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Angels Fear Revisited:
Gregory Bateson’s Cybernetic Theory of Mind
Applied to Religion-Science Debates
Gregory Bateson’s Cybernetic Theory of Mind
Applied to Religion-Science Debates
Mary Catherine Bateson
Learning and Evolution as Mental Processes
The question of teleology (design) brings me back to the final chapter of Mind and Nature (1979), in which Gregory talks about the “two great stochastic processes” that combine randomness with selectivity. Having in many different ways, in the course of that book, discussed the mind-like properties of natural systems, he compares evolution with learning. And it strikes me today that he is saying that of course there is something that looks like intelligent design in evolution, because the mind-like properties of systems are unfolding. In this sense one can see mind at work in the structure of the eye, or in the structure of the cell and what have you. But in this understanding the mind is not external. Mind is a characteristic of the unfolding organization and process, immanent and emergent.
When Gregory spoke about the two great stochastic processes – learning, involving trial and error and involving something like reinforcement to determine what is retained, and evolution, where natural selection has the same effect, he was proposing yet another aspect of the pattern which connects all living things, recognizing in our own mental processes of thought and learning a pattern which connects us to the biosphere rather than an argument for separation. This recognition is inhibited by the dualistic assumption that what happens in the natural world is mechanical. It is inhibited in a deep way by the Cartesian body – mind distinction, as if the natural world were purely material instead of being shaped by process and organization. Having over simplified our description of the natural world, we open the door to a compensatory leap from the recognition of the complexity around us to the insistence on a mind external to it – a deity – shaping it. “Miracles,” said Gregory, “are dreams and imaginings whereby materialists hope to escape from their materialism.”
I GRANDI PROCESSI STOCASTICI.
"L'espressione sovente impiegata dal signor Herbert Spencer di “sopravvivenza del più adatto” è più precisa ed è talvolta egualmente comoda".
CHARLES DARWIN, "On the Origin of Species", quinta edizione.
Into this universe, and "why" not knowing
nor "whence", like Water willy-nilly flowing:
And out of it, as Wind along the Waste,
I now not "whither", willy-nilly blowing.
[Entrare in questo universo, e non sapere "perchè‚"
né "da dove", come acqua che volere o no fluisce;
e uscirne, come vento nel deserto,
che volere o no soffia, non so "dove".]
EDWARD FITZGERALD, "The Rubaiyat of Omar Khayyam".
L'assunto generale di questo libro è che tanto il cambiamento genetico quanto il processo detto "apprendimento" (ivi compresi i cambiamenti somatici indotti dall'abitudine e dall'ambiente) sono processi stocastici. E' mia convinzione che in ciascun caso vi sia un flusso di eventi che è per certi aspetti casuale e un processo selettivo non casuale che fa sì che alcune delle componenti casuali 'sopravvivano' più a lungo di altre. Senza il casuale, non possono esservi cose nuove.
Io parto dall'assunto che nell'evoluzione la produzione di forme mutanti è o casuale entro l'insieme delle alternative permesse dallo "status quo", oppure, se la mutazione è ordinata, che i criteri di quell'ordinamento non interessano le tensioni dell'organismo. In conformità con la teoria ortodossa della genetica molecolare, il mio assunto è che l'ambiente protoplasmatico del D.N.A. non può pilotare in esso cambiamenti riguardanti l'adattamento dell'organismo all'ambiente o la riduzione delle sue tensioni interne. Molti fattori - sia fisici sia chimici - possono alterare la frequenza della mutazione, ma il mio assunto è che le mutazioni così generate non sono connesse con le particolari tensioni cui era sottoposta la generazione dei genitori allorché‚ si determinò la mutazione. Accetterò addirittura l'assunto che le mutazioni prodotte da un mutageno non interessano la tensione fisiologica generata dal mutageno stesso entro la cellula. Oltre a ciò, accetterò l'assunto - ora ortodosso - che le mutazioni, così generate a caso, vengono immagazzinate nel "pool" genico eterogeneo della popolazione, che la selezione naturale agisce eliminando le alternative sfavorevoli sotto il profilo di "qualcosa come" la sopravvivenza, e che tale eliminazione favorisce, nel complesso, le alternative innocue e benefiche.
Sul versante dell'individuo, accetterò analogamente l'assunto che i processi mentali generano un gran numero di alternative, e che tra esse esiste una selezione determinata da "qualcosa come" il rinforzo.
Sia nel caso della mutazione sia nel caso dell'apprendimento è sempre necessario ricordare le potenziali patologie dell'assegnazione ai vari tipi logici. Ciò che ha valore di sopravvivenza per l'individuo "può" essere letale per la popolazione o per la società. Ciò che fa bene per un breve periodo (la cura sintomatica) se protratto a lungo può causare assuefazione o morte.
Fu Alfred Russel Wallace che nel 1866 osservò che il principio della selezione naturale è simile a quello della macchina a vapore con regolatore. Il mio assunto è che le cose stanno proprio così, e che tanto il processo dell'apprendimento individuale quanto la dinamica delle popolazioni per selezione naturale possono manifestare le patologie di tutti i circuiti cibernetici: eccessiva oscillazione e fuga. Insomma, accetto l'assunto che il cambiamento evolutivo e quello somatico (compresi l'apprendimento e il pensiero) sono fondamentalmente simili, che entrambi sono di natura stocastica, benché‚ certo le idee (ingiunzioni, proposizioni descrittive, e così via) in base a cui agisce ciascun processo siano di un tipo logico completamente diverso da quello delle idee dell'altro processo.
E' questo groviglio di tipi logici che ha portato a tanta confusione, a tante controversie e perfino a sciocchezze su questioni come “l'ereditarietà dei caratteri acquisiti” e sulla legittimità di invocare la 'mente' come principio esplicativo. Tutta la cosa ha avuto una storia curiosa. Un tempo l'idea che l'evoluzione potesse avere una componente casuale era per molti inaccettabile. Sarebbe stato contrario a tutto quello che si sapeva sull'adattamento e sul disegno generale e contrario anche a ogni fede in un creatore dotato di caratteristiche mentali. La critica di Samuel Butler all'"Origine delle specie" era essenzialmente un'accusa a Darwin di escludere la mente dal numero dei princìpi esplicativi pertinenti. Butler voleva immaginare una mente non casuale operante in qualche punto del sistema e alle teorie di Darwin preferiva quindi quelle di Lamarck (Nota: Stranamente, perfino in "Evolution, Old and New" di Butler ci sono pochissime prove che egli fosse particolarmente in sintonia con il raffinato pensiero di Lamarck).
Tuttavia, tali critiche sono risultate sbagliate proprio nella scelta della correzione da apportare alla teoria darwiniana. Oggi vediamo il pensiero e l'apprendimento (e forse il cambiamento somatico) come processi stocastici. Il modo in cui correggeremmo il pensiero dell'Ottocento non consisterebbe nell'aggiungere una mente non stocastica al processo evolutivo, bensì nel proporre l'idea che il pensiero e l'evoluzione siano simili in quanto partecipano della stocasticità. Entrambi sono processi mentali secondo i criteri proposti... Ci troviamo quindi di fronte a due grandi sistemi stocastici che in parte interagiscono e in parte sono isolati l'uno dall'altro. Un sistema è dentro l'individuo ed è chiamato "apprendimento"; l'altro è immanente nell'eredità e nelle popolazioni ed è chiamato "evoluzione". Il primo concerne la durata di una singola vita; l'altro concerne numerose generazioni di molti individui.
In questo capitolo mi propongo di mostrare come questi due sistemi stocastici, che lavorano a diversi livelli di tipo logico, si combinino a formare un'unica biosfera dinamica che non potrebbe persistere se il cambiamento somatico o quello genetico fossero fondamentalmente diversi da quelli che sono.
L'"unità" del sistema combinato è "necessaria".
1. GLI ERRORI DEL LAMARCKISMO.
Grandissima parte di ciò che si può dire su come si combinano evoluzione e cambiamento somatico è di carattere deduttivo. Ai livelli teorici che dobbiamo qui affrontare, non esistono dati provenienti dall'osservazione, e la sperimentazione non è ancora cominciata. Ma ciò non è sorprendente: dopo tutto, sulla selezione naturale non esisteva quasi alcuna osservazione probante fino agli Anni Trenta, quando Kettlewell studiò le varietà pallida e melanica della falena della betulla ("Biston betularia").
Comunque, gli argomenti contro l'ipotesi che i caratteri acquisiti siano ereditari sono istruttivi, e serviranno a illustrare parecchi aspetti dell'intricata relazione tra i due grandi processi stocastici. Gli argomenti sono tre, ma solo il terzo è convincente:
a) Il primo argomento è che l'ipotesi dev'essere scartata per mancanza di conferma empirica. Ma in questo campo la sperimentazione è incredibilmente difficile e i critici sono spietati, sicch‚ l'assenza di prove non sorprende. Non è certo che, se l'ereditarietà lamarckiana si presentasse in natura o anche in laboratorio, sarebbe possibile riconoscerla.
b) La seconda critica, fino a poco fa la più convincente, formulata da August Weissmann verso la fine dell'Ottocento, sostiene che "non esiste comunicazione tra il soma e il plasma germinale". Weissmann era un embriologo tedesco straordinariamente dotato che, divenuto quasi cieco in età ancor giovane, si dedicò alla ricerca teorica. Egli notò che per molti organismi esisteva una continuità da una generazione all'altra di quello che egli chiamò “plasma germinale”, cioè della linea protoplasmatica, e che per ciascuna generazione il corpo fenotipico o soma poteva essere considerato una diramazione del plasma germinale. Sulla base di questa idea egli argomentò che non vi poteva essere alcuna comunicazione retrograda dal ramo somatico al tronco principale costituito dal plasma germinale.
Se un individuo esercita il bicipite destro, certamente questo muscolo gli s'irrobustisce, ma non si conosce alcun modo in cui questo cambiamento somatico possa venir comunicato alle cellule sessuali dell'individuo. Questa critica, come la prima, dipende da un'argomentazione basata sull'assenza di prove (una pietra instabile su cui poggiare il piede) e la maggior parte dei biologi dopo Weissmann hanno cercato di rendere l'argomento "deduttivo" accettando per vero che non esiste "nessun immaginabile" modo di comunicazione tra il bicipite e i futuri gameti.
Ma la cosa oggi non appare più così sicura come vent'anni fa. Se l'R.N.A. può portare l'impronta di porzioni di D.N.A. ad altre parti della cellula, e forse ad altre parti del corpo, è "immaginabile" che l'impronta dei cambiamenti chimici del bicipite possa essere portata al plasma germinale.
c) L'ultima critica, e per me l'unica convincente è una "reductio ad absurdum": essa asserisce che, se l'ereditarietà lamarckiana costituisse la regola o fosse anche soltanto comune, l'intero sistema dei processi stocastici interconnessi si arresterebbe.
Espongo qui questa critica non solo per tentare (probabilmente invano) di uccidere un'idea dura a morire, ma anche per illustrare le relazioni tra i due processi stocastici. Immaginiamo il seguente dialogo:
BIOLOGO. Che cosa sostiene esattamente la teoria lamarckiana? Che cosa intendi per “ereditarietà dei caratteri acquisiti"“?
LAMARCKIANO. Che un cambiamento del corpo indotto dall'ambiente sarà trasmesso alla prole.
BIOLOGO. Un momento, dev'essere trasmesso un “cambiamento"“? Che cosa esattamente dev'essere trasmesso dal genitore alla prole? Un 'cambiamento' è una specie di astrazione, mi pare.
LAMARCKIANO. Un effetto dell'ambiente, per esempio le callosità nuziali del maschio del rospo ostetrico (Nota: Quasi tutte le specie di rospo si accoppiano nell'acqua e durante l'accoppiamento il maschio afferra la femmina con le zampe anteriori standole sul dorso. Forse "perchè‚" essa è viscida, in questa stagione il maschio ha sulle mani delle callosità nere e ruvide. Il rospo ostetrico, invece, si accoppia sulla terra e non ha callosità nuziali. Negli anni precedenti la prima guerra mondiale lo scienziato austriaco Paul Kammerer sostenne di aver dimostrato la famosa ereditarietà dei caratteri acquisiti costringendo rospi ostetrici ad accoppiarsi nell'acqua. In tali condizioni nel maschio si formarono le callosità nuziali. Si sostenne che queste callosità crescessero poi ai discendenti del maschio, anche sulla terra).
BIOLOGO. Non capisco ancora. Non vorrai certo dire che è stato l'ambiente a fare le callosità nuziali.
LAMARCKIANO. Certo che no: è stato il rospo.
BIOLOGO. Ah, allora il rospo, in un certo senso, sapeva come fare o aveva la 'potenzialità' di farsi crescere le callosità nuziali?
LAMARCKIANO. Sì, qualcosa del genere. Il rospo poteva farsi crescere le callosità nuziali se era costretto a riprodursi nell'acqua.
BIOLOGO. Ah, poteva adattarsi, giusto? Se si riproduceva sulla terra, nel modo normale per questa specie di rospi, non gli crescevano callosità nuziali, invece nell'acqua sì, proprio come a tutti gli altri tipi di rospo. Poteva scegliere.
LAMARCKIANO. Ma ad alcuni dei discendenti del rospo cui erano cresciute le callosità nell'acqua, esse crescevano anche sulla terra. Ecco che cosa intendo per ereditarietà dei caratteri acquisiti.
BIOLOGO. Ah, ecco, capisco. Ciò che veniva trasmesso era la perdita di un'alternativa. I discendenti non erano più in grado di riprodursi in modo normale sulla terra. Affascinante!
LAMARCKIANO. Fai apposta a non capire.
BIOLOGO. Può darsi. Ma ancora non capisco che cosa verrebbe 'trasmesso' o 'ereditato'. Il fatto empirico che si sostiene è che i discendenti "differivano" dal genitore in quanto non avevano una possibilità di scelta che quello invece aveva. Ma questa non è la trasmissione di una somiglianza, come suggerirebbe il termine"ereditarietà": è la trasmissione di una "differenza". Ma la 'differenza' non esisteva e non poteva quindi essere trasmessa. Come la vedo io, il rospo genitore aveva ancora tutte le sue alternative intatte.
E così via. Il punto cruciale in questa discussione riguarda la collocazione nella gerarchia dei tipi logici del messaggio genetico presumibilmente trasmesso. Non basta dire vagamente che vengono trasmesse le callosità nuziali, e non ha senso sostenere che viene trasmessa la potenzialità di far crescere le callosità nuziali, poichè‚ tale potenzialità era insita nel rospo genitore prima che l'esperimento cominciasse (Nota: Arthur Koestler in "The Case of the Midwife Toad" (New York, Vintage Books, 1973 riferisce che le callosità nuziali sono state trovate in almeno un rospo selvatico di questa specie. Quindi il corredo genetico necessario esiste. Questa scoperta riduce fortemente il valore di prova dell'esperimento di Kammerer).
Naturalmente, non si nega che gli animali di questo mondo, e in misura minore le piante, presentino spesso l'aspetto che potremmo attenderci in un mondo in cui l'evoluzione avesse percorso le vie dell'ereditarietà lamarckiana.
Vedremo che questo aspetto è inevitabile, dato (a) che le popolazioni selvagge di solito (forse sempre) sono caratterizzate da "pool" genici eterogenei (misti e diversificati), (b) che i singoli animali sono capaci di cambiamenti somatici che sono in qualche modo adattativi, e (c) che la mutazione e il rimescolamento dei geni esistenti sono casuali.
Ma questa conclusione si potrà trarre solo dopo aver confrontato l'economia entropica del cambiamento somatico con l'economia entropica del conseguimento dello stesso aspetto fenotipico mediante determinazione genetica.
Nel dialogo immaginario, il lamarckiano è stato ridotto al silenzio dall'argomento che l'ereditarietà dei caratteri acquisiti sarebbe accompagnata dalla perdita della libertà di modificare il corpo dell'individuo in risposta alle richieste dell'abitudine o dell'ambiente. Quest'asserzione generale non è vera in modo così semplice. Non c'è dubbio che la sostituzione del controllo somatico con quello genetico (a prescindere dal problema dell'eredità) diminuisca sempre la flessibilità dell'individuo. La possibilità di cambiamento somatico in quel dato carattere è perduta del tutto o in parte. Ma resta sempre l'interrogativo generale: non è "mai" vantaggioso sostituire al controllo somatico quello genetico? Se così fosse, il mondo sarebbe certo molto diverso da quello di cui abbiamo esperienza. Analogamente, se l'ereditarietà lamarckiana costituisse la regola, l'intero processo dell'evoluzione e della vita sarebbe stretto nelle pastoie della rigidità della determinazione genetica. La risposta deve trovarsi tra questi due estremi, e in mancanza di dati che sbroglino la faccenda, non ci resta che affidarci al buon senso e a ciò che è possibile dedurre dai princìpi della cibernetica.
Illustrerò l'intera questione con una discussione sull'uso e il disuso.
2. USO E DISUSO.
Questa vecchia coppia di concetti, un tempo al centro delle discussioni sull'evoluzione, è quasi scomparsa dalla scena, forse perché‚ a questo riguardo è soprattutto necessario mantenere chiaro il tipo logico delle varie componenti di qualsiasi ipotesi.
Che gli effetti dell'uso possano forse fornire qualche contributo all'evoluzione non è cosa particolarmente misteriosa. Nessuno può negare che a prima vista la scena biologica si presenti "come se" gli effetti dell'uso e del disuso si trasmettessero da una generazione all'altra. Ciò tuttavia non collima con quanto sappiamo sulla natura autocorrettiva e adattativa del cambiamento somatico. In pochissime generazioni le creature perderebbero ogni libertà di modifica somatica.
Ma se si va oltre il lamarckismo grezzo, ci s'imbatte in difficoltà di attribuzione del tipo logico alle varie parti dell'ipotesi. Credo che queste difficoltà si possano superare. Quanto all'uso, non è troppo difficile immaginare sequenze in cui la selezione naturale potrebbe favorire quegli individui la cui composizione genetica si accordasse con i cambiamenti somatici correnti tra gli individui della popolazione considerata. I cambiamenti somatici che accompagnano l'uso sono di solito (bench‚ non sempre) adattativi, e perciò un controllo genetico che favorisse questi cambiamenti potrebbe essere vantaggioso.
In quali circostanze conviene, in termini di sopravvivenza, sostituire al controllo somatico quello genetico?
Il "prezzo" di questo spostamento, come ho sostenuto, è una mancanza di flessibilità, ma tale mancanza dev'essere precisata meglio se vogliamo definire le condizioni nelle quali lo spostamento sarà vantaggioso.
A prima vista, vi sono casi in cui la flessibilità non sarebbe forse mai più necessaria dopo il passaggio al controllo genetico. Si tratta di quei casi in cui il cambiamento somatico è una modifica di adattamento a una qualche condizione ambientale "costante". Per i membri di una data specie che risiedano in permanenza in alta montagna tanto vale basare tutte le loro modifiche di adattamento al clima montano, alla pressione atmosferica, eccetera, sulla determinazione genetica. Ad essi non serve quella reversibilità che è il contrassegno del cambiamento somatico.
“Perché‚ le giraffe possano mangiarle, caro, perché‚... se le palme fossero piccole piccole, le giraffe sarebbero in un grosso impiccio”.
“Ma papà, allora perché‚ le giraffe hanno il collo così lungo?”.
“Ecco, per poter mangiare le palme, caro, perché‚... se le giraffe avessero il collo corto, sarebbero in un impiccio ancor più grosso”.
Invece, l'adattamento a condizioni variabili e reversibili è attuato molto meglio dal cambiamento somatico, e può darsi benissimo che sia tollerabile soltanto un cambiamento somatico molto superficiale.
Nel cambiamento somatico c'è una scala di intensità. Un uomo che salga dal livello del mare fino a quattromila metri d'altezza, a meno che non sia in ottima forma, comincerà ad ansimare e il suo cuore prenderà a galoppare. Questi cambiamenti somatici immediati e reversibili vanno benissimo per affrontare una situazione di emergenza, ma sarebbe uno spreco assurdo di flessibilità usare l'affanno e la tachicardia per adattarsi in modo prolungato all'atmosfera di montagna. Ciò che si richiede è un cambiamento somatico che dovrebbe forse essere meno reversibile, poiché‚ ora consideriamo non un'emergenza temporanea, ma condizioni protratte e durature. Converrà sacrificare un po' di reversibilità per poter economizzare sulla flessibilità (cioè serbare l'affanno e la tachicardia per quelle occasioni in alta montagna in cui sia richiesto uno sforzo supplettivo). Questo fenomeno prende il nome di "acclimazione": il cuore dell'uomo subirà cambiamenti, il suo sangue arriverà a contenere più emoglobina, la sua gabbia toracica e le sue abitudini respiratorie muteranno, e così via. Questi cambiamenti saranno molto meno reversibili dell'affanno, e se l'uomo scende in pianura, può darsi che provi qualche fastidio.
Per usare il linguaggio di questo libro, diremo che nelle modifiche somatiche di adattamento vi è una gerarchia: le esigenze particolari e immediate vengono affrontate al livello superficiale (il più concreto), mentre ai livelli più profondi (più astratti) si affrontano le modifiche più generali. Esiste un parallelismo perfetto tra questo caso e quello della gerarchia dell'apprendimento, dove il proto-apprendimento riguarda il fatto o l'azione particolari, e il deutero- apprendimento riguarda contesti e classi di contesti.
E' interessante osservare che l'acclimazione viene attuata mediante molti cambiamenti su molti fronti (muscolo cardiaco, emoglobina, muscolatura toracica, e così via); invece i provvedimenti di emergenza tendono ad essere localizzati e specifici.
Nell'acclimazione l'organismo acquista una flessibilità superficiale al prezzo di una rigidità a livello più profondo. Ora l'uomo potrà ricorrere all'affanno e alla tachicardia come provvedimenti di emergenza se s'imbatte in un orso, ma si troverà a disagio se scenderà a livello del mare per far visita ai vecchi amici.
Vale la pena esporre questa faccenda in termini più formali. Consideriamo tutte le proposizioni che potrebbero essere necessarie per descrivere un organismo. Possono essere milioni, ma saranno collegate tra loro in anelli e circuiti di interdipendenza. E, in una certa misura, per quell'organismo ciascuna proposizione descrittiva sarà normativa; cioè, vi saranno un livello massimo e uno minimo oltre i quali la variabile descritta sarà tossica. Se nel sangue c'è troppo zucchero, o troppo poco, si muore: e ciò vale per tutte le variabili biologiche. A ogni variabile è collegato quello che si può chiamare un "metavalore": cioè, la creatura sta bene se la variabile considerata si trova al centro dell'intervallo di variabilità, non al massimo o al minimo. E poiché‚ le variabili sono collegate tra loro in anelli e circuiti, ne segue che una variabile che si trovi al massimo o al minimo intralcerà tutte le altre variabili dello stesso anello.
La flessibilità e la sopravvivenza sono favorite da qualsiasi cambiamento che tenda a mantenere le variabili in fluttuazione al centro del loro intervallo. Ma una qualsiasi estrema modifica somatica di adattamento spingerà una o più variabili a valori estremi. Quindi, vi è sempre una tensione che può essere alleviata mediante un cambiamento genetico, purch‚ tale cambiamento non si esprima nel fenotipo con un ulteriore aumento della tensione già presente. Ciò che si richiede è un cambiamento genetico che "modifichi i livelli di tolleranza del valore massimo o minimo (o di entrambi) della variabile".
Se, per esempio, prima del cambiamento genetico (per mutazione o, più probabilmente, per rimescolamento dei geni) la tolleranza di una data variabile fluttuava tra i limiti 5 e 7, un cambiamento genetico che spostasse questi limiti ai nuovi valori 7 e 9 sarebbe positivo, in termini di sopravvivenza, per una creatura che facesse fatica a mantenere la variabile al vecchio valore di 7 mediante modifiche somatiche di adattamento. Inoltre, se le modifiche somatiche spingessero il nuovo valore a 9, si potrebbe ottenere un ulteriore incremento del valore di sopravvivenza mediante un ulteriore cambiamento genetico che consentisse o inducesse un innalzamento dei livelli di tolleranza lungo la stessa scala.
In passato era difficile spiegare i cambiamenti evolutivi collegati al "disuso". Che un cambiamento genetico nella stessa direzione degli effetti dell'abitudine o dell'uso avesse di solito valore di sopravvivenza era cosa facile da immaginare; più difficile invece era vedere come potesse essere vantaggiosa una duplicazione genetica degli effetti del disuso. Tuttavia, se manipoliamo il tipo logico di questo messaggio genetico immaginario, otteniamo un'ipotesi che, con un unico paradigma, riesce a spiegare tanto gli effetti dell'uso quanto quelli del disuso. Il vecchio mistero che circonda la cecità degli animali cavernicoli e il femore di due etti di una balena azzurra di ottanta tonnellate non è più così impenetrabile. Basta solo supporre che il mantenimento di qualunque organo rudimentale, diciamo un femore di cinque chili in una balena di ottanta tonnellate, spinga sempre una o più variabili somatiche verso il limite di tolleranza superiore o inferiore, e si vedrà come possa essere accettabile uno spostamento dei limiti di tolleranza.
Tuttavia, dal punto di vista di questo libro, la nostra soluzione degli altrimenti sconcertanti problemi dell'uso e del disuso è un'illustrazione importante della relazione tra il cambiamento genetico e quello somatico, e, spingendosi più in là, della relazione tra i tipi logici superiori e inferiori di quel vasto processo mentale chiamato "evoluzione".
Il messaggio di tipo logico superiore (cioè l'ingiunzione più nettamente genetica) non ha bisogno di menzionare la variabile somatica le cui tolleranze sono spostate dal cambiamento genetico. Anzi, il testo genetico probabilmente non contiene nulla che assomigli in qualche modo ai nomi o ai sostantivi del linguaggio umano. Io sono convinto che quando si studierà il regno quasi del tutto sconosciuto dei processi tramite i quali il D.N.A. determina l'embriologia, si troverà che il D.N.A. non menziona altro che relazioni. Se chiedessimo al D.N.A. quante dita avrà questo embrione umano, la risposta potrebbe essere: “Quattro relazioni di coppia fra (le dita)”. E se chiedessimo quanti spazi vi saranno tra le dita, la risposta sarebbe: “Tre relazioni di coppia fra (gli spazi)”. In ciascun caso sono definite e determinate solo le “relazioni fra”. Gli elementi finali delle relazioni nel mondo corporeo non vengono forse mai menzionati.
(I matematici noteranno che il sistema ipotetico qui descritto rassomiglia alla loro teoria dei gruppi, perché‚ considera solo le relazioni tra le "operazioni" trasformatrici di qualcosa, e mai il 'qualcosa' in sé).
A proposito di questo aspetto della comunicazione che dal cambiamento somatico, attraverso la selezione naturale, arriva al "pool" genico della popolazione, è importante notare che:
a) Il cambiamento somatico ha una struttura gerarchica.
b) Il cambiamento genetico, in un certo senso, è la componente più alta di questa gerarchia (cioè la più astratta e la meno reversibile).
c) Il cambiamento genetico può evitare, almeno in parte, il costo di imporre rigidità al sistema, ritardando il proprio intervento fino al momento in cui risulta probabile che la situazione affrontata dal soma a un livello reversibile sia davvero permanente, e agendo solo indirettamente sulla variabile fenotipica. Presumibilmente, il cambiamento genetico sposta solo la "regolazione" (vedi “Tipi logici”) del controllo omeostatico della variabile fenotipica.
d) Con questo passaggio dal controllo diretto della variabile fenotipica al controllo della regolazione della variabile c'è anche probabilmente lo schiudersi e l'ampliarsi di possibilità alternative di cambiamento. Le tolleranze relative alle dimensioni del femore della balena sono senza dubbio regolate da dozzine di geni diversi che, sotto questo aspetto, agiscono insieme, ma ciascuno di essi si esprime forse in modo assai diverso in altre parti del corpo.
Un'analoga proliferazione che dall'effetto singolo, al quale l'evoluzionista s'interessa in un dato momento, porta a numerose cause alternative o sinergiche è stato notato nel passaggio dal semplice cambiamento somatico all'acclimazione. E' presumibile che in biologia il passaggio da un livello logico a quello immediatamente superiore sia sempre accompagnato da questo moltiplicarsi delle considerazioni pertinenti.