martedì 27 settembre 2011

l'Occidente del Tao


Giorgio Gaber ed Adriano Sofri, pur seguendo l'un l'altro negli anni le reciproche vicende,  non si erano mai incontrati. Questo primo, e purtroppo unico, incontro nel carcere di Pisa nel 2000 è stato organizzato dall'amico comune Majid Andrea Valcarenghi, direttore e fondatore di Re Nudo.

"Gaber e Sofri (prima parte)"

di Antonio Priolo, da Re Nudo, marzo 2001

Il nostro Occidente

Adriano Sofri: Noi abbiamo in Occidente una popolazione vecchia, cui apparteniamo anche noi, ahimé, cioè è longeva, rincoglionita, visto il consumismo di cosi rapido riciclo, rincoglionita dal ritorno di superstizione, il più pacchiano, il più triviale e il più dilagante. Questa popolazione è spaventata dall’eventualità che tutto questo le sia minacciato, dal mondo giovane. A me sembra che la cosa sconfortante del mondo moderno sia esattamente questa specie di instupidimento di persone che la sanno molto più lunga, in teoria, per un verso, e per l’altro verso l’incattivimento preventivo, per cosi dire, di avarizia, di chiusura preventiva delle stesse persone. Dunque questo mi fa pensare che il mondo è brutto, e la discussione non so se ha senso se non a partire dal fatto che il mondo è spacciato...

Giorgio Gaber: Certo, su questo siamo d’accordo... 

Adriano: Certo, e la differenza non è tra catastrofisti ed ottimisti, secondo me, ma fra chi, pensando che il mondo sia spacciato, continua a lavarsi la faccia, a tagliarsi le unghie, come si fa con i malati terminali quando ci si prende cura di loro, e chi invece molla e diventa barbone subito, accelera l’agonia. Noi stiamo parlando tra persone che sanno che il mondo è spacciato e si tagliano ancora le unghie. A me sembra molto triste il fatto che un territorio, per me, forse, a differenza che per te [rivolgendosi a Majid, ndr], come l’Europa, assolutamente privilegiato dal punto di vista culturale, civile e morale, sia attraversato da una cattiveria e da una paura che rischiano di travolgerla: in Italia forse è ancora meno forte che in altri paesi, ma questa cosa avviene in Danimarca, visto il risultato del referendum [sull’ingresso nell’Euro, ndr], in Norvegia, che io conosco, conoscevo bene e amo molto, io ho una compagna norvegese; in Norvegia c’è l’affermazione di un partito apertamente fascista, come si può dire fascista di un paese scandinavo, il Partito Contadino, che ha preso il 30-35%. Cose di questo genere attraversano tutta l’Europa e tolgono l’unica specie di rassicurazione che fino ad oggi abbiamo avuto rispetto a questi anni lunghi d’incubazione di questo incattivimento, che era l’idea che l’unità europea, l’ingresso in Europa, avrebbero fatto argine agli estremismi e agli integralismi più fanatici. Ora il problema è che rischia di cedere, l’Europa, di fronte a tutto questo: una volta che cede la Germania, per intenderci, siamo fritti, come sempre per altro. Ma ci sono molti segni, molti scricchiolii di questo genere. L’Europa centro-orientale che adesso deve entrare nell’Unione, ad esempio: avrete visto le elezioni in Romania, che sono state poco commentate ma avrebbero meritato un’attenzione molto maggiore dal punto di vista esemplare. Nelle elezioni in Romania, che, come sapete, è un Paese dove la miseria è veramente brutale ed abbrutente per le persone – come rivela il carattere dell’immigrazione che riceviamo dalla Romania, persone anche con un livello d’istruzione alto perché li funzionava l’istruzione pubblica, – i concorrenti elettorali erano un partito apertamente nazista, che dichiarava di voler fare i ghetti chiusi con i muri per gli zingari, gli ebrei, gli ungheresi della Voivodina, di concentrarli tutti in un ghetto, ma non metaforico, che era il principale concorrente della coalizione al potere, e poi c’era un partito capeggiato da un ex alto burocrate della nomenklatura di Ceausescu. Per fortuna hanno vinto gli ex comunisti dell’apparato, capisci? L’alternativa era tra la vittoria di un raggruppamento nazista e uno di ex stalinisti. È stato visto come uno scampato pericolo, capite? Questi sono paesi che stanno giustamente per entrare nell’Unione Europea. Dunque questa cosa che abbiamo scoperto da tanto tempo, che non c’è progresso, che ci sono continui andate e ritorni, a me mi viene da pensare che, forse senza accorgercene, da un po’ di anni siamo entrati in una di queste fasi di regressione che segnarono l’avvento dei fascismi, dei totalitarismi, l’altra volta. Non significa, questo, il ritorno di quei fascismi e di quei totalitarismi che non hanno nessuna possibilità.

Giorgio: Forse sono stati i periodi più alti quelli delle socialdemocrazie, da un punto di vista della qualità dei rapporti, rivisti adesso da lontano.

Adriano: Credo di si, e non soltanto gli anni della socialdemocrazia, ma anche della Democrazia Cristiana, perché in Germania e in Italia è questo.

Giorgio: Io mi riferivo alle socialdemocrazie nordiche.

Adriano: Sì, ma c’era anche una coincidenza collaterale: quel periodo dalla ricostruzione alla prima costruzione europea, che noi vedevamo come loscamente mediocre, perciò lo odiavamo tanto, perché era mediocre, quando ci sembrava che le cose mediocri fossero le peggiori, e invece ce ne sono di molto peggiori che di mediocri. Comunque succedono cose nuove e così travolgenti che uno sa di non poterle maneggiare neanche mentalmente, come tutte le questioni scientifiche, genetiche, il genoma. Cose fantastiche, e al tempo quelle vecchie e peggiori non spariscono affatto ma si ringalluzziscono.

Majid Valcarenghi: Secondo me c’è un appiattimento mortale; dicevo prima a Giorgio che come nei grandi media ci sono solo alcuni giullari, come Grillo o a “Striscia la notizia”, che attraverso la battuta riescono a dire qualcosa, sulla stampa ci sono i vecchi saggi come Montanelli, Ceronetti, Bobbio, le sole persone che dicono qualcosa rompendo gli equilibri, i patti non scritti e conformi, tu li avrai seguiti...

Adriano: Io seguo tutto perché sono in galera, ti posso dire tutto sull’ultimo fidanzato di Anna Falchi come sulla politica internazionale...

Giorgio: A proposito, Montanelli come s’è espresso sul tuo caso?

Adriano: Ciclicamente, cioè dicendo cose di volta in volta a favore o contro, impermalosendosi quando gli sembrava che io dicessi cose sgradevoli; sostanzialmente alla fine diceva che bisognava darmi la grazia, chiudere tutto questo, ma insomma con un andamento molto alterno. È molto scandalizzato dalla mia arroganza, superbia, alterigia

Giorgio: Anche io sono molto incazzato per il fatto che tu abbia accettato bene o male questa giustizia italiana di merda. Avrei fatto il tifo che tu te ne fossi andato. Umanamente questo te lo devo dire.

Adriano: Ma io non l’ho accettata questa giustizia...

Giorgio: Mi hanno detto che su queste cose non transigi.

Adriano: Ma no, transigo tra me e me ma fuori fingo di non transigere sennò non riuscirei più, avrei dei problemi all’anca insuperabili; pagherebbe il corpo.

Giorgio: Io ho sentito questo tuo discorso molto interessante, ma in questo periodo m'è venuto in mente una cosa di Pasolini che tu certamente ricorderai, quando dice che non ci può essere progresso senza sviluppo, ma che ci può essere sviluppo senza progresso. E mi pare che siamo esattamente in questa condizione, cioè tutto si sviluppa ma l'uomo peggiora: è la sensazione che io ho anche da un "Grande Fratello" europeo che non è più un fatto d'imbecillità generale, il sistema sta diventando imbecille. Questo mi porta a dire, e questa è la domanda che mi pongo anch'io per il mestiere che faccio, se c'è un abbandono totale del senso delle cose, e questo lo possiamo riferire anche a quella scienza che tu hai nominato, che va nel senso di cambiarti un braccio ma di non toglierti un raffreddore. È come se il senso volesse dire che c'è qualcosa che migliora la persona; ecco, non c'è più nulla che migliora la persona. Avrai seguito naturalmente alcuni avvenimenti, non so, due milioni e mezzo di giovani dal papa; io non sono credente, però sento che anche quel fenomeno è di consumo, non è di fede come fatto intimo o come fatto di crescita, che posso accettare, che non mi riguarda ma che posso accettare. L'ascolto di "Padre Pio", l'ascolto del "Grande Fratello", per me sono fenomeni simili, e mi fanno capire che c'è una produzione consumistica che ormai ha perso completamente di vista qualsiasi senso dell'arricchimento dell'individuo; ecco questo mi rende sgomento di fronte a tutto e mi fa paura e mi fa vivere peggio perché la gente non mi piace, proprio la gente, faccio fatica! Adesso quando sono entrato in questo carcere e questi qui alla porta sono stati gentili, mi sono sorpreso, c'è ancora qualcuno che è gentile; la qualità delle persone mi sembra che stia scadendo sempre di più, nell'ottica del discorso di Pasolini, per cui c'è uno sviluppo ormai paradossale ed un progresso totalmente nullo. Questo è un altro punto di vista che non si discosta molto da quello che dicevi tu prima, ma a me che mi occupo più delle facce della gente che della politica, perché non ne avrei la competenza, mi fa star male, mi fa sentire inutile. Mi sembra quasi che questa mancanza di senso non sia neanche colpa di questo o di quell'altro, ma mi sembra che sia proprio incapacità di affrontare un mercato che si sta sviluppando da solo ormai e che va in una direzione e nessuno sa dare risposte; neanche quelli che vorrebbero opporsi ma neanche quelli che vorrebbero aiutarlo, perché anche loro sono vittime di un meccanismo che sta andando da solo, un meccanismo invincibile. Questa è la mia sensazione. In tutte le vicende a cui assistiamo, compresa la tua, s'intravvede dietro qualcosa di sporco, di oscuro, capisci poco; alla fine magari dico "Sofri è innocente e Marino è un testa di cazzo, basta guardarlo in faccia", e mi fermo lì perché se vado avanti e mi perdo in tutte le cose faccio ancora più fatica a capire. Ti devi fermare ad una impressione iniziale. Non sono andato a vedere lo spettacolo di Fo, mi ha dato fastidio, non mi piace, cerchiamo di emozionarci diversamente, poi non so se ti abbia fatto male o ti abbia fatto bene…

Adriano: Non lo so nemmeno io però gli sono molto grato perché lui è anche una persona molto affettuosa e generosa, e questa cosa prevale in me su qualsiasi valutazione delle convenienze, criterio che ho ormai abbandonato da molto tempo in qualunque campo compresa la mia miserabile storia di cui adesso non vale la pena di parlare. Io sono sempre esitante rispetto a questi sentimenti che provo fortissimi sulla questione del progresso, che è ormai ben risolta, è chiaro che non c'è nessun progresso, è risolta da Leopardi, non c'era nemmeno bisogno di arrivare ai nostri giorni.

Giorgio: E no, perché la razza a cui io mi sono affezionato, perché sono un po' più grande di voi… mi sono affezionato che voi eravate già una generazione successiva, e io sentivo questa voglia di senso, e non stiamo parlando di secoli fa…

Adriano: Certo, è una cosa che si è consumata nel giro delle nostre vite.

Giorgio: Devo dirti che, avendo ancora i teatri tutti esauriti quando ho la gamba a posto, forse un bisogno di senso c'è.

Adriano: Sì, ma anche i due milioni di ragazzi che vanno dal papa hanno, insieme alle cose che dicevi tu, un fortissimo bisogno di senso e di trovarlo in comune, cosa che ogni generazione cerca con strumenti diversi; e anche i loro comportamenti erano contemporaneamente gregari e al tempo stesso indipendenti.

Giorgio: Ecco, è su questa autonomia che io ho delle riserve. Ricordo una frase di Canetti che diceva che il palco del teatro distrugge la massa, cioè nel teatro ognuno è seduto ed è in qualche modo individuo di fronte a quello che sta succedendo, è per questo che ho scelto il teatro. La manifestazione di piazza crea la massa e annulla gli individui. Io ho sempre avuto paura di queste cose. Tuttora quando vedo, e le vedrai anche tu in televisione, queste adunate rispetto a certi gruppi musicali, o, che so, a Pavarotti, e vengono ripresi, e ti salutano, ho un restringimento di cuore, ho la sensazione che questi non siano individui ma siano inseriti in un processo di massa. Ecco perché il processo di massa anche della fede non mi suona come una prova di senso, ma mi suona come adesione acritica. Lo so che in qualche modo le masse una volta contavano…

Adriano: In quella nostra mitizzazione delle masse, compresa la parola sulla quale ho poi recuperato una bella citazione di Leopardi che ho usato recentemente "Le masse, questa leggiadra paroletta moderna" diceva sarcasticamente Leopardi, quindi come vedi già allora, in noi (fatte salve tutte le cazzate che non vale la pena di deplorare più, anche quello è consumato) c'era una fortissima ispirazione individualista dentro quel culto della partecipazione comune, collettiva; quando noi abbiamo fatto fallimento e dichiarato fallimento, ci siamo sciolti, è perché questa specie di fusione, lungi dall'accrescere, dall'arricchire la personalità individuale e la libertà individuale, le stava alienando e impoverendo, questa è stata la vera ragione per cui siamo andati a casa, no?

Giorgio: Settantasette?

Adriano: Settantasei, ma io Lotta Continua l'avrei già voluta sciogliere nel Settantacinque.

Giorgio: Io seguivo da lontano, c'era anche la questione femminile?

Adriano: La questione femminile è stata cruciale per farci capire quelle cose lì perché le donne che si muovevano come un sol uomo con plotoni organizzati… Era però il principale modo di buttarci addosso questa specie di fallimento, questa specie di fondo toccato da una cosa che all'inizio era la più promettente e la più bella per noi giovani, compresi quelli che vanno dal papa, per questo io continuo ad avere una specie di paternalistica simpatia. Questa sorta di generosissimo mimetismo sociale che contraddistingueva la nostra militanza politica: la scelta di fare politica non aveva nulla a che fare con la professione politica, l'idea che ciascuno potesse diventare ciascun altro, confondersi con gli altri e attraverso questo diventare più ricco personalmente; questo cosiddetto Sessantotto, che è successo in tutti altri anni, aveva una cosa molto bella, nella quale io ero un vero campione, una specie di caso clinico, un po' diversamente da me ma in modo forse ancora più magistrale, nel senso del talento circense, lo era Mauro Rostagno che era un suo intimo amico [rivolgendosi a Majid, n.d.r.].

Giorgio: Anch'io lo conoscevo.

Adriano: …e cioè persone giovani, di quelle quindi che non hanno bisogno di stabilire una distanza fisica fra sé e gli altri, anzi si danno gomitate, si abbracciano, si stanno addosso perché sanno di non assomigliare agli altri, mentre noi vecchi temiamo… Io se non avessi una cella privata, ho un buggigattolo, la cella più brutta del carcere dove però sono solo, sarei un uomo finito, mi taglierei come i ragazzi arabi. Allora in quella nostra scelta questo mimetismo sociale, questo somigliare all'altro come una identificazione che ci metteva cinque minuti a compiersi, parlare con l'altro, diventare l'altro, era un'esperienza straordinaria rispetto alla rigidità dei ruoli che questa società attribuiva, non so "tu sei nato lì e farai solo questo, l'universitario, il sottotenente di marina, la sposa fedele e madre", in questo mimetismo sociale di cui Lotta Continua era veramente la più alta espressione, che insegnava anche ai suoi adepti con l'esempio, al di là della linea politica e dei contenuti, c'era una fortissima ricchezza individuale, cioè s'imparavano le lingue, s'imparavano le facce, capite? Poi questa cosa decade e si tramuta esattamente nel contrario. Cioè alla fine non sai più chi sei, somigli a tutti e quindi più a nessuno, ti comporti in modo conformista, gregario; dunque quando arrivano le donne e ti sbattono in faccia questa realtà gergale, militante, manesca, tutte cose che caratterizzavano questa degenerazione quasi fisiologica di questa parabola, e soprattutto ti dicono che tu non puoi diventare donna, puoi diventare operaio, immigrato, tedesco, sardo, ma non puoi diventare donna, anche se qualcuno ci ha provato. E dunque perché non torni a chiederti chi sei? Questa è stata la cosa molto bella del femminismo, che io considero di tutte le esperienze della mia vita la più preziosa, quella a cui devo di più, umanamente, anche teoricamente, culturalmente.

Giorgio: Io nel '76 facevo uno spettacolo che si chiamava "Libertà obbligatoria" che riecheggiava questi temi di cui stai parlando. A quel punto ebbi il coraggio, o per lo meno la spudoratezza, di usare la parola "noi", cosa che prima non ero riuscito a fare fisicamente. Ecco, nel Settantasei uso la parola "noi", nel Settantotto non ce la faccio più ad usarla, e parlo in prima persona. Quello è stato proprio un momento cruciale, io ho odiato il Settantasette…

Adriano: Anch'io, il Settantasette è uno dei miei vanti; cioè io dissi nel Settantasette, e confermo, che era una di quelle circostanze in cui mi sarebbe piaciuto poter dire ai miei nipoti "io non c'ero". Questi sabato pomeriggio di Roma su Cossiga, i ragazzini con le pistole in tasca, erano giorni molto brutti, veramente.

Giorgio: Io facevo il cantante ed ero già affermato…

Adriano: E lo so bene, io le so le tue canzoni.

Giorgio: Ombretta studiava russo e cinese alla Statale, russo e cinese guardacaso, alla Statale, ed io andavo a prenderla, però andavo a prenderla con la macchina che avevo, che era una macchina da cantante, che era una Jaguar 4200, e la sensazione che ebbi allora fu una sensazione di mio disagio; non gliene fregava niente a nessuno che io avessi la Jaguar perché ritenevano che i valori fossero degli altri, e questo mi mise un po' nella merda. Questo succedeva nel '69 all'Università. Quando poi invece ho visto scritto sui muri "liquori gratis" ho capito che volevano anche loro la fettina di merda e questo non mi è piaciuto più, perché culturalmente non erano diversi dagli altri.

Adriano: io mi ricordo il lusso, i ragazzi del Settantasette inventarono il concetto di "abbiamo diritto al lusso", che era una bella idea se a dirla era un barbone, ma che in bocca a loro diventava una scempiaggine.






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