martedì 26 luglio 2011

il Te del Tao: XIX - TORNARE ALLA PUREZZA


XIX - TORNARE ALLA PUREZZA

Tralascia la santità e ripudia la sapienza
e il popolo s'avvantaggerà di cento doppie,
tralascia la carità e ripudia la giustizia
ed esso tornerà alla pietà filiale e alla clemenza paterna,
tralascia l'abilità e ripudia il lucro
e più non vi saranno ladri e briganti.
Quelle tre reputa formali e insufficienti,
perciò insegna che v'è altro a cui attenersi:
mostrati semplice e mantienti grezzo,
abbi poco egoismo e scarse brame.

Tao mi adori? e allora lo vedi che la cosa è reciproca?

il Sogno (6 di Coppe)


Una sera incantata incontrerai la tua anima gemella, la persona perfetta che appagherà tutti i tuoi bisogni e soddisferà tutti i tuoi sogni. Giusto? Sbagliato! Questa fantasia che cantanti e poeti perpetuano con tanta passione ha le proprie radici nei ricordi del ventre materno, in cui eravamo così sicuri e uniti a nostra madre. Non meraviglia che si brami tanto spasmodicamente, per tutta la vita, di tornare in quel luogo sicuro e protetto. Ma, per metterla in termini brutali, è un sogno infantile. Ed è sorprendente che ci si aggrappi a questo sogno tanto caparbiamente, malgrado ogni evidenza in contrario. Nessuno, che sia il tuo compagno o la tua compagna attuale, o un partner che sogni per il futuro, ha l'obbligo di consegnarti su un piatto d'argento la tua felicità - né potrebbe, anche se lo volesse. Il vero amore è frutto non del nostro tentativo di soddisfare il nostro bisogno creando una dipendenza da un altro, bensì dello sviluppo della nostra ricchezza interiore e della nostra maturità. A quel punto avremo un amore immenso da donare, per cui attireremo a noi gli amanti, naturalmente.

Continuamente, nel corso dei secoli, è stato detto e ripetuto - tutte le persone religiose l'hanno detto: "A questo mondo veniamo soli, e soli ce ne andiamo". Ogni unione è illusoria. L'idea stessa di essere insieme a qualcuno è frutto del nostro essere soli, e la solitudine fa male. Nella relazione vogliamo annegare la nostra solitudine. Ecco perché ci coinvolgiamo tanto nell'amore. Cerca di capirlo: di solito pensi di esserti innamorato di una donna, o di esserti innamorata di un uomo perché l'altra è bella, perché l'altro è meraviglioso. Non è vero. La verità è esattamente l'opposto: ti sei innamorato perché non riesci a stare solo, l'innamoramento era inevitabile - in un modo o nell'altro dovevi evitare te stesso. E ci sono persone che non s'innamorano di uomini o donne - s'innamorano del denaro. Iniziano a giocare col denaro, oppure col potere, e diventano uomini politici. Anche questo è un modo di evitare la propria solitudine. Se osservi un uomo - se osservi te stesso profondamente - rimarrai sorpreso: tutte le vostre attività possono essere ridotte a un'unica fonte. La motivazione all'origine del vostro agire è questa: avete paura della vostra solitudine. Ogni altra cosa è solo una scusa. La causa reale è che vi sentite estremamente soli.


Anyo-ji Temple Cemetery, Kamakura, Kanagawa, Japan

I Luoghi del Tao: la montagna nuda

Nanga Parbat from the air - Diamir (west) face.
La parete sud sud-est del Nanga Pàrbat (8125 m., Himalaya occidentale, Pakistan), conosciuta come parete Rupal, è la più alta del mondo con i suoi 4500 m. In Urdu Nanga Pàrbat significa "la montagna nuda".

Rupal face valley

Rupal face

La parete fu scalata per la prima volta da Reinhold Messner e suo fratello Günther nel giugno 1970 al seguito di una spedizione guidata da Karl Herrligkoffer, in stile alpino e senza ossigeno. I fratelli Messner, a causa della stanchezza accumulata da Günther durante la salita (il quale non tenne conto delle indicazioni di Reinhold di non seguirlo lungo la vetta ma di rimanere ad attrezzare la via per la discesa), dopo aver conquistato la cima decisero di scendere per il più agevole versante ovest, il Diamir, allora ancora inesplorato e sul quale non vi erano campi o materiale di appoggio. La traversata che fecero è da considerarsi un'eccezionale impresa alpinistica. Dopo aver bivaccato più giorni all'aperto, quando erano quasi arrivati alle pendici della montagna, Günther Messner fu travolto da una valanga e morì. Questa versione fu contestata da alcuni, principalmente da Herrligkoffer - un fanatico fascistoide offeso perchè i fratelli Messner avevano fatto di testa loro non obbedendo alle sue direttive - e da due compagni di spedizione, Max von Kienlin e Hans Saler, che non riuscirono a salire in vetta; ne seguirono vivaci e lunghe polemiche che accusarono Reinhold Messner di aver abbandonato il fratello alla ricerca dell'eccezionale impresa di traversata alpinistica. Il ritrovamento della salma di Günther nell'agosto 2005, identificata con l'esame del DNA,  esattamente nel luogo a 4500 m. sul versante Diamir indicato da oltre 35 anni da Reinhold, ovvero quasi giunto alla salvezza, confermò precisamente la sua versione e dissipò ogni calunnia, anche se non l'invidia per colui che nel frattempo era diventato il più grande scalatore di tutti i tempi.



Il Nanga Parbat fù la montagna del destino per l'alpinismo tedesco. Prima della sua conquista il 3 luglio 1953, con una leggendaria impresa in solitaria da parte di Hermann Buhl, vi furono quattro tentativi, che risultarono nella morte di 31 persone.
Nel Settembre 2005 Vince Anderson e Steve House  aprirono una via diretta sulla parete Rupal in una settimana e in stile alpino.


Il Nanga Parbat ha uno degli indici di mortalità più alti tra tutti gli ottomila, intorno al 30%; ad oggi su circa 200 persone che l'hanno scalata sono più di 60 quelli periti nel tentativo.


lunedì 25 luglio 2011

meTA(l)Ogo: perchè i francesi agitano sempre il Tao?


Figlia. Papà, perché i francesi agitano sempre le braccia?
Padre. Come, agitano le braccia?
F. Voglio dire, quando parlano. Perché agitano le braccia, fanno gesti...?
P. Be’... e tu perché sorridi? O perché qualche volta pesti i piedi?
F. Ma non è la stessa cosa, papà. Io non agito le braccia qua e là, come fa un francese. Credo che loro non possano farne a meno. Che ne pensi?
P. Non so... forse avrebbero difficoltà a smettere... Tu puoi smettere di sorridere?
F. Ma papà, io non sorrido continuamente. È difficile smettere quando mi viene da sorridere, ma non mi viene sempre. E poi smetto.
P. Questo è vero.., però anche un francese non gesticola sempre allo stesso modo. A volte gesticola in un modo, a volte in un altro.., e a volte, penso, smette di gesticolare.
P. Cosa pensi? Cioè, che cosa ti viene in mente quando vedi un francese che agita le braccia?
F. Penso che sembra un po’ sciocco, papà. Ma non credo che un altro francese la pensi così; non possono sembrarsi tutti sciocchi a vicenda. Perché, se fosse così, la smetterebbero; non ti pare?
P. Forse, ma questa non è una domanda semplice. Che cos’altro ti fanno venire in mente?
F. Be’... sembrano tutti eccitati...
P. Bene.., dunque "sciocchi" ed "eccitati".
F. Ma sono veramente eccitati come sembrano? Se io fossi eccitata a quel modo, avrei voglia di ballare o cantare o dare un pugno sul naso a qualcuno.., loro invece continuano solo ad agitare le braccia. Non possono essere eccitati sul serio.
P. Re’... e sono davvero sciocchi come sembrano a te? E perché a volte tu hai voglia di ballare e cantare e dare un pugno sul naso a qualcuno?
F. Be’, a volte ho voglia di fare così.
P. Forse un francese ha voglia di " fare così". quando gesticola a quel modo.
F. Ma non può aver voglia di far sempre così, papà, non potrebbe.
P. Vuoi dire.., insomma quando il francese gesticola, certamente non si sente come ti sentiresti tu se fossi tu a gesticolare. E certo hai ragione.
F. Allora, come si sente lui?
P. Be’... supponiamo che tu stia parlando con un francese e che lui stia agitando le braccia di qua e di là, e poi nel bel mezzo della conversazione, dopo che tu hai detto qualcosa, lui smetta improvvisamente di gesticolare, e parli soltanto. Che cosa penseresti? Che ha semplicemente smesso di essere sciocco ed eccitato?
F. No... mi spaventerei. Penserei di aver detto qualcosa che lo ha offeso, e forse potrebbe essersi arrabbiato sul serio.
P. Già... e forse avresti ragione.

F. D’accordo... allora smettono di gesticolare quando cominciano ad arrabbiarsi.
P. Un momento. Dopo tutto il problema è di sapere che cosa un francese dice a un altro francese col suo gesticolare. E abbiamo già un pezzo della soluzione: ... gli dice qualcosa su ciò che prova nei confronti dell’altro tizio. Gli dice che non è arrabbiato sul serio.., che vuole e può essere ciò che tu chiami i sciocco ..
F. Ma... no... questo non ha senso. Non può far tutto quel lavoro per poter dopo dire all’altro tizio che è arrabbiato solo tenendo le braccia ferme. Come fa a sapere che dopo si arrabbierà?
P. Non lo sa. Ma per ogni evenienza...
F. No, papà, non ha senso. Io non sorrido per poterti dopo dire che mi sono arrabbiata smettendo di sorridere.
P. E invece, credo che questo sia uno dei motivi per cui si sorride. E ci sono molte persone che sorridono per dirti che non sono arrabbiate... quando invece lo sono davvero.
F. Ma questo è diverso, papà. È un modo di dire le bugie con la faccia. Come quando si gioca a poker.
P. Sì.

P. Dov’eravamo rimasti? Tu non trovi sensato che i francesi fatichino tanto per dirsi l’un l’altro che non sono arrabbiati o offesi. Ma dopo tutto qual è l’argomento di gran parte delle conversazioni? Voglio dire tra gli americani?
F. Ma, papà, un sacco di cose... baseball e gelati e giardini e giochi. E la gente parla di altra gente, e di se stessa e dei regali avuti per Natale.
P. Sì, sì... ma chi ascolta? Voglio dire... d’accordo, parlano di baseball e giardini. Ma si scambiano informazioni? E se sì, quali informazioni?
F. Certo.., quando torni dalla pesca e io ti chiedo: "Hai preso qualcosa?" e tu dici: " Niente ", io non sapevo che non avevi preso niente prima che tu me lo dicessi.
P. Uhm.

P. D’accordo.., tu hai parlato della pesca... argomento su cui sono suscettibile.., e c’è allora un silenzio, un arresto nella conversazione.., e quel silenzio ti dice che non mi piacciono le battute sui pesci che non ho preso. È proprio come il francese che smette di gesticolare quando è offeso.
F. Scusami, papà, ma tu dicevi...
P. No... aspetta un momento... non confondiamo le cose scusandoci... domani andrò di nuovo a pescare e saprò ancora che è improbabile che prenda qualcosa...
F. Ma, papà, tu hai detto che tutto nella conversazione si riduce a dire agli altri che non si è arrabbiati con loro...
P. Ho detto così? No... non tutto nella conversazione, molto però sì. A volte, se i due interlocutori hanno voglia di ascoltare con attenzione, è possibile far qual cosa di più che non scambiarsi saluti e auguri. Si può addirittura far di più che scambiarsi informazioni: i due possono persino scoprire qualcosa che nessuno dei due prima sapeva.

P. Comunque la maggior parte delle conversazioni riguardano solo se i due sono arrabbiati o cose del genere. Si danno un gran da fare per dirsi l’un l’altro che sono amici.., il che talvolta è una bugia. Dopo tutto, che succede se non viene loro in mente niente da dirsi? Si sentono tutti a disagio.
F. Ma non è un’informazione anche quella, papà? Cioè... informazione che essi non sono arrabbiati?
P. Certo, sì. Ma è un’informazione di tipo diverso da ’il gatto è sul tappeto’.

F. Papà, perché la gente non dice semplicemente: " Non ce l’ho con te " e la pianta lì?
P. Ah, ora arriviamo al vero problema. Il punto è che i messaggi che ci scambiamo coi gesti sono in realtà una cosa diversa da qualunque traduzione in parole che possiamo dare di quei gesti.
F. Non capisco.
P. Voglio dire... per quanto si dica a qualcuno, impiegando solo parole, che si è o non si è arrabbiati non è la stessa cosa che dirglielo con i gesti o con il tono della voce.
F. Ma, papà, non si possono dire parole senza un qualche tono di voce, no? Anche se uno usasse meno tono possibile, gli altri sentirebbero che lui sta esitando... e questo sarebbe una specie di tono, no?
P. Si, penso di sì. Dopo tutto è quello che ho detto poco fa sui gesti... che il francese può dire qualcosa di particolare smettendo di gesticolare.

F. Ma allora che cosa intendo dire quando affermo che i parole pure e semplici non possono mai portare lo stesso messaggio dei gesti... se non esistono i parole pure e semplici o?
F. Be’, le parole potrebbero essere scritte.
P. No... questo non risolverebbe la difficoltà, perché le parole scritte hanno lo stesso un qualche ritmo e hanno lo stesso enfasi. Il punto è che non esistono parole pure e semplici. Vi sono soltanto parole con gesti o con tono di voce o con qualcosa del genere. Invece, naturalmente, gesti senza parole sono abbastanza comuni.

F. Papà, perché quando c’insegnano il francese a scuola non c’insegnano ad agitare le mani?
P. Non lo so. Non lo so davvero. Questo è forse uno dei motivi per cui è spesso così difficile imparare le lingue.

P. Comunque, son tutte sciocchezze. Cioè l’idea che la lingua sia fatta di parole è tutta una balordaggine... e quando ho detto che i gesti non potrebbero esser tradotti in parole pure e semplici ", ho detto una balordaggine, perché non esistono "parole pure e semplici"
E tutta la sintassi e la grammatica e tutta quella roba lì, è una balordaggine. È tutto basato sull’idea che esistano le parole pure e semplici ... e invece non ci sono.
F. Ma, papà...
P. Ti dico... che dobbiamo ricominciare tutto da capo e supporre che una lingua sia prima di tutto un sistema di gesti. Dopo tutto gli animali hanno solo gesti e toni di voce.., e le parole furono inventate più tardi. Molto più tardi. E dopo s’inventarono i professori.
F. Papà?
P. Sì?
F. Sarebbe una buona cosa se la gente lasciasse perdere le parole e ricominciasse a usare soltanto i gesti?
P. Mah... non lo so. Naturalmente in quel modo non ci sarebbe possibile fare nessuna conversazione. Potremmo solo abbaiare, o miagolare. e agitare le braccia qua e là, e ridere e brontolare e piangere. Ma potrebbe essere divertente.., la vita sarebbe come una specie di balletto... dove i ballerini si farebbero la musica da sé.

giovedì 21 luglio 2011

il tempo molle del Tao

Classico

Salvador Dalì, Orologio molle al tempo della prima esplosione, 1930.








Moderno

la società del Tao



«la mente è semplicemente quello che fa il cervello»

dal risvolto di copertina:

Per anni, l’Intelligenza Artificiale, a cui oggi si dedicano milioni di dollari per la ricerca e l’energia intellettuale di migliaia di scienziati, è stata una sorta di chimera nella mente di un uomo: Marvin Minsky. A lui in primo luogo si deve, infatti, se questa disciplina ha assunto una fisionomia, si è distaccata dal resto della ricerca, e infine, se ha attratto così tanti cervelli. Ma tutto questo si manifestava, per anni, attraverso brevi e densissimi articoli. Mentre, per altrettanti anni, correva voce che Minsky «stava preparando un libro», il quale naturalmente sarebbe stato il libro. E un giorno il libro si manifestò: è La società della mente. Qui Minsky ... non vuole accettare nulla per inteso. Occorre partire veramente da zero, se si vuole tentare una risposta alla temibile domanda che egli pone fin dalle prime righe: «Come è possibile che il cervello, in apparenza così solido, sia il supporto di cose tanto impalpabili come i pensieri?». Inutile dire che, se l’inizio del libro è semplicissimo, alla fine ci troveremo avvolti da una rete di pensieri altamente complessa, in obbedienza al sapiente precetto di Einstein: «Ogni cosa deve essere resa quanto più semplice possibile, ma non ancora più semplice». Così, in questa rete, riconosceremo i famosi «frames» che Minsky aveva già introdotto in anni passati, ma anche ... discussioni che coinvolgono Freud o Piaget. Alla fine, ci accorgeremo che questo libro tiene fede, sino ai limiti di ciò che oggi si può dire nella scienza, alla sua scommessa iniziale: render conto di come funziona il cervello, questa «vasta società organizzata», e di conseguenza la nostra mente, se è vero, come Minsky afferma, che «la mente è semplicemente quello che fa il cervello». La società della mente è apparso per la prima volta nel 1985.

Sono pochi gli autori che, con un'unico testo che raccoglie il loro lavoro di anni, hanno fondato un'intero settore scientifico; tra questi per la chimica vi è Linus Pauling, per l'Intelligenza Artificiale (IA) è questo libro di uno dei "padri fondatori" e co-fondatore con Seymour Papert dello storico  MIT-AI Lab.

Il modello della mente come una società di aggregati di agenzie che utilizzano agenti per svolgere ogni tipo di processo mentale è la summa cognitivista-connessionista della mente modellata come un programma di computer, perfettamente in linea con l'approccio pragmatico dell'IA. L'epistemologia di Minsky è esplicita ed è definita dall'identificare la mente come ciò che fà il cervello e il cervello come una macchina, dalla sua definizione di IA:

Intelligenza Artificiale: Il campo di ricerca che ha a che fare con macchine che fanno cose che la gente considera intelligenti. Non vi è una chiara distinzione tra psicologia e IA perchè il cervello stesso è una sorta di macchina.

L'architettura gerarchica del modello a agenti/agenzie/società di Minsky è di tipo misto simbolica-connessionista in un  patchwork di sottoreti interconnesse in vari modi risultante in un sistema altamente cooperativo piuttosto che un unico grande sistema centrale.

I tre livelli dell'architettura del modello sono:

Agente: ogni parte o processo della mente che in se stesso è sufficientemente semplice da capire - anche se le interazioni (ovvero gli effetti di una parte del sistema su un'altra) tra gruppi di agenti possono produrre fenomeni che sono molto più difficili da capire.

Agenzia: ogni gruppo di parti considerato nei termini di cosa può realizzare come unità, non considerando cosa ognuna delle sue parti può realizzare per se stessa.

Società: una organizzazione di parti della mente.

Ad esempio si considera come costruire una torre sovrapponendo dei blocchi sparsi:


per fare questo un agente, COSTRUTTORE invoca tre altri agenti INIZIA AGGIUNGI FINE:


l'agente AGGIUNGI, ad esempio, è composto dagli altri agenti TROVA, PRENDI, METTI che a loro volta includono VEDI AFFERRA MUOVI e LASCIA:


il compito di COSTRUTTORE si avvale quindi di una serie di agenti inseriti in una burocrazia, o in un albero gerarchico:

la distinzione tra agenti e agenzie dipende dal punto di vista da cui si osserva l'albero gerarchico di processo: COSTRUTTORE, visto come un agente, è semplicemente un agente che attiva gli agenti alle sue dipendenze; visto da fuori, come agenzia, COSTRUTTORE fà quello che i suoi agenti fanno aiutandosi l'uno con l'altro:

Come fà notare Minsky sono gli agenti a livello più basso, come VEDI, AFFERRA etc. quelli di più difficile implementazione. VEDI, ad esempio, contiene una moltitudine di sottoagenti estremamente sofisticati che devono fare, tra l'altro, riconoscimento dell'immagine, gestione dei sensori visivi, riconoscimento della posizione spaziale etc mentre AFFERRA, in una tipica implementazione robotica, è una sofisticata gestione di sistemi elettro-motori. L'implementazione di AGGIUNGI quindi equivale ad una complessa moltidune di operazioni elettro-visivo-meccaniche per vedere dove è un blocchetto, riconoscerlo, elaborare la sua posizione, afferrarlo, muoverlo verso la torre in costruzione sapendola riconoscerla e posizionarla ed infine posizionare il blocchetto sopra la torre e lasciarlo, tutte operazioni che coinvolgono operazioni hardware-software di un sistema robotico. COSTRUTTORE, al contrario, è relativamente semplice in quanto consiste semplicemente in una routine di programma che deve solo iniziare l'operazione quando richiesto da agenti/agenzie superiori, eseguirla fino al numero di blocchi voluto ed infine fermare tutti i suoi sottoagenti.

Con un'architettura di questo genere Minsky, con decine di splendidi esempi, introducendo modelli per la memoria, le emozioni, la coscienza, il ragionamento etc. riesce a rispondere a domande quali:

Funzioni: Come lavorano gli agenti?
Personificazione: Di che cosa sono fatti?
Interazione: Come comunicano?
Origini: Da dove viene il primo agente?
Ereditarietà: Siamo tutti nati con gli stessi agenti?
Apprendimento: Come creiamo nuovi agenti e cambiamo i vecchi?
Carattere: Quali sono i tipi più importanti di agenti?
Autorità: Cosa succede quando gli agenti sono in disaccordo?
Intenzione: Come possono queste reti di agenti volere e desiderare?
Competenza: Come possono gruppi di agenti fare quello che agenti separati non possono?
Identità: Che cosa dà agli agenti unità o personalità?
Significato: Come possono capire qualcosa?
Sensibilità: Come possono avere sensazioni ed emozioni?
Consapevolezza: Come possono essere consci o auto-coscienti?

Il risultato è veramente notevole, considerando che - di fatto - ciò di cui stiamo parlando sono routines di programma che girano su un hardware; d'altra parte un cognitivista seguace di IA potrebbe ugualmente affermare che anche nella mente naturale biologica "non sono altro" che impulsi elettrici che girano su circuiti assonici e/o dendritici tra varie sottoreti cerebrali.

Nei vari modelli introdotti nell'architettura generale Minsky tiene conto, ad esempio, dei lavori sull'apprendimento e sviluppo mentale del bambino di Piaget, riassunto nel:

Principio di Papert: alcuni tra i passi più cruciali nella crescita mentale sono basati non semplicemente nell'acquisire nuove capacità, ma nell'acquisire nuovi modi di amministrare cosa già conosciamo.


oppure della tradizione di prima e seconda cibernetica sulle proprietà emergenti di un sistema complesso e del ruolo dell'osservatore, da lui riassunte - in modo significativo, nel termine Gestalt (forma, schema, rappresentazione), con una visione "positivista":

Gestalt: l'inaspettata emergenza, in un sistema complesso, di un fenomeno che non sembrava inerente nelle parti separate del sistema. Questi fenomeni  "emergenti" o "collettivi" mostrano che "il tutto è maggiore della somma delle sue parti". Tuttavia, ulteriori ricerche comunemente mostrano che tale fenomeno può essere spiegato completamente una volta che si tiene in conto anche dell'interazione di quelle parti - così come le peculiarità e le carenze nelle percezioni e aspettative proprie dell'osservatore. Non sembra quindi che ci sia nessun principio importante comune ai fenomeni che, di volta in volta, sono stati considerati "emergenti" - a parte la contemporanea inabilità al capirli. Quindi, le visioni "olistiche" tendono a diventare degli handicap scientifici quando indeboliscono la nostra determinazione ad estendere i confini della nostra comprensione.

In una visione di questo tipo - necessariamente - molti dei termini cari alla storia della psicologia diventano semplicemente dei miti:


intelligenza: mito per cui si ritiene che qualche singola entità o elemento è responsabile per la qualità dell'abilità di una persona a ragionare. Preferisco pensare a questa parola come non rappresentativa di qualche particolare potere o fenomeno, ma semplicemente come tutte le abilità mentali che, in un particolare momento, ammiriamo ma ancora non capiamo.

è da notare che una delle migliori definizioni di intelligenza per la mente naturale biologica è quella di capacità di prendere decisioni e comportamenti (in senso individuale, di gruppo o per la specie) adeguati (che in generale significa per la sopravvivenza) sulla base delle esperienze passate, del contesto/ambiente e in presenza di dati insufficienti o contrastanti. Questo comporta spesso l'utilizzo di una serie di capacità mentali di intelligenza quali la deduzione e l'inferenza logica e la creatività.
In generale, qualsiasi programma in presenza di dati insufficienti o contrastanti si "blocca" o li sostituisce con dati casuali o pseudo-casuali.

coscienza: il mito per cui la mente umana sarebbe consapevole (auto-conoscente) , nel senso di percepire cosa succede dentro di essa

introspezione: il mito per cui la nostra mente possieda la capacità di percepire direttamente o di apprendere le sue stesse operazioni

intuizione: il mito che la mente possieda qualche diretta (e quindi inesplicabile) capacità di risolvere problemi o percepire verità

metafora: il mito per cui vi è una distinzione chiara tra rappresentazioni che sono "realistiche" e quelle che sono meramente allusive


Nella gerarchia di agenti-agenzia-società di Minshy sarebbe interessante vedere se, ad un certo numero di livelli e di agenzie, possa emergergere una "massa critica", ovvero se introducendo milioni di agenti e centinaia di migliaia di agenzie connesse e distribuite possano emergere proprietà inaspettate - come nella mente biologica - ad esempio che, assegnato un compito a una  tale macchine, lei risponda: "No, non ne ho voglia".
Una tra le maggiori differenze dei modelli cognitivisti-computazionali-rappresentazionali-connessionisti con la mente biologica è che nei primi la mente è data, non evoluta nè adattata. Mentre la mente artificiale viene accesa ad un dato istante con il suo harware, quella biologica ha un'ontogenesi e una filogenesi, ed emerge come co-dipenza tra "quello che fra il cervello" e l'esperienza del mondo e dell'ambiente della sua ontogenesi. Mente ed esperienza del mondo nascono e si sviluppano - coemergono - insieme.
Particolarmente importante per questa considerazione, come discusso da Varela, Rosh e Thompsonsono due aspetti che risultano dal modello di Minsky, e più in generale da ogni modello cognitivista-connessionista:
  • l'assenza del Sé
Per Minsky il Sé è definito come:

Sè: in questo libro, quando scritto "Sé", il mito per cui ognuno di noi contiene qualche parte speciale che incarna l'essenza della mente. Quando scritto come "sé", la parola ha il senso ordinario di individualità di una persona.

In ogni modello della mente il Sé, l'IO non si trova, non c'è, compresa una parte importante del Sé: la coscienza.
  • la divisione tra scienza ed esperienza umana
Nelle ultime pagine di La Società della Mente Minsky esamina la nozione di libera volontà di scelta, con la quale intende "un Ego, Sé, IO o centro finale di controllo, dal quale scegliamo cosa fare ad ogni bivio nel corso del tempo".
Per Minsky la libertà di scelta è un mito, in particolare:


libertà di scelta: mito per cui la volontà umana è basata su qualche terza alternativa tra la causalità e il caso.

La conclusione di Minsky al riguardo è:

Non importa che il mondo fisico non abbia spazio per la libertà della volontà: questo concetto è essenziale ai nostri modelli del regno mentale. Troppo della nostra psicologia è basato su di esso per poterlo abbandonare. Siamo virtualmente costretti a mantenere questa credenza, anche se sappiamo che è falsa.

Con queste conclusioni riguardò al Sé, che Minsky - a differenza di quasi tutta la tradizione occidentale - ha il pregio di non ignorare, la scienza e l'esperienza umana si dividono, e non c'è modo di rimetterle insieme. La scoperta della scienza cognitiva di una mente priva di Sé viene ignorata, come nel caso di Hume nel Trattato sulla Natura Umana, oppure viene postulato come un IO trascendentale, come nel caso di Kant.
Per ritrovare una metodologia che possa riconciliare l'assenza di un Sé della mente con l'esperienza umana e il senso comune è necessario uscire dalle tradizioni e dai paradigmi occidentali per entrare in quelle discipline e tradizioni, tipicamente orientali, che da secoli hanno indagato e praticato su queste questioni.


 

 

 

 

 

MIT Media Lab