venerdì 27 maggio 2011

com-putazione cognitiva del Tao

Due tra le tesi fondamentali introdotte da Maturana e Varela nella descrizione dei sistemi viventi e nella loro Teoria di Santiago della Cognizione, ovvero l'identificazione del processo della vita con il processo della cognizione, unito al concetto che ogni unità autopoietica con organizzazione circolare ricursiva produce-genera (to enact, enaction) "un mondo" tramite il suo accoppiamento strutturale con l'ambiente, ha evidentemente ricadute radicali sulla definizione e concezione di termini da lungo tempo dibattuti quali "mondo", "realtà", "coscienza" e sul concetto di cognizione stessa.


Heinz von Foerster, in un classico lavoro pioneristico del 1973 intitolato "Sul Costruire una Realtà", ha illustrato con la sua impareggiabile lateralità come il processo della cognizione possa essere definito come una serie infinita di processi ricorsivi di computazione (computing, tradotto come computare e non come calcolare in quanto, come spiegato nel lavoro stesso, ci si riferisce non necessariamente a soli calcoli numerici ma ad operazioni/trasformazioni del tutto generali).
Il titolo stesso esplicita la posizione epistemologica di von Foerster: il fatto che la Realtà possa essere "costruita" e che non vi è una Realtà, "la" Realtà, ma diverse Realtà, in accordo con la Teoria di Santiago:

"… Questo è il "Problema della Cognizione", la ricerca di una comprensione dei processi cognitivi.

Il modo in cui è posta una domanda determina il modo in cui una risposta può essere trovata. Quindi, dipende da me parafrasare (→) il Problema della Cognizione in modo tale che gli strumenti concettuali che sono oggi a nostra disposizione possano diventare pienamente efficaci. A tal fine, lasciatemi parafrasare "cognizione" nel modo seguente:

COGNIZIONE → computare una realtà.

Con questo prevedo una tempesta di obiezioni. In primo luogo, sembra che sostituisco un termine sconosciuto, "cognizione", con tre altri termini, due dei quali, "computare" e "realtà", sono opachi anche più del definiendum (Nota: l'oggetto del definirsi), e l'unica parola definita qui usata è l'articolo indeterminativo "una". Inoltre, l'uso dell'articolo indeterminativo implica l'idea ridicola di altre realtà oltre a "la" unica e sola realtà, il nostro caro Ambiente; e infine sembro suggerire con "computare" che tutto, dal mio orologio da polso alle galassie, è solo computato, e non è "là". Scandaloso!

Lasciatemi cogliere queste obiezioni una ad una. In primo luogo, vorrei rimuovere il pungiglione semantico che il termine "computare" può provocare in un gruppo di donne e di uomini che sono più inclini verso le discipline umanistiche che per le scienze. Abbastanza innocuamente, computare (da com-putare) significa letteralmente riflettere, contemplare (putare) le cose in concerto (com-), senza alcun riferimento esplicito alle quantità numeriche. Anzi, userò questo termine nel senso più generale per indicare qualsiasi operazione, non necessariamente numerica, che trasforma, modifica, ri-organizza, o ordini entità fisiche osservate, "oggetti", o le loro rappresentazioni, "simboli". Per esempio, la permutazione semplice delle tre lettere A, B, C, in cui l'ultima lettera diventa la prima: C, A, B, la chiamerò una computazione. Allo stesso modo, l'operazione che cancella le virgole tra le lettere: CAB, e allo stesso modo la trasformazione semantica che cambia CAB in TAXI, e così via. (Nota: cab in inglese-americano significa taxi)

Passo ora alla difesa del mio uso dell'articolo indeterminativo nella frase-sostantivo "una realtà". Potrei, naturalmente, nascondermi dietro l'argomento logico che risolvendo il caso generale, implicito nel "una", avrei risolto anche ogni caso specifico indicato con l'uso di "la". Tuttavia, la mia motivazione è molto più profonda. Infatti, vi è uno iato profondo che separa la "LA"-scuola-di-pensiero dalla "UNA"-scuola-di-pensiero in cui, rispettivamente, i concetti distinti di "conferma" e "correlazione" vengono presi come paradigmi esplicativi per le percezioni. La "La Scuola": La mia sensazione del tatto è la conferma della mia sensazione visiva che è qui c’è un tavolo. La '"UNA-Scuola": La mia sensazione del tatto in correlazione con la mia sensazione visiva genera un'esperienza che posso descrivere come "qui c’è un tavolo".

Io rigetto la posizione del “LA” su basi epistemologiche, perché in questo modo tutto il Problema della Cognizione è tranquillamente riposto nel proprio punto cieco cognitivo: anche la sua assenza non può più essere vista. (Nota: ci si riferisce come analogia al punto cieco della visione, dove il nervo ottico dell’occhio si diparte dalla retina, e che noi non vediamo in quanto “riempito” dal cervello)

Infine si potrebbe giustamente obiettare che i processi cognitivi non calcolano orologi da polso e galassie, ma calcolare al massimo descrizioni di tali entità. Così cedo a questa obiezione e sostituisco la mia ex parafrasi con:

COGNIZIONE → computare descrizioni di una realtà.

I neurofisiologi, tuttavia, ci dicono che una descrizione computata su un unico livello di attività neurale, diciamo una immagine proiettata sulla retina, sarà operata di nuovo su livelli più alti, e così via, dove alcune attività motorie possono essere prese da un osservatore come una "descrizione terminale", ad esempio l'espressione: "qui c’è un tavolo" (Nota: Maturana e Varela, Neurophysiology of Cognition, 1970 - analogo alla definizione di stati di coerenza di Varela per il meccanismo della visione). Di conseguenza, devo modificare questa parafrasi di nuovo come:

dove la freccia che torna indietro suggerisce questa ricorsione infinita di descrizioni di descrizioni. . . etc. Questa formulazione ha il vantaggio che un termine sconosciuto, e cioè la "realtà", è eliminato con successo. La Realtà appare solo implicitamente come operazione di descrizione ricorsive. Inoltre, possiamo sfruttare la nozione che computare descrizioni non è altro che computare. Quindi:

In sintesi, propongo di interpretare i processi cognitivi come una serie infinita di processi ricorsivi di computazione."



Maturana e Varela, si può interpretare quindi come limite di un processo ricursivo circolare infinito, allo stesso modo in cui l'Autopoiesi, l'organizzazione dei sistemi viventi, si può interpretare come limite ricursivo circolare infinito delle auto-operazioni del sistema in una chiusura operazionale.


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