Alla ricerca del misterioso Kadath - The Dream-Quest of Unknown Kadath, novembre 1926-gennaio 1927
Tre volte Randolph Carter sognò la città meravigliosa e tre volte ne fu rapito mentre l'ammirava dalla terrazza panoramica. Magnifica e splendente come oro ai raggi del tramonto, la città era ricca di mura, templi, colonne, ponti ricurvi di marmo venato, fontane d'argento che mandavano zampilli nelle grandi piazze, giardini profumati, larghe strade che si snodavano fra filari di alberi delicati, urne ornate di fiori e una teoria scintillante di statue d'oro; e a nord, sui fianchi ripidi delle colline, s'arrampicavano file di tetti rossi e vecchi abbaini aggobbiti che proteggevano le strade più piccole, dove l'erba cresceva in mezzo ai ciottoli. Era una visione degna della febbre d'un dio: un concerto di strumenti sovrannaturali, un tuono di cimbali senza tempo. Il mistero aleggiava su di essa come una nube sulla cima di una montagna favolosa e inesplorata, e quando Carter guardava la città dal parapetto della terrazza rimaneva senza fiato, assalito dal sapore e dal mistero di ricordi semidimenticati, dal dolore delle cose perdute e dal desiderio struggente di rimettere al suo posto ciò che una volta aveva avuto un'importanza portentosa e straordinaria.
Sapeva che per lui il significato di quel "qualcosa" era stato immenso, ma non poteva dire in quale ciclo o incarnazione anteriore, e neppure se ne avesse fatto esperienza da sveglio o in sogno. Non gli rimanevano che le visioni di un'infanzia lontana e dimenticata, vaghe sensazioni di meraviglia e piacere nascoste nei misteri della vita di tutti i giorni, quando l'alba e il tramonto portavano, ricchi di aspettativa, musica di liuti e canzoni che schiudevano porte fatate, rivelatrici di altre sorprendenti meraviglie. Ma la notte, quando si ritrovava sulla terrazza di marmo ornata d'urne bizzarre e con il parapetto scolpito, quando ammirava la silenziosa città del tramonto che si stendeva ai suoi piedi, bellissima e ultraterrena pur nella sua concretezza, Carter scopriva di essere schiavo dei capricciosi dei del sogno, perché non c'era verso di abbandonare la terrazza e scendere la gran scalinata di marmo che precipitava, a perdita d'occhio, verso le vecchie strade incantate che sotto di lui parevano invitarlo.
Quando, per la terza volta, si svegliò senza aver disceso la scala e avere attraversato le strade immerse nel tramonto, Carter pregò a lungo gli dei del sogno che, invisibili e capricciosi, meditano sulle nuvole del misterioso Kadath (il monte che sorge nella gelida piana dove nessun uomo si è mai avventurato). Ma gli dei non risposero: non diedero segno di voler cambiare atteggiamento o di volerlo aiutare, e ciò nonostante il fervore delle preghiere che Carter aveva rivolto loro in sogno e nonostante che li avesse invocati, con offerte e sacrifici, tramite Nasht e Kaman-Thah, i sacerdoti barbuti il cui tempio simile a una caverna sorge non lontano dalle porte del mondo diurno, con in mezzo una colonna di fuoco. Sembrò anzi che le preghiere avessero effetto contrario, perché subito la città scomparve dai sogni, come se le tre visioni che Carter ne aveva avuto da lontano fossero dovute a un incidente o a una distrazione degli dei, ma fossero contrarie alla loro volontà e ai loro disegni nascosti.
Alla lunga il desiderio delle strade che splendevano nel tramonto e dei vialetti che s'inerpicavano per la collina in mezzo ai tetti rossi si fece struggente; e Carter, incapace di toglierseli dalla mente di notte o di giorno, prese l'eroica decisione di andare là dove nessun uomo era mai andato, di sfidare i deserti di ghiaccio e la tenebra in cui sorge lo sconosciuto Kadath, il monte incappucciato di nuvole e sovrastato da costellazioni inimmaginabili che nasconde i segreti dei Signori, e il castello d'onice notturno in cui hanno dimora.
Sapeva che per lui il significato di quel "qualcosa" era stato immenso, ma non poteva dire in quale ciclo o incarnazione anteriore, e neppure se ne avesse fatto esperienza da sveglio o in sogno. Non gli rimanevano che le visioni di un'infanzia lontana e dimenticata, vaghe sensazioni di meraviglia e piacere nascoste nei misteri della vita di tutti i giorni, quando l'alba e il tramonto portavano, ricchi di aspettativa, musica di liuti e canzoni che schiudevano porte fatate, rivelatrici di altre sorprendenti meraviglie. Ma la notte, quando si ritrovava sulla terrazza di marmo ornata d'urne bizzarre e con il parapetto scolpito, quando ammirava la silenziosa città del tramonto che si stendeva ai suoi piedi, bellissima e ultraterrena pur nella sua concretezza, Carter scopriva di essere schiavo dei capricciosi dei del sogno, perché non c'era verso di abbandonare la terrazza e scendere la gran scalinata di marmo che precipitava, a perdita d'occhio, verso le vecchie strade incantate che sotto di lui parevano invitarlo.
Quando, per la terza volta, si svegliò senza aver disceso la scala e avere attraversato le strade immerse nel tramonto, Carter pregò a lungo gli dei del sogno che, invisibili e capricciosi, meditano sulle nuvole del misterioso Kadath (il monte che sorge nella gelida piana dove nessun uomo si è mai avventurato). Ma gli dei non risposero: non diedero segno di voler cambiare atteggiamento o di volerlo aiutare, e ciò nonostante il fervore delle preghiere che Carter aveva rivolto loro in sogno e nonostante che li avesse invocati, con offerte e sacrifici, tramite Nasht e Kaman-Thah, i sacerdoti barbuti il cui tempio simile a una caverna sorge non lontano dalle porte del mondo diurno, con in mezzo una colonna di fuoco. Sembrò anzi che le preghiere avessero effetto contrario, perché subito la città scomparve dai sogni, come se le tre visioni che Carter ne aveva avuto da lontano fossero dovute a un incidente o a una distrazione degli dei, ma fossero contrarie alla loro volontà e ai loro disegni nascosti.
Alla lunga il desiderio delle strade che splendevano nel tramonto e dei vialetti che s'inerpicavano per la collina in mezzo ai tetti rossi si fece struggente; e Carter, incapace di toglierseli dalla mente di notte o di giorno, prese l'eroica decisione di andare là dove nessun uomo era mai andato, di sfidare i deserti di ghiaccio e la tenebra in cui sorge lo sconosciuto Kadath, il monte incappucciato di nuvole e sovrastato da costellazioni inimmaginabili che nasconde i segreti dei Signori, e il castello d'onice notturno in cui hanno dimora.
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Poi, nel lento corso dell'eternità il ciclo cosmico si avviò a un altro futile compimento e le cose tornarono com'erano state innumerevoli ere prima. Luce e materia nacquero di nuovo come lo spazio le conosceva e soli, comete, mondi fiammeggianti sorsero alla vita senza che nessuno potesse testimoniare che erano già esistiti e spariti, esistiti e spariti in eterno, senza un momento iniziale.
Ci furono di nuovo il firmamento, il vento, un riflesso di luce rossa negli occhi del sognatore che precipitava. Ci furono dei, presenze e volontà; bellezza e malvagità, urla di esseri turbolenti della notte privati della loro preda. Ma nel cuore dell'ignoto, alla fine dell'ultimo ciclo, s'era fatta strada un'idea, o piuttosto una visione che risaliva all'infanzia di un sognatore, e il mondo della veglia venne ricreato in modo da ospitare la città antica e amata, da giustificare quella speranza. Dal vuoto extra-cosmico il gas violetto S'ngac aveva indicato la strada e l'arcaico Nodens guidava il corso degli eventi da ignote profondità.
Le stelle crebbero e diventarono albe, le albe si sciolsero in rivoli d'oro, porpora e carminio, e ancora il sognatore cadeva. Lo spazio si riempì di urla, e nastri di luce respinsero i mostri dell'esterno. Nodens, l'antico, mandò un urlo di trionfo quando Nyarlathotep si fermò paralizzato a un passo dalla sua preda, perché un raggio di luce aveva ridotto in polvere i suoi segugi senza forma. Randolph Carter aveva ormai disceso la scala di marmo che porta alla città meravigliosa, perché era tornato nel mondo bellissimo del New England da cui era stato plasmato.
Nel concerto del mattino che spunta, al chiarore dell'alba riflesso dai vetri sanguigni della grande mole dorata della Residenza del Governo in cima alla collina, Randolph Carter si svegliò con un grido nella sua stanza di Boston. Gli uccelli cantavano in giardini invisibili e il profumo delle viti intrecciate salì dalle vigne piantate da suo nonno. Luce e bellezza splendevano dalla classica cornice del camino, dalla mensola che lo sovrastava e dalle pareti ornate di fregi fantastici. Un gatto nero, snello, si alzò sbadigliando presso il camino, disturbato dallo scatto improvviso e dall'urlo del suo padrone. Lontano, infinitamente lontano, oltre la Porta del Sonno Profondo, il bosco incantato, le terre-giardino, il Mare Cerenario e le sponde crepuscolari di Inganok, Nyarlathotep il caos strisciante tremava di rabbia nel castello d'onice sul misterioso Kadath, in mezzo al deserto gelato; e trattò con insolenza i miti dei della terra che aveva richiamato, all'improvviso, dai profumati trastulli cui indulgevano nella meravigliosa città del tramonto.
Ci furono di nuovo il firmamento, il vento, un riflesso di luce rossa negli occhi del sognatore che precipitava. Ci furono dei, presenze e volontà; bellezza e malvagità, urla di esseri turbolenti della notte privati della loro preda. Ma nel cuore dell'ignoto, alla fine dell'ultimo ciclo, s'era fatta strada un'idea, o piuttosto una visione che risaliva all'infanzia di un sognatore, e il mondo della veglia venne ricreato in modo da ospitare la città antica e amata, da giustificare quella speranza. Dal vuoto extra-cosmico il gas violetto S'ngac aveva indicato la strada e l'arcaico Nodens guidava il corso degli eventi da ignote profondità.
Le stelle crebbero e diventarono albe, le albe si sciolsero in rivoli d'oro, porpora e carminio, e ancora il sognatore cadeva. Lo spazio si riempì di urla, e nastri di luce respinsero i mostri dell'esterno. Nodens, l'antico, mandò un urlo di trionfo quando Nyarlathotep si fermò paralizzato a un passo dalla sua preda, perché un raggio di luce aveva ridotto in polvere i suoi segugi senza forma. Randolph Carter aveva ormai disceso la scala di marmo che porta alla città meravigliosa, perché era tornato nel mondo bellissimo del New England da cui era stato plasmato.
Nel concerto del mattino che spunta, al chiarore dell'alba riflesso dai vetri sanguigni della grande mole dorata della Residenza del Governo in cima alla collina, Randolph Carter si svegliò con un grido nella sua stanza di Boston. Gli uccelli cantavano in giardini invisibili e il profumo delle viti intrecciate salì dalle vigne piantate da suo nonno. Luce e bellezza splendevano dalla classica cornice del camino, dalla mensola che lo sovrastava e dalle pareti ornate di fregi fantastici. Un gatto nero, snello, si alzò sbadigliando presso il camino, disturbato dallo scatto improvviso e dall'urlo del suo padrone. Lontano, infinitamente lontano, oltre la Porta del Sonno Profondo, il bosco incantato, le terre-giardino, il Mare Cerenario e le sponde crepuscolari di Inganok, Nyarlathotep il caos strisciante tremava di rabbia nel castello d'onice sul misterioso Kadath, in mezzo al deserto gelato; e trattò con insolenza i miti dei della terra che aveva richiamato, all'improvviso, dai profumati trastulli cui indulgevano nella meravigliosa città del tramonto.
Swan Point Cemetery, Providence, Providence County, Rhode Island, USA |