giovedì 27 ottobre 2011

killer Tao erg



Killer lives inside me: yes, I can feel him move.
Sometimes he's lightly sleeping in the quiet of his room,
but then his eyes will rise and stare through mine;
he'll speak my words and slice my mind inside.
Yes the killer lives.

Angels live inside me: I can feel them smile...
Their presence strokes and soothes the tempest in my mind
and their love can heal the wounds that I have wrought.
They watch me as I go to fall - well, I know I shall be caught,
while the angels live.

How can I be free?
How can I get help?
Am I really me?
Am I someone else?

But stalking in my cloisters hang the acolytes of gloom
and Death's Head throws his cloak in to the corner of my room
and I am doomed...
But laughing in my courtyard play the pranksters of my youth
and solemn, waiting Old Man in the gables of the roof:
he tells me truth...

And I, too, live inside me and very often don't know who I am:
I know I'm not a hero, well, I hope that I'm not damned.
I'm just a man, and killers, angels, all are these:
Dictators, saviours, refugees in war and peace
as long as Man lives...

I'm just a man, and killers, angels, all are these:
Dictators, saviours, refugees...












martedì 25 ottobre 2011

gioco e serietà del Tao

Dei giochi e della serietà

Figlia. Papà. queste conversazioni sono serie?
Padre. Certo che lo sono.
F.       Non sono una specie di gioco che tu fai con me?
P.       Dio non voglia.., sono però una specie di gioco che noi facciamo insieme.
F.       Allora non sono serie!

P.       E se tu mi dicessi che cosa significano per te ‘serio’ e ‘gioco’?
F.       Be’... se tu... non lo so.
P.       Se io che cosa?
F.       Cioè... le conversazioni Sono serie per me, ma se tu stai solo giocando...
P.       Piano, piano. Guardiamo che cosa c’è di buono e che cosa c’è di male nel ‘giocare’ e nei ‘giochi’. In primo luogo non m’interessa - non molto - vincere o perdere. Quando le tue domande mi mettono con le spalle al muro, allora certo mi sforzo un po’ di più per pensare bene e vedere con chiarezza quello che voglio dire. Ma non baro e non ti preparo trappole; non c’è alcuna ten­tazione d’imbrogliare.
F.       Ecco, è proprio così. Per te non è una cosa seria: è un gioco. Quelli che imbrogliano, semplicemente non san­no cosa vuoi dire ‘giocare’; trattano un gioco come se fosse una cosa seria.
P.       Ma è una cosa seria.
F.       No, non lo è... per te non lo è.
P.       Perché non voglio imbrogliare?
F.       Sì... anche per quello.
P.       Ma tu vuoi imbrogliare continuamente?
F.       No, naturalmente no.
P.       Allora?
F.       Oh, papà, non capirai mai.
P.       Credo proprio di no.

P.       Guarda, ho segnato una specie di punto a mio favore proprio adesso, quando ti ho fatto ammettere che tu non vuoi imbrogliare... e poi ho concluso che dunque le conversazioni non sono ‘serie’ neppure per te. Ti sembra una specie d’imbroglio?
F.       Sì... una specie.
P.       D’accordo... lo credo anch’io. Scusami.
F.    Vedi, papà... se io imbrogliassi o volessi imbrogliare, vorrebbe dire che non prenderei sul serio le cose di cui stiamo parlando. Vorrebbe dire che io starei solo fa­cendo un gioco con te.
P.       Sì, questo è ragionevole.

F.       Ma no, non è ragionevole, papà. È un terribile pastic­cio.
P.       SI... un pasticcio... ma che funziona.
F.       Ma come, papà?
P.    Aspetta un momento. È difficile dirlo. Prima di tutto... penso che queste conversazioni ci facciano fare qualche progresso. A me piacciono molto e credo che piacciano anche a te. E poi, a parte questo, credo che si rie­sca a sistemare qualche idea e credo che i pasticci ser­vano. Cioè... se tutti e due parlassimo sempre in modo coerente, non faremmo mai alcun progresso; non fa­remmo che ripetere come pappagalli i vecchi clichés che tutti hanno ripetuto per secoli.
F.       Che cos’è un cliché, papà?
P.      Un cliché? È una parola francese, credo che in origine fosse un termine tipografico. Quando si stampa una frase, si devono prendere le lettere separatamente e metterle una per una in una specie di sbarra scanala­ta per comporre la frase. Ma per parole e frasi che la gente usa spesso, il tipografo tiene piccole sbarre di lettere già bell’e pronte. E queste frasi già fatte si chia­mano clichés.
F.       Ma adesso ho dimenticato quello che stavi dicendo dei clichés, papà.
P.       Si... parlavo dei pasticci in cui ci cacciamo durante queste conversazioni e dicevo che cacciarsi nei pasticci, in un certo modo, è una cosa sensata. Se non ci caccias­simo nei pasticci, i nostri discorsi sarebbero come gio­care a ramino senza prima mescolare le carte.
F.       Sì, papà... ma quelle cose... le sbarre di lettere già pron­te?
P.       I clichés? Sì... è la stessa cosa. Tutti noi abbiamo un bel po di frasi e di idee beli’e pronte, e il tipografo ha sbarre di lettere bell’e pronte, tutte ben sistemate in frasi. Ma se il tipografo vuole stampare qualcosa di nuovo, per esempio una cosa in una lingua straniera, dovrà disfare tutte quelle vecchie disposizioni di let­tere. Allo stesso modo, per pensare idee nuove e dire cose nuove, dobbiamo disfare tutte le idee già pronte e mescolare i pezzi.
F.       Ma, papà, il tipografo non mescolerà tutte le lettere, no? Non le mescolerà tutte in un sacco per poi scuo­terle. Le metterà una per una ai loro posti... tutte le
a in una scatola, tutte le b in un’altra, e tutte le vir­gole in un’altra, e così via.
P.       Si, è vero. Altrimenti diventerebbe matto a cercare una a quando ne ha bisogno.

P.       A che cosa stai pensando?
F.       No... è che ci sono tante di quelle domande.
P.       Per esempio?
F.       Be’, capisco che cosa vuoi dire a proposito di cacciarci nei pasticci, che questo ci fa dire cose di tipo nuovo. Ma sto pensando al tipografo. Lui deve tenere tutte le sue lettere in ordine anche se disfa tutte le frasi bell’e fatte. E poi penso ai nostri pasticci: dobbiamo tenere i pezzetti dei nostri pensieri in ordine, ma come?.., per non diventare matti?
P.       Penso di sì... sì... ma non so quale tipo di ordine. Que­sta è una domanda veramente difficile. Non credo che riusciremmo a ottenere oggi una risposta a questa do­manda.

P.       Hai detto che c’erano “tante di quelle domande”. Ne hai qualche altra?
F.       Sì... sui giochi e le cose serie. Siamo partiti da lì e poi non so come o perché questo ci ha portati a parlare dei pasticci. Tu confondi sempre ogni cosa.., è una specie d’imbroglio.
P.       Ma no, assolutamente no.

P.       Tu hai sollevato due problemi. Ma in realtà ce n’è ancora un sacco... Abbiamo cominciato da una doman­da su queste conversazioni: sono serie? Oppure sono una specie di gioco? E ti sentivi offesa dall’idea che io potessi farne un gioco, mentre tu le prendevi sul se­rio. È come se una conversazione fosse un gioco se una persona vi partecipasse con certe emozioni o idee, ma
non fosse un gioco se le sue idee o emozioni fossero diverse.
F.       SI, è che se le tue idee sulla conversazione sono diverse dalle mie...
P.       Se tutti e due avessimo l’idea di giocare, andrebbe be­ne?
F.       Sì... certo.
P.       Allora sembra che dipenda da me chiarire che cosa in­tendo con l’idea di gioco. Io so di essere serio (qualun­que ne sia il significato) nelle cose di cui parliamo. Noi parliamo di idee. E io so di giocare con le idee allo scopo di comprenderle e metterle insieme. È un ‘diver­timento’ nello stesso senso in cui un bambino si ‘di­verte’ coi cubi... E un bambino con i cubi per lo più si comporta in maniera molto seria col suo ‘diverti­mento’.
F.       Ma, papà, è un gioco nel senso che tu giochi contro di me?
P.       No. La mia idea è che tu e io stiamo giocando insieme contro i cubi - le idee. A volte siamo un tantino in competizione, ma in competizione su chi dei due rie­sce a sistemare l’idea successiva. E talvolta uno di noi aggredisce il pezzettino di costruzione dell’altro, op­pure io cerco di difendere le idee che ho costruito dalle tue critiche. Ma alla fin fine lavoriamo sempre insieme per tirar su le idee in modo che si reggano in piedi.

F.       Papà, i nostri discorsi hanno regole? La differenza tra un gioco e il divertirsi puro e semplice è che il gioco
ha delle regole.
P.       Sì. Lasciami pensare. Credo che abbiamo certe regole... e credo che un bambino che gioca coi cubi abbia anche lui le sue regole: I cubi stessi costituiscono una specie di regola. In certe posizioni stanno su e in altre posi­zioni non stanno su. E sarebbe una specie d’imbroglio se il bambino usasse la colla per far star su i cubi in certe posizioni in cui altrimenti cadrebbero.
F.       Ma che regole abbiamo noi?
P.       Re’, le idee con cui giochiamo comportano certe rego­le. Vi sono regole su come le idee si possono reggere e sostenere a vicenda. E se sono messe insieme in modo sbagliato, tutta la costruzione crollerà.
F.       Niente colla, papà?
P.       No... niente colla. Soltanto logica.

F.       Ma tu hai detto che se parlassimo sempre in modo lo­gico e non incappassimo in pasticci, non potremmo di­re mai niente di nuovo. Potremmo dir solo cose bel-l’e fatte. Come le hai chiamate quelle cose?
P.       Clichés. Si. La colla è ciò che tiene insieme i clichés.
F.       Ma tu hai detto ‘logica’, papà.
P.       Sì, lo so. Siamo di nuovo in un pasticcio. Solo che non vedo come faremo a uscire, da questo pasticcio.

F.       Come ci siamo capitati, papà?
P.       Giusto, vediamo se riusciamo a ricostruire i nostri pas­si. Stavamo parlando delle ‘regole’ di queste conversa­zioni. E io ho detto che le idee con cui giochiamo han­no regole di logica...
F.       Papà! Non sarebbe meglio avere un po’ più di regole e seguirle più attentamente? Così non potremmo fini­re in questi terribili pasticci.
P.       Sì, ma aspetta. Tu vuoi dire che io porto la conversa­zione in questi pasticci perché non rispetto certe rego­le che non abbiamo. Oppure, diciamo così: che potremmo farci delle regole che c’impedirebbero di finire nei pasticci — se noi le rispettassimo.
F.       SI, papà, le regole di un gioco servono proprio a que­sto.
P.       Sì, ma tu vuoi che queste conversazioni diventino un gioco di quel tipo? Io preferirei giocare a canasta, che è anche divertente.
F.       SI, è vero. Possiamo giocare a canasta ogni volta che ne abbiamo voglia. Ma adesso preferirei giocare a que­sto gioco. Solo che non so che tipo di gioco sia. E nep­pure che tipo di regole abbia.
P.       Eppure è già da un po’ che stiamo giocando.
F.       SI, ed è stato divertente.
P.       Vero.
P.       Torniamo alla domanda che hai fatto, e io ho detto che era troppo difficile per potervi rispondere oggi. Stavamo parlando del tipografo che disfà i suoi cli­chés, e tu hai detto che deve lo stesso mantenere qual­che ordine tra le sue lettere, per non diventare matto. E poi hai chiesto: che razza di ordine dovremmo mantenere per non diventare matti quando finiamo in un pasticcio? A me sembra che le regole del gio­co siano solo un nome diverso per quel tipo di ordine.
F.       Sì... e l’imbrogliare è ciò che ci caccia nei pasticci.
P.       In un certo senso sì. È vero. Solo che tutto il sugo del gioco è che noi finiamo nei pasticci, e poi ne veniamo fuori dall’altra parte, e se non ci fossero pasticci il no­stro ‘gioco’ sarebbe come la canasta o gli scacchi... e noi non vogliamo che sia così.
F.       Papà, ma sei tu che fai le regole?
P.       Questo, figlia mia, è un tiro mancino. E probabilmen­te anche disonesto. Ma lo accetto per quello che è. Sì, sono io che faccio le regole... dopo tutto non voglio che diventiamo matti.
F.       D’accordo. Ma, papà, tu cambi anche le regole? Qual­che volta?
P.       Uhm, un altro tiro mancino. Sì, figliola mia, le cam­bio continuamente. Ma non tutte, solo qualcuna.
F.       Mi piacerebbe che tu mi dicessi quando stai per cam­biarle!
P.       Uhm... sì... già. Vorrei poterlo fare. Ma non è così sem­plice. Se si trattasse degli scacchi o della canasta, po­trei dirti le regole, e volendo potremmo smettere di giocare e metterci a discutere le regole. E potrem­mo poi cominciare una nuova partita con le nuove regole. Ma a quali regole dovremmo obbedire tra le due partite? Proprio mentre stiamo discutendo le regole?
F.       Non capisco.
P.       Sì, il fatto è che lo scopo di queste conversazioni è quello di scoprire le ‘regole’. È come la vita: un gio­co il cui scopo è di scoprire le regole, regole che cam­biano sempre e non si possono mai scoprire.
F.       Ma quello io non lo chiamo un gioco, papà.
P.       Forse no. Io però lo chiamerei un gioco, o comunque un ‘giocare’. Ma certo non è come gli scacchi o la ca­nasta; è più simile a quello che fanno i gattini o i cuccioli. Forse. Non lo so.

F.       Papà, perché i gattini e i cuccioli giocano?
P.       Non lo so... non lo so...

l'orologio del Tao


Salvador Dalì, La persistenza della memoria, 1931
MoMA - The Museum of Modern Art, New York


come tirare scemo il Tao


La teoria di Bateson e colleghi sul doppio vincolo e successive precisazioni sono paragonabili ad una svolta paradigmatica di tipo copernicano: quello che era considerato un comportamento sintomatico di tipo patologico di difficile, se non impossibile, comprensione diventava non solo spiegabile nel contesto di vita e apprendimento dell'individuo ma anche il più appropriato in un contesto disumano caratterizzato da continue ingiunzioni paradossali.
Nel 1959 Harold Searles  pubblicò un classico articolo dal titolo "Il tentativo di rendere l’altro folle" in cui illustrava diversi tipi di comportamenti-comunicazioni efficaci nel tendere a squalificare la fiducia dell’altro nelle proprie reazioni emozionali e nella propria percezione della realtà:
  • A insiste ripetutamente su certi settori della personalità di B dei quali questi è scarsamente conscio, settori non compresi nella definizione di sé che B comunica.
  • A stimola sessualmente B in una situazione/contesto nella quale è impossibile per B una gratificazione sessuale.
  • A espone B ad esperienze contemporanee, o rapidamente alternantisi, di stimolo e frustrazione.
  • A si pone in relazione con B a livelli simultaneamente non correlati, ad esempio sessualmente e intellettualmente.
  • A tratta a livelli emozionali diversi lo stesso argomento, ad esempio prima “sul serio” e poi “scherzosamente” lo stesso soggetto.
  • A scivola da un argomento all’altro conservando sempre lo stesso livello emozionale, ad esempio una questione “di vita o di morte” viene considerata come un argomento più banale.
Harold F. Searles, "The Effort to Drive the Other Person Crazy — An Element in the Etiology and Psychotherapy of Schizophrenia." British Journal of Medical Psychology. XXXII, 1959,  pp. 1-19.

lunedì 24 ottobre 2011

libertà nel Tao


“La gente è venuta in questo Paese o per il denaro o per la libertà. Se non hai denaro, ti aggrappi ancora più furiosamente alle tue libertà. Anche se il fumo ti uccide, anche se non hai i mezzi per mantenere i tuoi figli, anche se i tuoi figli vengono ammazzati da maniaci armati di fucile. Puoi essere povero, ma l’unica cosa che nessuno ti può togliere è la libertà di rovinarti la vita nel modo che preferisci.”

mercoledì 19 ottobre 2011

Tao transcontestuale


Non ha senso dire che un uomo è stato spaventato da un leone, perché un leone non è un’idea. Di questo leone l’uomo si costruisce un’idea.
Il mondo esplicativo della sostanza non può richiamarsi né a differenze nè a idee, ma solo a forze e urti; e, viceversa, il mondo della forma e della comunicazione non si richiama a oggetti, forze o urti, ma soltanto a differenze e idee. (Una differenza che genera una differenza è un’idea; è un ‘bit’, cioè un’unità d’informazione).
Ma tutto ciò lo appresi solo in seguito, e fu la teoria del doppio vincolo che mi permise di apprenderlo. A loro volta, ovviamente, queste cose sono implicite nella teoria, la quale senza di esse avrebbe difficilmente potuto essere fondata.
Il nostro lavoro originale sul doppio vincolo contiene numerosi errori, dovuti semplicemente alla mancanza di un esame articolato del problema della reificazione. In quel lavoro un doppio vincolo viene trattato come un ‘qualcosa’, e se ne parla come se questi ‘qualcosa’ potessero essere contati.
Ciò naturalmente non ha senso: non si possono contare i pipistrelli contenuti in una macchia d’inchiostro, dal momento che non ce ne sono; eppure, se uno ha un debole per i pipistrelli, può ‘vederne’ parecchi.


Ma nella mente ci sono doppi vincoli? La domanda non è futile. Così come nella mente non ci sono noci di cocco, ma solo percezioni e trasformate di noci di cocco, allo stesso modo, quando percepisco (consciamente o inconsciamente) un doppio vincolo nel comportamento del mio principale, la mia mente non acquisisce un doppio vincolo, ma solo una percezione o trasformata di doppio vincolo. E questo non è l’oggetto della teoria.
Stiamo piuttosto parlando di certi grovigli nelle regole preposte alla costruzione delle trasformate e, insieme, dell’acquisizione o conservazione di tali grovigli. La teoria del doppio vincolo afferma che una componente dovuta all’esperienza è presente nella determinazione o eziologia dei sintomi sia della schizofrenia sia di modelli comportamentali affini, come il comico, l’artistico, il poetico, ecc.
Si osservi che la teoria non distingue tra questi sottogeneri: non viene fornito alcun criterio per decidere se un individuo diventerà un pagliaccio, un poeta, uno schizofrenico o una combinazione di tutto ciò. Non si ha a che fare con una sindrome specifica, ma con una famiglia di sindromi, di cui la maggior parte non sono, tradizionalmente, considerate patologiche.
Per qualificare in generale questa famiglia di sindromi, conierò il termine «transcontestuale».
Sembra che ci sia un tratto in comune fra coloro che sono dotati di qualità transcontestuali e coloro che sono afflitti da confusioni transcontestuali per tutti costoro, sempre o spesso, c’è una ‘sovrimpressione’ una foglia che cade, un amico che saluta, o una ‘primula sulla sponda del fiume’, non sono mai ‘questo e nulla più’. Esperienze esterne possono essere inquadrate nel contesto di un sogno, e, viceversa, pensieri interni possono essere proiettati in contesti del mondo esterno, e così via. È nell’apprendimento e nell’esperienza che cerchiamo una parziale spiegazione di tutto ciò.

Tao's ready


Lovers' Leap

Walking across the sitting-room, I turn the television off.
Sitting beside you, I look into your eyes.
As the sound of motor cars fades in the night time,
I swear I saw your face change, it didn't seem quite right.
...And it's hello babe with your guardian eyes so blue
Hey my baby don't you know our love is true.

Coming closer with our eyes, a distance falls around our bodies.
Out in the garden, the moon seems very bright,
Six saintly shrouded men move across the lawn slowly.
The seventh walks in front with a cross held high in hand.
...And it's hello babe your supper's waiting for you.
Hey my baby, don't you know our love is true.

I've been so far from here,
Far from your warm arms.
It's good to feel you again,
It's been a long long time. Hasn't it?

The Guaranteed Eternal Sanctuary Man

I know a farmer who looks after the farm.
With water clear, he cares for all his harvest.
I know a fireman who looks after the fire.

Can't you see he's fooled you all.
Yes, he's here again, can't you see he's fooled you all.
Share his peace,
Sign the lease.
He's a supersonic scientist,
He's the guaranteed eternal sanctuary man.
Look, look into my mouth he cries,
And all the children lost down many paths,
I bet my life you'll walk inside
Hand in hand,
gland in gland
With a spoonful of miracle,
He's the guaranteed eternal sanctuary.
We will rock you, rock you little snake,
We will keep you snugg and warm.

Ikhnaton And Itsacon And Their Band Of Merry Men

Wearing feelings on our faces while our faces took a rest,
We walked across the fields to see the children of the West,
But we saw a host of dark skinned warriors
standing still below the ground,
Waiting for battle.

The fight's begun, they've been released.
Killing foe for peace...bang, bang, bang. Bang, bang, bang...
And they're giving me a wonderful potion,
'Cos I cannot contain my emotion.
And even though I'm feeling good,
Something tells me I'd better activate my prayer capsule.

Today's a day to celebrate, the foe have met their fate.
The order for rejoicing and dancing has come from our warlord.

How Dare I Be So Beautiful?

Wandering in the chaos the battle has left,
We climb up the mountain of human flesh,
To a plateau of green grass, and green trees full of life.
A young figure sits still by a pool,
He's been stamped "Human Bacon" by some butchery tool.
(He is you)
Social Security took care of this lad.
We watch in reverence, as Narcissus is turned to a flower.
A flower?

Willow Farm

If you go down to Willow Farm,
to look for butterflies, flutterbyes, gutterflies
Open your eyes, it's full of surprise, everyone lies,
like the fox on the rocks,
and the musical box.
Yes, there's Mum & Dad, and good and bad,
and everyone's happy to be here.

There's Winston Churchill dressed in drag,
he used to be a British flag, plastic bag, what a drag.
The frog was a prince, the prince was a brick, the brick was an egg,
the egg was a bird.
(Fly away you sweet little thing, they're hard on your tail)
Hadn't you heard?
(They're going to change you into a human being!)
Yahoo, we're happy as fish and gorgeous as geese,
and wonderfully clean in the morning.

We've got everything, we're growing everything,
We've got some in
We've got some out
We've got some wild things floating about
Everyone, we're changing everyone,
you name them all,
We've had them here,
And the real stars are still to appear.

ALL CHANGE!

Feel your body melt;
Mum to mud to mad to dad
Dad diddley office, Dad diddley office,
You're all full of ball.

Dad to dam to dum to mum
Mum diddley washing, Mum diddley washing,
You're all full of ball.

Let me hear you lies, we're living this up to the eyes.
Ooee-ooee-ooee-oowaa
Momma I want you now.

And as you listen to my voice
To look for hidden doors, tidy floors, more applause.
You've been here all the time,
Like it or not, like what you got,
You're under the soil (the soil, the soil),
Yes, deep in the soil (the soil, the soil, the soil, the soil!).
So we'll end with a whistle and end with a bang
and all of us fit in our places.

Apocalypse In 9/8

With the guards of Magog, swarming around,
The Pied Piper takes his children underground.
Dragons coming out of the sea,
Shimmering silver head of wisdom looking at me.
He brings down the fire from the skies,
You can tell he's doing well by the look in human eyes.
Better not compromise.
It won't be easy.

666 is no longer alone,
He's getting out the marrow in your back bone,
And the seven trumpets blowing sweet rock and roll,
Gonna blow right down inside your soul.
Pythagoras with the looking glass reflects the full moon,
In blood, he's writing the lyrics of a HIP brand new tune.

And it's hey babe, with your guardian eyes so blue,
Hey my baby, don't you know our love is true,
I've been so far from here,
Far from your loving arms,
Now I'm back again, and babe it's gonna work out fine.

As Sure As Eggs Is Eggs (Aching Men's Feet)

Can't you feel our souls ignite
Shedding ever changing colours, in the darkness of the fading night,
Like the river joins the ocean, as the germ in a seed grows
We have finally been freed to get back home.

There's an angel standing in the sun, and he's crying with a loud voice,
"This is the supper of the mighty One",
The Lord of Lords,
King of Kings,
Has returned to lead His children home,
To take them to the new Jerusalem.