martedì 28 maggio 2013

alla ricerca del misterioso Tao























Tre volte Randolph Carter sognò la città meravigliosa e tre volte ne fu rapito mentre l'ammirava dalla terrazza panoramica. Magnifica e splendente come oro ai raggi del tramonto, la città era ricca di mura, templi, colonne, ponti ricurvi di marmo venato, fontane d'argento che mandavano zampilli nelle grandi piazze, giardini profumati, larghe strade che si snodavano fra filari di alberi delicati, urne ornate di fiori e una teoria scintillante di statue d'oro; e a nord, sui fianchi ripidi delle colline, s'arrampicavano file di tetti rossi e vecchi abbaini aggobbiti che proteggevano le strade più piccole, dove l'erba cresceva in mezzo ai ciottoli. Era una visione degna della febbre d'un dio: un concerto di strumenti sovrannaturali, un tuono di cimbali senza tempo. Il mistero aleggiava su di essa come una nube sulla cima di una montagna favolosa e inesplorata, e quando Carter guardava la città dal parapetto della terrazza rimaneva senza fiato, assalito dal sapore e dal mistero di ricordi semidimenticati, dal dolore delle cose perdute e dal desiderio struggente di rimettere al suo posto ciò che una volta aveva avuto un'importanza portentosa e straordinaria.
Sapeva che per lui il significato di quel "qualcosa" era stato immenso, ma non poteva dire in quale ciclo o incarnazione anteriore, e neppure se ne avesse fatto esperienza da sveglio o in sogno. Non gli rimanevano che le visioni di un'infanzia lontana e dimenticata, vaghe sensazioni di meraviglia e piacere nascoste nei misteri della vita di tutti i giorni, quando l'alba e il tramonto portavano, ricchi di aspettativa, musica di liuti e canzoni che schiudevano porte fatate, rivelatrici di altre sorprendenti meraviglie. Ma la notte, quando si ritrovava sulla terrazza di marmo ornata d'urne bizzarre e con il parapetto scolpito, quando ammirava la silenziosa città del tramonto che si stendeva ai suoi piedi, bellissima e ultraterrena pur nella sua concretezza, Carter scopriva di essere schiavo dei capricciosi dei del sogno, perché non c'era verso di abbandonare la terrazza e scendere la gran scalinata di marmo che precipitava, a perdita d'occhio, verso le vecchie strade incantate che sotto di lui parevano invitarlo.
Quando, per la terza volta, si svegliò senza aver disceso la scala e avere attraversato le strade immerse nel tramonto, Carter pregò a lungo gli dei del sogno che, invisibili e capricciosi, meditano sulle nuvole del misterioso Kadath (il monte che sorge nella gelida piana dove nessun uomo si è mai avventurato). Ma gli dei non risposero: non diedero segno di voler cambiare atteggiamento o di volerlo aiutare, e ciò nonostante il fervore delle preghiere che Carter aveva rivolto loro in sogno e nonostante che li avesse invocati, con offerte e sacrifici, tramite Nasht e Kaman-Thah, i sacerdoti barbuti il cui tempio simile a una caverna sorge non lontano dalle porte del mondo diurno, con in mezzo una colonna di fuoco. Sembrò anzi che le preghiere avessero effetto contrario, perché subito la città scomparve dai sogni, come se le tre visioni che Carter ne aveva avuto da lontano fossero dovute a un incidente o a una distrazione degli dei, ma fossero contrarie alla loro volontà e ai loro disegni nascosti.
Alla lunga il desiderio delle strade che splendevano nel tramonto e dei vialetti che s'inerpicavano per la collina in mezzo ai tetti rossi si fece struggente; e Carter, incapace di toglierseli dalla mente di notte o di giorno, prese l'eroica decisione di andare là dove nessun uomo era mai andato, di sfidare i deserti di ghiaccio e la tenebra in cui sorge lo sconosciuto Kadath, il monte incappucciato di nuvole e sovrastato da costellazioni inimmaginabili che nasconde i segreti dei Signori, e il castello d'onice notturno in cui hanno dimora.

...



...
Poi, nel lento corso dell'eternità il ciclo cosmico si avviò a un altro futile compimento e le cose tornarono com'erano state innumerevoli ere prima. Luce e materia nacquero di nuovo come lo spazio le conosceva e soli, comete, mondi fiammeggianti sorsero alla vita senza che nessuno potesse testimoniare che erano già esistiti e spariti, esistiti e spariti in eterno, senza un momento iniziale.
Ci furono di nuovo il firmamento, il vento, un riflesso di luce rossa negli occhi del sognatore che precipitava. Ci furono dei, presenze e volontà; bellezza e malvagità, urla di esseri turbolenti della notte privati della loro preda. Ma nel cuore dell'ignoto, alla fine dell'ultimo ciclo, s'era fatta strada un'idea, o piuttosto una visione che risaliva all'infanzia di un sognatore, e il mondo della veglia venne ricreato in modo da ospitare la città antica e amata, da giustificare quella speranza. Dal vuoto extra-cosmico il gas violetto S'ngac aveva indicato la strada e l'arcaico Nodens guidava il corso degli eventi da ignote profondità.
Le stelle crebbero e diventarono albe, le albe si sciolsero in rivoli d'oro, porpora e carminio, e ancora il sognatore cadeva. Lo spazio si riempì di urla, e nastri di luce respinsero i mostri dell'esterno. Nodens, l'antico, mandò un urlo di trionfo quando Nyarlathotep si fermò paralizzato a un passo dalla sua preda, perché un raggio di luce aveva ridotto in polvere i suoi segugi senza forma. Randolph Carter aveva ormai disceso la scala di marmo che porta alla città meravigliosa, perché era tornato nel mondo bellissimo del New England da cui era stato plasmato.
Nel concerto del mattino che spunta, al chiarore dell'alba riflesso dai vetri sanguigni della grande mole dorata della Residenza del Governo in cima alla collina, Randolph Carter si svegliò con un grido nella sua stanza di Boston. Gli uccelli cantavano in giardini invisibili e il profumo delle viti intrecciate salì dalle vigne piantate da suo nonno. Luce e bellezza splendevano dalla classica cornice del camino, dalla mensola che lo sovrastava e dalle pareti ornate di fregi fantastici. Un gatto nero, snello, si alzò sbadigliando presso il camino, disturbato dallo scatto improvviso e dall'urlo del suo padrone. Lontano, infinitamente lontano, oltre la Porta del Sonno Profondo, il bosco incantato, le terre-giardino, il Mare Cerenario e le sponde crepuscolari di Inganok, Nyarlathotep il caos strisciante tremava di rabbia nel castello d'onice sul misterioso Kadath, in mezzo al deserto gelato; e trattò con insolenza i miti dei della terra che aveva richiamato, all'improvviso, dai profumati trastulli cui indulgevano nella meravigliosa città del tramonto.



Swan Point Cemetery, Providence, Providence County, Rhode Island, USA

lunedì 27 maggio 2013

Tao Paradoxico-Philosophicus 3-4



    Un dieu donne le feu     
     Pour faire l'enfer;      
      Un diable, le miel     
       Pour faire le ciel.  
   



TRACTATUS PARADOXICO-PHILOSOPHICUS

3 Niche: an organizationally closed unity specifies a possible domain of interactions (shared processes) with its own and other organizations and processes such that without this domain the unity disintegrates.
3.01 Call this domain the niche of the unity.
3.02 The unity shares processes with its niche.
3.1 Cognitive domain: consider the niche and all other intersections of an organizationally closed unity with other organizations and processes.
3.11 The unity shares processes with its cognitive domain.
3.2 Interaction: consider the activity of the processes shared in the intersection of the cognitive domains of one or more organizationally closed unities.
3.3 Perception: consider the activity within the closed organizations that form part of the cognitive domain of an organizationally closed unity.
3.4 Distinction: consider the intersection of a closed organization with one or more processes, thus separating them from their background (other processes).
3.5 Cognition: consider the generation of new closed organizations that share processes with and expand the cognitive domain of an organizationally closed unity.



4 Observer: consider an observer as an organizationally closed unity that shares processes with its cognitive domain.
4.01 An observer perceives, distinguishes and knows within its cognitive domain.
4.1 The cognitive domain of an observer may share processes with the cognitive domain of another observer, such that:
4.11 The observer may perceive, distinguish and know the other observer, which may perceive, distinguish and know the first observer.
4.2 Two or more observers may interact through their cognitive domains forming open organizations, closed organizations and even organizationally closed unities, all made of observers.
4.3 Trivial: consider one or more observers that respond predictably to stimuli.
4.31 Non-trivial: consider one or more observers that respond unpredictably to stimuli.

Tractatus Paradoxico-Philosophicus

A Philosophical Approach to Education
Un Acercamiento Filosófico a la Educación
Une Approche Philosophique à l'Education
Eine Philosophische Annäherung an Bildung

Ricardo B. Uribe

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Tao Paradoxico-Philosophicus 1-2

venerdì 24 maggio 2013

ritorno al Tao nuovo


Con il saggio del 1958, che fa seguito al romanzo del 1932, Huxley dimostra come i temi base sociali-economico-politici della distruzione dell'ecosistema globale erano ampiamente riconoscibili già nel Novecento, anche se visti nella prospettiva storica del tempo.

RITORNO AL MONDO NUOVO.
Traduzione di Luciano Bianciardi.

Titolo originale dell'opera: "Brave New World Revisited".
Copyright 1961 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano.

SOVRAPPOPOLAZIONE.
Nel 1931, quando scrivevo "Il mondo nuovo", ero convinto che ci fosse ancora tempo, e parecchio.
La società totalmente organizzata, il sistema scientifico delle caste, l'abolizione del libero arbitrio mediante il condizionamento metodico, la soggezione resa accettabile grazie alla felicità indotta chimicamente, a dosi regolari, l'ortodossia martellata in capo alla gente coi corsi notturni di insegnamento ipnopedico: tutte cose a venire, certo, ma non nei tempi miei, e nemmeno nei tempi dei miei nipotini.
Non ricordo con esattezza in che anno erano collocati i fatti del "Mondo nuovo"; nel sesto o settimo secolo d. F. (dopo Ford) all'incirca.
Noi, vivi nel secondo quarto del ventesimo secolo d.C. abitavamo, certo, in un mondo piuttosto raccapricciante; ma l'incubo di quegli anni di depressione era radicalmente diverso dall'incubo del futuro descritto nel "Mondo nuovo".
Il nostro era l'incubo del disordine; il loro, l'incubo dell'ordine eccessivo. Nella transizione dall'uno all'altro estremo doveva esserci - immaginavo io - un lungo intervallo, durante il quale un terzo, il più fortunato, del genere umano, avrebbe preso il meglio dal primo e dal secondo mondo, quello disordinato del liberalismo e quello ordinatissimo della mia favola, nel quale l'efficienza perfetta non lasciava spazio alla libertà e all'iniziativa personale.
Ventisette anni più tardi, nel nostro terzo quarto del ventesimo secolo, molto prima della fine del primo secolo d. F., io son molto meno ottimista di quel che non fossi quando scrivevo "Il mondo nuovo".
Le mie profezie del 1931 si avverano assai più presto di quel che pensassi.
Quel felice intervallo fra il disordine e l'incubo dell'ordine eccessivo non è cominciato, e nulla mostra che stia per cominciare.
Certo, in Occidente gli uomini e le donne, singolarmente, godono d'una vasta dose di libertà.
Ma anche nei paesi a tradizione di governo democratica, la libertà, e persino il desiderio di essa, paiono in declino.
Nel resto del mondo la libertà individuale è già scomparsa, o sta per scomparire, palesemente.
L'incubo dell'organizzazione totale, che io ponevo nel settimo secolo dopo Ford, è sortito dal futuro, lontano e tranquillante, e ora ci attende, lì all'angolo.
"1984", di George Orwell era un'ottima proiezione nel futuro di un presente che conteneva lo stalinismo, e di un passato prossimo che aveva visto il fiorire del nazismo. "Il nuovo mondo" fu scritto prima che Hitler salisse al potere in Germania, e quando il tiranno russo non si era ancora avviato sulla sua strada.
Nel 1931 il terrorismo sistematico non era ancora un fatto attuale e ossessivo, come fu poi nel 1948, e la dittatura del mio mondo immaginario era meno brutale di quella che con tanta maestria rappresentava Orwell.
Letto nel 1948, "1984" sonava tremendamente plausibile.
Ma, dopo tutto, i tiranni sono mortali, e le circostanze mutano.
Certi avvenimenti attuali, in Russia, gli ultimi progressi della scienza e della tecnologia, hanno tolto di peso dal libro di Orwell qualche tetra verosimiglianza.
La guerra nucleare, ovviamente, annullerebbe le profezie di chiunque.
Ma, ammesso che per il momento le Grandi Potenze evitino di distruggerci, dobbiamo ritenere più probabile qualcosa che somigli al "Mondo nuovo" e non qualcosa che somigli a "1984".
Alla luce delle ultime scoperte sulla condotta animale in genere, e umana in particolare, è chiaro che, a lunga scadenza, il controllo è meno efficace se ricorre al castigo della condotta indesiderata, anziché indurre la condotta desiderata mediante premi; è chiaro che un governo del terrore funziona nel complesso meno bene del governo che, con mezzi non-violenti, manipola l'ambiente e i pensieri e i sentimenti dei singoli, uomini donne e bambini.
Il castigo pone un temporaneo arresto alla condotta indesiderata, ma non contiene permanentemente la tendenza della vittima a tale condotta.
Non solo: i sottoprodotti psicofisici del castigo possono rivelarsi indesiderabili quanto il comportamento indesiderato per cui l'individuo ha avuto il castigo.
Infatti la psicoterapia affronta proprio le conseguenze debilitanti o antisociali dei castighi, nel passato dell'individuo. La società descritta in "1984" è una società controllata quasi esclusivamente dal castigo e dal timore di esso.
Nel mondo immaginario della mia favola il castigo è raro e di solito mite.
Il governo realizza il suo controllo, quasi perfetto, inducendo sistematicamente la condotta desiderata, e per far questo ricorre a varie forme di manipolazione pressoché non-violenta, fisica e psicologica, e alla standardizzazione genetica.
Forse non è impossibile la gestazione "in vitro", come non è impossibile il controllo centralizzato della riproduzione; ma è chiaro che per molti anni a venire la nostra rimarrà una specie vivipara che si riproduce a casaccio.
Può darsi che per motivi pratici si escluda la standardizzazione genetica. Il controllo sulle società continuerà a esercitarsi dopo che l'uomo è venuto al mondo; mediante il castigo, come accadeva in passato, e in misura sempre maggiore mediante metodi più efficienti di premio e di manipolazione scientifica.
In Russia la dittatura di Stalin, modello "1984", e quindi superata, ha ceduto il posto a una forma di tirannia più aggiornata.
Almeno ai livelli più alti della società gerarchica sovietica, l'induzione della condotta desiderata comincia a sostituirsi ai vecchi metodi di controllo mediante castigo della condotta indesiderata.
Tecnici, scienziati, insegnanti, funzionari di Stato sono ben retribuiti, se lavorano bene, e sono tassati moderatamente: questo è un continuo incentivo a far meglio, per cavarne premi sempre maggiori.
In certi settori son liberi di pensare, e di fare più o meno quello che vogliono. Il castigo li attende solo quando oltrepassano i limiti prescritti, per invadere il campo dell'ideologia e della politica.
Proprio perché hanno avuto una certa misura di libertà professionale, scienziati e tecnici hanno conseguito successi così ragguardevoli.
A quelli che stanno alla base della piramide sovietica non toccano i privilegi concessi alla minoranza di chi ha avuto o fortuna o particolari doti di natura. Hanno magri salari e, sotto forma di prezzi alti, pagano una porzione di tasse sproporzionatamente alta.
Estremamente ristretto è il settore in cui possono fare quel che vogliono, e i governanti li controllano ricorrendo più al castigo e alla minaccia di esso, che non alla manipolazione non-violenta o all'induzione del comportamento desiderato mediante premi.
Nel sistema sovietico, a elementi modello "1984" si affiancano elementi che presagiscono quanto succederà, per le caste più alte, nel "Mondo nuovo".
Frattanto forze impersonali, da noi incontrollabili, paiono spingerci tutti quanti nella direzione dell'incubo del "Mondo nuovo": una spinta impersonale che i rappresentanti delle organizzazioni politiche e commerciali consapevolmente accelerano.
Esse hanno perfezionato nuove tecniche per manipolare, nell'interesse d'una minoranza, i pensieri e i sentimenti delle masse.
Nei capitoli che seguono discuteremo di queste tecniche.
Per adesso esaminiamo più da vicino queste forze impersonali, le quali trasformano il mondo in un luogo assai malsicuro per la democrazia, disadatto alla libertà individuale.
Cosa sono queste forze? E perché l'incubo, che io presagivo per il settimo secolo d. F., ci viene oggi incontro così veloce? Per rispondere a queste domande bisogna cominciare da dove comincia la vita d'ogni società, anche la più civile: al livello della biologia.
Quando nacque Cristo la popolazione del nostro pianeta era di duecentocinquanta milioni - meno della metà della popolazione della Cina odierna.
Sedici secoli dopo, quando i Padri Pellegrini sbarcarono a Plymouth, le creature umane superavano di poco i cinquecento milioni.
Il giorno della firma della Dichiarazione d'Indipendenza, la popolazione mondiale superava il livello dei settecento milioni.
Nel 1931, quando io scrissi "Il mondo nuovo", sfiorava i due miliardi.
Oggi - sono trascorsi appena ventisette anni - siamo due miliardi e ottocento milioni.
E domani? Penicillina, D.D.T., acqua pulita, sono merci a buon mercato, e hanno sulla salute del prossimo effetti incommensurabili col loro costo. Anche il governo più povero è ricco quanto basta per fornire ai suoi soggetti il controllo delle morti.
Altro discorso per il controllo delle nascite.
Pochi tecnici al soldo di un governo paternalista bastano a fornire a tutto il popolo il controllo delle morti. Ma per il controllo delle nascite occorre la cooperazione di un popolo intero. Deve essere praticato da innumerevoli individui, e richiede un'intelligenza e una volontà che quasi mai ritroviamo nel formicaio di analfabeti che popolano il mondo; richiede (là dove si usano metodi antifecondativi di tipo chimico e meccanico) una spesa che pochi di quei milioni e milioni di individui possono permettersi.
Non solo: mentre non esistono tradizioni religiose contrarie al controllo delle morti, assai diffuse sono le tradizioni religiose e sociali che si oppongono al controllo della riproduzione.
Per tutti questi motivi si realizza facilmente il controllo delle morti; con molta difficoltà quello delle nascite.
Perciò il tasso di mortalità in questi ultimi anni è caduto improvvisamente, mentre il tasso di natalità, se non è rimasto al vecchio livello - assai alto – è sceso di pochissimo e assai lentamente. Di conseguenza la storia delle specie non ha mai visto un così rapido accrescimento del numero degli umani.
E cresce inoltre lo stesso incremento annuo; cresce regolarmente, secondo la legge dell'interesse composto: cresce irregolarmente ogni volta che una nostra società tecnicamente arretrata applica i principi della Sanità Pubblica.
Oggi l'incremento annuo della popolazione umana si aggira sui quarantatré milioni.
Ciò significa che ogni quattro anni al genere umano si aggiunge una popolazione pari a quella odierna degli Stati Uniti; ogni otto anni e mezzo una popolazione pari a quella dell'India.
Col tasso di incremento vigente fra la nascita di Cristo e la morte della regina Elisabetta. Prima, occorsero milleseicento anni perché la popolazione del globo raddoppiasse. Col ritmo attuale raddoppierà in meno di mezzo secolo.
E questo continuo, rapido, incredibile raddoppio avverrà in un pianeta le cui zone più felici e produttive sono già densamente popolate; in cui la sconsiderata fatica di pessimi coltivatori, in cerca di altro cibo, ha stremato la terra; in cui le ricchezze minerali, lì a portata di mano, si sprecano con la smaniosa stravaganza del marinaio ubriaco, quando butta via la paga accumulata in navigazione.
Nel mondo nuovo della mia favola, era ben risolto il problema del rapporto fra popolazione umana e risorse naturali.
S'era calcolato il numero ideale per la popolazione del mondo (poco meno di due miliardi, se ben ricordo) e si provvedeva a contenerla entro quel limite, una generazione dopo l'altra.
Ma nel mondo vero contemporaneo non si è risolto il problema della popolazione; al contrario, d'anno in anno il problema si fa più grave.
Su questa cupa scena biologica si svolgono tutti i drammi politici, economici e psicologici del nostro tempo.
Va avanti il ventesimo secolo, nuovi miliardi di uomini si aggiungono a quelli che già ci sono (al cinquantesimo compleanno della mia nipotina, sulla terra ci saranno cinque miliardi e mezzo di individui), e intanto si fa avanti, sempre più pressante, sempre più minaccioso, questo fondale biologico, a occupare il palcoscenico della storia.
Il problema del rapporto fra rapido accrescimento della popolazione e risorse naturali, stabilità sociale e benessere dei singoli, è oggi il maggior problema per l'umanità; resterà tale per un altro secolo, forse per alcuni secoli a venire.
Si dice che il 4 ottobre 1957 è cominciata un'era nuova.
Ma in realtà, se pensiamo a quanto si è ora detto, tutti i nostri discorsi di esultanza, dopo lo Sputnik, suonano fatui, forse assurdi. Per ciò che riguarda le masse della umanità, quella a venire non sarà l'Era Spaziale; sarà l'Era della Sovrappopolazione.
Potremmo dire, parodiando una vecchia canzone:

"Lo spazio di cui tanto sei ricco Basterà ad accendere il fuoco O penserà lo gnomo dello spazio A girare lo spiedo?"

Evidentemente la risposta è no.
Una colonia lunare può essere di qualche vantaggio militare alla nazione che la installa, ma in nessun modo contribuirà a rendere meno insopportabile l'esistenza, nel mezzo secolo che occorrerà a raddoppiare la nostra popolazione d'oggi, ai miliardi di creature che sulla terra proliferano e patiscono la fame.
E anche se nel futuro sarà possibile l'emigrazione su Marte, anche se la disperazione inducesse un numero ragguardevole di uomini e di donne a scegliere un'esistenza in condizioni paragonabili solo a quelle che esisterebbero su un'ipotetica montagna alta il doppio dell'Everest, anche in questo caso, cosa cambierebbe? Nel corso degli ultimi quattro secoli un numero ragguardevole di individui lasciarono il Vecchio per il Nuovo Mondo.
Ma a risolvere i problemi del Vecchio Mondo non bastò né quella dipartita, né il conseguente riflusso di materie prime e di alimentari.
Allo stesso modo, non si risolverebbe il problema della crescente pressione demografica sul nostro pianeta imbarcando per Marte una limitata eccedenza di uomini (al costo, per trasporto e impianto, di diversi milioni di dollari a testa).
Non risolto, quel problema impedirà la soluzione di tutti gli altri.
Peggio ancora, determinerà condizioni tali per cui la libertà individuale e il rispetto fra gli uomini, e la vita in democrazia saranno impossibili, quasi impensabili.
Non tutte le democrazie nascono allo stesso modo.
Molte son le strade che portano al mondo nuovo; ma forse la più diretta, la più larga, è quella che noi stiamo percorrendo adesso, la strada della popolazione che cresce a ritmo accelerato.
Vediamo in breve i motivi di questo stretto rapporto fra i vari elementi: troppi individui, che si moltiplicano troppo rapidamente, formulazione di filosofie autoritarie, nascita di sistemi di governo totalitari.
Quanto più cresce la popolazione e preme sulle risorse disponibili, tanto più si fa precaria la situazione economica d'una società che subisca tale prova. Ciò vale soprattutto per quelle zone sottosviluppate dove a un improvviso crollo del tasso di mortalità (grazie al D.D.T., alla penicillina, e all'acqua pulita) non si è accompagnato un crollo corrispondente del tasso di natalità.
In certe zone dell'Asia, in quasi tutta l'America centrale e meridionale, l'incremento della popolazione è così rapido che in poco più di vent'anni si sarà raddoppiata.
Se la produzione di alimenti e di manufatti, di case, scuole e maestri, crescesse a un ritmo superiore a quello della popolazione, noi potremmo migliorar la sorte di chi vive in tali zone sottosviluppate e sovrappopolate.
Purtroppo quei paesi non hanno né le macchine agricole, né gli impianti industriali per produrle, né i capitali occorrenti per far sorgere questi impianti.
Per capitale si intende ciò che resta dopo che siano soddisfatti i bisogni primari d'una popolazione.
Ma quasi mai si riesce a soddisfare in pieno i bisogni primari della popolazione in un paese sottosviluppato.
Così a fine d'anno non avanza quasi nulla, e non ci sono capitali disponibili per creare gli impianti agricoli e industriali che consentirebbero di soddisfare i bisogni della popolazione.
Non solo: in queste zone sottosviluppate manca la mano d'opera specializzata, senza la quale non funzionano impianti agricoli e industriali moderni.
I mezzi disponibili per l'istruzione non bastano; le risorse finanziarie e culturali per portarli all'altezza della situazione sono inadeguate.
Intanto la popolazione di alcuni fra questi paesi sottosviluppati cresce al ritmo del 3 per cento ogni anno.
Su questa tragica situazione è uscito nel 1957 un libro notevole, "The Next Hundred Years", dei professori Harrison Brown, James Bonner e John Weir, dell'Istituto di Tecnologia della California.
Come può l'umanità far fronte al problema del rapido incremento demografico? Non molto bene. 'I fatti dimostrano che in quasi tutti i paesi sottosviluppati la sorte dell'individuo medio è considerevolmente peggiorata nell'ultimo mezzo secolo.
La gente si nutre peggio.
E' diminuita la quantità dei beni disponibili "pro capite".
E in pratica ogni tentativo di migliorare la situazione è andato a vuoto, per la pressione continua dell'incremento demografico.' Ogni qual volta si fa precaria la vita economica d'una nazione, il governo centrale è costretto ad assumersi nuove responsabilità, per il benessere generale.
Deve elaborare nuovi programmi per far fronte alla situazione critica; deve imporre nuove restrizioni alle attività dei soggetti; e se, come è probabile, dal peggioramento delle condizioni economiche consegue agitazione politica, o ribellione aperta, il governo centrale deve intervenire, a tutela dell'ordine pubblico e della propria autorità.
In tal modo una quantità sempre maggiore di potere si concentra nelle mani dei dirigenti e dell'apparato statale.
Ma tale è la natura del potere che anche coloro i quali, pur non cercandolo, vi sono stati costretti, tendono ad acquisirne il gusto, a desiderarne di più. 'Non c'indurre in tentazione' dice la nostra preghiera, e a buon motivo, perché quando la tentazione stuzzica troppo e troppo a lungo, le creature umane in genere cedono.
La costituzione democratica è un mezzo per impedire che singoli governanti cedano alle tentazioni, oltremodo pericolose, che nascono quando troppo potere si concentra in troppe poche mani.
Una costituzione siffatta funziona abbastanza bene là dove, come in Gran Bretagna o negli Stati Uniti, c'è tradizionale rispetto per la procedura costituzionale.
Ma dove la repubblica o la monarchia costituzionale sono deboli non servirebbe nemmeno l'ottima fra le costituzioni a impedire che politici ambiziosi cedano, e con gusto, alle tentazioni del potere.
E nei paesi dove l'accrescersi della popolazione più preme sulle risorse disponibili, immancabilmente sorgeranno di queste tentazioni.
L'eccesso di popolazione porta al disagio economico e sociale.
Il disagio a sua volta chiede maggior controllo da parte dei governi centrali, maggior potere nelle loro mani.
Mancando una tradizione costituzionale, è assai probabile che questo maggior potere si eserciti in forme dittatoriali.
Questo succederebbe anche se il comunismo non l'avessero mai inventato.
E invece il comunismo è stato inventato.
Stando così le cose, in pratica diventa certezza la probabilità che l'eccesso della popolazione conduca al disagio e quindi alla dittatura.
Possiamo senz'altro scommettere che, di qui a vent'anni, tutti i paesi sovrappopolati e sottosviluppati cadranno sotto un dominio di tipo totalitario, probabilmente comunista.
In che modo questa tendenza agirà sui paesi europei, sovrappopolati ma industrializzati e ancora democratici? Se le dittature di recente formazione prendessero nei loro riguardi un atteggiamento ostile, se s'interrompesse il normale afflusso di materie prime dai paesi sottosviluppati, le nazioni dell'Occidente si ritroverebbero in cattive acque.
Crollerebbe il loro sistema industriale, e la loro evolutissima tecnologia – che ha consentito di mantenere una popolazione assai maggiore di quanto sarebbe stato possibile con le sole risorse disponibili sul posto - la loro tecnologia non sarebbe più un riparo alle conseguenze d'una concentrazione così elevata in così breve territorio.
Se questo accadesse, se le condizioni sfavorevoli costringessero i governi centrali ad assumersi un potere enorme, questo potere si eserciterebbe, alla fine, secondo lo spirito totalitario della dittatura.
Per adesso gli Stati Uniti non sono un paese sovrappopolato.
Ma se la popolazione continua a crescere col ritmo attuale (maggiore rispetto all'India, ma per fortuna alquanto inferiore rispetto al Messico o al Guatemala), agli inizi del ventiduesimo secolo è assai probabile che cominci ad avvertirsi il problema del rapporto fra popolazione e risorse disponibili.
Per adesso la sovrappopolazione non è una minaccia diretta alla libertà personale degli americani.
Ma è pur sempre una minaccia indiretta.
Se l'eccessiva popolazione spingesse i paesi sottosviluppati verso il totalitarismo, e se le nuove dittature si alleassero con la Russia, allora assai meno stabile diverrebbe la posizione militare degli Stati Uniti, e bisognerebbe intensificare i preparativi alla difesa e alla rappresaglia.
Ma la libertà, come tutti sappiamo, non fiorisce in un paese che sta sempre sul piede di guerra, o che si prepara a combattere.
Una crisi permanente giustifica il controllo su tutto e su tutti, da parte del governo centrale.
E proprio una crisi permanente noi dobbiamo attenderci in questo mondo, dove l'eccesso di popolazione provoca uno stato di cose tali per cui quasi diventa indispensabile la dittatura sotto auspici comunisti.

Compton Village Cemetery, Compton, Surrey, England

giovedì 23 maggio 2013

centri meta-Tao


La successiva metastruttura discussa da Tyler Volk e Jeff Bloom sono i centri, strutture che delineano le caratteristiche di centralità di un sistema:

Background

Centers act to stabilize the whole, provide resistance to change, and provide for organization of the whole. They can act as attractors for autopoietic (self-generating, self-sustaining) systems. In a more general sense, they can imply importance or significance and a sense of centricity. As such, centers can radiate relations to other centers, information, and so forth.
Milann Dobrojevic, Psihodelic Style 2

Examples

  • In science: nucleus, strange attractor, queen ant or bee, fulcrum, dominant male in primate societies, center of gravity, heart within circulatory system, brain within nervous system, etc.
  • In architecture and design: main office, central meeting places, central structural supports (such as elevator shafts in skyscrapers), etc.
  • In art: the central figure or object as subject; the organizing principle or emotional focus of a piece of art, etc.
  • In social sciences: president, governor, major, dictator, leader, teacher, principal, central physical site of specific types of activity, heart as center of individual in many indigenous cultures, organizing principles of societies and other groups, brain as center of individual in most technologically developed cultures, focus of life or activity (e.g., individuals may consider self, family, work, sport, hobby, or spiritual efforts as center), ego or self centric, anthropocentrism, conceptual prototype, conceptual defining characteristics, etc.
  • In other senses: altar in a church, shrine in a temple, a deity or deities, sacred sites (Mecca, Bodhgaya, Jerusalem), shopping center, etc.













Metapatterns

The Pattern Underground

8 € di Tao




il Libro Tao: dentro l'informazione - II


INSIDE INFORMATION

This feeling of being lonely and very temporary visitors in the universe is in flat contradiction to everything known about man (and all other living organisms) in the sciences. We do not "come into" this world; we come out of it, as leaves from a tree. As the ocean "waves," the universe "peoples." Every individual is an expression of the whole realm of nature, a unique action of the total universe. This fact is rarely, if ever, experienced by most individuals. Even those who know it to be true in theory do not sense or feel it, but continue to be aware of themselves as isolated "egos" inside bags of skin.
The first result of this illusion is that our attitude to the world "outside" us is largely hostile. We are forever "conquering" nature, space, mountains, deserts, bacteria, and insects instead of learning to cooperate with them in a harmonious order. In America the great symbols of this conquest are the bulldozer and the rocket—the instrument that batters the hills into flat tracts for little boxes made of ticky-tacky and the great phallic projectile that blasts the sky. (Nonetheless, we have fine architects who know how to fit houses into hills without ruining the landscape, and astronomers who know that the earth is already way out in space, and that our first need for exploring other worlds is sensitive electronic instruments which, like our eyes, will bring the most distant objects into our own brains.)(1) The hostile attitude of conquering nature ignores the basic interdependence of all things and events—that the world beyond the skin is actually an extension of our own bodies—and will end in destroying the very environment from which we emerge and upon which our whole life depends.
The second result of feeling that we are separate minds in an alien, and mostly stupid, universe is that we have no common sense, no way of making sense of the world upon which we are agreed in common. It's just my opinion against yours, and therefore the most aggressive and violent (and thus insensitive) propagandist makes the decisions. A muddle of conflicting opinions united by force of propaganda is the worst possible source of control for a powerful technology.
It might seem, then, that our need is for some genius to invent a new religion, a philosophy of life and a view of the world, that is plausible and generally acceptable for the late twentieth century, and through which every individual can feel that the world as a whole and his own life in particular have meaning. This, as history has shown repeatedly, is not enough. Religions are divisive and quarrelsome. They are a form of one-upmanship because they depend upon separating the "saved" from the "damned," the true believers from the heretics, the in-group from the out-group. Even religious liberals play the game of "we're-moretolerant-than-you." Furthermore, as systems of doctrine, symbolism, and behavior, religions harden into institutions that must command loyalty, be defended and kept "pure," and—because all belief is fervent hope, and thus a cover-up for doubt and uncertainty—religions must make converts. The more people who agree with us, the less nagging insecurity about our position. In the end one is committed to being a Christian or a Buddhist come what may in the form of new knowledge. New and indigestible ideas have to be wangled into the religious tradition, however inconsistent with its original doctrines, so that the believer can still take his stand and assert, "I am first and foremost a follower of Christ/Mohammed/Buddha, or whomever." Irrevocable commitment to any religion is not only intellectual suicide; it is positive unfaith because it closes the mind to any new vision of the world. Faith is, above all, open-ness—an act of trust in the unknown.
An ardent Jehovah's Witness once tried to convince me that if there were a God of love, he would certainly provide mankind with a reliable and infallible textbook for the guidance of conduct. I replied that no considerate God would destroy the human mind by making it so rigid and unadaptable as to depend upon one book, the Bible, for all the answers. For the use of words, and thus of a book, is to point beyond themselves to a world of life and experience that is not mere words or even ideas. Just as money is not real, consumable wealth, books are not life. To idolize scriptures is like eating paper currency.
Therefore The Book that I would like to slip to my children would itself be slippery. It would slip them into a new domain, not of ideas alone, but of experience and feeling. It would be a temporary medicine, not a diet; a point of departure, not a perpetual point of reference. They would read it and be done with it, for if it were well and clearly written they would not have to go back to it again and again for hidden meanings or for clarification of obscure doctrines.

"AlanWatts was not a buddha, but he could be one day. He has moved closer to it. THE BOOK is tremendously important. It is his testament, his whole experience with Zen masters, Zen classics. And he is a man of tremendous intelligence; he was also a drunkard. Intelligence plus wine have really created a juicy book."





il Libro Tao: dentro l'informazione - I

sofTao


Roy Babbington (bass), John Etheridge (guitar), John Marshall (drums), Karl Jenkins (keys)