lunedì 17 febbraio 2014
giovedì 13 febbraio 2014
rigidità - flessibilità meta-Tao
Jos Leys, Kaleido 4D |
La successiva metastruttura discussa da Tyler Volk e Jeff Bloom è la complementarietà binaria rigidità/flessibilità, intesa nello spazio, tempo e relazioni:
Alexandre Arrechea, No Limit |
Background
Rigidity and flexibility can be binaries of space, time, and relationship. Rigidity implies strength and impenetrability, while flexibility implies adaptability and change. In a spatial sense, a tube, sphere, sheet, border, or layer can be rigid or flexible. Boundaries of time can be rigid sequences of steps or stages or can delimit actions and activities. Binary relationships can be rigidly established or provide for flexibility. Both flexibility and rigidity can serve to protect.
Examples
- In science: Adaptation, acclimatization, organism tolerance to environmental change and variation, cell walls vs. cell membranes, "class of atoms that are inert", etc.
- In architecture and design: flexibility in skyscrapers, rigid vs. flexible interior designs, car crumple zones and uni-body construction, springs, etc.
- In the arts: rigid and flexible representations in dance and theater, malleable vs. static sculpture, etc.
- In social sciences: rules, mores, cultural borders, national borders, social layering, personality typologies, institutional and organization, etc.
- In other senses: athletic protective wear, yoga, martial arts, “letter of the law” vs. “spirit of the law”, rigid vs. flexible writing styles, flexible scheduling, open-mindedness vs. close-mindedness and dogma, etc.
Metapatterns
The Pattern Underground
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Struttura che Connette
venerdì 7 febbraio 2014
Umgreifende Tao
"Noi non viviamo immediatamente nell'essere, perciò la verità non è un nostro possesso definitivo; noi viviamo nell'essere temporale, perciò la verità è la nostra via".
I limiti delle scienze e l’impulso alla comunicazione sono due cose che ci additano il cammino verso la verità, la quale è qualcosa di ben più che un semplice possesso da parte dell’intelletto.
L’esattezza rigorosa delle scienze non è tutta la verità. Tale esattezza, nella sua validità universale, non ci vincola in tutto e per tutto quali uomini reali, ma solo quali esseri forniti d’intelletto. Si tratta solamente di un vincolo rispetto alle cose che vengono conosciute, di un vincolo particolare ma non pieno e totale. È vero che nella comunità dell’indagine scientifica, in grazia delle idee che in essa si realizzano e degli altri impulsi dell’esistenza che in essa si manifestano, possono darsi degli uomini che siano dei veri amici. Ma l’esattezza della conoscenza scientifica come tale vincola tutte le nature intellettive nella loro somiglianza, in quanto punti rappresentabili, e non vincola sostanzialmente gli uomini stessi.
Per l’intelletto che ha come mèta e come punto di vista l’esattezza il resto vale solo come sentimento, come soggettività, come istinto. Con questa bipartizione, accanto al mondo luminoso dell’intelletto, rimane solamente l’irrazionale, nel quale viene a sboccare tutto ciò che, secondo le circostanze, viene disprezzato o portato alle stelle. Intanto bisogna riconoscere che l’esattezza pura e semplice non ci appaga. E il movimento, che, nel pensare, va alla ricerca dell’autentica verità, nasce appunto da questo inappagamento. [...] La verità è qualche cosa di infinitamente più dell’esattezza scientifica.
Tutto considerato, anche la comunicazione ci fa avvertire e sentire che la verità è qualche cosa di infinitamente di più. La comunicazione è la via verso la verità in tutti i suoi aspetti. Lo stesso intelletto diventa chiaro a se stesso soltanto nella discussione. La maniera come l’uomo, in quanto esserci, in quanto spirito, in quanto esistenza, sta o può stare in comunicazione, è quella che rende possibile la rivelazione di ogni altra verità. La verità con la quale veniamo a contatto ai limiti delle scienze è quella stessa verità con la quale veniamo a contatto in questo movimento della comunicazione. La questione è d’intender bene quale verità essa sia.
La fonte di questa verità, per distinguerla da ciò che si presta a essere formulato e oggettivato, da ciò che è particolare, e determinato, nelle forme nelle quali l’essere può starci dinanzi, noi la chiamiamo il Tutto-avvolgente (Umgreifende). Questo concetto non è affatto familiare e tanto meno di per se stesso evidente. Il Tutto-avvolgente possiamo cercare di rischiararlo filosofando, ma non possiamo conoscerlo oggettivamente.
Qui ci attende il bivio fatale, dove noi raggiungiamo o il vero filosofare o torniamo da capo indietro, mentre, giungendo al nostro limite, dovremmo osare il salto verso il pensiero trascendente.
Se ci basiamo su tutto ciò che è sentimento, istinto, impulso, cuore e stato d’animo, come se soltanto questo fosse fonte di verità, non facciamo che nominare quel che rimane nel buio, quel che vorrebbe dar motivo alla nostra vita, con parole che inducono ad un’analisi psicologica, e ci fanno cascare in una psicologia che si presume comprensiva, mentre quel che importa è di raggiungere lo spazio luminoso del filosofare autentico e genuino.
I metodi del trascendere sorreggono la filosofia tutta intera. È impossibile anticipare in breve ciò che con essi possiamo raggiungere. Possiamo forse accostarci, con poche parole, se non alla piena comprensibilità, almeno all’atmosfera di cui si tratta.
Tutto ciò che diventa oggetto per me emerge, per così dire, dal fondo oscuro dell’Essere. Ogni oggetto è un essere determinato, che mi sta di fronte nella scissione di soggetto e oggetto; ma non è mai tutto l’Essere. Nessun essere conosciuto in questa maniera, cioè oggettivamente, è l’Essere.
Ma l’insieme delle cose conosciute come oggetti non rappresenta tutto l’Essere?
No. Come in un paesaggio dall’orizzonte sono racchiuse le cose, così tutti gli oggetti sono racchiusi dall’orizzonte in cui essi si trovano. Nel mondo dello spazio ci accade che, per quanto ci accostiamo all’orizzonte, non riusciamo mai a raggiungerlo, e esso piuttosto si muove con noi e sempre nuovamente si riforma, come quello che, volta per volta, tutto racchiude in sé.
Allo stesso modo, nel processo dell’indagine oggettiva, noi ci accostiamo, volta per volta, ad apparenti totalità, le quali però non ci si dimostrano mai come l’Essere pieno e autentico, ma devono, invece, essere oltrepassate in estensioni sempre nuove. Solo se tutti gli orizzonti si trovassero insieme, in un tutto compatto, dato che in tal caso essi ci rappresenterebbero una pluralità finita, noi potremmo, in uno sforzo di penetrazione a traverso tutti gli orizzonti, raggiungere l’Essere unico che vi è rinchiuso. Ma l’Essere non ci può esser dato rinchiuso, e gli orizzonti sono per noi illimitati. L’Essere ci trascina in tutti i sensi verso l’infinito.
Noi vogliamo renderci conto dell’Essere che, mentre ci si rivela venendoci incontro in ogni oggetto e in ogni orizzonte, pure, come tale, sempre indietreggia e si allontana. Questo Essere noi lo chiamiamo: il Tutto che ci avvolge. Il Tutto-avvolgente è dunque ciò che sempre e continuamente si annunzia a noi, e ci si annunzia non in quanto ci venga innanzi esso stesso, ma in quanto è la scaturigine di ogni altra cosa.
Con questo pensiero filosofico fondamentale noi vogliamo pensare al di là di quell’essere determinato dirigendoci verso il Tutto-avvolgente, nel quale siamo e che noi stessi siamo. È questo un pensiero che, per così dire, capovolge la nostra situazione perché ci libera dal vincolo di ogni essere determinato. Ma questo pensiero del Tutto-avvolgente è solo la prima pietra. In breve si direbbe che è ancora soltanto un pensiero puramente formale. Nello sforzo di un ulteriore avvicinamento, ci si mostrano subito i modi del Tutto-avvolgente insieme col compito del loro rischiaramento. L’Essere del Tutto-avvolgente, in se stesso, è Mondo e Trascendenza. L’Essere del Tutto-avvolgente che noi siamo è Esserci, Coscienza in generale, Spirito, Esistenza. Solo a traverso i modi del Tutto-avvolgente noi diventiamo interamente consapevoli della verità in tutte le sue possibilità, nel suo orizzonte possibile, nella sua ampiezza e nella sua profondità.
Il rischiaramento del Tutto-avvolgente riceve la sua spinta dalla nostra Ragione e dalla nostra Esistenza.
I movimenti nei quali noi ci apriamo sconfinatamente, coi quali vorremmo dare la parola a tutto ciò che è, attraverso i quali quasi attiriamo a noi ciò che ci è più lontano ed estraneo, in seno ai quali cerchiamo un rapporto con tutte le cose, e grazie ai quali non rompiamo la comunicazione con niente, questi movimenti noi li denominiamo ragione. Questa parola, che va radicalmente distinta da intelletto, esprime la condizione della verità, così come essa può venire in luce nei modi del Tutto-avvolgente. La logica filosofica riguarda la ragione in quanto si rende conto di se stessa.
Nel suo valore più largo e più comprensivo, entro il quale il valore delle scienze, vale a dire dell’intelletto, è soltanto un elemento, la verità trova, in ultimo, il suo fondamento nell’esistenza che noi possiamo essere. Tutto dipende dal lasciarci guidare nella vita da una incondizionatezza, da un possesso e un dominio pieno e assoluto di noi, il quale nasce soltanto dalla risoluzione. Mediante la risoluzione l’esistenza diventa reale, la vita viene foggiata e trasformata in quell’agire interiore che, rischiarandoci, ci sorregge nel volo. Quando l’amore ha come fondamento una risoluzione, non è più l’infida passione che s’agita senza mèta, ma la completa realizzazione di noi, nella quale ci si manifesta il vero Essere.
Quello che deve esser fatto nella vita del pensiero è reso possibile da un filosofare che, rimembrando e presagendo, faccia manifesta la verità. Questo filosofare ha il suo vero significato solamente se al pensiero corrisponde una realtà di chi pensa, la quale venga a integrarlo. Questa realtà non è la conseguenza o l’applicazione di una dottrina, ma è la prassi dell’essere umano, che si protende in avanti nell’eco del pensiero. È un impeto di movimento che ha luogo, per dir così, con due ali, che sono il pensiero e la realtà. L’uno e l’altra debbono spiegarsi, se si vuole che il volo riesca. Il pensiero puro e semplice rimarrebbe un vuoto agitarsi di possibilità; la realtà pura e semplice rimarrebbe una cupa incoscienza, dato che senza spiegamento non potrebbe intendere se stessa.
Questo modo di filosofare ebbe per me la sua prima origine nel campo della psicologia, che doveva subire una trasformazione e diventare poi rischiaramento dell’esistenza. Questo rischiaramento dell’esistenza mi riportò di nuovo all’orientamento nel mondo e alla metafisica. Il significato di questo pensare e di questo filosofare si risolve, in ultimo, in una logica filosofica, che non tien conto soltanto dell’intelletto e delle sue forme (giudizio e ragionamento), ma indica il fondo ultimo della verità, quale si mostra, in tutta la sua portata, nel Tutto-avvolgente.
L’Essere non è la somma degli oggetti. Bisogna dire piuttosto che gli oggetti nella scissione di soggetto e oggetto, vengono incontro al nostro intelletto dal Tutto-avvolgente dell’Essere stesso, che, mentre sfugge alla nostra comprensione oggettiva, è quello da cui tutte le nostre conoscenze oggettive e determinate ricevono senso e limiti, e da cui si effonde la melodia del Tutto, nel quale soltanto esse acquistano valore.
L’esattezza rigorosa delle scienze non è tutta la verità. Tale esattezza, nella sua validità universale, non ci vincola in tutto e per tutto quali uomini reali, ma solo quali esseri forniti d’intelletto. Si tratta solamente di un vincolo rispetto alle cose che vengono conosciute, di un vincolo particolare ma non pieno e totale. È vero che nella comunità dell’indagine scientifica, in grazia delle idee che in essa si realizzano e degli altri impulsi dell’esistenza che in essa si manifestano, possono darsi degli uomini che siano dei veri amici. Ma l’esattezza della conoscenza scientifica come tale vincola tutte le nature intellettive nella loro somiglianza, in quanto punti rappresentabili, e non vincola sostanzialmente gli uomini stessi.
Per l’intelletto che ha come mèta e come punto di vista l’esattezza il resto vale solo come sentimento, come soggettività, come istinto. Con questa bipartizione, accanto al mondo luminoso dell’intelletto, rimane solamente l’irrazionale, nel quale viene a sboccare tutto ciò che, secondo le circostanze, viene disprezzato o portato alle stelle. Intanto bisogna riconoscere che l’esattezza pura e semplice non ci appaga. E il movimento, che, nel pensare, va alla ricerca dell’autentica verità, nasce appunto da questo inappagamento. [...] La verità è qualche cosa di infinitamente più dell’esattezza scientifica.
Tutto considerato, anche la comunicazione ci fa avvertire e sentire che la verità è qualche cosa di infinitamente di più. La comunicazione è la via verso la verità in tutti i suoi aspetti. Lo stesso intelletto diventa chiaro a se stesso soltanto nella discussione. La maniera come l’uomo, in quanto esserci, in quanto spirito, in quanto esistenza, sta o può stare in comunicazione, è quella che rende possibile la rivelazione di ogni altra verità. La verità con la quale veniamo a contatto ai limiti delle scienze è quella stessa verità con la quale veniamo a contatto in questo movimento della comunicazione. La questione è d’intender bene quale verità essa sia.
La fonte di questa verità, per distinguerla da ciò che si presta a essere formulato e oggettivato, da ciò che è particolare, e determinato, nelle forme nelle quali l’essere può starci dinanzi, noi la chiamiamo il Tutto-avvolgente (Umgreifende). Questo concetto non è affatto familiare e tanto meno di per se stesso evidente. Il Tutto-avvolgente possiamo cercare di rischiararlo filosofando, ma non possiamo conoscerlo oggettivamente.
Qui ci attende il bivio fatale, dove noi raggiungiamo o il vero filosofare o torniamo da capo indietro, mentre, giungendo al nostro limite, dovremmo osare il salto verso il pensiero trascendente.
Se ci basiamo su tutto ciò che è sentimento, istinto, impulso, cuore e stato d’animo, come se soltanto questo fosse fonte di verità, non facciamo che nominare quel che rimane nel buio, quel che vorrebbe dar motivo alla nostra vita, con parole che inducono ad un’analisi psicologica, e ci fanno cascare in una psicologia che si presume comprensiva, mentre quel che importa è di raggiungere lo spazio luminoso del filosofare autentico e genuino.
I metodi del trascendere sorreggono la filosofia tutta intera. È impossibile anticipare in breve ciò che con essi possiamo raggiungere. Possiamo forse accostarci, con poche parole, se non alla piena comprensibilità, almeno all’atmosfera di cui si tratta.
Tutto ciò che diventa oggetto per me emerge, per così dire, dal fondo oscuro dell’Essere. Ogni oggetto è un essere determinato, che mi sta di fronte nella scissione di soggetto e oggetto; ma non è mai tutto l’Essere. Nessun essere conosciuto in questa maniera, cioè oggettivamente, è l’Essere.
Ma l’insieme delle cose conosciute come oggetti non rappresenta tutto l’Essere?
No. Come in un paesaggio dall’orizzonte sono racchiuse le cose, così tutti gli oggetti sono racchiusi dall’orizzonte in cui essi si trovano. Nel mondo dello spazio ci accade che, per quanto ci accostiamo all’orizzonte, non riusciamo mai a raggiungerlo, e esso piuttosto si muove con noi e sempre nuovamente si riforma, come quello che, volta per volta, tutto racchiude in sé.
Allo stesso modo, nel processo dell’indagine oggettiva, noi ci accostiamo, volta per volta, ad apparenti totalità, le quali però non ci si dimostrano mai come l’Essere pieno e autentico, ma devono, invece, essere oltrepassate in estensioni sempre nuove. Solo se tutti gli orizzonti si trovassero insieme, in un tutto compatto, dato che in tal caso essi ci rappresenterebbero una pluralità finita, noi potremmo, in uno sforzo di penetrazione a traverso tutti gli orizzonti, raggiungere l’Essere unico che vi è rinchiuso. Ma l’Essere non ci può esser dato rinchiuso, e gli orizzonti sono per noi illimitati. L’Essere ci trascina in tutti i sensi verso l’infinito.
Noi vogliamo renderci conto dell’Essere che, mentre ci si rivela venendoci incontro in ogni oggetto e in ogni orizzonte, pure, come tale, sempre indietreggia e si allontana. Questo Essere noi lo chiamiamo: il Tutto che ci avvolge. Il Tutto-avvolgente è dunque ciò che sempre e continuamente si annunzia a noi, e ci si annunzia non in quanto ci venga innanzi esso stesso, ma in quanto è la scaturigine di ogni altra cosa.
Con questo pensiero filosofico fondamentale noi vogliamo pensare al di là di quell’essere determinato dirigendoci verso il Tutto-avvolgente, nel quale siamo e che noi stessi siamo. È questo un pensiero che, per così dire, capovolge la nostra situazione perché ci libera dal vincolo di ogni essere determinato. Ma questo pensiero del Tutto-avvolgente è solo la prima pietra. In breve si direbbe che è ancora soltanto un pensiero puramente formale. Nello sforzo di un ulteriore avvicinamento, ci si mostrano subito i modi del Tutto-avvolgente insieme col compito del loro rischiaramento. L’Essere del Tutto-avvolgente, in se stesso, è Mondo e Trascendenza. L’Essere del Tutto-avvolgente che noi siamo è Esserci, Coscienza in generale, Spirito, Esistenza. Solo a traverso i modi del Tutto-avvolgente noi diventiamo interamente consapevoli della verità in tutte le sue possibilità, nel suo orizzonte possibile, nella sua ampiezza e nella sua profondità.
Il rischiaramento del Tutto-avvolgente riceve la sua spinta dalla nostra Ragione e dalla nostra Esistenza.
I movimenti nei quali noi ci apriamo sconfinatamente, coi quali vorremmo dare la parola a tutto ciò che è, attraverso i quali quasi attiriamo a noi ciò che ci è più lontano ed estraneo, in seno ai quali cerchiamo un rapporto con tutte le cose, e grazie ai quali non rompiamo la comunicazione con niente, questi movimenti noi li denominiamo ragione. Questa parola, che va radicalmente distinta da intelletto, esprime la condizione della verità, così come essa può venire in luce nei modi del Tutto-avvolgente. La logica filosofica riguarda la ragione in quanto si rende conto di se stessa.
Nel suo valore più largo e più comprensivo, entro il quale il valore delle scienze, vale a dire dell’intelletto, è soltanto un elemento, la verità trova, in ultimo, il suo fondamento nell’esistenza che noi possiamo essere. Tutto dipende dal lasciarci guidare nella vita da una incondizionatezza, da un possesso e un dominio pieno e assoluto di noi, il quale nasce soltanto dalla risoluzione. Mediante la risoluzione l’esistenza diventa reale, la vita viene foggiata e trasformata in quell’agire interiore che, rischiarandoci, ci sorregge nel volo. Quando l’amore ha come fondamento una risoluzione, non è più l’infida passione che s’agita senza mèta, ma la completa realizzazione di noi, nella quale ci si manifesta il vero Essere.
Quello che deve esser fatto nella vita del pensiero è reso possibile da un filosofare che, rimembrando e presagendo, faccia manifesta la verità. Questo filosofare ha il suo vero significato solamente se al pensiero corrisponde una realtà di chi pensa, la quale venga a integrarlo. Questa realtà non è la conseguenza o l’applicazione di una dottrina, ma è la prassi dell’essere umano, che si protende in avanti nell’eco del pensiero. È un impeto di movimento che ha luogo, per dir così, con due ali, che sono il pensiero e la realtà. L’uno e l’altra debbono spiegarsi, se si vuole che il volo riesca. Il pensiero puro e semplice rimarrebbe un vuoto agitarsi di possibilità; la realtà pura e semplice rimarrebbe una cupa incoscienza, dato che senza spiegamento non potrebbe intendere se stessa.
Questo modo di filosofare ebbe per me la sua prima origine nel campo della psicologia, che doveva subire una trasformazione e diventare poi rischiaramento dell’esistenza. Questo rischiaramento dell’esistenza mi riportò di nuovo all’orientamento nel mondo e alla metafisica. Il significato di questo pensare e di questo filosofare si risolve, in ultimo, in una logica filosofica, che non tien conto soltanto dell’intelletto e delle sue forme (giudizio e ragionamento), ma indica il fondo ultimo della verità, quale si mostra, in tutta la sua portata, nel Tutto-avvolgente.
L’Essere non è la somma degli oggetti. Bisogna dire piuttosto che gli oggetti nella scissione di soggetto e oggetto, vengono incontro al nostro intelletto dal Tutto-avvolgente dell’Essere stesso, che, mentre sfugge alla nostra comprensione oggettiva, è quello da cui tutte le nostre conoscenze oggettive e determinate ricevono senso e limiti, e da cui si effonde la melodia del Tutto, nel quale soltanto esse acquistano valore.
trad. di R. De Rosa
Friedhof am Hörnli Basel, Basel-Stadt, Switzerland Yad Vashem Photo Archive |
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Tao Livello 3 e oltre
giovedì 6 febbraio 2014
il Tao dei morti - terzo stadio
LIBRO I - PARTE II
Il Bardo dell'Esperienza della Realtà
Istruzioni Introduttive Riguardo l'Esperienza della Realtà durante il Terzo Stadio del Bardo, Chiamato il Chönyid Bardo, quando Compaiono le Apparizioni Karmiche.
Anche se la Chiara Luce Primordiale non è stata riconosciuta, la Liberazione viene raggiunta riconoscendo la Chiara Luce del secondo Bardo. Se non si viene liberati nemmeno attraverso questa, allora sorge quello che è chiamato il terzo Bardo o Chönyid Bardo. In questo stadio del Bardo, si manifestano le illusioni karmiche. È molto importante che questo Grande Confronto faccia a faccia con il Chönyid Bardo venga letto: esso ha molto potere e può dare un grande beneficio.
Adesso il defunto può vedere che il suo cibo viene messo da parte, che il suo corpo è privo di indumenti, che la sua coperta per dormire è stata rimossa; può udire ogni pianto ed ogni gemito dei suoi amici e dei suoi parenti e, anche se può vederli e sentirli mentre lo chiamano, loro non possono sentirlo quando è lui a chiamarli, cosicché si allontana dispiaciuto.
In questo momento sperimenta suoni, luci e radiosità che lo intimoriscono, lo spaventano, e lo terrorizzano e lo affaticano pesantemente. È adesso che il confronto faccia a faccia col Bardo di Realtà deve essere applicato. Si chiami il defunto per nome e, in modo corretto e comprensibile, si spieghi a lui quanto segue:
"Oh, nobile essere, ascolta con attenzione assoluta, senza farti distrarre: Ci sono sei stati del Bardo, chiamati: lo stato naturale del Bardo nell'utero; il Bardo dello stato dei sogni; il Bardo dell'equilibrio estatico durante la meditazione profonda; il Bardo del momento della morte; il Bardo di Realtà; il Bardo del processo inverso dell‟esistenza samsarica. Questi sono i sei stati.
Oh, nobile essere, tu sperimenterai ora tre Bardi, il Bardo del momento della morte, il Bardo di Realtà, ed il Bardo della ricerca della rinascita. Di questi tre stati, fino a ieri hai sperimentato il Bardo del momento della morte. Anche se la Chiara Luce di Realtà è sorta su di te, non sei stato in grado di riconoscerla, ed ora devi vagare qui. Sperimenterai ora il Chönyid Bardo ed il Sidpa Bardo.
Presta totale attenzione a quello con cui sto per porti in confronto faccia a faccia, ed accoglilo:
Oh, nobile essere, ciò che è chiamata morte è ora giunta. Tu stai abbandonando questo mondo, ma non sei il solo; la morte viene per tutti. Non aggrapparti a questa vita per sentimento o per debolezza. Anche se per debolezza vi restassi attaccato, non hai il potere di restare qui. Non otteresti nient'altro che di vagare in questo samsara. Non attaccarti, non essere debole. Ricordati della Preziosa Trinità.
Oh, nobile essere, qualsiasi paura o terrore possa assalirti nel Chönyid Bardo, non dimentircare queste parole; e conservando il loro significato nel cuore, vai avanti: in esse si trova il vitale segreto del riconoscimento.
Ahimè! Quando la Mutevole Esperienza della Realtà sorge su di me, che ogni pensiero di paura o di terrore o timore per ogni cosa si faccia da parte, possa io riconoscere che qualunque apparizione è il riflesso della mia stessa coscienza, possa io riconoscere che esse sono della stessa natura delle apparizioni del Bardo: in questo momento fondamentale per conseguire una grande fine, possa io non temere le schiere delle Divinità Pacificatrici e delle Divinità Furiose, che sono soltanto mie forme pensiero.
Ripetiti queste parole chiaramente, e, ricordandoti il loro significato mentre le ripeti, vai avanti. Grazie a loro, qualunque visione spaventosa o terrificante possa apparire, il riconoscimento sarà certo. Non dimenticare il segreto vitale che esse contengono.
Oh, nobile essere, quando il corpo e lo spirito sono stati separati, hai sperimentato una fugace visione della Pura Verità, sottile, brillante, vivida, abbagliante, gloriosa e radiosamente impressionante, che ha le sembianze di un miraggio che si muove attraverso un panorama primaverile in un continuo fluire di vibrazioni. Non esserne però intimidito, né terrorizzato, né intimorito. Questa è l‟irradiazione della tua stessa vera natura. Riconoscila.
Dal centro di questa irradiazione uscirà il suono naturale della Realtà, arriverà rimbombando come migliaia di tuoni simultaneamente. Questo è il suono naturale del tuo stesso essere. Non essere intimidito da esso, né terrorizzato, né timoroso.
Il corpo che hai ora è detto il corpo-mentale delle abitudini. Da quando non hai più un corpo materiale di carne e di sangue, qualunque cosa avvenga, rumori, luci o raggi, nessuna può farti del male. Ti è succificiente sapere che queste apparizioni sono unicamente tue forme pensiero. Sappi riconoscere che questo è il Bardo.
Oh, nobile essere, se non riconoscerai ora le tue proprie forme pensiero, qualunque meditazione o devozione tu possa aver fatto mentre eri nel mondo umano, se tu non incontrerai i presenti insegnamenti, le luci ti intimidiranno, i suoni ti intimoriranno ed i raggi ti terrorizzeranno. Se non incontrerai questa fondamentale chiave di insegnamento, non potendo riconoscere i suoni, le luci ed i raggi, ti troverai a dover vagare nel Samsara."
Adesso il defunto può vedere che il suo cibo viene messo da parte, che il suo corpo è privo di indumenti, che la sua coperta per dormire è stata rimossa; può udire ogni pianto ed ogni gemito dei suoi amici e dei suoi parenti e, anche se può vederli e sentirli mentre lo chiamano, loro non possono sentirlo quando è lui a chiamarli, cosicché si allontana dispiaciuto.
In questo momento sperimenta suoni, luci e radiosità che lo intimoriscono, lo spaventano, e lo terrorizzano e lo affaticano pesantemente. È adesso che il confronto faccia a faccia col Bardo di Realtà deve essere applicato. Si chiami il defunto per nome e, in modo corretto e comprensibile, si spieghi a lui quanto segue:
"Oh, nobile essere, ascolta con attenzione assoluta, senza farti distrarre: Ci sono sei stati del Bardo, chiamati: lo stato naturale del Bardo nell'utero; il Bardo dello stato dei sogni; il Bardo dell'equilibrio estatico durante la meditazione profonda; il Bardo del momento della morte; il Bardo di Realtà; il Bardo del processo inverso dell‟esistenza samsarica. Questi sono i sei stati.
Oh, nobile essere, tu sperimenterai ora tre Bardi, il Bardo del momento della morte, il Bardo di Realtà, ed il Bardo della ricerca della rinascita. Di questi tre stati, fino a ieri hai sperimentato il Bardo del momento della morte. Anche se la Chiara Luce di Realtà è sorta su di te, non sei stato in grado di riconoscerla, ed ora devi vagare qui. Sperimenterai ora il Chönyid Bardo ed il Sidpa Bardo.
Presta totale attenzione a quello con cui sto per porti in confronto faccia a faccia, ed accoglilo:
Oh, nobile essere, ciò che è chiamata morte è ora giunta. Tu stai abbandonando questo mondo, ma non sei il solo; la morte viene per tutti. Non aggrapparti a questa vita per sentimento o per debolezza. Anche se per debolezza vi restassi attaccato, non hai il potere di restare qui. Non otteresti nient'altro che di vagare in questo samsara. Non attaccarti, non essere debole. Ricordati della Preziosa Trinità.
Oh, nobile essere, qualsiasi paura o terrore possa assalirti nel Chönyid Bardo, non dimentircare queste parole; e conservando il loro significato nel cuore, vai avanti: in esse si trova il vitale segreto del riconoscimento.
Ahimè! Quando la Mutevole Esperienza della Realtà sorge su di me, che ogni pensiero di paura o di terrore o timore per ogni cosa si faccia da parte, possa io riconoscere che qualunque apparizione è il riflesso della mia stessa coscienza, possa io riconoscere che esse sono della stessa natura delle apparizioni del Bardo: in questo momento fondamentale per conseguire una grande fine, possa io non temere le schiere delle Divinità Pacificatrici e delle Divinità Furiose, che sono soltanto mie forme pensiero.
Ripetiti queste parole chiaramente, e, ricordandoti il loro significato mentre le ripeti, vai avanti. Grazie a loro, qualunque visione spaventosa o terrificante possa apparire, il riconoscimento sarà certo. Non dimenticare il segreto vitale che esse contengono.
Oh, nobile essere, quando il corpo e lo spirito sono stati separati, hai sperimentato una fugace visione della Pura Verità, sottile, brillante, vivida, abbagliante, gloriosa e radiosamente impressionante, che ha le sembianze di un miraggio che si muove attraverso un panorama primaverile in un continuo fluire di vibrazioni. Non esserne però intimidito, né terrorizzato, né intimorito. Questa è l‟irradiazione della tua stessa vera natura. Riconoscila.
Dal centro di questa irradiazione uscirà il suono naturale della Realtà, arriverà rimbombando come migliaia di tuoni simultaneamente. Questo è il suono naturale del tuo stesso essere. Non essere intimidito da esso, né terrorizzato, né timoroso.
Il corpo che hai ora è detto il corpo-mentale delle abitudini. Da quando non hai più un corpo materiale di carne e di sangue, qualunque cosa avvenga, rumori, luci o raggi, nessuna può farti del male. Ti è succificiente sapere che queste apparizioni sono unicamente tue forme pensiero. Sappi riconoscere che questo è il Bardo.
Oh, nobile essere, se non riconoscerai ora le tue proprie forme pensiero, qualunque meditazione o devozione tu possa aver fatto mentre eri nel mondo umano, se tu non incontrerai i presenti insegnamenti, le luci ti intimidiranno, i suoni ti intimoriranno ed i raggi ti terrorizzeranno. Se non incontrerai questa fondamentale chiave di insegnamento, non potendo riconoscere i suoni, le luci ed i raggi, ti troverai a dover vagare nel Samsara."
dalla versione di W.Y. Evans - Wentz
il Tao dei morti - secondo stadio
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mercoledì 5 febbraio 2014
martedì 4 febbraio 2014
osservare il Tao interiore
Vladimir Kush, Earth Well |
Dopo la descrizione dei sottosistemi del sistema della coscienza, Charles T. Tart prosegue con la discussione dell'auto-osservazione dei propri stati di coscienza interni, argomento che coinvolge profondamente il concetto di "osservatore":
Observation of Internal States
Observation of internal events is often unreliable and difficult. Focusing on external behavior or physiological changes in useful, but experiential data are primary in d-SoCs. We must develop a more precise language for communicating about such data.
Observing oneself means that the overall system must observe itself. Thus, in the conservative view of the mind self-observation is inherently limited, for the part cannot comprehend the whole and the characteristics of the parts affect their observation. In the radical view, however, in which awareness is partially or wholly independent of brain structure, the possibility exists of an Observer much more independent of the structure.
Introspection, the observation of one's own mental processes, and the subsequent communication of these observations to others have long been major problems in psychology. To build a general scientific understanding requires starting from a general agreement on what are the facts, what are the basic observations across individuals on which the science can be founded. Individuals have published interesting and often beautiful accounts of their own mental processes in the physiological literature, but analysis of these accounts demonstrates little agreement among them and little agreement among the analyzers that the accounts are precise descriptions of observable mental processes. Striving for precise understanding is an important goal of science.
One reaction to this has been behaviorism, which ignores mental processes and declares that external behavior, which can be observed more easily and reliably, is the subject matter of psychology. Many psychologists still accept the behavioristic position and define psychology as the study of behavior rather than the study of the mind. That way is certainly easier. One hundred percent agreement among observers is possible, at least for simple behaviors. For example, in testing for susceptibility to hypnosis with the Stanford Hypnotic Susceptibility Scale, the examiner suggests to the subject that his arm is feeling heavier and heavier and will drop because of the increased weight. The hypnotists and observers present can easily agree on whether the subject's arm moves down at least twelve inches within thirty seconds after the end of the suggestion.
Behaviorism is an extremely valuable tool for studying simple behaviors, determining what affects them, and learning how to control them. But it has not been able to deal well with complex and important human experiences, such as happiness, love, religious feelings, purposes. The behavioristic approach is of particularly limited value in dealing with d-ASCs because almost all the interesting and important d-ASC phenomena are completely internal. A behavioristic approach to the study of a major psychedelic drug like LSD, for example, would lead to the conclusion that LSD is a sedative or tranquilizer, since the behavior frequently produced is sitting still and doing nothing!
If we are to understand d-SoCs, introspection must become an important technique in psychology in spite of the difficulties of its application. I have primarily used peoples' reports of their internal experiences in developing the systems approach, even though these reports are undoubtedly affected by a variety of biases, limitations, and inadequacies, for such reports are the most relevant data for studying d-SoCs.
I believe psychology's historical rejection of introspection was premature: in the search for general laws of the mind, too much was attempted too soon. Mental phenomena are the most complex phenomena of all. The physical sciences, by comparison, deal with easy subject matter. We can be encouraged by the fact that many spiritual psychologies have developed elaborate vocabularies for describing internal experiences. I do not understand these psychologies well enough to evaluate the validity of these vocabularies, but it is encouraging that others, working over long periods, have at least developed such vocabularies. The English language is well suited for making reliable discriminations among everyday external objects, but it is not a good language for precise work with physical reality. The physical sciences have developed specialized mathematical languages for such work that are esoteric indeed to the man in the street. Sanskrit, on the other hand, has many presumably precise words for internal events and states that do not translate well into English. There are over twenty words in Sanskrit, for example, which carry different shades of meaning in the original. Development of a more precise vocabulary is essential to progress in understanding consciousness and d-SoCs. If you say you feel "vibrations" in a d-ASC, what precisely do you mean?
Observing oneself means that the overall system must observe itself. Thus, in the conservative view of the mind self-observation is inherently limited, for the part cannot comprehend the whole and the characteristics of the parts affect their observation. In the radical view, however, in which awareness is partially or wholly independent of brain structure, the possibility exists of an Observer much more independent of the structure.
Introspection, the observation of one's own mental processes, and the subsequent communication of these observations to others have long been major problems in psychology. To build a general scientific understanding requires starting from a general agreement on what are the facts, what are the basic observations across individuals on which the science can be founded. Individuals have published interesting and often beautiful accounts of their own mental processes in the physiological literature, but analysis of these accounts demonstrates little agreement among them and little agreement among the analyzers that the accounts are precise descriptions of observable mental processes. Striving for precise understanding is an important goal of science.
One reaction to this has been behaviorism, which ignores mental processes and declares that external behavior, which can be observed more easily and reliably, is the subject matter of psychology. Many psychologists still accept the behavioristic position and define psychology as the study of behavior rather than the study of the mind. That way is certainly easier. One hundred percent agreement among observers is possible, at least for simple behaviors. For example, in testing for susceptibility to hypnosis with the Stanford Hypnotic Susceptibility Scale, the examiner suggests to the subject that his arm is feeling heavier and heavier and will drop because of the increased weight. The hypnotists and observers present can easily agree on whether the subject's arm moves down at least twelve inches within thirty seconds after the end of the suggestion.
Behaviorism is an extremely valuable tool for studying simple behaviors, determining what affects them, and learning how to control them. But it has not been able to deal well with complex and important human experiences, such as happiness, love, religious feelings, purposes. The behavioristic approach is of particularly limited value in dealing with d-ASCs because almost all the interesting and important d-ASC phenomena are completely internal. A behavioristic approach to the study of a major psychedelic drug like LSD, for example, would lead to the conclusion that LSD is a sedative or tranquilizer, since the behavior frequently produced is sitting still and doing nothing!
If we are to understand d-SoCs, introspection must become an important technique in psychology in spite of the difficulties of its application. I have primarily used peoples' reports of their internal experiences in developing the systems approach, even though these reports are undoubtedly affected by a variety of biases, limitations, and inadequacies, for such reports are the most relevant data for studying d-SoCs.
I believe psychology's historical rejection of introspection was premature: in the search for general laws of the mind, too much was attempted too soon. Mental phenomena are the most complex phenomena of all. The physical sciences, by comparison, deal with easy subject matter. We can be encouraged by the fact that many spiritual psychologies have developed elaborate vocabularies for describing internal experiences. I do not understand these psychologies well enough to evaluate the validity of these vocabularies, but it is encouraging that others, working over long periods, have at least developed such vocabularies. The English language is well suited for making reliable discriminations among everyday external objects, but it is not a good language for precise work with physical reality. The physical sciences have developed specialized mathematical languages for such work that are esoteric indeed to the man in the street. Sanskrit, on the other hand, has many presumably precise words for internal events and states that do not translate well into English. There are over twenty words in Sanskrit, for example, which carry different shades of meaning in the original. Development of a more precise vocabulary is essential to progress in understanding consciousness and d-SoCs. If you say you feel "vibrations" in a d-ASC, what precisely do you mean?
In science the word observation usually refers to scrutiny of the external environment, and the observer is taken for granted. If the observer is recognized as possessing inherent characteristics that limit his adequacy to observe, these specific characteristics are compensated for, as by instrumentally aiding the senses or adding some constant to the observation; again the observer is taken for granted. In dealing with the microworld, the particle level in physics, the observer cannot be taken for granted, for the process of observation alters the phenomena being observed. Similarly, when experiential data are used to understand states of consciousness, the observation process cannot be taken for granted.
For the system to observe itself, attention/awareness must activate structures that are capable of observing processes going on in other structures. Two ways of doing this seem possible, which we shall discuss as pure cases, even though they may actually be mixed. The first way is to see the system breaking down into two semi-independent systems, one of which constitutes the observer and the other the system to be observed. I notice, for example, that I am rubbing my left foot as I write and that this action seems irrelevant to the points I want to make. A moment ago I was absorbed in the thinking involved in the writing and in rubbing my foot, but some part of me then stepped back for a moment, under the impetus to find an example to illustrate the current point, and noticed that I was rubbing my foot. The "I" who observed that I was rubbing my foot is my ordinary self, my personality, my ordinary d-SoC. The major part of my system held together, but temporarily singled out a small, connected part of itself to be observed. Since I am still my ordinary self, all my characteristics enter into the observation. There is no objectivity to my own observation of myself. My ordinary self, for example, is always concerned with whether what I am doing is useful toward attaining my short-term and long-term goals; thus the judgment was automatically made that the rubbing of the foot was a useless waste of energy. Having immediately classified foot-rubbing as useless, I had no further interesting in observing it more clearly, seeing what it was like. The observation is mixed with evaluation; most ordinary observation is of this nature.
By contrast, many meditative disciplines take the view that attention/awareness can achieve a high degree or even complete independence from the structures that constitute a person's ordinary d-SoC and personality, that a person possesses (or can develop) an Observer that is highly objective with respect to the ordinary personality because it is an Observer that is essentially pure attention/awareness, that has no judgmental characteristics of its own. If the Observer had been active, I might have observed that I was rubbing my foot, but there would have been no structure immediately activated that passed judgment on this action. Judgment, after all, means relatively permanent characteristics coded in structure to make comparisons against. The Observer would simply have noted whatever was happening without judging it.
The existence of the Observer or Witness is a reality to many people, especially those who have attempted to develop such an Observer by practicing meditative disciplines, and I shall treat it as an experiential reality.
The question of its ultimate reality is difficult. If one starts from the conservative view of the mind, where awareness is no more than a product of the nervous system and brain, the degree of independence or objectivity of the Observer can only be relative. The Observer may be a semi-independent system with fewer characteristics than the overall system of consciousness as a whole, but it is dependent on the operation of neurologically based structures and so is ultimately limited and shaped by them; it is also programmed to some extent in the enculturation process. Hilgard has found the concept of such a partially dissociated Observer useful in understanding hypnotic analgesia.
In the radical view of the mind, awareness is (or can become) different from the brain and nervous system. Here partial to total independence of, and objectivity with respect to, the mind/brain can be attained by the Observer. The ultimate degree of this objectivity then depends on whether awareness per se, whatever its ultimate nature is, has properties that limit it.
It is not always easy to make this clear distinction between the observer and the Observer. Many times, for example, when I am attempting to function as a Observer, I Observe myself doing certain things, but this Observation immediately activates some aspect of the structure of my ordinary personality, which then acts as an observer connected with various value judgment that are immediately activated. I pass from the function of Observing from outside the system to observing from inside the system, from what feels like relatively objective Observation to judgmental observation by my conscience or superego.
Some meditative disciplines, as in the vipassana meditation discussed earlier, strive to enable their practitioners to maintain the Observer for long periods, possibly permanently. The matter becomes rather complex, however, because a major job for the Observer is to Observe the actions of the observer: having Observed yourself doing some action, you then Observe your conscience become activated, rather than becoming completely caught up in the conscience observation and losing the Observer function. Such self-observation provides much data for understanding the structure of one's own consciousness.
For the system to observe itself, attention/awareness must activate structures that are capable of observing processes going on in other structures. Two ways of doing this seem possible, which we shall discuss as pure cases, even though they may actually be mixed. The first way is to see the system breaking down into two semi-independent systems, one of which constitutes the observer and the other the system to be observed. I notice, for example, that I am rubbing my left foot as I write and that this action seems irrelevant to the points I want to make. A moment ago I was absorbed in the thinking involved in the writing and in rubbing my foot, but some part of me then stepped back for a moment, under the impetus to find an example to illustrate the current point, and noticed that I was rubbing my foot. The "I" who observed that I was rubbing my foot is my ordinary self, my personality, my ordinary d-SoC. The major part of my system held together, but temporarily singled out a small, connected part of itself to be observed. Since I am still my ordinary self, all my characteristics enter into the observation. There is no objectivity to my own observation of myself. My ordinary self, for example, is always concerned with whether what I am doing is useful toward attaining my short-term and long-term goals; thus the judgment was automatically made that the rubbing of the foot was a useless waste of energy. Having immediately classified foot-rubbing as useless, I had no further interesting in observing it more clearly, seeing what it was like. The observation is mixed with evaluation; most ordinary observation is of this nature.
By contrast, many meditative disciplines take the view that attention/awareness can achieve a high degree or even complete independence from the structures that constitute a person's ordinary d-SoC and personality, that a person possesses (or can develop) an Observer that is highly objective with respect to the ordinary personality because it is an Observer that is essentially pure attention/awareness, that has no judgmental characteristics of its own. If the Observer had been active, I might have observed that I was rubbing my foot, but there would have been no structure immediately activated that passed judgment on this action. Judgment, after all, means relatively permanent characteristics coded in structure to make comparisons against. The Observer would simply have noted whatever was happening without judging it.
The existence of the Observer or Witness is a reality to many people, especially those who have attempted to develop such an Observer by practicing meditative disciplines, and I shall treat it as an experiential reality.
The question of its ultimate reality is difficult. If one starts from the conservative view of the mind, where awareness is no more than a product of the nervous system and brain, the degree of independence or objectivity of the Observer can only be relative. The Observer may be a semi-independent system with fewer characteristics than the overall system of consciousness as a whole, but it is dependent on the operation of neurologically based structures and so is ultimately limited and shaped by them; it is also programmed to some extent in the enculturation process. Hilgard has found the concept of such a partially dissociated Observer useful in understanding hypnotic analgesia.
In the radical view of the mind, awareness is (or can become) different from the brain and nervous system. Here partial to total independence of, and objectivity with respect to, the mind/brain can be attained by the Observer. The ultimate degree of this objectivity then depends on whether awareness per se, whatever its ultimate nature is, has properties that limit it.
It is not always easy to make this clear distinction between the observer and the Observer. Many times, for example, when I am attempting to function as a Observer, I Observe myself doing certain things, but this Observation immediately activates some aspect of the structure of my ordinary personality, which then acts as an observer connected with various value judgment that are immediately activated. I pass from the function of Observing from outside the system to observing from inside the system, from what feels like relatively objective Observation to judgmental observation by my conscience or superego.
Some meditative disciplines, as in the vipassana meditation discussed earlier, strive to enable their practitioners to maintain the Observer for long periods, possibly permanently. The matter becomes rather complex, however, because a major job for the Observer is to Observe the actions of the observer: having Observed yourself doing some action, you then Observe your conscience become activated, rather than becoming completely caught up in the conscience observation and losing the Observer function. Such self-observation provides much data for understanding the structure of one's own consciousness.
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