lunedì 3 giugno 2013

Rallentare (Cavaliere di Denari)


Il Cavaliere di Arcobaleno vuol essere un monito a ricordare che, come la tartaruga, trasportiamo con noi la nostra casa ovunque andiamo. Non c'è bisogno di affrettarsi, né occorre trovare rifugio altrove. Perfino quando ci addentriamo negli abissi delle acque dell'emozione, possiamo restare in pace con noi stessi e liberi da attaccamenti. In questo momento sei pronto a lasciar andare ogni aspettativa che hai nutrito su di te e sugli altri, e ad assumerti la responsabilità per qualsiasi illusione ti possa essere portato dietro. Non occorre fare altro che riposare nella pienezza di chi sei, in questo momento. Se desideri e speranze e sogni sfumano in lontananza, tanto meglio così. La loro scomparsa farà spazio a una nuova qualità di quiete e d'accettazione di ciò che è, e potrai dare il benvenuto a questo sviluppo come mai hai potuto fare in precedenza. Assapora questa qualità di rallentamento, di arrivare a uno stato di riposo, e riconosci il fatto che sei già a casa.

La meditazione è una sorta di medicina - il suo uso è solo momentaneo. Una volta che ne hai appresa la qualità, non occorre più che tu faccia una meditazione particolare; in quel caso la meditazione deve diffondersi in tutta la tua vita. Cammina nello Zen e siedi nello Zen. Quale sarà questa qualità? Attento, presente, gioioso, privo di motivazioni, centrato, amorevole, fluido, cammini - e il tuo camminare è una passeggiata senza meta. Amorevole, attento, presente, ti siedi, senza motivazione alcuna - non ti siedi per un motivo particolare, godi semplicemente la bellezza di sederti senza far nulla, ne godi il rilassamento, il riposo. Al termine di una lunga passeggiata, ti siedi sotto un albero e la brezza viene a rinfrescarti. Ad ogni istante si deve essere in pace con se stessi, senza cercare di migliorare, senza coltivare alcunché, senza praticare nulla. Cammina e siedi immerso nello Zen. Sia che parli o stai in silenzio, sia che ti muovi o resti immobile, l'essenza è in pace. L'essenza è in pace: questa è la parola fondamentale. L'essenza è in pace: questa è l'affermazione chiave. Fai qualsiasi cosa, ma nelle profondità di te stesso resta in pace, calmo, quieto, centrato.

impromptu Tao


Rubinstein Forest, Jerusalem

mercoledì 29 maggio 2013

i grandi processi del Tao - II


I GRANDI PROCESSI STOCASTICI.

3. ASSIMILAZIONE GENETICA.

Quanto abbiamo esposto nel paragrafo precedente è esemplificato quasi punto per punto dai famosi esperimenti del mio amico Conrad Waddington, che dimostrarono ciò che egli chiamò "assimilazione genetica". L'esperimento più suggestivo cominciò con la produzione di fenocopie degli effetti prodotti sui moscerini della frutta da un gene detto "bithorax". In tutti i membri ordinari del vasto ordine dei Ditteri, tranne le pulci che sono prive di ali, il secondo paio di ali è ridotto ad appendici con una protuberanza alle estremità, ritenute organi di equilibrio. Per effetto del gene bithorax le ali rudimentali del terzo segmento del torace diventano quasi perfette, e si ottiene quindi un moscerino a quattro ali. Questa profonda modificazione del fenotipo, che risveglia una morfologia antichissima e ora inibita, poteva essere prodotta anche da un cambiamento somatico. Se le pupe venivano intossicate con etere etilico in dose opportuna, i moscerini adulti, quando si schiudevano, presentavano l'aspetto bithorax. Cioè la caratteristica bithorax fu nota sia come effetto genetico sia come effetto di un violento disturbo dell'epigenesi.
Homeobox gene expression in Drosophila melanogaster
Waddington condusse i suoi esperimenti su popolazioni molto numerose di moscerini contenuti in grandi gabbie. A ogni generazione egli sottoponeva queste popolazioni a intossicazione da etere per ottenere le forme bithorax. A ogni generazione sceglieva quei moscerini che meglio incarnavano il suo ideale di sviluppo bithorax perfetto. (Erano tutti animali squallidi e bruttini, assolutamente incapaci di volare). Da questi individui selezionati egli faceva nascere la generazione successiva da sottoporre al trattamento con l'etere e alla selezione.
In ogni generazione, Waddington accantonava un certo numero di pupe prima della somministrazione dell'etere e lasciava che si schiudessero in condizioni normali. Alla fine, col procedere dell'esperimento, dopo una trentina di generazioni, le forme bithorax cominciarono a presentarsi nel gruppo di controllo non trattato. La loro discendenza dimostrò che in realtà non era il singolo gene bithorax a formarle, bensì un complesso di geni che insieme producevano lo stato tetrattero. Questo esperimento non fornisce alcuna prova di una qualche ereditarietà dei caratteri acquisiti. Waddington accettò il presupposto che il mescolamento dei geni nella riproduzione sessuata e il tasso delle mutazioni non fossero influenzati dall'offesa fisiologica agli organismi. La spiegazione che egli propose fu che una selezione su scala astronomica, ottenuta per esempio sottraendo a una potenziale esistenza molte tonnellate di moscerini, facesse emergere un numero limitato di esemplari bithorax. Egli sosteneva che era legittimo interpretare tutto ciò come una selezione degli individui che possedevano il livello soglia più basso per la produzione dell'anomalia bithorax.
Non sappiamo quale sarebbe stato l'esito dell'esperimento se Waddington non avesse selezionato i bithorax 'migliori'. Forse dopo trenta generazioni egli avrebbe creato una popolazione immune dagli effetti del trattamento con l'etere, o magari una popolazione bisognosa di etere. Ma forse, se la modifica bithorax fosse stata in parte adattativa, come la maggior parte dei cambiamenti somatici, la popolazione avrebbe prodotto, come le popolazioni sperimentali di Waddington, copie genetiche ("genocopie") dei risultati del trattamento con l'etere.
Col neologismo "genocopia" intendo sottolineare che il cambiamento somatico può di fatto precedere quello genetico, sicché‚ sarebbe più corretto considerare quest'ultimo come la copia. In altre parole, i cambiamenti somatici possono determinare in parte i percorsi dell'evoluzione; e ciò sarà ancora più vero in "Gestalten" più grandi di quella che stiamo considerando ora. La nostra ipotesi deve cioè passare a un tipo logico superiore. Si possono così distinguere tre passaggi nella costruzione della teoria:
a) A livello dell'individuo, l'ambiente e l'esperienza possono indurre un cambiamento somatico ma non possono influire sui geni dell'individuo. Non esiste alcuna ereditarietà lamarckiana diretta, e una siffatta ereditarietà "senza selezione" esaurirebbe in modo irreversibile la flessibilità somatica.
b) A livello della popolazione, con un'opportuna selezione dei fenotipi, l'ambiente e l'esperienza generano individui meglio adattati su cui può agire la selezione. In questa misura, la "popolazione" si comporta come un'unità lamarckiana. E' certamente per questo motivo che il mondo biologico appare come il prodotto di un'evoluzione lamarckiana.
c) Ma sostenere che i cambiamenti somatici "determinano" la direzione del cambiamento evolutivo richiede un nuovo livello di tipo logico, una "Gestalt" ancora più ampia. Dovremmo invocare la coevoluzione e sostenere che l'ecosistema circostante o qualche specie limitrofa cambiano per adattarsi ai cambiamenti somatici degli individui. Questi cambiamenti dell'ambiente potrebbero agire come uno stampo capace di favorire qualunque genocopia dei cambiamenti somatici.













Tao party





















Golders Green Crematorium, Golders Green, Greater London, England
The ashes are buried under a rosebush, plot #39802. The rosebed is located at the far end of the crematorium complex, next to the Chapel of Memory columbarium.

martedì 28 maggio 2013

il Tao di mezzo


La ricerca di una via di mezzo alla descrizione della coscienza nella prospettiva enazionista porta a considerare la secolare tradizione orientale che pone le basi di una via di mezzo tra i due estremi descrittivi dell'assolutismo e del nichilismo, la scuola Madhyamika della tradizione buddhista:

Steps to a Middle Way

We have already seen in our exploration of human experience through the practice of mindfulness/awareness that our grasping after an inner ground is the essence of ego-self and is the source of continuous frustration. We can now begin to appreciate that this grasping after an inner ground is itself a moment in a larger pattern of grasping that includes our clinging to an outer ground in the form of the idea of a pregiven and independent world. In other words, our grasping after a ground, whether inner or outer, is the deep source of frustration and anxiety.
This realization lies at the heart of the theory and practice of the Madhyamika or "middle way" school of the Buddhist tradition. Whether one tries to find an ultimate ground inside or outside the mind, the basic motivation and pattern of thinking is the same, namely, the tendency to grasp. In Madhyamika, this habitual tendency is considered to be the root of the two extremes of "absolutism" and "nihilism." At first, the grasping mind leads one to search for an absolute ground-for anything, whether inner or outer, that might by virtue of its "own-being" be the support and foundation for everyting else. Then faced with its inability to find any such ultimate ground, the grasping mind recoils and clings to the absence of a ground by treating everything else as illusion.
There are, then, two fundamental respects in which the philosophical analysis of Madhyamika is directly relevant to our predicament.
First, it explicitly recognizes that the search for an ultimate ground - whattoday we would call the project of foundationalism - is not limited to the notion of the subject and its basis in what we have called ego-self; it also includes our belief in a pregiven or ready-made world. This point, realized in India centuries ago and elaborated in the diverse cultural settings of Tibet, China, Japan, and Southeast Asia,has only begun to be appreciated in Western philosophy in the past one hundred years or so. Indeed, most of Western philosophy has been concerned with the issue of where an ultimate ground is to be found, not with calling into question or becoming mindful of this very tendency to cling to a ground.
Second, Madhyamika explicitly recognizes the link between absolutism and nihilism. Our ethnocentric narratives tell us that concern with nihilism-in its precise Nietzschean sense-is a Western phenomenon due, among other things, to the collapse of theism in the nineteenth century and the rise of modernism. The presence of a deep concern with nihilism in Indian philosophy from even pre-Buddhist times should challenge such an ethnocentric assumption.
Within the tradition of mindfulness/awareness meditation, the motivation has been to develop a direct and stable insight into absolutism and nihilism as forms of grasping that result from the attempt to find a stable ego-self and so limit our lived world to the experience of suffering and frustration. By progressively learning to let go of these tendencies to grasp, one can begin to appreciate that all phenomena are free of any absolute ground and that such "groundlessness" (sunyata) is the very fabric of dependent coorigination.
We could make a somewhat similar point phenomenologically by saying that groundlessness is the very condition for the richly textured and interdependent world of human experience. We expressed this point in our very first chapter by saying that all of our activities depend on a background that can never be pinned down with any sense of ultimate solidity and finality. Groundlessness, then, is to be found not in some far off, philosophically abstruse analysis but in everyday experience. Indeed, groundlessness is revealed in cognition as "common sense," that is, in knowing how to negotiate our way through a world that is not fixed and pregiven but that is continually shaped by the types of actions in which we engage.
Cognitive science has resisted this view, preferring to see any form of experience as at best "folk psychology," that is, as a rudimentary form of explanation that can be disciplined by representational theories of mind. Thus the usual tendency is to continue to treat cognition as problem solving in some pregiven task domain. The greatest ability of living cognition, however, consists in being able to pose, within broad constraints, the relevant issues that need to be addressed at each moment. These issues and concerns are not pregiven but are enacted from a background of action, where what counts as relevant is contextually determined by our common sense.

alla ricerca del misterioso Tao























Tre volte Randolph Carter sognò la città meravigliosa e tre volte ne fu rapito mentre l'ammirava dalla terrazza panoramica. Magnifica e splendente come oro ai raggi del tramonto, la città era ricca di mura, templi, colonne, ponti ricurvi di marmo venato, fontane d'argento che mandavano zampilli nelle grandi piazze, giardini profumati, larghe strade che si snodavano fra filari di alberi delicati, urne ornate di fiori e una teoria scintillante di statue d'oro; e a nord, sui fianchi ripidi delle colline, s'arrampicavano file di tetti rossi e vecchi abbaini aggobbiti che proteggevano le strade più piccole, dove l'erba cresceva in mezzo ai ciottoli. Era una visione degna della febbre d'un dio: un concerto di strumenti sovrannaturali, un tuono di cimbali senza tempo. Il mistero aleggiava su di essa come una nube sulla cima di una montagna favolosa e inesplorata, e quando Carter guardava la città dal parapetto della terrazza rimaneva senza fiato, assalito dal sapore e dal mistero di ricordi semidimenticati, dal dolore delle cose perdute e dal desiderio struggente di rimettere al suo posto ciò che una volta aveva avuto un'importanza portentosa e straordinaria.
Sapeva che per lui il significato di quel "qualcosa" era stato immenso, ma non poteva dire in quale ciclo o incarnazione anteriore, e neppure se ne avesse fatto esperienza da sveglio o in sogno. Non gli rimanevano che le visioni di un'infanzia lontana e dimenticata, vaghe sensazioni di meraviglia e piacere nascoste nei misteri della vita di tutti i giorni, quando l'alba e il tramonto portavano, ricchi di aspettativa, musica di liuti e canzoni che schiudevano porte fatate, rivelatrici di altre sorprendenti meraviglie. Ma la notte, quando si ritrovava sulla terrazza di marmo ornata d'urne bizzarre e con il parapetto scolpito, quando ammirava la silenziosa città del tramonto che si stendeva ai suoi piedi, bellissima e ultraterrena pur nella sua concretezza, Carter scopriva di essere schiavo dei capricciosi dei del sogno, perché non c'era verso di abbandonare la terrazza e scendere la gran scalinata di marmo che precipitava, a perdita d'occhio, verso le vecchie strade incantate che sotto di lui parevano invitarlo.
Quando, per la terza volta, si svegliò senza aver disceso la scala e avere attraversato le strade immerse nel tramonto, Carter pregò a lungo gli dei del sogno che, invisibili e capricciosi, meditano sulle nuvole del misterioso Kadath (il monte che sorge nella gelida piana dove nessun uomo si è mai avventurato). Ma gli dei non risposero: non diedero segno di voler cambiare atteggiamento o di volerlo aiutare, e ciò nonostante il fervore delle preghiere che Carter aveva rivolto loro in sogno e nonostante che li avesse invocati, con offerte e sacrifici, tramite Nasht e Kaman-Thah, i sacerdoti barbuti il cui tempio simile a una caverna sorge non lontano dalle porte del mondo diurno, con in mezzo una colonna di fuoco. Sembrò anzi che le preghiere avessero effetto contrario, perché subito la città scomparve dai sogni, come se le tre visioni che Carter ne aveva avuto da lontano fossero dovute a un incidente o a una distrazione degli dei, ma fossero contrarie alla loro volontà e ai loro disegni nascosti.
Alla lunga il desiderio delle strade che splendevano nel tramonto e dei vialetti che s'inerpicavano per la collina in mezzo ai tetti rossi si fece struggente; e Carter, incapace di toglierseli dalla mente di notte o di giorno, prese l'eroica decisione di andare là dove nessun uomo era mai andato, di sfidare i deserti di ghiaccio e la tenebra in cui sorge lo sconosciuto Kadath, il monte incappucciato di nuvole e sovrastato da costellazioni inimmaginabili che nasconde i segreti dei Signori, e il castello d'onice notturno in cui hanno dimora.

...



...
Poi, nel lento corso dell'eternità il ciclo cosmico si avviò a un altro futile compimento e le cose tornarono com'erano state innumerevoli ere prima. Luce e materia nacquero di nuovo come lo spazio le conosceva e soli, comete, mondi fiammeggianti sorsero alla vita senza che nessuno potesse testimoniare che erano già esistiti e spariti, esistiti e spariti in eterno, senza un momento iniziale.
Ci furono di nuovo il firmamento, il vento, un riflesso di luce rossa negli occhi del sognatore che precipitava. Ci furono dei, presenze e volontà; bellezza e malvagità, urla di esseri turbolenti della notte privati della loro preda. Ma nel cuore dell'ignoto, alla fine dell'ultimo ciclo, s'era fatta strada un'idea, o piuttosto una visione che risaliva all'infanzia di un sognatore, e il mondo della veglia venne ricreato in modo da ospitare la città antica e amata, da giustificare quella speranza. Dal vuoto extra-cosmico il gas violetto S'ngac aveva indicato la strada e l'arcaico Nodens guidava il corso degli eventi da ignote profondità.
Le stelle crebbero e diventarono albe, le albe si sciolsero in rivoli d'oro, porpora e carminio, e ancora il sognatore cadeva. Lo spazio si riempì di urla, e nastri di luce respinsero i mostri dell'esterno. Nodens, l'antico, mandò un urlo di trionfo quando Nyarlathotep si fermò paralizzato a un passo dalla sua preda, perché un raggio di luce aveva ridotto in polvere i suoi segugi senza forma. Randolph Carter aveva ormai disceso la scala di marmo che porta alla città meravigliosa, perché era tornato nel mondo bellissimo del New England da cui era stato plasmato.
Nel concerto del mattino che spunta, al chiarore dell'alba riflesso dai vetri sanguigni della grande mole dorata della Residenza del Governo in cima alla collina, Randolph Carter si svegliò con un grido nella sua stanza di Boston. Gli uccelli cantavano in giardini invisibili e il profumo delle viti intrecciate salì dalle vigne piantate da suo nonno. Luce e bellezza splendevano dalla classica cornice del camino, dalla mensola che lo sovrastava e dalle pareti ornate di fregi fantastici. Un gatto nero, snello, si alzò sbadigliando presso il camino, disturbato dallo scatto improvviso e dall'urlo del suo padrone. Lontano, infinitamente lontano, oltre la Porta del Sonno Profondo, il bosco incantato, le terre-giardino, il Mare Cerenario e le sponde crepuscolari di Inganok, Nyarlathotep il caos strisciante tremava di rabbia nel castello d'onice sul misterioso Kadath, in mezzo al deserto gelato; e trattò con insolenza i miti dei della terra che aveva richiamato, all'improvviso, dai profumati trastulli cui indulgevano nella meravigliosa città del tramonto.



Swan Point Cemetery, Providence, Providence County, Rhode Island, USA

lunedì 27 maggio 2013

Tao Paradoxico-Philosophicus 3-4



    Un dieu donne le feu     
     Pour faire l'enfer;      
      Un diable, le miel     
       Pour faire le ciel.  
   



TRACTATUS PARADOXICO-PHILOSOPHICUS

3 Niche: an organizationally closed unity specifies a possible domain of interactions (shared processes) with its own and other organizations and processes such that without this domain the unity disintegrates.
3.01 Call this domain the niche of the unity.
3.02 The unity shares processes with its niche.
3.1 Cognitive domain: consider the niche and all other intersections of an organizationally closed unity with other organizations and processes.
3.11 The unity shares processes with its cognitive domain.
3.2 Interaction: consider the activity of the processes shared in the intersection of the cognitive domains of one or more organizationally closed unities.
3.3 Perception: consider the activity within the closed organizations that form part of the cognitive domain of an organizationally closed unity.
3.4 Distinction: consider the intersection of a closed organization with one or more processes, thus separating them from their background (other processes).
3.5 Cognition: consider the generation of new closed organizations that share processes with and expand the cognitive domain of an organizationally closed unity.



4 Observer: consider an observer as an organizationally closed unity that shares processes with its cognitive domain.
4.01 An observer perceives, distinguishes and knows within its cognitive domain.
4.1 The cognitive domain of an observer may share processes with the cognitive domain of another observer, such that:
4.11 The observer may perceive, distinguish and know the other observer, which may perceive, distinguish and know the first observer.
4.2 Two or more observers may interact through their cognitive domains forming open organizations, closed organizations and even organizationally closed unities, all made of observers.
4.3 Trivial: consider one or more observers that respond predictably to stimuli.
4.31 Non-trivial: consider one or more observers that respond unpredictably to stimuli.

Tractatus Paradoxico-Philosophicus

A Philosophical Approach to Education
Un Acercamiento Filosófico a la Educación
Une Approche Philosophique à l'Education
Eine Philosophische Annäherung an Bildung

Ricardo B. Uribe

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Tao Paradoxico-Philosophicus 1-2