La successiva metastruttura discussa da Tyler Volk e Jeff Bloom sono i binari, la struttura più semplice per modellare una relazione complessa tra elementi e tra le parti e il tutto di un sistema:
Background
Binaries are the simplest form of complex relations. More complex relations involve increasing numbers of components (e.g., trinaries, quaternaries, and so forth). Such binary relations are the most economical (in a variety of senses) way to generate complex wholes with significant new properties. Binaries involve senses of separation and/or unity, duality, and tension. They also provide for a synergy between parts and wholes.
The Red Square Nebula (MWC 922) is a bipolar nebula appearing as an orange square in its center with red bowl-shaped gas and dust toward the top right and bottom left of the image. The infrared image was taken using the Mt. PalomarHale telescope in California and the Keck II Telescope on Mauna Kea in Hawaii, and released in April 2007. According to Sydney University astrophysicist Peter Tuthill, this nebula is one of the most symmetrical celestial objects ever discovered because of its unique shape. There is no clear explanation of how the central star could produce the nebula's shape, but one possible explanation is that these two outer faint radial spokes are shadows cast by periodic ripples or waves on the surface of an inner disk close to the central star.
Examples
In science: bilateral symmetry (including two eyes, nostrils, ears, appendages, etc.); positive and negative particles, ions, electrodes, etc.; male and female; opposing forces; diurnal and nocturnal; dorsal and ventral; space and time; acid and base; DNA with component pairs and paired helices; inhale and exhale; respiration and photosynthesis; mass and volume; high pressure; low pressure; perception as the recognition of difference; form and function; acceleration and deceleration; etc.
In architecture and design: inside and outside and the associated dynamics between them in buildings; entrance and exit; up and down passages; etc.
In art: light and dark; monotone and multicolored; tensions between parts; attraction and repulsion (emotionally); etc.
In social sciences: report talk and rapport talk; leader and follower; positive and negative attitudes; consumer and producer; active and passive; aggressive; trust and distrust; unity and disunity or separation; etc.
In other senses: distal and proximal; all or nothing; night and day; open and closed; on and off; asleep and awake; old and young; love and hate; etc.
"Voi mi rimproverate l’obiettività, chiamandola indifferenza verso il bene e il male, mancanza di ideali, ecc. Vorreste che quando dipingo i ladri di cavalli dicessi: è male rubare i cavalli! Ma lo sanno tutti da molto tempo, senza che debbo dirlo io. Questo è affare dei giudici, il mio lavoro consiste nello spiegare che cosa essi sono… Nello scrivere mi affido al lettore, sperando che egli inserisca da solo gli elementi soggettivi”.
Anton Pavlovič Čechov - Анто́н Па́влович Че́хов
La morte dell’impiegato
Una magnifica sera un non meno magnifico usciere, Ivàn Dmitric' Cerviakòv, era seduto nella seconda fila di poltrone e seguiva col binoccolo "Le campane di Corneville". Guardava e si sentiva al colmo della beatitudine. Ma a un tratto... Nei racconti spesso s'incontra questo "a un tratto". Gli autori han ragione: la vita è così piena d'imprevisti! Ma a un tratto il suo viso fece una smorfia, gli occhi si stralunarono, il respiro gli si fermò... egli scostò dagli occhi il binoccolo, si china e... eccì!!! Aveva starnutito, come vedete.
Starnutire non è vietato ad alcuno e in nessun posto. Starnutiscono i contadini, e i capi di polizia, e a volte perfino i consiglieri segreti. Tutti starnutiscono. Cerviakòv non si confuse per nulla, s'asciugò col fazzolettino e, da persona garbata, guardò intorno a sé: non aveva disturbato qualcuno col suo starnuto? Ma qui, sì, gli toccò confondersi. Vide che un vecchietto, seduto davanti a lui, nella prima fila di poltrone, stava asciugandosi accuratamente la calvizie e il collo col guanto e borbottava qualcosa. Nel vecchietto Cerviakòv riconobbe il generale civile Brizzalov, in servizio al dicastero delle comunicazioni.
«L'ho spruzzato!», pensò Cerviakòv. «Non è il mio superiore, è un estraneo, ma tuttavia è seccante. Bisogna scusarsi».
Cerviakòv tossì, si sporse col busto in avanti e bisbigliò all'orecchio del generale:
- Scusate, eccellenza, vi ho spruzzato... io involontariamente...
- Non è nulla, non è nulla...
- Per amor di Dio, scusatemi. Io, vedete... non lo volevo!
- Ah, sedete, vi prego! Lasciatemi ascoltare!
Cerviakòv rimase impacciato, sorrise scioccamente e riprese a guardar la scena.
Guardava, ma ormai beatitudine non ne sentiva più. Cominciò a tormentarlo l'inquietudine. Nell'intervallo egli s'avvicinò a Brizzalov, passeggiò un poco accanto a lui e, vinta la timidezza, mormorò:
- Vi ho spruzzato, eccellenza... Perdonate... Io, vedete... non che volessi...
- Ah, smettetela... Io ho già dimenticato, e voi ci tornate sempre su! - disse il generale e mosse con impazienza il labbro inferiore.
«Ha dimenticato, e intanto ha la malignità negli occhi», pensò Cerviakòv, gettando occhiate sospettose al generale. «Non vuol nemmeno parlare. Bisognerebbe spiegargli che non desideravo affatto... che questa è una legge di natura, se no penserà ch'io volessi sputare. Se non lo penserà adesso, lo penserà poi!...».
Giunto a casa, Cerviakòv riferì alla moglie il suo atto incivile. La moglie, come a lui parve, prese l'accaduto con troppa leggerezza; ella si spaventò soltanto, ma poi, quando apprese che Brizzalov era un "estraneo", si tranquillò.
- Ma tuttavia passaci, scusati, - disse. - Penserà che tu non sappia comportarti in pubblico!
- Ecco, è proprio questo! Io mi sono scusato, ma lui in un certo modo strano... Una sola parola sensata non l'ha detta. E non c'era neppur tempo di discorrere.
Il giorno dopo Cerviakòv indossò la divisa di servizio nuova, si fece tagliare i capelli e andò da Brizzalov a spiegare... Entrato nella sala di ricevimento del generale, vide là numerosi postulanti, e in mezzo ai postulanti anche il generale in persona, che già aveva cominciato l'accettazione delle domande. Interrogati alcuni visitatori, il generale alzò gli occhi anche su Cerviakòv.
- Ieri, all'Arcadia, se rammentate, eccellenza, - prese a esporre l'usciere, - io starnutii e... involontariamente vi spruzzai... Scus...
- Che bazzecole... Dio sa che è! Voi che cosa desiderate? - si rivolse il generale al postulante successivo.
«Non vuol parlare!», pensò Cerviakav. impallidendo. «E' arrabbiato dunque... No, non posso lasciarla così... Gli spiegherò... ».
Quando il generale finì di conversare con l'ultimo postulante e si diresse verso gli appartamenti interni, Cerviakòv fece un passo dietro a lui e prese a mormorare: - Eccellenza! Se oso incomodare vostra eccellenza, è precisamente per un senso, posso dire, di pentimento!...Non lo feci apposta, voi stesso lo sapete!
Il generale fece una faccia piagnucolosa e agitò la mano.
- Ma voi vi burlate semplicemente, egregio signore! - diss'egli, scomparendo dietro la porta.
«Che burla c'è mai qui?», pensò Cerviakòv. «Qui non c'è proprio nessuna burla! E' generale, ma non può capire! Quand'è così, non starò più a scusarmi con questo fanfarone! Vada al diavolo! Gli scriverò una lettera e non ci andrò più! Com'è vero Dio, non ci andrò più!».
Così pensava Cerviakòv andando a casa. La lettera al generale non la scrisse. Pensò, pensò, ma in nessuna maniera poté concepir quella lettera. Gli toccò il giorno dopo andar in persona a spiegare.
- Ieri venni a incomodare vostra eccellenza, - si mise a borbottare, quando il generale alzò su di lui due occhi interrogativi, - non già per burlarmi, come vi piacque dire. Io mi scusavo perché, starnutendo, vi avevo spruzzato... e a burlarmi non pensavo nemmeno. Oserei io burlarmi? Se noi ci burlassimo, vorrebbe dire allora che non c'è più alcun rispetto... per le persone...
- Vattene! - garrì il generale, fattosi d'un tratto livido e tremante.
- Che cosa? - domandò con un bisbiglio Cerviakòv, venendo meno dallo sgomento.
- Vattene! - ripeté il generale, pestando i piedi.
Nel ventre di Cerviakòv qualcosa si lacerò. Senza veder nulla, senza udir nulla, egli indietreggiò verso la porta, uscì in strada e si trascinò via... Arrivato macchinalmente a casa, senza togliersi la divisa di servizio, si coricò sul divano e... morì.
Novodevichy Cemetery, Moscow, Moscow Federal City, Russian Federation
The Emotions subsystem is one which I, as a typical overintellectualized Western academic, feel least qualified to write out. I share the intellectual's distrust of emotions as forces that distort my reasoning and are liable to lead me astray. And yet, like most people, my life and consciousness are strongly controlled by the pursuit of pleasant emotions and the avoidance of unpleasant ones.
Emotions are feelings that can be named but not easily defined. They are feelings that we call grief, fear, joy, surprise, yearning, anger, but that we define inadequately in terms of words: at best we use words to evoke memories of experiences that fit those names.
The Emotions subsystem is, in one sense, the most important subsystem, for it can exert tremendous influence. If you are experiencing the emotion of fear, it may very well control you evaluations and decisions, the memories you draw upon, how you see the world and how you act. Any strong emotion tends to constellate the rest of consciousness about it. Indeed, I think that while mild levels of any emotion can occur within the region of experiential space we call the ordinary d-SoC, most strong levels of feeling may actually constitute d-ASCs. If you talk about feeling mildly angry, somewhat angry, or extremely angry, you can imagine all these things occurring in your ordinary d-SoC. But if you speak of being enraged, the word evokes associations of changes of perception (such as "seeing red") and cognition that strongly suggest that somewhere in the anger continuum there was a quantum jump, and a d-ASC of rage developed. The same is true for other strong emotions. I shall not develop the idea further here, as strong emotional states have seldom been studied scientifically as they must be to determine if they actually constitute d-SoCs. The idea holds promise for future research.
Our culture is strongly characterized by poor volitional control over the Emotions subsystem in the ordinary d-SoC. Emotions can change with lightning rapidity; external events can induce them almost automatically. We have accepted this in a despairing way as part of the human condition, ambivalently regarding attempts to control emotions as either virtuous (since all emotions make us lose control, we should suppress them) or artificial (not "genuine"). Techniques from various spiritual disciplines indicate, however, that there can be emotional control that does not involve simple suppression or denial of content of the emotion. Don Juan, for example, stated that since becoming a "man of knowledge" he had transcended ordinary emotions, but could have any one he wished. In d-ASCs, people often report either greatly increased or decreased control over their emotions.
In addition to changes in the degree of control over emotions, the intensity of emotions themselves may also change in d-ASCs. Dissociation from or dis-identification with emotions also occurs: a person reports that an emotion is going on quite strongly within him, yet is not "his": he is not identified with it and so little affected by it. In some d-ASCs new emotions appear, emotions that are never present in the ordinary d-SoC. These include feelings like serenity, tranquillity, and ecstasy. Because we use these words in our ordinary d-SoC we think we understand them, but those who have experienced such emotions in d-ASCs insist that we have only known the palest shadows of them.
E’ un portone di legno smaltato di verde né grande né piccolo che dà sulla strada l’ingresso alla Comunità di San Benedetto al Porto. Al civico 12 della via omonima nessun nome sul campanello, nessuna insegna, solo un portone, alla sinistra della chiesa, di fronte alla fermata dell’autobus (…). Don Andrea Gallo sposta la sedia da un lato al fianco della scrivania e comincia a raccontare che negli anni Sessanta era viceparroco al Carmine, che è “subito a ridosso di via del Campo e a cinquanta metri dal Liceo Colombo”. Lì in quel periodo insegnava religione un suo cugino, anch ’egli prete, don Giacomino Piana, “suo papà era primo cugino di mio papà e Fabrizio fu suo allievo in terza liceo”.
Quell’anno uno studente si suicidò “e a scuola diedero ai ragazzi un componimento – allora la chiesa rifiutava i funerali ai suicidi – e mio cugino venne da me mostrandomi lo scritto di un ragazzo che si faceva delle domande: ma come? La Chiesa che deve accogliere tutti esclude chi si toglie la vita? Questo fu il primo, indiretto, contatto che ebbi con Fabrizio”. “Credo che Fabrizio De André non conoscesse chi era Fabrizio De André, ecco perché l’ho sempre seguito. Mentre gli altri giustamente pensano alla carriera, ai soldi, lui invece…: lo stesso Gino Paoli mi diceva ‘ma sai che quel ragazzo non vuol mai andare a suonare, che devo buttarlo io a microfono?’. “Anche don Andrea Gallo forse non sa chi è Andrea Gallo (…). “A Genova tutti mi chiamano ‘don’, anche il leggendario console dei portuali mi chiama ‘don’. Lo stesso Fabrizio: ‘Don, ma cosa ci vado a fare io alla Bussola?’, e così mi confermava che non sapeva chi era, ecco perché è la mia colonna sonora”. (…) “La spiritualità, che non ha niente a che fare con la religiosità, è l’impegno etico di ciascuno di scoprire nel più profondo del proprio essere delle potenzialità superiori addirittura alla ragione. È uno dei tre doni ricevuti da tutte le persone umane: intelligenza, creatività e spiritualità, ecco perché gli ultimi hanno la possibilità di emanciparsi, e Fabrizio l’aveva intuito”. (…) Alla voce “indignazione” risponde che “Fabrizio era un indignato ma alla sua indignazione era immediatamente legata la proposta concreta: non è che t’indigni, fai un corteo e poi tutti a casa o in pizzeria, no. È un’indignazione che ha subito prospettiva. Così come quando si dice ‘ho speranza’: speranza che cosa? Se dici speranza resta astratto, e lui non è mai stato astratto. Ecco il secondo binario: l’aspirazione a un mondo migliore”.
Il riferimento è a una frase di De André (…): “Ebbi ben presto abbastanza chiaro che il mio lavoro doveva camminare su due binari: l’ansia per una giustizia sociale che ancora non esiste, e l’illusione di poter partecipare, in qualche modo, a un cambiamento del mondo. La seconda si è sbriciolata ben presto, la prima rimane”. Che cos’è la giustizia sociale? “È l’uguaglianza”. Anche analizzando i motti della Rivoluzione francese “lui sottolineava che quella che cade sempre nel vuoto è l’uguaglianza, e aveva ragione. Questa ansia per una giustizia sociale l’ha cantata continuamente. Le classi danno fastidio proprio a quelli che le classi le inventano”. (…) “Fabrizio in tutti quelli che incontrava non vedeva né angelo né diavolo, ma l’uomo. Non c’è distinzione: c’è l’uomo. Una persona, e soprattutto i giovani, chi è in difficoltà, devianza, poveri, miserabili, prostitute, delinquenti, che cos’è? Uomo”. “Una volta l’ho sentito riprendere Archimede: ‘Datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo’. Chi è il punto d’appoggio? Sei tu, uomo. Dov’è il punto d’appoggio? È dentro di noi. Ecco perché bisogna mettere al centro l’uomo”. Dice che è facile parlare di De André, che quando lo fa con i suoi ragazzi vede risvegliarsi in loro i “tre doni” “perché sentono che veramente ce la possono fare”. (…) “Disse che aveva scelto per titolo La buona novella perché sentiva il desiderio impellente di annunciare per tutti una buona notizia”. (…) “Mi diceva: ‘Ti sono amico perché sei un prete che non mi vuol mandare in Paradiso per forza’.”
Gustav Klimt, Death and Life, 1910/15, Leopold Museum, Wien
La morte è il punto in cui il sapere fallisce e ti apri all’essere – questa è stata l’esperienza buddhista nei secoli. Buddha consigliava ai suoi discepoli, quando qualcuno moriva, di andare a vederlo e di osservare il corpo mentre bruciava sulla pira: ‘Meditate là, meditate sulla nullità della vita.’ La morte è il punto in cui il sapere fallisce e quando fallisce il sapere, fallisce la mente. Quando la mente fallisce c’è la possibilità che la verità penetri in te. Ma la gente non lo sa. Quando qualcuno muore, non sapete cosa fare, vi sentite in imbarazzo; viceversa, quando qualcuno muore è un grande momento per meditare.
Penso sempre che ogni grande città avrebbe bisogno di un ‘Centro della Morte’. Quando qualcuno sta morendo, quando la sua morte è davvero imminente, dovrebbe essere trasferito nel ‘Centro della Morte’. Dovrebbe essere un piccolo tempio nel quale la gente, seduta intorno al moribondo, possa entrare in profonda meditazione e aiutarlo così a morire e tutti dovrebbero unirsi all’essere che scompare nel nulla. Quando qualcuno scompare nel nulla si sprigiona una grande energia. Si sprigiona l’energia che gli apparteneva e che lo circondava. Se siete intorno a lui in uno spazio di silenzio, potete fare un’esperienza intensissima. Nessuna sostanza psichedelica potrebbe darvi questa esperienza. Il morto sprigiona naturalmente una grande energia: se siete in condizione di assorbire quell’energia potete condividere con lui una specie di morte. E potete sperimentare l’assoluto – la sorgente e la meta, l’inizio e la fine.
‘L’uomo è l’essere attraverso il quale il nulla entra nel mondo’, afferma Jean Paul Sartre.
Heidegger, e così pure Kierkegaard, affermano che il nulla crea spavento. Questa è soltanto la metà della storia: infatti queste due persone sono soltanto dei filosofi – ecco perché in loro crea spavento.
Se interrogate Buddha, Mahakashyapa, Nagarjuna, se interrogate me, ottenete la visione che la morte crea spavento soltanto se osservata in modo parziale, ma se osservata in senso assoluto, totale, la morte risulta la liberatrice da ogni timore, da ogni angoscia, da ogni ansia, vi libera dal saṃsāra .
Cominciate a meditare sulla morte. Ogniqualvolta sentirete avvicinarsi la morte, entrate in essa – attraverso la porta dell’amore, attraverso la porta della meditazione, attraverso la porta di un moribondo. E se in un giorno qualsiasi – e quel giorno arriverà – sarete in punto di morte, ricevetela con gioia, come una benedizione. Se riuscirete a ricevere la morte con gioia, come una benedizione, raggiungerete la vetta più alta della vita, perché la morte è il crescendo della vita. La morte nasconde in sé il massimo dell’orgasmo, perché in essa è nascosto il massimo della libertà.
La morte significa che tu fai l’amore con il divino, oppure che il divino fa l’amore con te. La morte è l’orgasmo cosmico, totale. Perciò abbandona tutte le idee che hai sulla morte – sono pericolose. Ti rendono un antagonista rispetto alla massima esperienza che è necessario tu viva. Se mancherai l’esperienza della morte, rinascerai un’altra volta. A meno che non impari il modo per morire, rinascerai ancora e ancora e ancora. Questa è la ruota, samsara, il mondo. Una volta che avrai conosciuto il massimo orgasmo, per te non sarà più necessario rinascere: scomparirai e rimarrai in quell’orgasmo per sempre. Non rimarrai tu, non rimarrai come un’entità, non rimarrai definito e identificato in qualcosa. Rimarrai come Tutto, non come una parte.
Il viaggio della speranza... parole residue, tra le tante in fondo alla giornata. Le ho lette in farmacia, su un bussolotto di vetro accanto alla cassa, c'era l'asola per infilare i soldi e la fotografia di un bambino appiccicata con lo scotch, uno di quelli da portare lontano per tentare un'operazione, un viaggio della speranza, appunto. Mi giro sul cuscino, macino respiri sonori. Guardo il corpo di Giuliano, fermo, pesante. Dorme come dorme lui, supino, a torso nudo. Dalla bocca ogni tanto cava fuori un piccolo grugnito, come una bestia placida che scaccia moscerini.
Speranza, penso a questa parola che nel buio prende forma. Ha la faccia di una donna un po' sgomenta, di quelle che trascinano la loro sconfitta eppure continuano ad arrabattarsi con dignità. La mia faccia, forse, quella di una ragazza invecchiata, ferma nel tempo, per fedeltà, per timore.
Esco sul terrazzo, guardo il solito. Il palazzo dirimpetto al nostro, le persiane accostate. Il bar con l'insegna spenta. C'è il silenzio della città, polvere di rumori lontani. Roma dorme.
Dorme la sua festa, il suo pantano. Dormono le periferie.
Qual è la struttura che connette
il granchio con l’aragosta,
l'orchidea con la primula
e tutti quattro con me?
E me con voi?
E tutti noi
con l’ameba da una parte
e lo schizofrenico dall’altra?
"I maggiori problemi nel mondo risultano dalla differenza tra come funziona la natura e come la gente pensa."
A very schematic view of the history of umanity;poorlydrawnlines
E ricordati, io ci sarò. Ci sarò su nell’aria. Allora ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte, chiudi gli occhi e cercami. Ci si parla. Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio.
Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio
Coloro che ci hanno lasciati non sono degli assenti, sono solo degli invisibili: tengono i loro occhi pieni di gloria puntati nei nostri pieni di lacrime.
Agostino d'Ippona
Avrei voluto mettermi a piangere forte, ma non potevo. Non avevo più l'età per versare lacrime, avevo fatto troppe esperienze. Esiste anche questo al mondo, la tristezza di non poter piangere a calde lacrime. È una di quelle cose che non si può spiegare a nessuno, e anche se si potesse, nessuno la capirebbe. È una tristezza che non può prendere forma, si accumula quietamente nel cuore come la neve in una notte senza vento.
Una volta, quando ero più giovane, avevo provato a esprimerla a parole. Ma non ne avevo trovata una che potesse trasmettere il mio sentimento ad altri, anzi nemmeno a me stesso, così avevo rinunciato. E avevo chiuso sia le mie parole sia il mio cuore. La tristezza troppo profonda non può prendere la forma delle lacrime.
Murakami Haruki, La fine del mondo e il paese delle meraviglie
"Non è come nasci, ma come muori, che rivela a quale popolo appartieni."
Alce Nero, 1890
Tra la notte che cessa
e l'inizio del giorno,
il mio cuore ha urgenza
della tua nostalgia.
Non è che ti desideri
o ti voglia avere,
o in sogno, volando, baci
il sogno di vederti.
Vuole solo nostalgia di te;
ama il ricordarti, e non
l'ombra della verità
o il corpo dell'illusione.