lunedì 11 aprile 2011

Metalogo: perchè il Tao ha contorni?


Figlia. Papà, perché le cose hanno contorni?
Padre. Davvero? Non so. Di quali cose parli?
F. Sì, quando disegno delle cose, perché hanno i contorni?
P. Be’, e le cose di altro tipo.., un gregge di pecore? O una conversazione? Queste cose hanno contorni?
F. Non dire sciocchezze. Non si può disegnare una conversazione. Dico le cose.
P. Sì... stavo solo cercando di capire che cosa volevi dire. Vuoi dire: "Perché quando disegniamo le cose diamo loro dei contorni? ", oppure vuoi dire che le cose hanno dei contorni, che noi le disegniamo oppure no?
F. Non lo so, papà, devi dirmelo tu. Che cosa voglio chiederti?
P. Non lo so, tesoro. C’era una volta un artista molto arrabbiato che scribacchiava cose di ogni genere, e dopo la sua morte guardarono nei suoi quaderni e videro che in un posto aveva scritto: "I savi vedono i contorni e perciò li disegnano", ma in un altro posto aveva scritto: "I pazzi vedono i contorni e perciò li disegnano".
F. Ma che cosa voleva dire? Non capisco.
P. Be’, William Blake - questo era il suo nome - era un grande artista e un uomo molto arrabbiato. E a volte arrotolava le sue idee, facendone palline di carta che poi gettava alla gente.
F. Ma perché era tanto arrabbiato, papà?
P. Perché era tanto arrabbiato? Be’... molta gente pensava che lui fosse matto - proprio matto - pazzo, quando era arrabbiato. E questa era una delle cose che lo facevano arrabbiare da matti. E poi si arrabbiava con certi artisti che dipingevano le figure come se le cose non avessero contorni. Li chiamava "la scuola sbavacchiante".
F. Non era molto tollerante, vero, papà?
P. Tollerante? Dio santo... Sì, lo so... questo è quello che ti ficcano in testa a scuola. No, Blake non era molto tollerante. Non pensava neppure che la tolleranza fosse una buona cosa. Pensava che confondesse tutti i contorni e impantanasse tutto.., che rendesse tutti i gatti grigi. Così che nessuno fosse più in grado di vedere nulla in modo chiaro e netto.
F. Sì, papà.
P. No, questa non è una risposta. Cioè, ’Sì, papà’ non è una risposta. Quello che mi fa capire questa risposta è solo che tu non sai qual è la tua opinione.., e quello che dico io o che dice Blake non vale un fico secco per te e che la scuola ti ha così intontito coi discorsi sulla tolleranza che non sai più vedere la differenza tra una cosa e l’altra.
F. (Piange).
P. Santo cielo, scusami, ma mi sono arrabbiato. Ma non proprio con te. Mi sono arrabbiato per l’approssimazione con cui la gente pensa e agisce... e poi predicano la confusione e la chiamano tolleranza.
F. Ma, papà...
P. Sì?
F. Non so. Mi pare di nomi essere capace di pensare molto bene. È tutto così confuso.
P. Mi spiace. Credo di essere stato io a confonderti quando ho cominciato a sfogarmi.

F. Papà?
P. Dimmi.
F. Perché è una cosa che fa arrabbiare?
P. Che cos’è che fa arrabbiare?
F. Cioè.., se le cose hanno i contorni. Hai detto che William Blake si arrabbiava per questo. E poi tu ti sei arrabbiato per questo. Perché, papà?
P. Si, credo che sia così, in un certo senso. Credo che sia importante. In un certo senso, forse è la cosa importante. E altre cose sono importanti solo perché fanno parte di questa.
F. Mi spieghi, papà?
P. Cioè, be’, parliamo della tolleranza. Quando i Gentili vogliono perseguitare gli Ebrei perché hanno ucciso Cristo, io divento intollerante. Credo che i Gentili abbiano una gran confusione in testa e confondano tutti i contorni. Perché non sono stati gli Ebrei a uccidere Cristo, sono stati gli Italiani.
F. Davvero, papà?
P. Sì, solo che ora quelli che l’uccisero vengono chiamati Romani, e per i loro discendenti usiamo una parola diversa: li chiamiamo Italiani. Vedi, ci sono due pasticci, e io ho creato il secondo apposta per poterci veder chiaro. Primo, c’è il pasticcio di cambiare la storia e dire che sono stati gli Ebrei, e poi c’è il pasticcio di affermare che i discendenti dovrebbero essere responsabili di ciò che i loro antenati non hanno fatto. È una porcheria.
F. Sì, papà.
P. D’accordo, cercherò di non arrabbiarmi di nuovo. Quello che voglio dire è che la confusione e il disordine sono cose per cui ci si deve arrabbiare.
F. Papà?
P. Sì?
F. Anche l’altro giorno parlavamo di disordine. Stiamo parlando della stessa cosa anche adesso?
P. Sì, certamente. Ecco perché è importante... quello che abbiamo detto l’altro giorno.
F. E tu hai detto che il compito della scienza è di rendere chiare le cose.
P. Sì, è ancora la stessa cosa.

F. Mi sembra di non capire troppo bene tutto questo. Oggi cosa sembra essere anche un’altra cosa, e io mi ci perdo.
P. Sì, lo so che è difficile. Il fatto è che le nostre conversazioni hanno un contorno, in un certo senso... se solo lo si potesse vedere chiaramente.

P. Tanto per cambiare, pensiamo a un vero e proprio pasticcio concreto, per vedere se serve. Ti ricordi la partita di croquet in Alice nel paese delle meraviglie?
F. Sì... coi fenicotteri?
P. Si, quella.
F. E cogli istrici al posto delle palle?
P. No, porcospini. Erano porcospini. Non ci sono istrici in Inghilterra.
F. Ah, era in Inghilterra, papà? Non lo sapevo.
P. Certo che era in Inghilterra. In America non ci sono neppure duchesse.
F. Ma c’è la duchessa di Windsor, papà.
P. Sì, ma non ha aculei, non come un vero istrice.
F. Continua con Alice, papà, e non dire sciocchezze.
P. Sì, stavamo parlando dei fenicotteri. Il fatto è che l’uomo che scrisse Alice pensava alle stesse cose cui pensiamo noi. E si divertì con la piccola Alice immaginando una partita a croquet che fosse tutto un pasticcio, un assoluto pasticcio. Così stabilì che si dovessero usare fenicotteri invece di mazze, perché i fenicotteri potevano piegare il collo e così il giocatore non avrebbe saputo se la sua mazza avrebbe colpito la palla né come.
F. D’altra parte la palla poteva andarsene per conto suo, perché era un porcospino.
P. Certo. Così ogni cosa è talmente ingarbugliata che nessuno ha la minima idea di ciò che può accadere.
F. E poi anche gli archi se ne andavano in giro, perché erano soldati.
P. Certo.., ogni cosa poteva muoversi e nessuno poteva dire come si sarebbe mossa.
F. Per far questo pasticcio assoluto era necessario che ogni cosa fosse viva?
P. No... avrebbe potuto fare un pasticcio... no, forse hai ragione. Ecco, questo è interessante. Sì, sì, doveva essere proprio così. Aspetta un momento. È curioso, ma hai ragione. Perché se avesse creato il pasticcio in un altro modo qualunque, i giocatori avrebbero potuto imparare a cavarsela. Cioè, se il campo di croquet fosse stato accidentato, o se le palle avessero avuto una forma bizzarra, o se le teste delle mazze fossero state semplicemente oscillanti, allora i giocatori avrebbero potuto lo stesso imparare e il gioco sarebbe stato solo più difficile, ma non impossibile. Ma una volta che ci si fanno entrare esseri viventi, diventa impossibile. Questo non me l’aspettavo.
F. Davvero, papà? Io si. A me sembra naturale.
P. Naturale? Certo.., abbastanza naturale. Ma non mi sarei aspettato che le cose andassero a quel modo.
F. Perché no? Invece è proprio quello che io mi sarei aspettata.
P. Sì. Ma la cosa che non mi sarei aspettato è questa. Che gli animali, che sono essi stessi in grado di prevedere un poco le cose, e di agire sulla base di ciò che pensano che stia per accadere - un gatto può acchiappare un topo saltando proprio sul punto dove il topo probabilmente sarà quando il gatto avrà completato il salto - ma è proprio il fatto che gli animali sono capaci di prevedere e imparare che li rende le uniche cose veramente imprevedibili del mondo. E pensare che noi facciamo leggi come se le persone fossero del tutto regolari e prevedibili!
F. O forse si fanno le leggi proprio perché le persone non sono prevedibili e quelli che fanno le leggi vorrebbero che gli altri fossero prevedibili?
P. Sì, forse è così.

1953



















IL CROQUET DELLA REGINA

Un gran cespuglio di rose stava presso all'ingresso del giardino. Le rose germogliate erano bianche, ma v'erano lì intorno tre giardinieri occupati a dipingerle rosse. «È strano!» pensò Alice, e s'avvicinò per osservarli, e come fu loro accanto, sentì dire da uno: - Bada, Cinque! non mi schizzare la tua tinta addosso!
- E che vuoi da me? - rispose Cinque in tono burbero. - Sette mi ha urtato il braccio.
Sette lo guardò e disse: - Ma bene! Cinque dà sempre la colpa agli altri!
- Tu faresti meglio a tacere! - disse Cinque. - Proprio ieri la Regina diceva che tu meriteresti di essere decapitato!
- Perché? - domandò il primo che aveva parlato.
- Questo non ti riguarda, Due! - rispose Sette.
Sì, che gli riguarda! - disse Cinque; - e glielo dirò io... perché hai portato al cuoco bulbi di tulipani invece di cipolle.
Sette scagliò lontano il pennello, e stava lì lì per dire: - Di tutte le cose le più ingiuste... - quando incontrò gli occhi di Alice e si mangiò il resto della frase. Gli altri similmente si misero a guardarla e le fecero tutti insieme una profonda riverenza.
Volete gentilmente dirmi, - domandò Alice, con molta timidezza, - perché state dipingendo quelle rose?
Cinque e Sette non risposero, ma diedero uno sguardo a Due. Due disse allora sottovoce: - Perché questo qui doveva essere un rosaio di rose rosse. Per isbaglio ne abbiamo piantato uno di rose bianche. Se la Regina se ne avvedesse, ci farebbe tagliare le teste a tutti. Così, signorina, facciamo il possibile per rimediare prima ch'essa venga a...
In quell'istante Cinque che guardava attorno pieno d'ansia, gridò: - La Regina! la Regina! - e i tre giardinieri si gettarono immediatamente a faccia a terra. Si sentì un gran scalpiccìo, e Alice si volse curiosa a veder la Regina.
Prima comparvero dieci soldati armati di bastoni: erano della forma dei tre giardinieri, bislunghi e piatti, le mani e i piedi agli angoli: seguivano dieci cortigiani, tutti rilucenti di diamanti; e sfilavano a due a due come i soldati. Venivano quindi i principi reali, divisi a coppie e saltellavano a due a due, tenendosi per mano: erano ornati di cuori.
Poi sfilavano gli invitati, la maggior parte re e regine, e fra loro Alice riconobbe il Coniglio Bianco che discorreva in fretta nervosamente, sorridendo di qualunque cosa gli si dicesse. Egli passò innanzi senza badare ad Alice. Seguiva il fante di cuori, portando la corona reale sopra un cuscino di velluto rosso; e in fondo a tutta questa gran processione venivano IL RE E LA REGINA DI CUORI.
Alice non sapeva se dovesse prosternarsi, come i tre giardinieri, ma non poté ricordarsi se ci fosse un costume simile nei cortei reali.
«E poi, a che servirebbero i cortei, - riflettè, - se tutti dovessero stare a faccia per terra e nessuno potesse vederli?»
Così rimase in piedi ad aspettare.
Quando il corteo arrivò di fronte ad Alice, tutti si fermarono e la guardarono; e la Regina gridò con cipiglio severo: - Chi è costei? - e si volse al fante di cuori, il quale per tutta risposta sorrise e s'inchinò.
- Imbecille! - disse la Regina, scotendo la testa impaziente; indi volgendosi ad Alice, continuò a dire: - Come ti chiami, fanciulla?
- Maestà, mi chiamo Alice, - rispose la fanciulla con molta garbatezza, ma soggiunse fra sé: «Non è che un mazzo di carte, dopo tutto? Perché avrei paura?»
- E quelli chi sono? - domandò la Regina indicando i tre giardinieri col viso a terra intorno al rosaio; perché, comprendete, stando così in quella posizione, il disegno posteriore rassomigliava a quello del resto del mazzo, e la Regina non poteva distinguere se fossero giardinieri, o soldati, o cortigiani, o tre dei suoi stessi figliuoli.
- Come volete che io lo sappia? - rispose Alice, che si meravigliava del suo coraggio. - È cosa che non mi riguarda.
La Regina diventò di porpora per la rabbia e, dopo di averla fissata selvaggiamente come una bestia feroce, gridò: - Tagliatele la testa, subito!...
- Siete matta! - rispose Alice a voce alta e con fermezza; e la Regina tacque.
Il Re mise la mano sul braccio della Regina, e disse timidamente: - Rifletti, cara mia, è una bambina!
La Regina irata gli voltò le spalle e disse al fante: - Voltateli!
Il fante obbedì, e con un piede voltò attentamente i giardinieri.
- Alzatevi! - gridò la Regina, e i tre giardinieri, si levarono immediatamente in piedi, inchinandosi innanzi al Re e alla Regina, ai principi reali, e a tutti gli altri.
- Basta! - strillò la regina. - Mi fate girare la testa. - E guardando il rosaio continuò: - Che facevate qui?
- Con buona grazia della Maestà vostra, - rispose Due umilmente, piegando il ginocchio a terra, tentavamo...
- Ho compreso! - disse la Regina, che aveva già osservato le rose, - Tagliate loro la testa! - E il corteo reale si rimise in moto, lasciando indietro tre soldati, per mozzare la testa agli sventurati giardinieri, che corsero da Alice per esserne protetti.
- Non vi decapiteranno! - disse Alice, e li mise in un grosso vaso da fiori accanto a lei. I tre soldati vagarono qua e là per qualche minuto in cerca di loro, e poi tranquillamente seguirono gli altri.
- Avete loro mozzata la testa? - gridò la Regina.
- Maestà, le loro teste se ne sono andate! - risposero i soldati.
- Bene! - gridò la Regina. - Si gioca il croquet?
I soldati tacevano e guardavano Alice, pensando che la domanda fosse rivolta a lei.
- Sì! - gridò Alice.
Venite qui dunque! - urlò la Regina. E Alice seguì il corteo, curiosa di vedere il seguito.
- Che bel tempo! - disse una timida voce accanto a lei. Ella s'accorse di camminare accanto al Coniglio bianco, che la scrutava in viso con una certa ansia.
- Bene, - rispose Alice: - dov'è la Duchessa?
- St! st! - disse il Coniglio a voce bassa, con gran fretta. Si guardò ansiosamente d'intorno levandosi in punta di piedi, avvicinò la bocca all'orecchio della bambina: - È stata condannata a morte.
- Per qual reato? - domandò Alice.
- Hai detto: «Che peccato?» - chiese il Coniglio.
- Ma no, - rispose Alice: - Ho detto per che reato?
- Ha dato uno schiaffo alla Regina... -cominciò il coniglio.
Alice ruppe in una risata.
- Zitta! - bisbigliò il Coniglio tutto tremante. - Ti potrebbe sentire la Regina! Sai, è arrivata tardi, e la Regina ha detto...
- Ai vostri posti! - gridò la Regina con voce tonante. E gl'invitati si sparpagliarono in tutte le direzioni, l'uno rovesciando l'altro: finalmente, dopo un po', poterono disporsi in un certo ordine, e il giuoco cominciò. Alice pensava che in vita sua non aveva mai veduto un terreno più curioso per giocare il croquet; era tutto a solchi e zolle; le palle erano ricci, i mazzapicchi erano fenicotteri vivi, e gli archi erano soldati vivi, che si dovevano curvare e reggere sulle mani e sui piedi.
La principale difficoltà consisteva in ciò, che Alice non sapeva come maneggiare il suo fenicottero; ma poi riuscì a tenerselo bene avviluppato sotto il braccio, con le gambe penzoloni; ma quando gli allungava il collo e si preparava a picchiare il riccio con la testa, il fenicottero girava il capo e poi si metteva a guardarla in faccia con una espressione di tanto stupore che ella non poteva tenersi dallo scoppiare dalle risa: e dopo che gli aveva fatto abbassare la testa, e si preparava a ricominciare, ecco che il riccio si era svolto, e se n'andava via. Oltre a ciò c'era sempre una zolla o un solco là dove voleva scagliare il riccio, e siccome i soldati incurvati si alzavano e andavan vagando qua e là, Alice si persuase che quel giuoco era veramente difficile.
I giocatori giocavano tutti insieme senza aspettare il loro turno, litigando sempre e picchiandosi a cagion dei ricci; e in breve la Regina diventò furiosa, e andava qua e là pestando i piedi e gridando:
- Mozzategli la testa! - oppure: - Mozzatele la testa! - almeno una volta al minuto.
- Alice cominciò a sentirsi un po' a disagio: e vero che non aveva avuto nulla da dire con la Regina; ma poteva succedere da un momento all'altro, e pensò: «Che avverrà di me? Qui c'è la smania di troncar teste. Strano che vi sia ancora qualcuno che abbia il collo a posto!»
E pensava di svignarsela, quando scorse uno strano spettacolo in aria. Prima ne restò sorpresa, ma dopo aver guardato qualche istante, vide un ghigno e disse fra sé: «È Ghignagatto: potrò finalmente parlare con qualcuno.»
- Come va il giuoco? - disse il Gatto, appena ebbe tanto di bocca da poter parlare.
Alice aspettò che apparissero gli occhi, e poi fece un cenno col capo. «È inutile parlargli, - pensò, - aspettiamo che appaiano le orecchie, almeno una.» Tosto apparve tutta la testa, e Alice depose il suo fenicottero, e cominciò a raccontare le vicende del giuoco, lieta che qualcuno le prestasse attenzione. Il Gatto intanto dopo aver messa in mostra la testa, credé bene di non far apparire il resto del corpo.
- Non credo che giochino realmente, - disse Alice lagnandosi. - Litigano con tanto calore che non sentono neanche la loro voce... non hanno regole nel giuoco; e se le hanno, nessuno le osserva... E poi c'è una tal confusione con tutti questi oggetti vivi; che non c'è modo di raccapezzarsi. Per esempio, ecco l'arco che io dovrei attraversare, che scappa via dall'altra estremità del terreno... Proprio avrei dovuto fare croquet col riccio della Regina, ma è fuggito non appena ha visto il mio.
- Ti piace la Regina? - domandò il Gatto a voce bassa.
- Per nulla! - rispose Alice; - essa è tanto... - Ma s'accorse che la Regina le stava vicino in ascolto, e continuò -...abile al giuoco, ch'è inutile finire la partita.
La Regina sorrise e passò oltre.
- Con chi parli? - domandò il Re che s'era avvicinato ad Alice, e osservava la testa del Gatto con grande curiosità.
- Con un mio amico... il Ghignagatto, - disse Alice; - vorrei presentarlo a Vostra Maestà.
- Quel suo sguardo non mi piace, - rispose il Re; - però se vuole, può baciarmi la mano.
- Non ho questo desiderio, - osservò il Gatto.
- Non essere insolente, - disse il Re, - e non mi guardare in quel modo. - E parlando si rifugiò dietro Alice.
- Un gatto può guardare in faccia a un re, - osservò Alice, - l'ho letto in qualche libro, ma non ricordo dove.
- Ma bisogna mandarlo via, - disse il Re risoluto; e chiamò la Regina che passava in quel momento:
- Cara mia, vorrei che si mandasse via quel Gatto!
La Regina conosceva un solo modo per sciogliere tutte le difficoltà, grandi o piccole, e senza neppure guardare intorno, gridò: - Tagliategli la testa!
- Andrò io stesso a chiamare il carnefice, - disse il Re, e andò via a precipizio.
Alice pensò che intanto poteva ritornare per vedere il progresso del gioco, mentre udiva da lontano la voce della Regina che s'adirava urlando. Ella aveva sentito già condannare a morte tre giocatori che avevano perso il loro turno. Tutto ciò non le piaceva, perché il gioco era diventato una tal confusione ch'ella non sapeva più se fosse la sua volta di tirare o no. E si mise in cerca del suo riccio.
Il riccio stava allora combattendo contro un altro riccio; e questa sembrò ad Alice una buona occasione per batterli a croquet l'uno contro l'altro: ma v'era una difficoltà: il suo fenicottero era dall'altro lato del giardino, e Alice lo vide sforzarsi inutilmente di volare su un albero. Quando le riuscì d'afferrare il fenicottero e a ricondurlo sul terreno, la battaglia era finita e i due ricci s'erano allontanati. «Non importa, - pensò Alice, - tanto tutti gli archi se ne sono andati dall'altro lato del terreno.» E se lo accomodò per benino sotto il braccio per non farselo scappare più, e ritornò dal Gatto per riattaccare discorso con lui.
Ma con sorpresa trovò una gran folla raccolta intorno al Ghignagatto; il Re, la Regina e il carnefice urlavano tutti e tre insieme, e gli altri erano silenziosi e malinconici.
Quando Alice apparve fu chiamata da tutti e tre per risolvere la questione. Essi le ripeterono i loro argomenti; ma siccome parlavano tutti in una volta, le fu difficile intendere che volessero.
Il carnefice sosteneva che non si poteva tagliar la testa dove mancava un corpo da cui staccarla; che non aveva mai avuto da fare con una cosa simile prima, e che non voleva cominciare a farne alla sua età.
L'argomento del Re, era il seguente: che ogni essere che ha una testa può essere decapitato, e che il carnefice non doveva dire sciocchezze.
L'argomento della Regina era questo: che se non si fosse eseguito immediatamente il suo ordine, avrebbe ordinato l'esecuzione di quanti la circondavano. (E quest'ingiunzione aveva dato a tutti quell'aria grave e piena d'ansietà.)
Alice non seppe dir altro che questo: - Il Gatto è della Duchessa: sarebbe meglio interrogarla.
- Ella è in prigione, - disse la Regina al carnefice: - Conducetela qui. - E il carnefice volò come una saetta.
Andato via il carnefice, la testa del Gatto cominciò a dileguarsi, e quando egli tornò con la Duchessa non ce n'era più traccia: il Re e il carnefice corsero qua e là per ritrovarla, mentre il resto della brigata si rimetteva a giocare.

Tributo al Tao: Raymond Carver

© Kevin Scanlon
Una pacchia
Non c’è altra parola. Perché proprio quello è stata. Una pacchia.
Una pacchia, questi ultimi dieci anni.
Vivo, sobrio, ha lavorato, ha amato,
riamato, una brava donna. Undici anni
fa gli avevano detto che aveva solo sei mesi da vivere
se continuava così. E non poteva che
peggiorare. Così cambiò vita,
in qualche modo. Smise di bere! E per il resto?
Dopo, fu tutta una pacchia, ogni minuto,
fino a quando e anche quando gli dissero che,
be’, c’era qualcosa che non andava e qualcosa
che gli cresceva dentro la testa. “Non piangete per me”,
disse ai suoi amici. “Sono un uomo fortunato.
Ho campato dieci anni di più di quanto io o chiunque altro
si aspettasse. Una vera pacchia. Non ve lo scordate”.
Gravy
No other word will do. For that’s what it was.
Gravy.
Gravy, these past ten years.
Alive, sober, working, loving, and
being loved by a good woman. Eleven years
ago he was told he had six months to live
at the rate he was going. And he was going
nowhere but down. So he changed his ways
somehow. He quit drinking! And the rest?
After that it was all gravy, every minute
of it, up to and including when he was told about,
well, some things that were breaking down and
building up inside his head. “Don’t weep for me,”
he said to his friends. “I’m a lucky man.
I’ve had ten years longer than I or anyone
expected. Pure Gravy. And don’t forget it.

« E hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos'è che volevi?
Sentirmi chiamare amato, sentirmi
amato sulla terra. »


“. . . The places where water comes together
with other water. Those places stand out
in my mind like holy places..."

“Where Water Comes Together With Other Water”

di cosa parliamo quando parliamo di Tao
























 

 Vicini

Bill e Arlene Miller erano una coppia felice. Ma ogni tanto avevano come l'impressione di essere i soli, nella loro cerchia, a essere rimasti in qualche modo fuori: Bill, perso nel suo lavoro di ragioniere e Arlene, impegnata nei suoi compiti segretariali. Qualche volta ne discutevano, facendo dei confronti soprattutto con la vita dei loro vicini, Harriet e Jim Stone. Ai Miller pareva che gli Stone conducessero una vita più intensa e brillante della loro. I vicini andavano sempre a cena fuori, invitavano gente a casa o viaggiavano per tutto il paese in occasione di impegni di lavoro di Jim.
Gli Stone abitavano nell'appartamento di fronte a quello dei Miller. Jim faceva il rappresentante per una ditta che fabbricava pezzi di macchinari e riusciva spesso a combinare le trasferte di lavoro con i viaggi di piacere. Ora, per esempio, si sarebbero assentati per dieci giorni, andando prima a Cheyenne e poi a Saint
Louis, a trovare certi parenti. In loro assenza, i Miller avrebbero badato all'appartamento degli Stone, dato da mangiare a Kitty e annaffiato le piante. Bill e Jim si scambiarono una stretta di mano accanto alla macchina. Harriet e Arlene si tennero a vicenda per i gomiti mentre si sfioravano le labbra con un bacio.
"Divertitevi", Bill disse a Harriet.
"Come no", rispose Harriet. "Anche voi, ragazzi!"
Arlene annuì.
Jim le strizzò l'occhio. "Ciao, Arlene. Mi raccomando, trattalo bene il tuo vecchio".
"Come no", disse Arlene.
"Divertitevi", ripeté Bill.
"Ci puoi scommettere", disse Jim, colpendo scherzosamente Bill sul braccio. "E grazie ancora, ragazzi".
Gli Stone agitarono le mani in segno di saluto dalla macchina mentre si allontanavano e i Miller risposero al saluto.
"Be', mi piacerebbe essere al posto loro", disse Bill.
"Dio solo sa se non farebbe bene anche a noi una vacanza", disse Arlene. Mentre risalivano nel loro appartamento, prese il braccio del marito e se lo mise attorno alla vita.
Dopo cena Arlene disse: "Non ti scordare. La prima sera Kitty deve mangiare il cibo a base di fegato". Rimase in piedi sulla soglia della cucina a piegare la tovaglietta fatta a mano che Harriet le aveva portato da Santa Fe l'anno prima. Entrando nell'appartamento degli Stone, Bill trasse un respiro profondo. L'aria s'era già fatta pesante e vagamente dolce. L'orologio a forma di sole sopra al televisore segnava le otto e mezza.
Ricordava ancora quando Harriet aveva portato a casa quell'orologio e aveva attraversato il pianerottolo per mostrarlo ad Arlene, cullandone la cassa d'ottone tra le braccia e parlandogli attraverso la carta velina che lo avvolgeva quasi fosse un bambino.
Kitty gli si strofinò contro le pantofole e si sdraiò su un fianco, ma saltò su subito appena lui si diresse in cucina e scelse una delle scatolette allineate in bell'ordine sul piano immacolato del lavello. Lasciò la gatta a sbocconcellare il cibo e si diresse in bagno. Si guardò nello specchio, chiuse gli occhi e si guardò di nuovo. Aprì lo sportello dei medicinali. Trovò un flacone di pillole e ne lesse l'etichetta - Harriet Stone. Una compressa al giorno come da ricetta - quindi se l'infilò in tasca. Tornò in cucina, riempì la brocca d'acqua e andò in soggiorno. Finito di annaffiare le piante, poggiò la brocca sulla moquette e aprì la credenza dove erano conservati i liquori. Allungò una mano fino in fondo e ne tirò fuori la bottiglia di Chivas Regal. Prese due sorsi attaccandosi alla bottiglia, si asciugò le labbra sulla manica e ripose la bottiglia nella credenza.
Kitty s'era messa a dormire sul divano. Bill spense le luci e lentamente si tirò la porta alle spalle, controllando che fosse chiusa bene. Aveva come la sensazione di essersi scordato qualcosa.
"Come mai ci hai messo tanto?", gli chiese Arlene. Guardava la televisione con le gambe piegate sotto di sé.
"Niente. Mi sono messo a giocare un po' con Kitty", rispose lui, poi andò da lei e le carezzò i seni.
"Andiamocene a letto, tesoro", le disse.
Il giorno dopo Bill si prese solo dieci dei venti minuti di pausa previsti nel pomeriggio e staccò un quarto d'ora prima delle cinque. Parcheggiò la macchina nel posto riservato a lui proprio mentre Arlene scendeva dall'autobus. Attese che lei entrasse nell'edificio e poi corse su per le scale per sorprenderla all'uscita dall'ascensore.
"Bill! Oddio, a momenti mi fai prendere un colpo. Sei in anticipo", disse.
Lui si strinse nelle spalle. "Non c'era niente da fare, in ufficio", disse.
Lei gli diede la sua chiave per aprire la porta. Bill lanciò un'occhiata alla porta dell'appartamento di fronte prima di seguirla in casa.
"Andiamocene a letto", disse lui.
"Adesso?", Arlene fece una risatina. "Ma Bill, che t'ha preso?"
"Niente. Togliti i vestiti". Cercò goffamente di afferrarla e lei esclamò: "Dio Santo, Bill!"
Lui si slacciò la cintura.
Dopo, ordinarono cibo cinese per telefono e quando arrivò lo mangiarono con appetito, senza parlare, e si misero ad ascoltare dei dischi.
"Non ci scordiamo di dare da mangiare a Kitty", disse lei.
"Stavo proprio pensando la stessa cosa", disse lui. "Vado subito".
Scelse una scatoletta al gusto di pesce per la gatta, poi riempì la brocca e andò ad annaffiare. Quando tornò in cucina, la gatta grattava la sabbia della lettiera. Lo fissò intensamente prima di rimettersi a grattare. Aprì tutti gli sportelli e passò in rassegna le scatolette, le scatole di cereali, il cibo confezionato, i bicchieri da cocktail e da vino, tazze, bricchi, piatti, piattini, pentole e padelle. Aprì il frigo. Annusò un gambo di sedano, staccò due morsi di cheddar e mangiucchiò una mela avviandosi in camera da letto. Il letto sembrava immenso, con una sovra coperta bianca e morbida che arrivava fino a terra. Aprì un cassetto del comodino, vi trovò un pacchetto di sigarette semivuoto e se l'infilò in tasca. Si avvicinò quindi al guardaroba e stava per aprirlo quando sentì bussare alla porta d'ingresso.
Mentre andava ad aprire si fermò in bagno e tirò lo sciacquone.
"Ma come mai ci metti tanto?", chiese Arlene. "È più di un'ora che sei qui".
"Ah, sì?", disse lui.
"Eh, già".
"Sono dovuto andare in bagno".
"Guarda che il bagno ce l' hai anche a casa", disse lei.
"Era urgente", disse lui.
Quella sera fecero di nuovo l'amore.

La mattina dopo chiese ad Arlene di chiamare l'ufficio per avvertire che non sarebbe andato al lavoro. Si fece una doccia, si vestì e si preparò una colazione leggera. Provò a cominciare a leggere un libro. Uscì a fare una passeggiata e si sentì meglio. Però dopo un po' se ne tornò a casa con le mani in tasca. Si fermò davanti alla porta degli Stone per sentire se per caso la gatta gironzolava dentro l'appartamento. Poi aprì la porta di casa sua e andò in cucina a prendere la chiave dei vicini.
Una volta all'interno gli parve che facesse più fresco qui che a casa sua; era pure più scuro. Si chiese se le piante avessero qualcosa a che fare con la temperatura dell'aria. Guardò fuori dalla finestra e poi attraversò lentamente ciascuna delle stanze esaminando qualsiasi cosa cadesse sotto il suo sguardo, con attenzione, una cosa alla volta. Guardò posacenere, mobili, utensili di cucina, l'orologio. Tutto. Alla fine entrò in camera da letto e la gatta apparve ai suoi piedi. La carezzò una volta, la portò in bagno e la chiuse dentro.
Si stese sul letto e fissò il soffitto. Rimase lì a occhi chiusi qualche minuto, poi s'infilò una mano sotto la cintura. Cercò di ricordarsi che giorno era. Cercò di ricordare quand'era che gli Stone dovevano tornare e poi si chiese se sarebbero mai tornati. Non ricordava già più che faccia avevano e neanche come si vestivano o come parlavano. Con un sospiro e qualche difficoltà rotolò sul letto per alzarsi e si appoggiò al comò per guardarsi allo specchio.
Aprì il guardaroba e scelse una camicia hawaiana. Rovistò finché non trovo un paio di bermuda, ben stirati e appesi sopra un paio di calzoni di gabardine marroni. Si tolse i vestiti che portava e s'infilò i calzoncini e la camicia. Si riguardò nello specchio.
Andò in soggiorno e si versò da bere. Tornando in camera da letto, sorseggiò dal bicchiere. Provò una camicia azzurra, un completo scuro, una cravatta bianca e blu, scarpe nere eleganti. Intanto il bicchiere s'era svuotato e andò a versarsene un altro. Tornato di nuovo in camera da letto, si sedette su una poltroncina, accavallò le gambe e sorrise, osservandosi allo specchio. Il telefono squillò un paio di volte e poi tacque. Svuotò di nuovo il bicchiere e si tolse il completo. Rovistò nei cassetti superiori finché non trovò un paio di mutandine e un reggiseno. S'infilò le mutandine e si agganciò il reggiseno, poi frugò nel guardaroba in cerca di un vestitino. Si mise una gonna a scacchi e cercò di chiudere la cerniera. Indossò una camicetta bordeaux con l'abbottonatura davanti. Esaminò le scarpe di Harriet, ma capì subito che non gli sarebbero entrate. Passò parecchio tempo dietro le tende della finestra del soggiorno a guardare fuori. Poi tornò in camera da letto e rimise a posto ogni cosa.
Non aveva appetito. Neanche lei mangiò molto, del resto. Si scambiarono uno sguardo impacciato e un sorriso. Arlene si alzò da tavola e andò a controllare che la chiave dei vicini fosse al suo posto sulla mensola, poi sparecchiò in tutta fretta.
Lui rimase in piedi sulla soglia della cucina a fumare, poi la vide prendere la chiave.
"Mettiti comodo intanto che vado di là", disse lei. "Leggiti il giornale o qualcosa del genere". Strinse la chiave in pugno. Aveva un'aria stanca, gli disse lei.
Lui cercò di concentrarsi sulle notizie. Lesse il giornale e accese la televisione. Alla fine andò di là anche lui. La porta era chiusa.
"Sono io. Sei ancora lì, amore?", chiamò.
Dopo un po' la serratura scattò e Arlene uscì e si chiuse la porta alle spalle. "Sono stata via tanto?", chiese.
"Be', insomma, sì", rispose lui.
"Sul serio?", disse lei. "Credo di avere giocato tutto il tempo con Kitty".
Lui la scrutò, ma lei distolse lo sguardo, la mano ancora poggiata sul pomello.
"È strano, sai?", disse lei. "Voglio dire... entrare così, in casa d'altri..."
Lui annuì, le tolse la mano dal pomello e la guidò verso la loro porta. Entrarono nel proprio appartamento.
"Infatti è strano", disse lui.
Notò della lanugine bianca attaccata sul retro del golf di Arlene e che aveva le guance molto colorite. Cominciò a baciarle il collo e i capelli. Lei si girò e cominciò a baciarlo a sua volta.
"Oh, accidenti!", esclamò di colpo Arlene. "Accidenti, accidenti!", si mise a cantilenare come una bambina, battendo le mani.
"Mi sono appena ricordata di una cosa. Non ci crederai, ma mi sono dimenticata di fare quello che ero andata a fare. Non ho dato da mangiare alla gatta né ho annaffiato le piante". Lo guardò. "Si può essere più stupidi?"
"Ma no, dai", la rassicurò lui. "Aspetta un attimo. Prendo le sigarette e torniamo di là insieme".
Lei attese che lui chiudesse la porta di casa loro per attaccarglisi al braccio, poco sopra al gomito, e disse: "Mi sa che è meglio che te lo dica subito. Sai, ho trovato delle foto".
Lui si fermò in mezzo al pianerottolo. "Che genere di foto?"
"Adesso le vedrai", disse e lo guardò negli occhi.
"Ma va!" Sorrise. "E dove?"
"In un cassetto", disse lei.
"Ma va!", disse lui.
E poi lei disse: "Magari non tornano più", e rimase subito stupefatta da quello che aveva appena detto.
"Potrebbe succedere", disse lui. "Potrebbe succedere di tutto".
"O magari, per tornare tornano, ma..." Non finì la frase.
Attraversarono il pianerottolo tenendosi per mano e quando lui le parlò, lei quasi non lo udì.
"La chiave", disse lui. "Dalla a me".
"Cosa?", chiese lei. Si mise a fissare la porta.
"La chiave", disse lui. "Ce l'hai tu".
"Oddio mio!", disse lei. "L'ho lasciata dentro!"
Lui provò a girare il pomello. Ma era bloccato. Non girava affatto. Lei era rimasta a bocca aperta e ansimava un po', in attesa. Lui spalancò le braccia e lei ci si rifugiò.
"Non ti preoccupare", le disse all'orecchio. "Per l'amor di Dio, non ti preoccupare".
Rimasero lì. Si tenevano stretti. Si appoggiarono contro la porta, come per ripararsi dal vento, e si fecero forza.

il Te del Tao: XV - APPALESA LA VIRTÙ


XV - APPALESA LA VIRTÙ

Quelli che in antico eccellevano come adepti del Tao
penetravano l'arcano e comunicavano col mistero,
erano profondi da non poter essere compresi.
Proprio perché non possono essere compresi
io mi sforzerò di darne i tratti.
Irresoluti erano come chi d'inverno guada un fiume,
guardinghi erano come chi teme i vicini ai quattro lati,
rispettosi erano come chi è ospite,
frammentati erano come ghiaccio che si va fondendo,
schietti erano come legno non ancora sgrossato,
vuoti erano come valli,
torbidi erano come acqua motosa.
Chi è capace d'esser motoso
per fare illimpidire piano piano riposando?
Chi è capace d'esser placido
per far vivere pian piano rimuovendo a lungo?
Chi s'attiene a questa Via
non brama d'esser pieno,
e proprio perché non si riempie
può starsene nell'ombra senza innovar l'antico.

giovedì 7 aprile 2011

muovendosi su e giù per il Tao: emergentismo, riduzionismo, olismo



vi sono due possibilità di passare da un livello di descrizione all'altro:
la via in cui ci si muove partendo dal livello fisico 0 e si procede verso livelli più alti fino a quello 5 di ecosistema è quella dell'emergentismo e della complessità, dove passando da un livello a quello superiore si pone l'accento sull'emergenza di nuove proprietà e fenomeni non presenti al livello inferiore, considerazione già presente nel lavoro di Anderson del 1972.
Se si procede in senso inverso dal livello più alto a quello più basso fisico è la via del riduzionismo, o della semplicità, in cui passando da un livello a quello inferiore tutte le proprietà del livello superiore vengono "cancellate", e ci si concentra unicamente sulla descrizione propria di quel livello.

Vi è poi una terza possibilità, tipicamente filosofica e non metodologica, denominata genericamente olismo (dal greco όλος, cioè "totalità), nella quale i livelli di descrizione vengono presi tutti insieme, ed è basata in parte su dei concetti fondanti dell'emergentismo e della teoria sistemica, e cioè che le proprietà di un sistema non possano essere spiegate esclusivamente tramite le sue componenti e che la sommatoria funzionale delle parti è sempre maggiore/differente della somma delle funzioni delle parti prese singolarmente, e in parte è basata sulla concezione che ogni livello è intrisecamente interconnesso con tutti gli altri, ed è solo per comodità di descrizione che si distinguono, mentre nella realtà sono indivisibili. Quest'ultima concezione è esplicitata ad esempio nella Tesi di Duhem-Quine, secondo la quale non è possibile confrontare con l'esperienza singole teorie scientifiche, una a una, ma solo insiemi di teorie, olisticamente. L'olismo ha alcuni esempi in fisica nel concetto di entanglement e in quello di sistema/universo ologrammatico, utilizzato ad esempio nel cosiddetto principio olografico, proposto dal premio Nobel per la fisica 1999 Gerardus 't Hooft  per tentare di formare un modello per la gravità quantistica. A livelli alti, quali quello di ecosistema e di interazione/comunicazione, la visione olistica può coincidere con quella sistemica; è invece in generale molto difficile, se non impossibile, connettere in modo olistico livelli molto differenti.

Analizziamo allora un esempio di "realtà" o di "pezzo di mondo" descrivendola livello per livello nella modalità riduzionista dall'alto in basso e in quella emergentista dal basso in alto, per la seguente immagine della realtà:


I giocatori di carte - Les joueurs de cartes
Paul Cézanne
olio su tela cm 47 x 56  1890-1892

Riduzionista livello 5: ecosistema

Due uomini giocano alle carte, e probabilmente talvolta conversano, utilizzando un tavolo presumibilmente di legno, in un luogo che possiamo ipotizzare come un'osteria, probabilmente di paese o di campagna dal marker di contesto ambientale che si nota nello specchio posto sopra di loro che riflette l'esterno, rivelandolo come un paesaggio di campagna. Dall'immagine non abbiamo informazioni su dove e quando avviene questa scena, ma possiamo dire che certamente avviene circa 13 miliardi di anni dopo la nascita dell'universo in un continente emerso sul terzo pianeta di un sistema solare di una stella del tipo nana gialla, posto piuttosto verso i margini esterni di una galassia a spirali barrata.

Riduzionista livello 4: interazione/sociale

Due uomini stanno svolgendo un'attività interattiva molto particolare denominata gioco. Le finalità e le modalità di questo tipo di attività variano a seconda del tipo di gioco e dell'età dei giocatori. In questo caso, trattandosi di due adulti che utilizzano uno strumento di gioco denominato "carte" - composte da diverse decine di figure diverse stampate, appunto, su cartoncino - l'attività consiste nel raggiungere la fine del gioco per entrambi i giocatori attraverso un insieme di regole specifiche del gioco. La fine del gioco, anch'essa codificata in regole, è in generale opposta tra i due giocatori e denominata "vittoria" per uno e "perdita" per l'altro. Lo scopo per entrambi i giocatori è raggiungere la fine del gioco denominata "vittoria".
Il livello sociale può essere valutato principalmente dal marker sull'abbigliamento e dal supposto contesto di provincia: per entrambi potrebbe valere l'indicazione di una classe media in abbigliamento consueto o di una classe medio-bassa con uno dei loro abiti migliori. E' da notare l'uso di copricapi in funzione di tipo sociale piuttosto che funzionale per proteggersi dagli agenti atmosferici. Anche la rasatura del pelo facciale presente in questi due individui di sesso maschile è da ritenersi d'uso sociale. Dal tipo di abbigliamento utilizzato si può qui stimare che la scena avvenga circa a partire dall'800 fino anche ai nostri giorni in una società di tipo occidentale.

Riduzionista livello 3: organismo/biologico

L'individuo di sesso maschile si è auto-denominato uomo (Homo sapiens sapiens, Linneo, 1758), detto anche essere umano, una sottospecie di Homo sapiens, un primate bipede appartenente alla famiglia degli ominidi che comprende numerosi generi estinti e sette diverse specie viventi di grandi scimmie. La specie H. sapiens - di origine africana come d'altronde lo stesso genere Homo - è un primate a pelo corto, adattato alla vita terricola, onnivoro e dalle abitudini alimentari originarie di cacciatore-raccoglitore. Ha riproduzione di tipo sessuata. La sua distribuzione attuale è pressoché cosmopolita ed è di gran lunga la specie dominante del pianeta.

Gli uomini hanno un cervello molto strutturato e sviluppato, in proporzione alle dimensioni dell'individuo, e capace di ragionamento astratto, linguaggio e introspezione. Questa capacità mentale, combinata con la stazione eretta che rende liberi gli arti superiori, rimasti prensili per l'origine arboricola comune a tutto l'ordine, ha consentito il manipolare oggetti e ha permesso all'uomo di creare una grande varietà di utensili.

Dall'origine africana, circa 200 000 anni fa da H. erectus, a oggi, la specie si è diffusa su quasi tutta la superficie delle terre emerse con una popolazione totale che ha superato, nel marzo 2011, i 6,9 miliardi di individui.

Similmente alla maggior parte dei primati, gli uomini sono animali sociali. Sono inoltre particolarmente abili nell'utilizzo di sistemi di comunicazione per l'espressione, lo scambio di idee e l'organizzazione. Gli uomini creano complesse strutture sociali composte da gruppi in cooperazione e competizione, che variano dalle piccole famiglie e associazioni fino alle grandi unioni politiche, scientifiche, economiche. L'interazione sociale ha introdotto una larghissima varietà di tradizioni, rituali, regole comportamentali e morali, norme sociali e leggi che formano la base della società umana. Gli uomini possiedono anche un marcato apprezzamento per la bellezza e l'estetica che, combinate col desiderio umano di autoespressione, hanno condotto a innovazioni culturali quali arte, letteratura e musica.

Gli uomini sembra che manifestano il desiderio di capire e influenzare il mondo circostante, cercando di comprendere, spiegare e manipolare i fenomeni naturali attraverso la scienza, la filosofia, la mitologia e la religione. Questa curiosità naturale ha portato allo sviluppo di strumenti tecnologici e abilità avanzate; gli uomini sono l'unica specie ancora vivente che utilizza il fuoco, cuoce i propri cibi, si veste, ed usa numerose altre tecnologie.

Riduzionista livello 2: biologico/cellulare

In quanto animale, quella umana è una specie eucariota. Ogni cellula diploide contiene 23 coppie di cromosomi, ricevuti da entrambi i genitori. Di questi, 22 paia sono autosomi e un paio sono cromosomi sessuali. Secondo le stime gli umani hanno circa 20 o 25 000 geni. Così come per gli altri mammiferi, le femmine hanno i cromosomi sessuali uguali (XX) e i maschi hanno cromosomi sessuali differenti (XY). Il cromosoma X è più largo e porta più geni del cromosoma Y: ciò significa che eventuali malattie del cromosoma X si manifestano più facilmente negli uomini, poiché eventuali errori presenti in geni del cromosoma X non presenti contemporaneamente anche nell'Y arrecherebbero danno al fenotipo umano; tuttavia, poiché nel cromosoma Y vi sono numerosi geni non presenti anche nell'X, tra cui primeggia l'SRY che è presente anche in molti altri animali, il patrimonio genetico maschile è complessivamente maggiore di quello femminile e consente la formazione di ulteriori tessuti nei maschi, il che comporta un forte contribuito al dimorfismo sessuale.
Il genoma è composto da 46 distinti cromosomi (22 paia di autosomi + X + Y) con un totale di approssimativamente 3,2 miliardi di paia di basi di DNA contenenti all'incirca 20,000–25,000 geni.
Prima che l'essere umano raggiunga l'età adulta, il corpo consiste in 100.000 miliardi di cellule, raggruppate in tessuti e parti di sistemi o di organi il cui scopo è consentire le funzioni vitali essenziali. I sistemi di organi del corpo umano includono: il sistema circolatorio, sistema immunitario, apparato respiratorio, apparato digerente, sistema urinario, sistema muscolare, apparato scheletrico, sistema nervoso, sistema endocrino e l'apparato riproduttore maschile e femminile.

Riduzionista livello 1: chimico/molecolare


E' necessario distinguere tra l'individuo biologico e gli altri elementi non-biologici della scena.
Il primo è composto principalmente di acqua e caratterizzato dalla presenza di macromolecole e molecole di tipo organico basate sul carbonio ed i suoi legami, quali proteine, acidi nucleici e lipidi. Tra gli elementi inorganici notiamo la presenza ancora di una macromolecola nella cellulosa presente nell'elemento centrale, associata a lignina. Nell'elemento superiore con caratteristiche riflettenti notiamo principalmente la presenza di diossido di silicio più altri ossidi. Vi è poi la diffusa presenza di un gas, trasparente nella figura, composto per la maggior parte di azoto ed ossigeno, caratteristica singolare tipica di processi al livello superiore, più residue porzioni minori di altri gas quali argon e anidride carbonica. In un piccolo punto dell'immagine si nota una reazione esotermica, probabilmente dovuta alla combustione di qualche tipo di composto.

Riduzionista livello 0: fisico - Emergentista livello 0: fisico
 

La descrizione riduzionista ed emergentista al livello fisico 0 coincidono. Quello che è presente al livello elementare sono protoni, neutroni, elettroni, ad un livello meno elementare essi sono presenti in uno stato legato denominato atomo. A seconda del numero di protoni, uguale al numero di elettroni, nei vari atomi abbiamo la presenza di diversi elementi. Il più numeroso è l'azoto, presente nel gas trasparente diffuso nell'immagine, vi sono poi rilevanti tracce di idrogeno, ossigeno ed elementi più pesanti quali carbonio, ferro fino a circa allo zinco. Vi è inoltre la presenza di fotoni della luce solare che illumina la scena, qualche raggio cosmico e (forse) neutrini di passaggio, oltre all'onnipresente radiazione cosmica di sfondo caratteristica del nostro universo.



Emergentista livello 1: chimico/molecolare

Gli atomi dei diversi elementi presenti al livello 0 si riuniscono per legame chimico formando una vasta varietà di composti, molecole e macromolecole. Atomi singoli o legati tra loro sono presenti nel gas diffuso nella scena. Composti con elementi anche pesanti sono presenti nei due oggetti presenti al centro e al di sopra dell'immagine. In particolare il primo ha la proprietà di riflettere i fotoni incidenti sulla sua superficie, mentre tutti gli altri la assorbono e ne riflettono solo una parte con specifiche lunghezze d'onda. Le molecole e macromolecole di gran lunga più complesse sono presenti nell'oggetto alla sinistra dell'immagine, principalmente basate sul carbonio legato ad altri elementi in svariate forme, formando lunghe catene chimiche dalle molteplici proprietà: replicazione, auto-replicazione, sorgenti di energia, catalizzatori e controllori di reazioni etc.

Emergentista livello 2: cellulare/biologico

I composti, molecole e macromolecole presenti al livello 1 si uniscono in diversi modi e strutture: negli oggetti non-organici si uniscono in miscele o leghe, allo stato solido amorfo nell'oggetto posto sopra la scena, composto principalmente di silice amorfa. Nell'oggetto al centro della scena sono presenti polisaccaridi e un pesante e complesso polimero organico costituito principalmente da composti fenolici che fanno ritenere l'oggetto di origine organica. Nell'elemento a sinistra della scena i composti, principalmente del carbonio, si riuniscono in lunghe sequenze molecolari e formano strutture morfofunzionali, cioè di forma e di funzione,  di tipologie molto diverse ma con con caratteristiche comuni uniche di riproduzione/replicazione di se stesse, complesse reazioni per la produzione di energia, risposte a stimoli esterni, mantenimento nel tempo della propria struttura pur con un continuo ricambio di componenti.

Emergentista livello 3: biologico/organismo

Le unità morfofunzionali del livello 2 si uniscono tra loro in insiemi a diversi livelli che formano diversi tipi di sistema, almeno quattro compresa la struttura completa d'insieme, strutturalmente molto differenti e associati per funzione.  L'insieme generale presenta le proprietà di molteplici unità strutturali e funzionali, integrazione tra i vari sistemi, trasmissione dell'informazione all'interno e tra sistemi diversi, trasformazione e contemporanea omeostasi dei sistemi e dell'insieme dei sistemi, sviluppo, riproduzione, caratteristiche di evoluzione ed interazione con l'ambiente esterno.

Emergentista livello 4: interazione/sociale

Due dei sistemi del livello 3 utilizzano tra loro la proprietà di poter interagire con l'esterno. Si suppone che essi si scambino informazioni attraverso l'uso delle figure colorate che stanno manipolando.

Emergentista livello 5: ecosistema

Dalla struttura riflettente presente nella scena si deduce la presenza di un ambiente esterno estremamente variegato e complesso con molte delle proprietà sistemiche presenti all'interno della scena. Questa è inoltre illuminata da una radiazione con lunghezze d'onda almeno dai 400 ai 700 nm, visto lo spettro di colori presenti e la presenza di fotoni a livello 0, di origine sconosciuta, proveniente dall'esterno della scena. Si nota la presenza di strutture morfogeneticamente strutturate sia complesse sia con simmetrie semplici. La presenza di elementi e composti allo stato gassoso al livello 1 indica la presenza di gas composto nell'ambiente.

Contesto

La descrizione totale non sarebbe completa se non si specificassero anche i marker di contesto e, se presente, di meta-contesto.
Il contesto deriva dal fatto che non stiamo descrivendo una scena essendo fisicamente presenti alla fine dell'800 in un bistrot della provincia francese osservando due uomini che giocano a carte, ma stiamo utilizzando una rappresentazione di quella scena, nello specifico un dipinto a olio su tela.
Anche del contesto si può fare una descrizione, che in questo caso rientra nella critica d'arte, ad esempio:
"Due uomini in un'osteria di paese stanno giocando a carte davanti ad uno specchio. L'immagine si presenta con uno schema fortemente geometrizzato, che conferisce ai due personaggi dignità classica. Distorcendo la visione prospettica, Cèzanne riesce ad ottenere il massimo grado di centralità, che risulti credibile in una scena di vita vissuta: questo lieve scarto dal centro è un acuto stratagemma per evitare il rischio che l'opera risulti troppo artefatta: le cose non ci si presentano mai in uno stato di perfetto equilibrio. Tutta la tela è costituita da abbassamenti di tono dei colori blu, giallo e rosso. Le pennellate si compongono a tasselli, e talvolta si presentano solitarie e sintetiche, come il riflesso sulla bottiglia o il semplice tratto che descrive l'occhio infossato del giocatore di destra.
Nel dipinto Cézanne, non rende solo un'impressione, ma anche una descrizione del senso interno all'azione, come se fosse la sintesi destinata a permanere nella mente, quasi calcificata e sotto forma di ricordo."

Meta-Contesto



il marker di meta-contesto in questo caso è presente, dato che non stiamo descrivendo la scena osservando il quadro di Cézanne di persona in una sala del Musée d'Orsay di Parigi, ma stiamo osservando un'immagine jpg di 640x533 px visualizzata da un browser su un monitor, presumibilmente allocato su un PC o su un dispositivo mobile, prelevandola attraverso una connessione d'accesso fissa o mobile da uno dei server di blogger.com, dove risiede, attraverso internet.