martedì 25 settembre 2012

silenziamento del Tao

'Silencing' è un'illusione che avviene quando un oggetto in movimento cambia anche il suo aspetto. Normalmente sappiamo dire immediatamente se un oggetto diventa più chiaro o più scuro, se cambia colore o se cambia forma. Tuttavia questo recente articolo di Jordan Suchow e George Alvarez, pubblicato nel Gennaio 2011, mostra qualcosa di piuttosto straordinario.

Gli autori hanno creato una serie di video dove una matrice di punti cambia aspetto. In un video i punti cambiano colore. All'inizio è molto facile da vedere, infatti è del tutto ovvio quello che accade. Cosa succede dopo è sorprendente. Lo schema dei punti inizia a ruotare. Osservate il video, tenendo fissi gli occhi sul piccolo punto bianco al centro. Inizialmente i punti cambiano colore. Cosa osservate del colore dei punti quando incominciano a ruotare?


Istruzioni: Osservare il video tenendo lo sguardo sul piccolo punto bianco al centro. All'inizio, l'anello di punti è fermo ed è facile dire che i punti cambiano colore. Quando l'anello incomincia a ruotare improvvisamente i punti smettono di cambiare. Ma in realtà cambiano per tutto il tempo: riosservate il video questa volta tenendo fisso lo sguardo su uno dei punti. Osserverete che i punti cambiano continuamente colore per tutto il tempo, anche durante la rotazione. Questa mancanza di rivelare che gli oggetti in moto stanno cambiando è il silencing.
Per la maggior parte delle persone, quando i punti iniziano a ruotare, si ferma completamente il cambiamento di colore. Tuttavia la realtà è che i punti continuano a cambiare di colore, esattamente come prima di iniziare la rotazione. Anche quando si sa che i punti cambiano colore questo non influisce sul modo in cui si vede questa illusione.
In un'altro video si cambia la forma:



In un'altro la dimensione:



Gli autori indagano varie ipotesi su come il nostro sistema visivo è ingannato. Sembra che più veloce è il movimento, maggiore è il grado del silencing e che il fattore chiave sia il movimento dell'immagine attraverso la retina - se invece che guardare il punto fisso al centro si guarda uno specifico punto nel suo movimento sullo schermo allora si rivela che sta cambiando colore, forma o altro.
Quindi, quando l'immagine di un oggetto si muove attraverso la retina, la nostra capacità di rilevare dei cambiamenti è sostanzialmente diminuita.

“SILENCING demonstrates the tight coupling of motion and object appearance. Simply by changing the retinotopic coordinates — moving the object or the eyes — it is possible to silence awareness of visual change, causing objects that had once been obviously dynamic to suddenly appear static.”

Silencing

prime lezioni sul Tao


Dopo l'incontro con Don Juan, Castaneda incomincia le sue prime sedute:
I miei appunti sulla prima seduta con don Juan sono datati 23 giugno 1961. Fu in quell'occasione che incominciarono gli insegnamenti anche se in precedenza lo avevo visto molte volte, ma solo in veste di osservatore. In ciascuna occasione gli avevo chiesto di insegnarmi qualcosa sul peyote. Pur ignorando la mia richiesta ogni volta, non scartò mai del tutto l'argomento, ed io interpretai la sua esitazione come una possibilità che egli avrebbe potuto essere propenso a parlare della sua conoscenza se io avessi insistito di più.
In quella particolare seduta mi fece capire che egli avrebbe potuto prendere in considerazione la mia richiesta purché io possedessi un'idea e una finalità precise rispetto a quanto gli chiedevo. Mi era impossibile soddisfare a tale condizione, perché gli avevo chiesto di erudirmi sul peyote solo in quanto mezzo per stabilire con lui un vincolo di comunicazione. Pensavo che la sua familiarità con l'argomento avrebbe potuto predisporlo a essere più aperto e pronto a parlare, permettendomi così di accedere alla sua conoscenza sulle proprietà delle piante. Egli, tuttavia, aveva interpretato la mia richiesta alla lettera, e si interessò del mio scopo nel desiderare di imparare le qualità del peyote.


Venerdì, 23 giugno, 1961
"Volete insegnarmi qualcosa sul peyote, don Juan?".
"Perché vuoi imparare questo genere di cose?".
"Davvero vorrei sapere qualcosa a proposito del peyote. Voler sapere non è già di per sé una buona ragione?".
"No! Devi cercare nel tuo cuore e scoprire perché un giovane come te vuole accingersi a questo compito di apprendimento"
"La sola ragione che ho è che voglio imparare sul peyote, semplicemente sapere. Ma vi assicuro, don Juan, le mie intenzioni non sono cattive".
"Ti credo. Ti ho fiutato".
"Come sarebbe a dire?".
"Lascia perdere. Conosco le tue intenzioni".
"Intendete dire che avete visto dentro di me?".
"Puoi metterla così".
"Mi insegnerete, allora?".
"No!".
"È perché non sono un indiano?".
"No! È perché non conosci il tuo cuore. Ciò che importa è che tu sappia esattamente perché vuoi accingerti a questo. Imparare a conoscere 'Mescalito' è una cosa molto seria. Se tu fossi un indiano il tuo desiderio da solo sarebbe sufficiente. Pochissimi indiani hanno tale desiderio".".
"E voi perché lo avete imparato, don Juan?".
"Perché lo chiedi?".
"Forse abbiamo entrambi le medesime ragioni".
"Ne dubito. Io sono un indiano. Non abbiamo seguito le stesse strade".


Domenica, 25 giugno, 1961
Rimasi con don Juan tutto il pomeriggio di venerdì. Me ne sarei andato alle sette di sera. Eravamo seduti sotto il portico davanti alla casa e io decisi di chiedergli ancora una volta di insegnarmi. Era quasi una domanda fissa e mi aspettavo che avrebbe rifiutato nuovamente. Gli chiesi se ci fosse stata una maniera in cui avrebbe accettato il mio puro e semplice desiderio di imparare, come se fossi un indiano. Impiegò molto tempo a rispondere. Fui costretto a rimanere perché sembrava che cercasse di decidere qualcosa.
Alla fine mi disse che una maniera c'era; e procede a delineare un problema. Mi fece notare che io ero molto stanco di star seduto sul pavimento, e che la cosa giusta da fare era trovare un 'posto' (sitio) sul pavimento dove potessi sedere senza fatica. Ero rimasto a sedere con le ginocchia contro il petto e le braccia strette attorno ai polpacci. Quando mi disse che ero stanco mi resi conto di avere la schiena dolorante e di essere del tutto esausto.
Aspettai che mi spiegasse che cosa intendeva dire per un 'posto', ma non fece nessun tentativo evidente per spiegare la cosa. Pensai che forse intendeva che dovessi cambiare posizione, così mi alzai e mi sedetti più vicino a lui.' Non approvò il mio spostamento e disse chiaramente che un posto significava un luogo in cui un uomo potesse sentirsi naturalmente a suo agio e forte. Batté la mano sul posto in cui sedeva e disse che quello era il suo posto, aggiungendo che mi aveva presentato un indovinello che io dovevo risolvere da solo senza altre discussioni.
Quello che aveva presentato come un problema da risolvere era un vero e proprio enigma. Non avevo nessuna idea di come cominciare e neppure di quello che aveva in mente. Diverse volte chiesi un indizio, o almeno un suggerimento, sul come procedere per individuare un punto in cui sentirmi forte e a mio agio. Insistei e insinuai che non avesse nessuna idea di ciò che intendeva veramente perché io non potevo concepire il problema. Mi suggerì di camminare intorno al portico finché non trovassi il posto.
Mi alzai e cominciai a misurare il pavimento a passi lenti. Mi sentivo stupido e mi sedetti davanti a lui.
Don Juan cominciò ad arrabbiarsi e mi accusò di non dargli retta, suggerendo che forse non volevo imparare. Dopo un poco si calmò e mi spiegò che non tutti i posti erano buoni per sedere o stare, e che nei limiti del portico c'era un solo posto che era unico, un posto in cui avrei potuto stare a mio perfetto agio. Distinguerlo da tutti gli altri posti era compito mio. Il concetto generale era che io dovevo 'sentire' tutti i possibili posti che fossero accessibili fino a che potessi determinare senza ombra di dubbio quale fosse quello giusto.
Sostenni che sebbene il portico non fosse troppo grande (tre metri e mezzo per due e mezzo) il numero di posti possibili era enorme, e mi ci sarebbe voluto un tempo lunghissimo per controllarli tutti, e dal momento che non aveva specificato le dimensioni del posto, le possibilità potevano essere infinite. I miei argomenti erano futili. Si alzò e mi ammonì molto severamente che avrei potuto impiegare dei giorni per calcolarlo, ma che se non avessi potuto risolvere il problema avrei potuto benissimo andarmente perché non avrebbe avuto nulla da dirmi. Ribadì che sapeva dove fosse il mio posto, e che quindi non avrei potuto mentirgli; disse che questa era la sola maniera in cui avrebbe accettato come ragione valida il mio desiderio di imparare a conoscere Mescalito. Aggiunse che nel suo mondo non si regalava nulla, che tutto ciò che si può imparare deve essere appreso con fatica.
Girò intorno alla casa per andare a orinare nella macchia. Ritornò direttamente nella casa passando per il retro.
Pensai che l'incarico di scoprire il preteso posto della felicità era un suo espediente per mandarmi via, ma mi alzai e cominciai a camminare lentamente avanti e indietro. Il cielo era chiaro. Potevo vedere tutto sia nel portico che intorno. Devo aver camminato a passi lenti per un'ora o più, ma non accadde nulla che rivelasse la situazione del posto. Mi stancai di passeggiare e mi sedetti; dopo qualche minuto mi sedetti da un'altra parte, e quindi in un altro posto ancora, finché non ebbi coperto l'intero pavimento in una maniera semi-sistematica. Cercai deliberatamente di 'sentire' differenze tra i posti, ma non avevo criteri di differenziazione. Sentii che stavo perdendo tempo, ma rimasi. La mia idea era che ero venuto da lontano semplicemente per vedere don Juan, e in realtà non avevo altro da fare.
Mi distesi sulla schiena mettendo le mani sotto la testa come un cuscino. Quindi mi girai e mi stesi per un poco sullo stomaco. Ripetei questo processo rotolatorio per tutto il pavimento. Per la prima volta pensai di essermi imbattuto in un vago criterio. Sentivo più caldo quando stavo disteso sulla schiena.
Mi rotolai di nuovo, questa volta nella direzione opposta, e di nuovo percorsi il pavimento in tutta la sua lunghezza, giacendo a faccia in giù nei punti dove ero stato a faccia in su durante il mio precedente rotolamento. Esperimentai le medesime sensazioni di caldo e di freddo, che dipendevano dalla mia posizione, ma non c'era differenza tra i posti.
Allora mi venne un'idea che mi sembrò brillante: il posto di don Juan! Mi ci sedetti sopra, e poi mi distesi, prima a faccia in giù, e poi sulla schiena, ma il posto era esattamente uguale a tutti gli altri. Mi alzai. Ne avevo avuto abbastanza. Volevo dire addio a don Juan ma mi imbarazzava svegliarlo. Guardai l'orologio. Erano le due di mattina! Ero stato a rotolare per sei ore.
In quel momento don Juan uscì e girò intorno alla casa nella macchia.
Ritornò e si fermò sulla porta. Mi sentivo profondamente scoraggiato e volevo dirgli qualcosa di spiacevole e andarmene. Ma mi resi conto che non era colpa sua; che avevo subito tutte quelle assurdità per mia scelta; ero stato tutta la notte a rotolarmi sul suo pavimento come un idiota e ancora non riuscivo a comprendere il suo indovinello.
Rise e disse che ciò non lo sorprendeva perché non avevo agito nella maniera giusta. Non avevo usato gli occhi. Era vero, tuttavia ero certo che egli mi aveva detto di sentire la differenza. Gli feci questa obiezione, ma mi rispose che si può sentire con gli occhi, quando gli occhi non stanno guardando direttamente nelle cose. Per quanto mi riguardava, disse, non avevo altro mezzo per risolvere questo problema se non usare tutto quello che avevo: gli occhi.
Rientrò. Ero certo che era stato a guardarmi. Pensai che solo così poteva sapere che non avevo usato gli occhi.

Cominciai di nuovo a rotolare, perché quello era il sistema più comodo. Questa volta, tuttavia, appoggiai il mento sulle mani e osservai ogni dettaglio.
Dopo un certo tempo l'oscurità intorno a me cambiò. Quando misi a fuoco gli occhi sul punto direttamente di fronte a me, tutta l'area periferica del mio campo visivo prese una colorazione giallo verdastra omogenea e brillante. L'effetto era sconvolgente. Tenni gli occhi fissi sul punto di fronte a me e cominciai a strisciare lateralmente sullo stomaco, un piede per volta.
Improvvisamente, in un punto vicino al centro del pavimento, divenni consapevole di un altro cambiamento di colore. In un punto alla mia destra, ancora nella periferia del mio campo visivo, il giallo verdastro diventava di un rosso intenso. Concentrai la mia attenzione su di esso. Il rosso svaniva in un colore pallido, ma ancora brillante, che rimase costante per tutto il tempo in cui mantenni su di esso la mia attenzione.

Segnai il punto con la giacca, e chiamai don Juan che uscì fuori sul portico. Ero veramente eccitato; avevo realmente visto il cambiamento di colori. Don Juan sembrò non essere affatto impressionato, ma mi disse di sedermi sul punto e riferirmi che tipo di sensazione provassi.
Sedetti e quindi mi distesi sulla schiena. Don Juan rimase in piedi accanto a me e mi chiese ripetutamente che cosa sentivo; ma non sentivo nulla di differente. Per circa quindici minuti cercai di sentire o vedere una differenza, mentre don Juan rimaneva pazientemente in piedi accanto a me. Mi sentivo disgustato. Avevo in bocca un sapore metallico. Improvvisamente mi era venuto mal di testa. Stavo per sentirmi male. Il pensiero dell'assurdità dei miei sforzi mi irritava fino alla collera. Mi alzai.
Don Juan doveva aver notato la mia profonda frustrazione. Non rise, ma osservò molto seriamente che dovevo essere inflessibile con me stesso se volevo imparare. Davanti a me c'erano solo due possibilità, disse: alzarmi e andarmene, nel qual caso non avrei mai imparato, oppure risolvere l'indovinello.
Rientrò: volevo partire immediatamente, ma ero troppo stanco per guidare; inoltre, la percezione di quei colori era stata così impressionante che ero certo che ci fosse un criterio di qualche tipo, e forse c'erano altri cambiamenti da scoprire. Comunque, era troppo tardi per partire. Così mi rimisi a terra allungando indietro le gambe, e ricominciai tutto da capo.
Durante questa fase mi mossi rapidamente attraverso ciascun posto, passando il posto di don Juan, fino al termine del pavimento, e poi girai intorno per arrivare all'altra estremità. Quando raggiunsi il centro mi resi conto che stava avendo luogo un altro cambiamento di colorazione, ancora ai limiti del mio campo visivo. Il verde pallido uniforme che vedevo in tutta l'area si trasformava, in un punto alla mia destra, in un netto color verderame. Rimase così per un momento e quindi bruscamente si trasformò in un'altra tinta costante, differente dall'altra che avevo scoperto prima. Presi una scarpa e segnai il punto, e continuai a rotolare fino a che non ebbi misurato il pavimento in tutte le direzioni possibili. Non avvenne nessun altro cambiamento di colorazione.
Ritornai al punto segnato con la scarpa, e lo esaminai. Era situato a uno o due metri di distanza dal punto segnato con la giacca, in direzione sud-est. C'era vicino un grosso sasso. Mi sedetti lì per qualche tempo cercando di trovare indizi, guardando ogni dettaglio, ma non sentii nulla di differente.
Decisi di provare l'altro punto. Ruotai rapidamente sulle ginocchia ed ero sul punto di stendermi sulla giacca quando provai un timore insolito. Era più come una sensazione fisica di qualcosa che spingesse effettivamente sul mio stomaco. Balzai in piedi e mi ritrassi in un solo movimento. I capelli mi si rizzarono sulla nuca. Le gambe mi si erano leggermente inarcate, il busto era piegato in avanti, e le braccia sporgevano davanti a me con le dita contratte come artigli. Mi resi conto della mia strana posizione e la mia paura aumentò.
Camminai all'indietro involontariamente e sedetti sul sasso vicino alla mia scarpa. Dal sasso caddi sul pavimento. Cercai di immaginare che cosa fosse successo per causarmi una tale paura. Pensai che dovesse essere stata la stanchezza che provavo. Era quasi giorno. Mi sentivo stupido e imbarazzato. Tuttavia non avevo modo di spiegare quello che mi aveva spaventato, né avevo immaginato quello che voleva don Juan.
Decisi di fare un ultimo tentativo. Mi alzai e mi accostai lentamente al punto segnato con la giacca, e di nuovo provai lo stesso timore. Questa volta feci un grande sforzo per controllarmi. Sedetti, e quindi mi inginocchiai per potermi stendere a faccia in giù, ma non potei stendermi a dispetto della mia volontà. Misi le mani sul pavimento davanti a me. Il mio respiro era accelerato; il mio stomaco era sottosopra. Avevo una netta sensazione di panico, e lottai per non fuggire. Pensai che forse don Juan mi stava osservando. Lentamente strisciai indietro fino all'altro punto e appoggiai la schiena contro il sasso. Volevo riposarmi per un poco per organizzare i miei pensieri, ma caddi addormentato.
Sentii don Juan parlare e ridere sopra il mio capo. Mi svegliai.
"Hai trovato il posto", disse.
Da principio non lo compresi, ma mi assicurò nuovamente che il posto in cui ero caduto addormentato era il posto in questione. Mi chiese di nuovo come mi sentissi lì disteso. Gli dissi che in realtà non notavo nessuna differenza.
Mi chiese di confrontare le mi sensazioni di quel momento con quello che avevo provato stando disteso sull'altro punto. Per la prima volta mi venne in mente che probabilmente non potevo spiegare il mio timore della notte precedente. Quasi con un atteggiamento di sfida mi esortò a sedere sull'altro posto. Per una qualche ragione inesplicabile avevo effettivamente paura dell'altro posto, e non mi ci sedetti sopra. Affermò che solo uno stupido poteva non vedere la differenza.
Gli chiesi se ciascuno dei due posti avesse un nome speciale. Disse che quello buono era detto il sitio e quello cattivo il nemico; disse che questi due posti erano la chiave del benessere di un uomo, specialmente per un uomo che ricercava la conoscenza. Il puro e semplice atto del sedersi sul proprio posto creava una forza superiore. D'altra parte, il posto nemico indeboliva un uomo e avrebbe potuto anche causarne la morte. Disse che avrei ricuperato le mie energie, che avevo speso a profusione la notte precedente, schiacciando un pisolino sul mio posto.
Disse anche che i colori che avevo visto in associazione con ciascun posto specifico avevano lo stesso effetto globale di dare forza o di toglierla.
Gli chiesi se per me esistevano altri posti come i due che avevo scoperto, e come avrei potuto fare per trovarli. Rispose che molti posti nel mondo erano paragonabili a questi due, e che la maniera migliore per scoprirli era distinguere i rispettivi colori.
Non mi era chiaro se avessi risolto o no il problema, e in effetti non ero neppure convinto che ci fosse stato un problema. Non potei evitare di pensare che tutta l'esperienza era imposta e arbitraria. Ero certo che don Juan mi aveva osservato per tutta la notte e poi aveva continuato ad assecondarmi dicendo, dovunque fossi caduto addormentato, che quello era il posto che stavo cercando. Tuttavia non riuscii a vedere una ragione logica per tale atto, e quando mi sfidò a sedermi sull'altro posto non potei farlo. C'era uno strano contrasto tra la mia spiacevole esperienza del timore dell' 'altro posto' e le mie riflessioni razionali in merito a tutta la faccenda.
Don Juan, d'altra parte, era sicurissimo che io fossi riuscito, e, agendo in conformità al mio successo, mi comunicò che intendeva insegnarmi a conoscere il peyote.
"Mi hai chiesto di insegnarti di Mescalito", disse. "Ho voluto scoprire se avevi abbastanza spina dorsale per incontrarlo a faccia a faccia. Mescalito non è qualcosa da prendere per divertimento. Devi avere la padronanza di tutte le tue risorse. Adesso posso prendere il tuo desiderio come di per sé una buona ragione per imparare".
"Davvero intendete istruirmi sul peyote?".
"Preferisco chiamarlo Mescalito. È la stessa cosa".
"Quando intendete incominciare?".
"Non è così semplice. Prima devi essere pronto".
"Credo di essere pronto".
"Questo non è un gioco. Devi aspettare fino a che non ci sia ombra di dubbio, e allora lo incontrerai".
"Devo prepararmi?".
"No. Devi semplicemente aspettare. Potresti abbandonare del tutto l'idea dopo un certo tempo. Ti stanchi facilmente. Ieri sera eri pronto ad andartene non appena le cose diventavano difficili. Mescalito richiede un intento molto serio".

l'ultimo uomo nel Tao


Che cosa siamo disposti a fare per denaro quando l'offerta è così alta da cambiare radicalmente la nostra vita? Tutto, rispondono i condòmini del Vishram di fronte all'offerta del costruttore Dharmen Shah, che al posto del vecchio stabile di Mumbai vuole erigere un grattacielo di appartamenti di lusso. Tutti i condòmini? Tutti tranne uno. È l'ultimo uomo nella torre, l'integerrimo, l'inamovibile, che per i rispettabili occupanti del Vishram diventa l'ostacolo che si frappone alle loro speranze di felicità.

lunedì 24 settembre 2012

componenti del Tao

Nell'approccio sistemico allo studio della coscienza e dei suoi stati Charles T. Tart delinea le componenti del sistema:

The Components of Consciousness: Awareness, Energy, Structures

People use the phrase states of consciousness to describe unusual alterations in the way consciousness functions. In this chapter we consider some of the experiences people use to judge what states they are in, in order to illustrate the complexity of experience. We then consider what basic concepts or components we need to make sense out of this variety of experiences. I have often begun a lecture on states of consciousness by asking the audience the following question: "Is there anyone here right now who seriously believes that what you are experiencing, in this room, at this moment, may be something you are just dreaming? I don't mean picky, philosophical doubts about the ultimate nature of experience or anything like that. I'm asking whether anyone in any seriously practical way thinks this might be a dream you're experiencing now, rather than you ordinary state of consciousness?" How do you, dear reader, know that you are actually reading this book now, rather than just dreaming about it? Think about it before going on. I have asked this question of many audiences, and I have only occasionally seen a hand go up. No one has stuck to defending this position. If you take this question to mean, "How do you know you're not dreaming now?" you probably take a quick internal scan of the content and quality of your experience and find that some specific elements of it, as well as the overall pattern of your experience, match those qualities you have come to associate with your ordinary waking consciousness, but do not match the qualities you have come to associate with being in a dreaming state of consciousness. I ask this question in order to remind the reader of a basic datum underlying my approach to consciousness—that a person sometimes scans the pattern of his ongoing experience and classifies it as being one or another state of consciousness. Many people make distinctions among only a few states of consciousness, since they experience only a few. Everyone, for example, probably distinguishes between his ordinary waking state, dreaming, and dreamless sleep. Some others may distinguish drunkenness as a fourth state of consciousness. Still others who have personally experimented with altered states may want to distinguish among drug-induced, meditative, and emotion-induced states. Without yet attempting to define consciousness or states of consciousness more precisely, suppose we ask people who have personally experienced many states of consciousness how they make these distinctions. What do they look for in their experience that alerts them to the fact that they are in a different state of consciousness from their ordinary one? A few years ago I asked a group of graduate students who had had fairly wide experience with altered states, "What sorts of things in yourself do you check on if you want to decide what state of consciousness you're in at a given moment?" Table presents a categorization of the kinds of answers they gave, a categorization in terms of the systems approach I am explaining as we go along.

EXPERIENTIAL CRITERIA FOR DETECTING ANALTERED STATE OF CONSCIOUSNESS

EXTEROCEPTION (sensing the external world)
Alteration in various sensory characteristics of the perceived world—glowing lights at the edges of things, attenuation or accentuation of visual depth
INTEROCEPTION (sensing the body)
Alteration in perceived body image---shape or size changes
Alteration in detectable physiological parameters---accelerated or retarded heart rate, respiration rate, muscle tonus, tremor
Perception of special bodily feelings not normally present---feelings of energy in the body, generally or specially localized, as in the spine; change in quality of energy flow in the body, such as intensity, focus vs. diffuseness
INPUT-PROCESSING (seeing meaningful stimuli)
Sensory excitement, involvement, sensuality
Enhanced or decreased sensory intensity
Alterations of dominance-interaction hierarchies of various sensory modalities
Illusion, hallucination, perception of patterns and things otherwise known to be unlikely to actually exist in the environment
EMOTIONS
Alteration in emotional response to stimuli---overreacting, underreacting, not reacting, reacting in an entirely different way
Extreme intensity of emotions
MEMORY
Changes in continuity of memory over time---either an implicit feeling that continuity is present or an explicit checking of memory that shows current experience to be consistent with continuous memories leading up to the present, with gaps suggesting an altered state
Details. Checking fine details of perceived environment (external or internal) against memories of how they should be to detect incongruities
TIME SENSE
Unusual feeling of here-and-nowness
Feeling of great slowing or speeding of time
Feeling of orientation to past and/or future, regardless of relation to present
Feeling of archetypal quality to time; atemporal experience
SENSE OF IDENTITY
Sense of unusual identity, role
Alienation, detachment, perspective on usual identity or identities
EVALUATION AND COGNITIVE PROCESSING
Alteration in rate of thought
Alteration in quality of thought---sharpness, clarity
Alteration of rules of logic (compared with memory of usual rules)
MOTOR OUTPUT
Alteration in amount or quality of self-control
Change in the active body image, the way the body feels when in motion, the proprioceptive feedback signals that guide actions
Restlessness, tremor, partial paralysis
INTERACTION WITH THE ENVIRONMENT*
Performance of unusual or impossible behaviors---incongruity of consequences resulting from behavioral outputs, either immediate or longer term
Change in anticipation of consequences of specific behaviors---either prebehavioral or learned from observation of consequences
Change in voice quality
Change in feeling of degree of orientation to or contact with immediate environment
Change in involvement with vs. detachment from environment
Change in communications with others---incongruities or altered patterns, consensual validation or lack of it

*This category represents the combined functioning of several subsystems.

A wide variety of unusual experiences in perceptions of the world or of oneself, of changes in time, emotion, memory, sense of identity, cognitive processes, perception of the world, use of the body (motor output), and interaction with the world were mentioned. If we ignore the categorization of the experiences listed in Table, we have an illustration of the current state of knowledge about states of consciousness—that people experience a wide variety of unusual things. While the experiencers imply that there are meaningful patterns in their experiences that they cluster together as "states," our current scientific knowledge about how his wide variety of things goes together is poor. to understand people's experiences in this area more adequately we must develop conceptual frameworks, theoretical tools, that make sense out of the experiences in some more basic way and that still remain reasonably true to the experiences as reported. We can now begin to look at a conceptual framework that I have been developing for several years about the nature of consciousness, and particularly about the nature of states of consciousness. Although what we loosely call altered states of consciousness are often vitally important in determining human values and behavior, and although we are in the midst of a cultural evolution (or decay, depending on your values) in which experiences from altered states of consciousness play an important part, our scientific knowledge of this area is still sparse. We have a few relationships, a small-scale theory here and there, but mainly assorted and unrelated observations and ideas. My systems approach attempts to give an overall picture of this area to guide future research in a useful fashion. I call this framework for studying consciousness a systems approach because I take the position that consciousness, as we know it, is not a group of isolated psychological functions but a system—an interacting, dynamic configuration of psychological components that performs various functions in greatly changing environments. While knowledge of the nature of the components is useful, to understand fully any system we must also consider the environments with which it deals and the goals of its functioning. So in trying to understand human consciousness, we must get the feel of the whole system as it operates in its world, not just study isolated parts of it. I emphasize a psychological approach to states of consciousness because that is the approach I know best, and I believe it is adequate for building a comprehensive science of consciousness. but because the approach deals with systems, it can be easily translated into behavioral or neurophysiological terms. Let us now look at the basic elements of this systems approach, the basic postulates about what lies behind the phenomenal manifestations of experience. In the following chapters we will put these basic elements of awareness, energy, and structure together into the systems we call states of consciousness.

Tao che dorme



venerdì 21 settembre 2012

Tao né soprannaturale né meccanico - I


Neither Supernatural nor Mechanical

Before we can attempt to discover what it is to hold something sacred, certain barriers must at least be mapped. Every speaker in such a discussion must make clear where he or she stands on a number of topics related to basic premises of this civilization as well as to religion and the sacred. It seems that the particular focus of the epistemological perplexity in which we all live today is the beginning of a new solution for the body-mind problem. A first step towards a solution is contained in the discussion of Jung‘s distinction between Pleroma and Creatura, such that mind is an organizational characteristic, not a separate substance. The material objects involved in the residential heating system – including the resident – are so arranged as to sustain certain mental processes, such as responding to differences in temperature, and self-correction.
This way of looking, which sees the mental as organizational and as accessible to study, but does not reduce it to the material, allows for the development of a monistic and unified way of looking at the world. One of the key ideas developed at the conference on Conscious Purpose and Human Adaptation, some fifteen years ago, was that every religion and many other kinds of systems of thought can be seen as proposing a solution or partial solution to the body-mind problem, the recurrent difficulty of seeing how material objects can display or respond to such qualities as beauty or value or purpose. Of the several ways of thinking about body-mind, many are what I would regard as unacceptable solutions to the problem and these of necessity give rise to a whole variety of superstitions, which seem to fall into two classes. There are those forms of superstition that place explanations of the phenomena of life and experience outside the body. Some sort of separate supernatural agency – a mind or spirit – is supposed to affect and partly control the body and its actions. In these belief systems it is unclear how the mind or spirit, itself immaterial, can affect gross matter. People speak of the power of mind over matter, but surely this relationship between mind and matter: can obtain only if either mind has material characteristics or matter is endowed with mental characteristics such as obedience. In either case the superstition has explained nothing. The difference between mind and matter is reduced to zero. There are in contrast those superstitions that totally deny mind. As mechanists or materialists try to see it, there is nothing to explain that cannot be covered by lineal sequences of cause and effect.
There shall be no information, no humor, no logical types, no abstractions, no beauty or ugliness, no grief or joy. And so on. This is the superstition that man is a machine of some kind. Even placebos would not work on such a creature! But the life of a machine, even of the most elaborate computers we have so far been able to make, is cramping – to narrow for human beings – and so our materialists are always looking for a way out. They want miracles, and my definition of such imagined or contrived phenomena is simple: Miracles are dreams and imaginings whereby materialists hope to escape from their materialism. They are narratives that precisely – too precisely – confront the premise of lineal causality. These two species of superstition, these rival epistemologies, the supernatural and the mechanical, feed each other. In our day, the premise of external mind seems to invite charlatanism, promoting in turn a retreat back into a materialism which then becomes intolerably narrow. We tell ourselves that we are choosing our philosophy by scientific and logical criteria, but in truth our preferences are determined by a need to change from one posture of discomfort to another. Each theoretical system is a cop-out, tempting us to escape from the opposite fallacy. The problem is not, however, entirely symmetrical. I have, after all, chosen to live at Esalen, in the midst of the counterculture, with its astrological searching for truth, its divination by yarrow root, its herbal medicines, its diets, its yoga, and all the rest. My friends here love me and I love them, and I discover more and more that I cannot live anywhere else. I am appalled by my scientific colleagues, and while I disbelieve almost everything that is believed by the counterculture, I find it more comfortable to live with that disbelief than with the dehumanizing disgust and horror that conventional occidental themes and ways of life inspire in me. They are so successful and their beliefs are so heartless.

mela Tao a farfalla

Vladimir Kush, Butterfly Apple, 1978