lunedì 28 aprile 2014

mercoledì 23 aprile 2014

versioni molteplici del Tao

Divers Preparing for Work, Front cover illustration of the February 6, 1873. The Illustrated London News.
VERSIONI MOLTEPLICI DEL MONDO.

"What I tell you three times is true".
[Ciò che vi dico tre volte è vero.]


















Nel capitolo 2, “Ogni scolaretto sa che...”, sono state presentate al lettore un certo numero di idee fondamentali sul mondo, di proposizioni o verità elementari con cui deve venire a patti qualunque epistemologia o epistemologo serio.
In questo capitolo passo a generalizzazioni alquanto più complesse, poichè‚ la domanda che pongo prende la seguente forma immediata ed essoterica: “Che sovrappiù o incremento di conoscenza ne viene dal "combinare" informazioni derivanti da due o più sorgenti?”.
Il lettore può considerare questo capitolo e il capitolo 5, “Versioni molteplici della relazione”, come altre due nozioni che lo scolaretto dovrebbe sapere. E in effetti, nella prima stesura del manoscritto tutto questo materiale aveva un solo titolo: “Due descrizioni sono meglio di una”. Tuttavia, prolungandosi la stesura più o meno sperimentale di questo libro per un periodo di circa tre anni, il titolo venne a ricoprire una gamma notevolissima di paragrafi, e risultò evidente che la combinazione di informazioni diverse definiva un approccio assai possente a ciò che io chiamo “la struttura che connette”. Aspetti particolari di questa grande struttura attrassero la mia attenzione a causa del modo particolare in cui si potevano combinare due o più informazioni.
In questo capitolo, prenderò in considerazione quelle varietà di combinazioni che sembrerebbero fornire all'organismo percipiente informazioni sul mondo che lo circonda o su se stesso in quanto parte di tale mondo esterno (come quando la creatura vede il proprio dito del piede). Riserverò al capitolo 5 le combinazioni più sottili e anzi più biologiche o creaturali che fornirebbero al percipiente una maggior conoscenza delle relazioni e dei processi interni chiamati il "sè".
In ciascun esempio la domanda fondamentale da me posta riguarderà l'incremento di comprensione fornito dalla combinazione di informazioni. Tuttavia, il lettore tenga presente che dietro questa domanda semplice e superficiale si cela in parte la domanda più profonda e forse mistica: “Lo studio di questo caso particolare, in cui dalla comparazione delle fonti scaturisce comprensione, fornisce qualche lume su come è integrato l'universo?”. Il mio modo di procedere sarà quello di domandare quale sia l'incremento immediato in ciascun caso, ma il mio scopo ultimo è un'indagine sulla più ampia struttura che connette.

1. IL CASO DELLA DIFFERENZA.

Di tutti questi esempi, il più semplice, ma anche il più profondo, è il fatto che per creare una differenza occorrono almeno due cose. Per produrre notizia di una differenza, cioè "informazione", occorrono due entità (reali o immaginarie) tali che la differenza tra di esse possa essere immanente alla loro relazione reciproca; e il tutto deve essere tale che la notizia della loro differenza sia rappresentabile come differenza all'interno di una qualche entità elaboratrice di informazioni, ad esempio un cervello, o forse un calcolatore.
Vi è un problema profondo e insolubile a proposito della natura di quelle “almeno due” cose che tra loro generano la differenza che diventa informazione creando una differenza. E' chiaro che ciascuna di esse, da sola, è - per la mente e la percezione - una non-entità, un non-essere. Non è diversa dall'essere e non è diversa dal non-essere: è un inconoscibile, una "Ding an sich", il suono dell'applauso di una mano sola.
La materia prima della sensazione, dunque, è una coppia di valori di una qualche variabile, presentati in un certo arco di tempo a un organo di senso la cui risposta dipende dal rapporto tra i due elementi della coppia. (La natura della differenza sarà discussa nei particolari nel capitolo 4, secondo criterio).

2. IL CASO DELLA VISIONE BINOCULARE.

Consideriamo un altro caso semplice e assai noto di descrizione doppia. Che cosa si guadagna confrontando i dati raccolti da un occhio con quelli raccolti dall'altro? Generalmente, entrambi gli occhi sono rivolti verso la stessa area dell'universo circostante, il che potrebbe apparire come uno spreco di organi di senso. Ma l'anatomia mostra come da quest'uso debba derivare un vantaggio notevole. L'innervazione delle due retine e la creazione, nel chiasma ottico, di percorsi per la ridistribuzione delle informazioni è una operazione morfogenetica così straordinaria che deve certo denotare un grande vantaggio evolutivo.
In breve: la superficie di ciascuna retina è una coppa approssimativamente semisferica su cui una lente proietta un'immagine rovesciata di ciò che si vede. Pertanto, l'immagine di ciò che si trova davanti a sinistra verrà proiettata sulla parte esterna della retina destra e sulla parte interna della retina sinistra. Ciò che è sorprendente è che l'innervazione di ciascuna retina è divisa in due sistemi da una netta demarcazione verticale; quindi le informazioni portate dalle fibre ottiche della parte esterna dell'occhio destro s'incontrano, nell'emisfero cerebrale destro, con le informazioni portate dalle fibre provenienti dalla parte interna dell'occhio sinistro. Analogamente le informazioni della parte esterna della retina sinistra e della parte interna di quella destra si raccolgono nell'emisfero sinistro. L'immagine binoculare, che appare indivisa, è in realtà, una complessa sintesi, compiuta nell'emisfero destro, di informazioni provenienti dal lato sinistro e una corrispondente sintesi, compiuta nell'emisfero sinistro, di materiale proveniente dal lato destro. Successivamente questi due aggregati di informazioni sintetizzate vengono a loro volta sintetizzati in una singola immagine soggettiva dalla quale è scomparsa ogni traccia della demarcazione verticale.
Da questa elaborata disposizione derivano due generi di vantaggi: l'osservatore è in grado di migliorare la risoluzione ai bordi e i contrasti, ed è meglio in grado di leggere quando i caratteri sono piccoli o l'illuminazione fioca. E, ciò che più importa, viene prodotta informazione sulla profondità. In termini più formali, la "differenza" tra l'informazione fornita da una retina e quella fornita dall'altra è a sua volta informazione di "tipo logico diverso". Con questo nuovo genere di informazione l'osservatore aggiunge alla visione un'ulteriore "dimensione".

In figura sia A la classe o insieme delle componenti dell'aggregato di informazioni ottenute da una prima sorgente (per esempio l'occhio destro) e B la classe delle componenti delle informazioni ottenute da una seconda sorgente (per esempio l'occhio sinistro). AB rappresenterà allora la classe delle componenti cui si riferiscono le informazioni provenienti da entrambi gli occhi. AB deve o contenere elementi o essere vuota.
Se esistono effettivamente elementi di AB, le informazioni della seconda sorgente hanno imposto ad A una sottoclassificazione che prima era impossibile (cioè, combinandosi con A hanno fornito informazioni di un tipo logico di cui la prima sorgente da sola era incapace).
Procederemo ora nella ricerca di altri casi che rientrano nella stessa categoria, e in particolare in ciascun caso cercheremo di determinare come dalla giustapposizione di descrizioni multiple si generi informazione di tipo logico nuovo. In linea di principio, ogni volta che l'informazione relativa alle due descrizioni viene raccolta oppure codificata in modo diverso, ci si deve aspettare quella che metaforicamente potremmo definire una maggior 'profondità'.

3. IL CASO DEL PIANETA PLUTONE.

Gli organi di senso umani possono ricevere "soltanto" notizie di differenze, e per essere percettibili le differenze devono essere codificate in eventi "temporali" (cioè in "cambiamenti"). Le comuni differenze statiche, che rimangono costanti per più di pochi secondi, diventano percettibili solo mediante scansione ["scanning"]. Analogamente, variazioni molto lente diventano percettibili solo mediante una combinazione di scansione e accostamento di osservazioni compiute in momenti separati del continuo temporale.
Un esempio elegante (cioè economico) di questi princìpi è fornito dall'espediente usato da Clyde William Tombaugh, il quale nel 1930, giovane ricercatore fresco di laurea, scoprì il pianeta Plutone.
Dai calcoli basati sulle perturbazioni dell'orbita di Nettuno, pareva che queste irregolarità si potessero spiegare mediante l'attrazione gravitazionale di qualche pianeta su un'orbita esterna a quella di Nettuno. I calcoli permettevano di stabilire le zone del cielo nelle quali, con ogni probabilità, si sarebbe via via trovato il nuovo pianeta.
L'oggetto da cercare doveva certo essere molto piccolo e fioco (di magnitudine 15 circa), e distinguibile nell'aspetto dagli altri oggetti celesti solo per il suo moto lentissimo, tanto lento da essere affatto impercettibile all'occhio umano.
Questo problema fu risolto con l'impiego di uno strumento che gli astronomi chiamano "lampeggiatore". Si fotografò a intervalli piuttosto lunghi la zona prescelta del cielo, si studiarono poi le fotografie a coppie nel lampeggiatore. Questo strumento è l'inverso di un microscopio binoculare: invece di due oculari e un portaoggetti, ha un oculare e due portaoggetti, ed è costruito in modo che spostando una leva ciò che si vede in un dato istante su un portaoggetti può essere sostituito da ciò che sta sull'altro. Sui portaoggetti si collocano due fotografie in perfetta collimazione, in modo che tutte le stelle fisse ordinarie coincidano esattamente. Quando si sposta la leva, mentre per le stelle fisse non si osserva alcun movimento, un pianeta salta da una posizione a un'altra. Tuttavia, nel campo fotografico erano presenti molti altri oggetti che saltavano (asteroidi), e Tombaugh doveva trovarne uno che saltasse "meno" degli altri.
Dopo centinaia di confronti simili, Tombaugh vide saltare Plutone.

4. IL CASO DELLA SOMMAZIONE SINAPTICA.

"Sommazione sinaptica" è il termine tecnico usato in neurofisiologia per indicare quei casi in cui un neurone C è attivato solo dalla combinazione dei neuroni A e B.

A da solo e B da solo sono insufficienti per attivare C; ma se i neuroni A e B si attivano insieme entro un intervallo di pochi microsecondi, allora C viene eccitato. Si noti che il termine tradizionale per questo fenomeno, "sommazione", farebbe pensare a un'assommarsi dell'informazione proveniente da una sorgente all'informazione proveniente da un'altra. In realtà, non si tratta di una somma, ma della formazione di un prodotto logico, processo più affine alla moltiplicazione.
L'effetto di tale meccanismo sulle informazioni che il neurone A potrebbe fornire da solo è una segmentazione o ripartizione delle attivazioni di A in due classi, cioè le attivazioni di A accompagnate da B e le attivazioni di A non accompagnate da B. Analogamente le attivazioni del neurone B sono suddivise in due classi: quelle accompagnate da A e quelle non accompagnate da A.

5. IL CASO DELL'ALLUCINAZIONE DEL PUGNALE.

Macbeth sta per assassinare Duncan e, pieno di orrore per il suo atto, ha l'allucinazione di un pugnale (atto 2, scena 1):

“E' un pugnale questo che mi vedo davanti, col manico verso la mia destra? Vieni, lascia ch'io ti afferri. Non ti sento in mano, eppur ti vedo ancora. Fatale visione, non sei dunque sensibile al tatto come alla vista? o sei soltanto un pugnale dell'immaginazione, un parto menzognero del cervello eccitato dalla febbre? Ti vedo ancora e in una forma palpabile, come questo che or traggo. Tu mi guidi, come un araldo, a quella via per la quale io stesso mi mettevo; e tale, qual tu sei, è lo strumento ond'io dovevo servirmi. Gli occhi miei sono ludibrio degli altri sensi, o altrimenti essi valgono più di tutti loro messi insieme: io ti vedo ancora; e sulla tua lama e sull'impugnatura vedo stille di sangue che prima non v'erano. No, non c'è nulla di simile. E' l'atto sanguinoso che sto per compiere, il quale prende corpo, così, davanti agli occhi miei”
Questo esempio letterario servirà per tutti quei casi di descrizione doppia in cui vengono combinati i dati provenienti da due o più sensi diversi. Macbeth 'prova' che il pugnale è solo un'allucinazione verificando col senso del tatto, ma neppure questo basta. Forse i suoi occhi valgono più di tutti gli altri sensi messi insieme. E' solo quando “stille di sangue” compaiono sul pugnale immaginario che egli può respingere tutta la faccenda: “Non c'è nulla di simile”.
Il confronto tra l'informazione proveniente da un senso e quella proveniente da un altro, combinato con il cambiamento avvenuto nell'allucinazione, ha fornito a Macbeth la metainformazione che la sua esperienza era immaginaria.

6. IL CASO DEI LINGUAGGI SINONIMI.

In molti casi la perspicuità è accresciuta da un secondo linguaggio descrittivo senza che venga aggiunta alcuna ulteriore informazione cosiddetta oggettiva. Due dimostrazioni di un dato teorema di matematica possono in combinazione fornire allo studente una miglior comprensione della relazione dimostrata.
Ogni scolaretto sa che (a+b) al quadrato = a al quadrato+2ab+b al quadrato e forse non ignora che questa identità è il primo passo verso un imponente settore della matematica, detto "teoria binomiale". Per dimostrarla è sufficiente l'algoritmo della moltiplicazione algebrica, ove ciascun passo è in accordo con le definizioni e i postulati della tautologia detta "algebra", tautologia il cui oggetto è lo sviluppo e l'analisi della nozione di “qualunque”.

Ma molti scolaretti non sanno che esiste una dimostrazione geometrica dello stesso sviluppo binomiale. Si consideri il segmento XY e lo si supponga composto di due segmenti, a e b. Il segmento XY costituisce ora una rappresentazione geometrica di (a+b) e il quadrato costruito su di esso sarà (a+b) al quadrato; cioè avrà un'"area chiamata “(a+b) al quadrato”.
Si può ora ripartire questo quadrato segnando lungo la linea XY e lungo uno dei lati adiacenti del quadrato la lunghezza "a" e completando la figura mediante le opportune parallele ai lati del quadrato. Ora lo scolaretto può pensare di vedere il quadrato suddiviso in quattro pezzi: vi sono due quadrati, uno dei quali è a al quadrato e l'altro è b al quadrato, e due rettangoli, ciascuno dei quali ha area (a per b) (cioè 2 ab).
Così la nostra identità algebrica (a+b) al quadrato = a al quadrato+2ab+b al quadrato sembra essere vera anche nella geometria euclidea. Ma forse non si sperava che le componenti separate della grandezza a al quadrato+2ab+b al quadrato sarebbero rimaste nettamente separate nella traduzione geometrica. Ma che cosa si è detto? Con quale diritto abbiamo sostituito ad a una cosiddetta 'lunghezza' e a b un'altra, e abbiamo supposto che, messe una accanto all'altra, esse avrebbero formato un segmento (a+b) e così via? Siamo "sicuri" che le lunghezze dei segmenti obbediscano alle regole dell'aritmetica? Che cos'ha appreso lo scolaretto dalla nostra enunciazione della ben nota identità in un nuovo linguaggio?
In un certo senso, "nulla" è stato aggiunto. Nessuna nuova informazione è stata generata o colta dalla mia asserzione che anche in geometria come in algebra (a+b) al quadrato = a al quadrato+2ab+b al quadrato.
Un "linguaggio", come tale, non contiene dunque "nessuna" informazione?
Ma anche se, dal punto di vista della matematica, questo trucchetto matematico non ha aggiunto nulla, credo ugualmente che lo scolaretto che non sapeva di questo trucco avrà la possibilità di apprendere qualcosa quando glielo si mostrerà. E' un contributo al metodo didattico. La scoperta (se di scoperta si tratta) che i due linguaggi (dell'algebra e della geometria) si possono tradurre l'uno nell'altro è già di per sé un'illuminazione.
Un altro esempio matematico può aiutare il lettore a comprendere l'effetto dell'uso di due linguaggi.
Chiedete ai vostri amici: “Qual è la somma dei primi dieci numeri dispari?”. Probabilmente confesseranno di non saperlo, oppure cercheranno di sommare la serie:
1 + 3 + 5 + 7 + 9 + 11 + 13 + 15 + 17 + 19. Fate loro vedere che:
La somma del primo numero dispari è 1.
La somma dei primi due numeri dispari è 4. La somma dei primi tre numeri dispari è 9.
La somma dei primi quattro numeri dispari è 16.
La somma dei primi cinque numeri dispari è 25. E così via.
Ben presto i vostri amici diranno qualcosa come: “Ma allora la somma dei primi dieci numeri dispari dev'essere 100”. Hanno imparato il "trucco" per sommare la serie dei numeri dispari.
Ma chiedete loro di spiegarvi perchè‚ questo trucco "deve" funzionare, e il non matematico medio non saprà rispondere. (E lo stato dell'istruzione elementare è tale che molti non sapranno da che parte cominciare per creare una risposta). Ciò che si deve scoprire è la differenza tra il "nome ordinale" del numero dispari dato e il suo "valore cardinale" - una differenza di tipo logico! Noi siamo abituati ad aspettarci che il nome ordinale di un numero coincida col suo valore numerico. Ma in realtà, qui il nome non coincide con la cosa che esso designa.
La somma dei primi tre numeri dispari è 9: cioè la somma è il "quadrato del nome ordinale" (e in questo caso l'ordinale di 5 è '3') del numero più grande che compare nella serie da sommare. Oppure, se preferite è il quadrato del "numero dei numeri" nella serie da sommare. Questa è l'enunciazione verbale del trucco. Per dimostrare che il trucco funziona, dobbiamo far vedere che la differenza tra due somme consecutive di numeri dispari è uguale e "sempre" uguale alla differenza tra i quadrati dei loro nomi ordinali.
Ad esempio, la somma dei primi cinque numeri dispari meno la somma dei primi quattro numeri dispari dev'essere uguale a 5 al quadrato 4 al quadrato. Allo stesso tempo si deve notare che, ovviamente, la differenza tra le due somme è appunto il numero dispari aggiunto per ultimo alla fila. Ossia: il numero aggiunto per ultimo dev'essere uguale alla differenza tra i quadrati.
...
La presentazione visiva rende piuttosto facile combinare insieme gli ordinali, i cardinali e le regolarità della somma della serie.
E' avvenuto che l'uso di un sistema che si serve di una metafora geometrica ha facilitato enormemente la comprensione di "come" il trucco meccanico sia in effetti una regola o regolarità. E, ciò che più importa, lo studente è così giunto a rendersi conto della differenza che c'è tra applicare un trucco e comprendere che dietro il trucco vi è una verità necessaria. E, cosa più importante, ha sperimentato, forse inconsapevolmente, il salto tra il discorso aritmetico e il discorso sull'aritmetica. Non "numeri" ma "numeri di numeri".
Fu "allora", per dirla con Wallace Stevens,


"That the grapes seemed fatter. The fox ran out of his hole".
[Che i grappoli parvero più succosi. / La volpe corse fuori dalla tana.]

7. IL CASO DEI DUE SESSI.

Perchè‚ le macchine possano autoriprodursi, osservò una volta un po' scherzosamente von Neumann, sarebbe condizione necessaria che due macchine agissero in collaborazione.
La fissione con riproduzione è certo un requisito fondamentale della vita, vuoi per la moltiplicazione vuoi per la crescita, e ora i biochimici conoscono nelle loro linee generali i meccanismi della riproduzione del D.N.A. Subito dopo però viene la differenziazione, si tratti della generazione (sicuramente) casuale della varietà nell'evoluzione oppure della differenziazione ordinata dell'embriologia. La fissione, a quanto pare, "deve" essere frammezzata dalla fusione, una verità generale che esemplifica il principio di elaborazione dell'informazione che stiamo qui considerando, cioè che due sorgenti di informazione (spesso dotate di modi o linguaggi contrastanti) sono assai meglio di una.
A livello dei batteri e anche tra i protozoi e alcuni funghi e alghe, i gameti restano superficialmente identici; ma in tutti i metazoi e nelle piante di livello superiore ai funghi, il "sesso" dei gameti è distinguibile.
Per prima avviene la differenziazione binaria dei gameti, uno dei quali di solito è sessile e l'altro è mobile. Segue poi la differenziazione in due generi degli individui multicellulari produttori dei due generi di gameti.
Infine, in molti parassiti vegetali e animali, vi sono quei cicli più complessi chiamati "alternanza delle generazioni".
Tutti questi ordini di differenziazione sono certamente collegati all'economia informazionale della fissione, della fusione e del dimorfismo sessuale.
Così, tornando alla fissione e alla fusione più primitive, notiamo che il primo effetto o contributo della fusione all'economia dell'informazione genetica è presumibilmente una qualche sorta di "controllo".
Il processo di fusione dei cromosomi è essenzialmente lo stesso in tutte le piante e gli animali, e dovunque si presenti le corrispondenti catene di D.N.A. vengono poste l'una accanto all'altra e, in senso funzionale, vengono "confrontate". Se le differenze tra le catene di materiale proveniente dai rispettivi gameti sono troppo grandi, la (cosiddetta) fecondazione non può avvenire.
Nel processo complessivo dell'evoluzione, la fusione, che è il fenomeno fondamentale del sesso, ha la funzione di limitare la variabilità genetica. I gameti che per qualche motivo, una mutazione o altro, sono troppo diversi dalla norma statistica, s'incontreranno probabilmente, nella fusione sessuale, con gameti di sesso opposto più normali e in quest'incontro le deviazioni eccessive verranno eliminate. (Si noti, per inciso, che questa necessità di eliminare la deviazione sarà probabilmente soddisfatta in modo imperfetto nell'accoppiamento 'incestuoso' tra gameti provenienti da fonti strettamente affini).
Tuttavia, benché una funzione importante della fusione dei gameti nella riproduzione sessuale sembri essere la limitazione della devianza, è anche necessario sottolineare la funzione contraria: l'accrescimento della varietà fenotipica. La fusione di coppie casuali di gameti assicura l'omogeneità, nel senso di ben diffusa commistione, del "pool" genico della popolazione interessata. Nello stesso tempo, essa assicura la creazione di ogni combinazione vitale di geni possibile entro quel "pool". Ogni gene vitale, cioè, viene sottoposto a controllo in congiunzione con quante più costellazioni di altri geni è possibile entro i limiti della popolazione interessata.
Come accade di solito nel panorama dell'evoluzione, scopriamo che il singolo processo è, al pari di Giano, bifronte. In questo caso la fusione dei gameti pone una limitazione alla devianza individuale "e insieme" assicura la ricombinazione multipla del materiale genetico.

Moiré patterns appear when two or more periodic grids are overlaid slightly askew, which creates a new larger periodic pattern. Researchers from NIST and Georgia Tech imaged and interpreted the moiré patterns created by overlaid sheets of graphene to determine how the lattices of the individual sheets were stacked in relation to one another and to find subtle strains in the regions of bulges or wrinkles in the sheets. Credit: NIST.
Ref.: D. Miller, K. Kubista, G. Rutter, M. Ruan, W. de Heer, P. First and J. Stroscio, Structural analysis of multilayer graphene via atomic moiré interferometry, Physical Review B. 81. 125427. Published March 24, 2010.
8. IL CASO DEI BATTIMENTI E DEI FENOMENI DI MOIRE'.

Quando due o più strutture ritmiche si combinano, avvengono interessanti fenomeni che illustrano molto bene l'arricchimento di informazione che si ha quando una descrizione si combina con un'altra. Nel caso di strutture ritmiche, la combinazione di due di esse ne genera una terza. Diventa quindi possibile studiare una struttura sconosciuta combinandola con una seconda conosciuta e osservando la terza struttura che esse generano congiuntamente.
L'esempio più semplice di quelli che chiamo "fenomeni di moiré" è la ben nota produzione di battimenti quando vengono combinati due suoni di frequenza diversa.




Questo fenomeno è spiegabile con una trasposizione in semplici termini aritmetici, secondo la regola che se una nota presenta un massimo ogni "n" unità di tempo e l'altra ne presenta uno ogni "m" unità di tempo, allora la loro combinazione produrrà un "battimento" ogni "m-n" unità, quando i massimi coincidono. La combinazione è di utilità evidente nell'accordatura dei pianoforti. Analogamente è possibile combinare due suoni di frequenza elevatissima per produrre battimenti di frequenza sufficientemente bassa da essere uditi dall'orecchio umano. Oggi esistono apparecchi sonar per i ciechi che funzionano sulla base di questo principio: viene emesso un fascio sonoro ad alta frequenza e gli echi prodotti da questo fascio vengono rinviati a un 'orecchio' il quale emette nel contempo una frequenza più bassa ma ugualmente non udibile. I battimenti che ne risultano vengono inviati all'orecchio umano.
La faccenda diventa più complessa quando le strutture ritmiche, invece di essere limitate, come nel caso della frequenza, unicamente alla dimensione temporale, si sviluppano in due o più dimensioni. In questi casi, i risultati ottenuti combinando le due strutture possono essere sorprendenti.
Questi fenomeni di "moiré‚" illustrano tre princìpi. Primo, due strutture qualsiasi, se combinate opportunamente, possono generarne una terza. Secondo, di queste tre strutture, due a caso potrebbero servire da base per descrivere la rimanente. Terzo, attraverso questi fenomeni è possibile accostarsi a tutto il problema della definizione di ciò che si intende col termine "struttura". Forse in realtà ci portiamo dietro anche noi (come il cieco il suo sonar) campioni di tipi diversi di regolarità con cui confrontare le informazioni (notizie di differenze regolari) che arrivano dall'esterno? Usiamo, per esempio, le nostre abitudini di quella che si chiama “dipendenza” per saggiare le caratteristiche di altre persone?
Gli animali (e addirittura le piante) posseggono forse caratteristiche tali che entro una data nicchia qualcosa di simile al fenomeno di "moire‚" saggia la nicchia stessa? Altri problemi sorgono a proposito della natura dell'esperienza "estetica". La poesia, la danza, la musica e altri fenomeni ritmici sono certo molto arcaici e probabilmente più antichi della prosa. Inoltre è caratteristico delle percezioni e dei comportamenti arcaici che il ritmo venga continuamente modulato; cioè, la poesia o la musica contengono materiali che potrebbero essere elaborati da qualunque organismo ricevente con pochi secondi di memoria mediante "confronto per sovrapposizione".
E' possibile che questo universale fenomeno artistico, poetico e musicale sia in qualche modo connesso al "moiré"? Se così è, la mente individuale è certo organizzata in profondità in modi che un'analisi dei fenomeni di "moiré" potrebbe aiutarci a capire. Nei termini della definizione di “spiegazione” proposta nel paragrafo 9, diremo che la matematica o 'logica' formale del "moiré" può fornire una tautologia adeguata sulla quale proiettare questi fenomeni estetici.

9. IL CASO DELLA 'DESCRIZIONE', DELLA 'TAUTOLOGIA' E DELLA 'SPIEGAZIONE'

martedì 22 aprile 2014

se fossi ricco penserei al Tao

Capitolo III

Io non credo all'infinito. Si fa presto a dire: Non finisce più. Possibile? A camminare in linea retta un milione di secoli, se le pare un miliardo di secoli, non si arriverà al termine dei termini? Capisca, ho detto un miliardo di secoli. E facciamo due miliardi, anzi.... Secondo me, si arriverebbe, in tanto tempo, anche più in là. Ma il problema mi pare un altro: da che parte dovremmo avviarci, a destra o a sinistra?

"Non saprei...." rispose la guida. Tacque alcuni minuti, poi riprese.

L'infinito, la morte.... Due cose, una cosa. Gli uomini non pensano all'infinito, non pensano alla morte. Creda, ognuno è convinto di non morire. "Oh, uno, uno solamente può cavarsela - pensano - se sa fare!" Non lo dicono a nessuno, neanche ai figli, perché se il numero ingrossa, la cosa diventa difficile. Vivono con questa segreta speranza; se no, andrebbero ai funerali con tanta disinvoltura?

Un'estate, a Saint-Moritz, ero seduto con il banchiere Schappen sull'orlo di un precipizio. Diceva Schappen: "Questa sera mangerò pernici con tartufi". Sarebbe bastata una spinta, una piccola spinta.

L'incoscienza di alcuni giunge a fissare appuntamenti per l'anno dopo: "Arrivederci a Biarritz...." Le mamme poi....; dicono ai figlioli: "Tesoro, quando sarai grande...." Matte!

Io non ignoro la mia sorte. Vivrò dieci anni ancora, cento? Ma gli anni, a saperli gustare, non sono pochi. Basta non essere come coloro che toccano i trenta, dicono, senza accorgersene, o in treno o in ufficio smaniano perché il tempo passi presto.

Così si capisce che i giorni se ne vanno come la sabbia fra le dita, e il vivere diventa una faccenda sbrigativa. Io, invece, considero la giornata, la divido in ventiquattro ore e bado al quarto. Sa quante cose si fanno in un'ora? Una cenetta, una fumata, due passi; guardiamo le vetrine, il passeggio, ci nascono talune riflessioni che a metterle in carta darebbero la fama. Quando mi pare che il tempo scorra troppo veloce, divido l'ora in minuti primi e, talvolta, in minuti secondi; tremilaseicento minuti secondi....

E immagina come passo i momenti più belli della mia giornata?

Davanti allo specchio. Prima mi guardo vestito di tutto punto, poi in mutande, poi senza. Il mio profilo è più delicato visto dalla destra; la maschera del dolore mi imbruttisce.

Mi alzo sulla punta dei piedi: perfetto: sarei perfetto, due dita più alto. Poi danzo, faccio inchini, saluti.... In complesso sono soddisfatto.

Poi dico: come sarei se fossi matto? Sbarro gli occhi, spalanco la bocca, mi arruffo i capelli, rido. È triste, ciò che io credevo possibile solo per gli altri, è possibile anche per me.

In fine faccio il morto: metto il letto davanti allo specchio, mi inciprio la faccia; mi distendo sul letto, sto lì a guardarmi con gli occhi socchiusi. Penso: "anch'io, dunque, fra vent'anni, fra cento, sarò tale e quale, con un altro vestito, forse con i baffi e la barba, ma così in sostanza". Seguito a riflettere e di solito mi addormento. In tal modo, un pochino alla volta mi abituo a morire.

La morte! È un mistero anche per me, per noi larve. Ci sembra di essere ancora lungo il viaggio perché siamo troppo simili a prima. La morte sarà una cosa ben più terribile. Udrete infatti nell'oltretomba parole come fossero dei vivi : ciascuno dietro ai propri sogni o dolori, che sono sogni o dolori nati nei pochi anni di vita terrena e che ci trascineremo dietro per miliardi di secoli, sin che a Dio piacerà.

Se fossi ricco passerei buona parte della giornata sdraiato in una soffice poltrona a pensare alla morte. Sono povero, invece, e posso pensarci solo nei ritagli di tempo, o di nascosto. Alcuni giorni fa il signor Better mi sorprese che guardavo incantato il soffitto e gridò: "Sia l'ultima volta che la trovo a pensare alla morte in ufficio".

Se fossi re obbligherei anche i bambini a pensarci almeno un'ora al giorno. Eccoli ancora accaldati per i recenti giuochi, con le braccia conserte sul banco, che pensano che pensano....

Presto andrò in pensione e sarò libero. Quando incontrerò il signor Better, per fargli dispetto, mi metterò a pensare alla morte con tutte le mie forze.

A me, da vivo, anche il destino si presentava come una forza più di ogni altra inesplicabile e meritevole di meditazione. Fu un fatto insignificante a scuotere la tranquillità del mio spirito. Ascoltate: "Un giorno passeggio per il mio giardino, vedo una mosca prigioniera in una tela di ragno tesa fra due rami. "Destino", penso. Sto per allontanarmi, mi viene un'idea: tolgo la mosca dalla rete. "Destino", penso. Ma un minuto dopo torno a mettere la mosca in prigionia. Quale sarà il destino di questa mosca? Trascorsa un'ora sono ancora lì a togliere e a mettere la mosca nella rete. Quale imbarazzo. Passa il mio vicino Smith. Lo chiamo, lo metto al corrente della cosa in due parole, gli consegno la mosca, mi allontano mentre egli se ne sta lì molto perplesso con l'insetto tra le dita".

Questo caso mi pare assai meno ossessionante di quello che mi riguarda.

Un mattino esco di casa verso il mezzodì. Ho mangiato un panino così piccolo che quasi non lo ricordo. Ero allora solo e poverissimo. Allo svolto della strada mi fermo davanti a Gypper, il pasticcere. Guardo le belle cose che sono nella vetrina. Il cagnolino di Milton mi arriva tra i piedi. Cosa fa il cagnolino di Milton? Sferro un gran calcio allo screanzato. Milton vede, mi offende, io rispondo per le rime, tanta gente sta intorno a noi. Mi allontano: ma prendo una via solitaria; l'episodio mi ha messo di un umore più tetro. Cammina cammina, nel primo vicolo che imbocco vedo un pacchetto per terra. Facciamola breve, mi metto in tasca le banconote e mi sento felice, così felice che mi vengono le lacrime agli occhi. Mi avvio a casa, voglio contare in pace il danaro. Davanti a Gypper c'è ancora un capannello di gente con Milton in mezzo che parla e parla. Passo, saluto Milton, saluto tutti. Sì, un po' di sterline sono la vita. Ma, ahimè, da quel giorno non ebbi quiete. Pensavo al caso, alla potenza del caso. Mentre ero in letto mi tormentavo: "E se giù nella strada c'è un pacchetto, un pacchettino di banconote? O ci sarà tra cinque minuti, o tra cinque secondi? Basta un secondo a decidere il bene e il male. Insomma non riuscivo a stare fermo, dovevo scendere subito, subito".

Tao Paradoxico-Philosophicus 17-19



    Un dieu donne le feu     
     Pour faire l'enfer;      
      Un diable, le miel     
       Pour faire le ciel.  
   



TRACTATUS PARADOXICO-PHILOSOPHICUS

17 Hierarchies: consider open organizations with two or more levels made of one or more observers.
17.1 For rule-following observers, the hierarchy follows a simple logic, a consequence of logical reasoning: a member who follows the rules expects promotion and praise; a member who does not, expects demotion or expulsion.
17.11 This simple logic, swiftly assimilated by rule-following members, implies for them that rules only flow (apply) from high to low so that self-reference (and paradoxes) cannot happen.
17.12 However, hierarchies must intersect with closed organizations to maintain their activity; for example, without the following loop hierarchies disintegrate:
17.2 “Rewards” (wealth, power, praise etc.), bestowed on those towards the top; “punishments” (enslavement, demotion or expulsion, etc.), bestowed on those towards the bottom; these latter, forced to close the loop that chains them, supply with their labor the “rewards” for those towards the top.
17.21 Other recurrent loops give hierarchies flexibility, but also remain unconceivable to rule-following members.
17.22 As hierarchies grow, these loops weaken and break; rigidity or disintegration result together with the silence of rule-pondering members.
17.3 Narrow goals, promotions decided from above and blind loyalties from below inevitably promote the most narrow-minded members towards the top.



18 Hierarchies in society: societies organize within a mixture of closed (non-hierarchical) and open (hierarchical) organizations.
18.1 Within hierarchies only few enjoy the product of the labor of the majority, who toils for survival and relentlessly loses hope of breaking the chains.
18.11 This and the breeding of rule-following observers within this majority ensure the survival, growth and propagation of hierarchies, an unhealthy recurrence that leads to a static stability difficult to disrupt.
18.12 Hierarchical societies replace their long-term goals with narrow short-term goals, similar to the “profits at all costs” of corporations, thus stimulating all their members to abandon their most cherished interests and place business above all.
18.13 In this context, human diversity of interests, curiosity, inventiveness, creativity, ingenuity, emotions, feelings, etc., decline to the point of extinction, so that something called “human” replaces human, with considerable loss.
18.2 Meanwhile, hierarchies take over one or more governments, dictate their own laws and logic, and make their actions (deemed always positive by propaganda and deception) accountable to none.
15.21 These observers develop a need to protect themselves from thinking, conversation, self-reference, paradoxes, uncertainty and unpredictability.
18.3 Without eliminating the hierarchies, every attempt at improving the life of humans has ended and will end in a failure.



19 Instruction: consider the members of a hierarchy “learning” to follow passively its rules.
19.1 Social relationships among rule-following observers need the predictability of observers with respect to each other.
19.11 Instruction makes observers predictable
19.2 Instruction reduces the number of possibilities (choices) available to observers, fostering the loss of meaning among observers and their environments.
19.21 For example, rule-following observers call “democratic” and “free” a nation ruled by corporations; “university” and “hospital” institutions run as corporations; “professors” and “physicians” those who neglect their declared vocation to participate as rule-following observers in corporate activities inside and outside their institutions; etc.
19.22 Meanwhile democracy, liberty, university, professors, physicians, etc., and their meanings, cease to exist for these observers and for those who follow them.
19.3 Instruction stimulates social knowledge, explanation, communication, logic, predictability, folly and illegitimate questions, questions to which the questioner already knows the answers.

Tractatus Paradoxico-Philosophicus

A Philosophical Approach to Education
Un Acercamiento Filosófico a la Educación
Une Approche Philosophique à l'Education
Eine Philosophische Annäherung an Bildung

Ricardo B. Uribe

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Tao Paradoxico-Philosophicus 14-16

Zobi, la mouche Taò

martedì 15 aprile 2014

Tao senza fondamento orientale e occidentale

Jacek Yerka
La ricerca del Sé e della Coscienza nella prospettiva enazionista, considerando mondi di coscienza ed esperienza senza fondamento analizzato secondo la tradizione del Buddhismo Abhidharma, trova in Nishitani Keiji e la Scuola di Kyôto un esempio rilevante di integrazione tra le prospettive orientali e occidentali:

WORLDS WITHOUT GROUND

Laying Down a Path in Walking

Nishitani Keiji

In our discussion of the Cartesian anxiety, we saw that there is an oscillation between objectivism and subjectivism that is linked to the concept of representation. Thus representation can be construed either as the "projection" (subjectivism) or "recovery" (objectivism) of the world. (Usually, of course, both aspects of representation are incorporated in accounts of perception and cognition.)
For Nishitani, this oscillation between subjectivism and objectivism arises for any philosophical stance that is based on what he calls "the field of consciousness". With this phrase Nishitani refers to the philosophical construal of the world as an objective or pregiven realm and of the self as a pregiven knowing subject that somehow achieves contact with this pregiven world. Since consciousness is here understood as subjectivity, the problem arises of how to link consciousness with the supposedly objective realm in which it is situated. As we have already discussed, however, the subject cannot step outside of its representations to behold the pregiven world as it really is in itself. Therefore given this basically Cartesian stance, the objective becomes what is represented as such by the subject. In Nishitani's words, "The mode of being which is said to have rid itself of its relationship to the subjective has simply been constituted through a covert inclusion of a relationship to the subjective, and so cannot, after all, escape the charge of constituting a mode of being defined through its appearance to us."
When the notion of objectivity becomes problematic in this way, so too does the notion of subjectivity. If everything is ultimately specified through its appearance to us, then so is the knowing subject. Since the subject can represent itself to itself, it becomes an object for representation but is different from all other objects. Thus in the end the self becomes both an objectified subject and a subjectified object. This predicament discloses the shiftiness, the instability of the entire subjective/objective polarity.
Nishitani's next move, however, displays the deep influence of the Buddhist philosophical tradition and mindfulness/awareness practice on his thinking. He argues that to realize the fundamental instability or groundlessness of the subjective/objective dualism is in a sense to slip out of the "field of consciousness". We do not "overcome" or step out" of this dualism as if we knew in advance where we are going, but we do see the arbitrariness and futility of going back and forth between the poles of a fundamentally groundless opposition. Instead our concern shifts to the very disclosure of this groundlessness. Nishitani then follows the pragmatic intention of mindfulness/awareness by emphasizing the existential role that this disclosure plays. The realization that we do not stand on solid ground, that things incessantly arise and pass away without our being able to pin them down to a stable objective or subjective ground, affects our very life and being. Within this existential context, we can be said to realize groundlessness not only in the sense of understanding but also in the sense of actualization: human life or existence turns into a question, doubt, or uncertainty.
In Zen Buddhism, the Japanese adaptation of mindfulness/awarenessin which Nishitani was raised, this uncertainty is called the "Great Doubt." This doubt is not about any particular matter but is rather the basic uncertainty that arises from the disclosure of groundlessness. Unlike the hyperbolic and hypothetical doubt of Descartes, which is merely entertained by the subject on the field of consciousness, the Great Doubt points to the impermanence of existence itself and so marks an existential transformation within human experience. This transformation consists of a conversion away from the subjective/objective standpoint to what is called in the English translation of Nishitani's work the "field of nihility." Nihility is a term used to refer to groundlessness in relation to the subjective/objective polarity; it is a relative, negative notion of groundlessness that Nishitani wishes to distinguish from the groundlessness of the middle way.
Nishitani distinguishes between these two kinds of groundlessness because his fundamental point is that European thought in its largely successful critique of objectivism has become trapped in nihilism. Here Nishitani's assessment of our situation actually follows Nietzsche's. As we mentioned, nihilism arises for Nietzsche when we realize that our most cherished beliefs are untenable and yet we are incapable of living without them. Nietzsche devoted considerable attention to the manifestation of nihilism in our discovery that we do not stand on solid ground, that what we take to be an absolute reference point is really an interpretation foisted on an ever-shifting impersonal process. His famous aphorism announcing "the death of God" is a dramatic statement of this collapse of fixed reference points. Nietzsche also understood nihilism to be rooted in our craving for a ground, in our continual search for some ultimate reference point, even when we realize that none can be found: "What does nihilism mean? That the highest values devaluate themselves. The aim is lacking; 'why' finds no answer." The philosophical challenge that Nietzsche faced, which has come to characterize the task of postmodern thought, is to lay down a path of thinking and practice that gives up foundations without transforming itself into a search for new foundations. Nietzsche's attempt is well known: he tried to undercut nihilism by affirming groundlessness through his notions of eternal return and the will to power.

Friedrich Nietzsche, La volontà di potenza, Bozza autografa per il frontespizio
Nishitani deeply admires Nietzsche's attempt but claims that it actually perpetuates the nihilistic predicament by not letting go of the grasping mind that lies at the source of both objectivism and nihlism. Nishitani's argument is that nihilism cannot be overcome by assimilating groundlessness to a notion of the will - no matter how decentered and impersonal. Nishitani's diagnosis is even more radical than Nietzsche's, for he claims that the real problem with Western nihilism is that it is halfhearted: it does not consistently follow through its own inner logic and motivation and so stops short of transforming its partial realization of groundlessness into the philosophical and experiential possiblities of sunyata. The reason why Western nihilism stops short is that Western thought in general has no tradition that works with cognition and lived experience in a direct and pragmatic way. (The one possible exception is psychoanalysis, but in most of its current manifestations it has been unable to confront the basic contradictions in our experience of the self or to offer a transformative reembodiment.) Indeed, our scientific culture has only just begun to consider the possibility of pragmatic and progressive approaches to experience that would enable us to learn to transform our deep-seated and emotional grasping after a ground. Without such a pragmatic approach to the transformation of experience in everyday life - especially within our developing scientific culture - human existence will remain confined to the undecidable choice between objectivism and nihilism.
We should note that Nishitani's point when he claims that Western nihilism stops short of the groundlessness of the middle way is not that we should adopt Buddhism in the sense of a particular tradition with various cultural trappings. It is, rather, that we must achieve an understanding of groundlessness as a middle way by working from our own cultural premises. These premises are largely determined by science, for we live in a scientific culture. We have therefore chosen to follow Nishitani's lead by building a bridge between cognitive science and mindfulness/awareness as a specific practice that embodies an open-ended approach to experience. Furthermore, since we cannot embody groundlessness in a scientific culture without reconceptualizing science itself as beyond the need of foundations, we have followed through the inner logic of research in cognitive science to develop the enactive approach. This approach should serve to demonstrate that a commitment to science need not include as a premise a commitment to objectivism or to subjectivism.
Objectivist science, by its very ideals as well as its historical context in our society, has maintained a role of ethical neutrality. This neutrality has been increasingly challenged in the social discourse of our time. The need for planetary thinking behooves us to consider groundlessness, whether evoked by cognitive science or experience, in its full light in the total human context. Is it not the self that has been considered the bearer of moral and ethical potency? If we challenge the idea of such a self, what have we loosed on the world? Such a concern, we feel, is the result of the failure in Western discourse to analyze the self and its product, self-interest, with experiential acumen. In contrast, the ethical dimension of ego and egolessness are at the very heart of the Buddhist tradition. We tum now to take up, as our final consideration, the issue of what the mindfulness/awareness tradition might have to offer social science for a vision of human action at its best.

lunedì 14 aprile 2014