or compute themselves, thus maintaining their organizational closure.
2.11 Since processes and open and closed organizations neither define nor maintain themselves they may only form, inextricably, part of organizationally closed unities.

Tractatus Paradoxico-Philosophicus

A Philosophical Approach to Education
Un Acercamiento Filosófico a la Educación
Une Approche Philosophique à l'Education
Eine Philosophische Annäherung an Bildung

Ricardo B. Uribe

Copyright © by a collaborating group of people including the author, editing consultants, translators, and printers. All rights reserved.

mastri Tao at drumswork - 1987


Phil Collins and Chester Thompson drum duet which leads into Los Endos
performed live from Wembley Stadium July 4, 1987.

mastri Tao at drumswork - 2004

mercoledì 24 aprile 2013

bordi e pori meta-Tao

Artists Without Borders
La successiva metastruttura discussa da Tyler Volk e Jeff Bloom sono i bordi e i pori, strutture complementari che da un lato separano e dividono, dall'altro permettono il contatto e lo scambio; nell'insieme controllano e regolano l'interscambio di materiali, energia o informazione:
Immagine SEM colorata di uno stoma aperto su una foglia

Background

Borders involve the concepts of protection, separation of inside from outside, containment, and barrier or obstacle. With pores, borders regulate the flow and exchange of materials, energy, or information. Small pores heighten regulation and reduce flow, while larger pores decrease regulation and increase flow. Borders can be visible entities, fuzzy, or invisible. Physical borders tend to be built of sheets of repeating parts (clonons).

Examples

  • In science: cell membranes and osmosis, skin and pores, eyes, ears, nose, mouth, stomata, the Earth’s crust and volcanoes, clouds with fuzzy borders, atmosphere, ecotones, edge of a pond, etc.
  • In architecture and design: walls with doors and windows, roof and skylight, etc.
  • In art: depicted forms, frame with canvas as opening pore to another world, pottery bowl or vase with circular pore, etc.
  • In social sciences: personal space, psychological and social obstacles, problem as border with paths to solutions as pores, physical space divisions and openings, social barriers, borders between social strata, racism and other biases as barriers, propaganda as a barrier to truth, borders between countries with border crossings and immigration pores, etc.
  • In other senses: borders and openings in feng shui, borders between properties, airline security, etc.
Forte rosso, Agra

Metapatterns

The Pattern Underground

martedì 23 aprile 2013

il Tao della programmazione: Libro 6 - Management

Geoffrey James, 1987
Libro 6 - Management

Così parlò il maestro programmatore:

"Che i programmatori siano molti e i manager pochi - allora tutto sarà produttivo."

6.1

Quando i manager tengono riunioni infinite, i programmatori scrivono giochi. Quando i contabili parlano di profitti trimestrali, il budget dello sviluppo sta per essere tagliato. Quando gli scienziati più vecchi parlano del cielo azzurro, stanno per arrivare le nuvole.

Davvero, questo non è il Tao della Programmazione.

Quando i manager prendono impegni, i giochi vengono ignorati. Quando i contabili fanno progetti a lunga scadenza, stanno per tornare l'armonia e l'ordine. Quando gli scienziati più vecchi prendono in mano i problemi, i problemi stanno per essere risolti.

Davvero, questo è il Tao della Programmazione.

6.2

Perchè i programmatori non sono produttivi?

Perchè il loro tempo è sprecato in riunioni.

Perchè i programmatori si ribellano? Perchè il management interferisce troppo.

Perchè i programmatori si dimettono uno per uno? Perchè sono esausti.

Lavorando per un management scadente, non danno più valore al loro lavoro.

6.3

Un manager stava per essere licenziato, ma un programmatore che lavorava per lui inventò un nuovo programma che divenne popolare e vendette bene. Come risultato, il manager mantenne il suo posto.

Il manager cercò di dare un compenso extra al programmatore, ma il programmatore lo rifiutò, dicendo, "Ho scritto il programma perchè pensavo che fosse un concetto interessante, quindi non mi aspetto alcun premio."

Il manager, sentendo questo, pensò: "Questo programmatore, anche se ha una posizione di basso pregio, capisce bene il dovere proprio di un impiegato. Promuoviamolo alla posizione esaltata di consulente del management!"

Ma quando gli venne detto, il programmatore rifiutò nuovamente, dicendo, "Io esisto per poter programmare. Se venissi promosso, non farei altro che sprecare il tempo di tutti. Posso andare ora? Ho un programma a cui sto lavorando."

6.4

Un manager andò dai suoi programmatori e disse loro: "Riguardo alle vostre ore di lavoro: dovete essere entrati alle nove del mattino e uscire alle cinque del pomeriggio." Sentendo questo, tutti si arrabbiarono e alcuni si dimisero immediatamente.

Allora il manager disse: "Va bene, in questo caso potete gestire da voi l'orario di lavoro, a patto che finiate in tempo i vostri progetti." I programmatori, ora soddisfatti, iniziarono a entrare in ufficio a mezzogiorno e lavorare fino a tarda notte.

Il Tao della Programmazione: Libro 5

il Libro Tao: dentro l'informazione - I


PREFACE

THIS BOOK explores an unrecognized but mighty taboo—our tacit conspiracy to ignore who, or what, we really are. Briefly, the thesis is that the prevalent sensation of oneself as a separate ego enclosed in a bag of skin is a hallucination which accords neither with Western science nor with the experimental philosophy-religions of the East—in particular the central and germinal Vedanta philosophy of Hinduism. This hallucination underlies the misuse of technology for the violent subjugation of man's natural environment and, consequently, its eventual destruction.
We are therefore in urgent need of a sense of our own existence which is in accord with the physical facts and which overcomes our feeling of alienation from the universe. For this purpose I have drawn on the insights of Vedanta, stating them, however, in a completely modern and Western style—so that this volume makes no attempt to be a textbook on or introduction to Vedanta in the ordinary sense. It is rather a cross-fertilization of Western science with an Eastern intuition.

Sausalito, California                                                                                                  ALAN WATTS
January, 1966


INSIDE INFORMATION

JUST WHAT should a young man or woman know in order to be "in the know"? Is there, in other words, some inside information, some special taboo, some real lowdown on life and existence that most parents and teachers either don't know or won't tell?
In Japan it was once customary to give young people about to be married a "pillow book." This was a small volume of wood-block prints, often colored, showing all the details of sexual intercourse. It wasn't just that, as the Chinese say, "one picture is worth ten thousand words." It was also that it spared parents the embarrassment of explaining these intimate matters face-to-face. But today in the West you can get such information at any newsstand. Sex is no longer a serious taboo. Teenagers sometimes know more about it than adults.
But if sex is no longer the big taboo, what is? For there is always something taboo, something repressed, unadmitted, or just glimpsed quickly out of the corner of one's eye because a direct look is too unsettling. Taboos lie within taboos, like the skins of an onion. What, then, would be The Book which fathers might slip to their sons and mothers to their daughters, without ever admitting it openly?
In some circles there is a strong taboo on religion, even in circles where people go to church or read the Bible. Here, religion is one's own private business. It is bad form or uncool to talk or argue about it, and very bad indeed to make a big show of piety. Yet when you get in on the inside of almost any standard-brand religion, you wonder what on earth the hush was about. Surely The Book I have in mind wouldn't be the Bible, "the Good Book"—that fascinating anthology of ancient wisdom, history, and fable which has for so long been treated as a Sacred Cow that it might well be locked up for a century or two so that men could hear it again with clean ears. There are indeed secrets in the Bible, and some very subversive ones, but they are all so muffled up in complications, in archaic symbols and ways of thinking, that Christianity has become incredibly difficult to explain to a modern person. That is, unless you are content to water it down to being good and trying to imitate Jesus, but no one ever explains just how to do that. To do it you must have a particular power from God known as "grace," but all that we really know about grace is that some get it, and some don't.
The standard-brand religions, whether Jewish, Christian, Mohammedan, Hindu, or Buddhist, are—as now practiced—like exhausted mines: very hard to dig. With some exceptions not too easily found, their ideas about man and the world, their imagery, their rites, and their notions of the good life don't seem to fit in with the universe as we now know it, or with a human world that is changing so rapidly that much of what one learns in school is already obsolete on graduation day.
The Book I am thinking about would not be religious in the usual sense, but it would have to discuss many things with which religions have been concerned—the universe and man's place in it, the mysterious center of experience which we call "I myself," the problems of life and love, pain and death, and the whole question of whether existence has meaning in any sense of the word. For there is a growing apprehension that existence is a rat-race in a trap: living organisms, including people, are merely tubes which put things in at one end and let them out at the other, which both keeps them doing it and in the long run wears them out. So to keep the farce going, the tubes find ways of making new tubes, which also put things in at one end and let them out at the other. At the input end they even develop ganglia of nerves called brains, with eyes and ears, so that they can more easily scrounge around for things to swallow. As and when they get enough to eat, they use up their surplus energy by wiggling in complicated patterns, making all sorts of noises by blowing air in and out of the input hole, and gathering together in groups to fight with other groups. In time, the tubes grow such an abundance of attached appliances that they are hardly recognizable as mere tubes, and they manage to do this in a staggering variety of forms. There is a vague rule not to eat tubes of your own form, but in general there is serious competition as to who is going to be the top type of tube. All this seems marvelously futile, and yet, when you begin to think about it, it begins to be more marvelous than futile. Indeed, it seems extremely odd.
It is a special kind of enlightenment to have this feeling that the usual, the way things normally are, is odd—uncanny and highly improbable. G. K. Chesterton once said that it is one thing to be amazed at a gorgon or a griffin, creatures which do not exist; but it is quite another and much higher thing to be amazed at a rhinoceros or a giraffe, creatures which do exist and look as if they don't. This feeling of universal oddity includes a basic and intense wondering about the sense of things. Why, of all possible worlds, this colossal and apparently unnecessary multitude of galaxies in a mysteriously curved space-time continuum, these myriads of differing tube-species playing frantic games of one-upmanship, these numberless ways of "doing it" from the elegant architecture of the snow crystal or the diatom to the startling magnificence of the lyrebird or the peacock?
Ludwig Wittgenstein and other modern "logical" philosophers have tried to suppress this question by saying that it has no meaning and ought not to be asked. Most philosophical problems are to be solved by getting rid of them, by coming to the point where you see that such questions as "Why this universe?" are a kind of intellectual neurosis, a misuse of words in that the question sounds sensible but is actually as meaningless as asking "Where is this universe?" when the only things that are anywhere must be somewhere inside the universe. The task of philosophy is to cure people of such nonsense. Wittgenstein, as we shall see, had a point there. Nevertheless, wonder is not a disease. Wonder, and its expression in poetry and the arts, are among the most important things which seem to distinguish men from other animals, and intelligent and sensitive people from morons.
Is there, then, some kind of a lowdown on this astounding scheme of things, something that never really gets out through the usual channels for the Answer—the historic religions and philosophies? There is. It has been said again and again, but in such a fashion that we, today, in this particular civilization do not hear it. We do not realize that it is utterly subversive, not so much in the political and moral sense, as in that it turns our ordinary view of things, our common sense, inside out and upside down. It may of course have political and moral consequences, but as yet we have no clear idea of what they may be. Hitherto this inner revolution of the mind has been confined to rather isolated individuals; it has never, to my knowledge, been widely characteristic of communities or societies. It has often been thought too dangerous for that. Hence the taboo.
But the world is in an extremely dangerous situation, and serious diseases often require the risk of a dangerous cure—like the Pasteur serum for rabies. It is not that we may simply blow up the planet with nuclear bombs, strangle ourselves with overpopulation, destroy our natural resources through poor conservation, or ruin the soil and its products with improperly understood chemicals and pesticides. Beyond all these is the possibility that civilization may be a huge technological success, but through methods that most people will find baffling, frightening, and disorienting—because, for one reason alone, the methods will keep changing. It may be like playing a game in which the rules are constantly changed without ever being made clear—a game from which one cannot withdraw without suicide, and in which one can never return to an older form of the game.
But the problem of man and technics is almost always stated in the wrong way. It is said that humanity has evolved one-sidedly, growing in technical power without any comparable growth in moral integrity, or, as some would prefer to say, without comparable progress in education and rational thinking. Yet the problem is more basic. The root of the matter is the way in which we feel and conceive ourselves as human beings, our sensation of being alive, of individual existence and identity. We suffer from a hallucination, from a false and distorted sensation of our own existence as living organisms. Most of us have the sensation that "I myself" is a separate center of feeling and action, living inside and bounded by the physical body—a center which "confronts" an "external" world of people and things, making contact through the senses with a universe both alien and strange. Everyday figures of speech reflect this illusion. "I came into this world." "You must face reality." "The conquest of nature."







lunedì 22 aprile 2013

Tao in zattera

Jean-Louis Théodore Géricault, Le Radeau de la Méduse, 1818-19, musée du Louvre
Goscinny-Uderzo, Asterix
Sergio Michilini, La zattera della medusa italiana, 1981
Ju Duoqi, The Vegetable Museum - The Raft of the Lotus Roots, 2008
Joel Peter Witkin, The raft of George W. Bush, 2006