mercoledì 26 febbraio 2014

il silenzio del Tao

L'ottavo libro di Carlos Castaneda, del 1987, approfondisce ulteriormente il modello della percezione e consapevolezza umana descritta come un uovo luminoso, e le tecniche con cui i veggenti possono manipolarla per entrare in stati di coscienza sempre più alieni da questo mondo.

Prefazione

I miei libri sono il resoconto veritiero del metodo d'insegnamento adottato da don Juan Matus, uno sciamano indio del Messico, per aiutarmi a comprendere il mondo della magia.
In questo senso, i miei libri sono il resoconto di un processo infieri, che per me diventa sempre più chiaro con lo scorrer del tempo.
Ci vogliono anni di esercizio per apprendere a muoverci con intelligenza nel mondo della vita di ogni giorno. Il nostro insegnamento - sia di semplici argomentazioni, sia di soggetti formali - é rigoroso perché la conoscenza che cerchiamo di impartire è molto complessa.
Gli stessi criteri si applicano nel mondo degli stregoni: la loro scuola, che si fonda su insegnamenti orali e manipolazioni della consapevolezza, benché diversa dalla nostra, è altrettanto rigorosa perché la loro conoscenza è altrettanto - se non più complessa.

Introduzione

In diverse occasioni don Juan tentò di dare un nome alla sua conoscenza, a mio beneficio.
A suo parere il termine più adatto era nagualismo, anche se un po' oscuro.
Dire semplicemente «conoscenza» rendeva tutto troppo vago, e chiamarla "negromanzia" era spregiativo. «La padronanza dell'intento» era troppo astratto e «la ricerca della libertà totale» troppo lungo e metaforico.
Alla fine, non riuscendo a trovare un lemma più appropriato, la chiamò "magia", pur ammettendo una certa inaccuratezza.
Nel corso degli anni egli mi aveva fornito varie definizioni della magia, ma aveva sostenuto che le definizioni cambiano con il crescere della conoscenza.
Verso la fine del mio apprendistato, mi sentii in grado di apprezzare una definizione più chiara, così gli posi la domanda ancora una volta.
«Dal punto di vista dell'uomo comune» disse don Juan «la magia è un insieme di sciocchezze, oppure uno spaventoso mistero che travalica la sua comprensione.
E qui non sbaglia - non perché sia una verità assoluta, ma perché l'uomo comune non ha l'energia sufficiente per trattare con la magia.» Fece un attimo di pausa, prima di continuare. «Gli esseri umani nascono con una quantità di energia limitata,» proseguì don Juan «un'energia spiegata sistematicamente a partire dal momento della nascita, in modo da essere usata con il maggior vantaggio dalla modalità del tempo.» «Cosa intendi per «modalità del tempo»?» chiesi io.
«La modalità del tempo è il fascio preciso dei campi d'energia recepiti» mi rispose. «Credo che la percezione umana sia cambiata nel tempo.
Il tempo reale decide il modo; il tempo decide quale fascio preciso di campi d'energia sarà usato, scegliendolo tra una quantità incalcolabile.
Tutta l'energia a nostra disposizione viene assorbita dal contatto con la modalità del tempo - quei pochi, scelti campi di energia - non lasciandoci nulla che possa esserci di aiuto a usare un qualsiasi altro campo di energia.» Con un impercettibile inarcare delle sopracciglia mi spronava a considerare il tutto.
«Ecco cosa intendo quando dico che all'uomo comune manca l'energia necessaria per aver a che fare con la magia» continuò. «Se usa solo l'energia che ha, non può percepire i mondi creati dagli stregoni. Gli stregoni, infatti, per farlo, si servono di un insieme di campi di energia che di solito non sono usati. Naturalmente, se l'uomo comune intende percepire quei mondi e comprendere la percezione dei maestri dell'occulto, deve per forza usare lo stesso insieme usato da quelli, e ciò non è materialmente possibile, in quanto egli ha già spiegato tutta la sua energia.» S'interruppe, quasi cercasse la parola più appropriata a esprimere il concetto.
«Mettiamola così» riprese. «Non è tanto che si apprenda la magia col tempo, quanto che si apprenda ad accumulare energia. Questa energia ti metterà in grado di maneggiare alcuni campi di energia che al momento ti sono inaccessibili. La magia è dunque l'abilità di usare campi di energia non necessari per la percezione del mondo di tutti i giorni, che noi conosciamo.
La magia è uno stato di consapevolezza.

E' l'abilità di concepire qualcosa che sfugge alla percezione ordinaria.»
«Quel che ti ho mostrato,» continuò don Juan «tutto ciò che ho sottoposto alla tua attenzione, non era che un accorgimento per convincerti che c'è più di quanto appaia a un primo sguardo.
Non c'è bisogno che venga qualcuno a insegnarci la magia, perché in realtà non c'è nulla da imparare.
Occorre solo che un maestro ci convinca dell'incalcolabile potere che abbiamo sulla punta delle dita.
Che strano paradosso! Ogni guerriero sulla via della conoscenza crede, una volta o l'altra, di star acquisendo cognizioni magiche, ma tutto quello che fa è lasciarsi convincere del potere nascosto dentro di sé, che riuscirà a raggiungere.» «E' quel che stai facendo con me, don Juan? Mi stai convincendo?» «Proprio così. Sto cercando di convincerti che puoi raggiungerlo, quel potere. Ci sono passato anch'io. Ed ero duro da convincere, come te ora.» «Una volta raggiunto, cosa ne facciamo esattamente, don Juan?» «Nulla. Una volta raggiunto, esso si servirà per conto suo dei campi di energia che sono a nostra disposizione, ma inaccessibili. Questa è magia, come ho già detto. Allora cominciamo a vedere - cioè, a percepire - qualcos'altro, non immaginario, ma reale e concreto.
Così cominciamo a conoscere senza dover usare le parole.
Quel che ognuno di noi fa con l'accresciuta percezione, con quella conoscenza silenziosa, dipende dal carattere individuale.» In una diversa occasione, mi diede una spiegazione di altro genere. Stavamo discutendo di tutt'altro quando, di punto in bianco, cambiò argomento e cominciò a raccontarmi una barzelletta.
Rise, e con mano leggera mi diede dei colpetti sulla schiena, fra le scapole, quasi fosse affetto da grande timidezza e ritenesse molto sfacciato da parte sua toccarmi.
La mia reazione nervosa lo fece ridacchiare.
«Come sei sensibile» disse, scherzando, e mi assestò una pacca sulla schiena con maggior forza.
Mi ronzarono le orecchie.
Per un istante mi mancò il fiato, quasi mi avesse colpito ai polmoni.
Respiravo con grande fatica, eppure, dopo aver tossito più volte, come soffocando, le mie vie nasali si aprirono e mi ritrovai a fare dei respiri profondi, rasserenanti.
Provavo una tale sensazione di benessere che non me la presi affatto con lui per il colpo che mi aveva dato, benché fosse stato forte e inaspettato.
Poi don Juan iniziò una spiegazione davvero notevole.
In termini chiari e concisi mi fornì una definizione più precisa della magia.
Ero entrato in un meraviglioso stato di consapevolezza! Avevo una lucidità di mente tale che riuscii a comprendere e assimilare tutto quello che don Juan stava dicendo.
Diceva che nell'universo c'era una forza indescrivibile e smisurata che gli stregoni chiamavano intento, e che in assoluto tutto quel che esiste nell'intero cosmo è unito all'intento da un anello di collegamento.
Gli stregoni o guerrieri, come li chiamava lui, si dedicavano a discutere, capire e utilizzare quell'anello di collegamento.
Erano particolarmente occupati a liberarlo dagli stordimenti provocati dalle ordinarie preoccupazioni della vita quotidiana.
La magia a questo livello poteva definirsi come il procedimento di ripulitura del proprio anello di collegamento con l'intento.
Don Juan sottolineò che era molto difficile capire e imparare a praticare questo "procedimento di ripulitura".
Per questo gli stregoni dividevano il loro insegnamento in due categorie.
Una comprendeva le lezioni per lo stato di consapevolezza della vita di ogni giorno, nelle quali il procedimento si presentava sotto alterate spoglie. L'altra comprendeva le lezioni per gli stati di consapevolezza intensa, come quello che stavo sperimentando al momento, nelle quali gli stregoni raggiungevano la conoscenza direttamente dall'intento, senza fastidiosi interventi della lingua parlata.
Don Juan spiegò che, usando la consapevolezza intensa per migliaia di anni di lotte dolorose, gli stregoni avevano acquisito una comprensione specifica dell'intento, e che avevano trasmesso questi nuclei di conoscenza diretta di generazione in generazione, fino al presente.
Disse che era compito della magia prendere questa conoscenza, all'apparenza incomprensibile, e renderla comprensibile ai livelli di consapevolezza della vita di ogni giorno.
Dopo mi chiarì il ruolo della guida nella vita degli stregoni.
Mi spiegò che una guida era chiamata "nagual" e che il nagual era una persona, uomo o donna, con un'energia straordinaria, un maestro dotato di sobrietà, resistenza, fermezza, che i veggenti vedevano come una sfera luminosa formata da quattro comparti, simili a quattro globi luminosi pressati l'uno contro l'altro.
Grazie a questa straordinaria energia, i nagual erano intermediari.
La loro energia permetteva loro di incanalare pace, armonia, allegria e conoscenza direttamente dalla fonte, dall'intento, e di trasmetterle ai loro compagni.
I nagual avevano la responsabilità di fornire ciò che gli stregoni chiamavano "la possibilità minima", la consapevolezza del proprio collegamento con l'intento.
Gli dissi che la mia mente afferrava tutto quello che lui mi stava spiegando e che l'unica parte della sua spiegazione ancora poco chiara era perché mai fossero necessarie due categorie di insegnamento.
Riuscivo a capire con facilità tutto ciò che diceva del suo mondo, mentre egli me l'aveva descritto come un processo irto di difficoltà.
«Ti ci vorrà tutta la vita per ricordare quanto hai appreso oggi» affermò «perché si trattava nella quasi totalità di conoscenza silenziosa. Fra qualche istante avrai dimenticato tutto. E questo uno degli insondabili misteri della percezione.» Don Juan allora mi fece cambiare livello di consapevolezza, dandomi un colpetto sul lato sinistro, proprio all'estremo della gabbia toracica.
All'istante persi la straordinaria chiarezza di mente, e non fui in grado di ricordare di averla mai avuta.
...
Don Juan in persona mi assegnò il compito di scrivere sui presupposti della stregoneria.
Una volta, come per caso, agli inizi del mio apprendistato, mi aveva suggerito di scrivere per utilizzare tutti gli appunti che avevo continuato a prendere.
Avevo accumulato risme su risme di annotazioni, senza mai riflettere su cosa
ne avrei fatto.
Ritenni assurda la sua proposta perché non ero uno scrittore.
«Certo che non sei uno scrittore. Così dovrai ricorrere alla magia. Per prima cosa, dovrai visualizzare le tue esperienze, come se le stessi vivendo un'altra volta, e poi dovrai vedere il testo nel tuo sogno. Per te scrivere non sarà un esercizio letterario, ma una pratica di magia.» Ho scritto così sui presupposti delle arti magiche proprio come mi aveva spiegato don Juan nel corso delle sue lezioni.
Nel suo schema di insegnamento, che era stato sviluppato dagli stregoni dei tempi antichi, c'erano due categorie.
Una, chiamata "insegnamenti per il lato destro", si svolgeva nello stato di consapevolezza normale.
L'altra, chiamata "insegnamenti per il lato sinistro", era messa in pratica solo in stati di consapevolezza intensa.
Le due categorie permettevano ai maestri di avviare i loro adepti in tre campi di specializzazione: la padronanza della consapevolezza, l'arte dell'agguato, la padronanza dell'intento.
Questi tre campi di specializzazione sono le tre incognite che uno stregone si trova ad affrontare nella sua ricerca della conoscenza.
La padronanza della consapevolezza è l'enigma della mente; la perplessità che gli stregoni provano di fronte al mistero e all'estensione stupefacenti della consapevolezza e della percezione.
L'arte dell'agguato è l'enigma del cuore, il dubbio che assale gli stregoni quando scoprono due cose: la prima, che il mondo ci appare inalterabilmente obiettivo e reale grazie alle peculiarità della consapevolezza e della percezione; la seconda, che se vengono in gioco diverse peculiarità di percezione, cambiano nel mondo proprio quelle cose che sembrano obiettive e reali in modo tanto inalterabile.
La padronanza dell'intento è l'enigma dello spirito, o il paradosso dell'astratto - pensieri e azioni dello stregone proiettati al di là della nostra condizione umana.
L'insegnamento di don Juan sull'arte dell'agguato e sulla padronanza dell'intento dipendevano dai suoi insegnamenti della padronanza della consapevolezza che era la base delle sue lezioni e consisteva delle seguenti premesse fondamentali:
1. L'universo è un infinito agglomerato di campi di energia, che somigliano a fili di luminosità.
2. Questi campi di energia, chiamati emanazioni dell'Aquila, s'irradiano da una fonte di proporzioni inimmaginabili, chiamata metaforicamente l'Aquila.
3. Gli esseri umani sono composti anche loro di un incalcolabile numero degli stessi filiformi campi di energia. Queste emanazioni dell'Aquila formano un agglomerato che si manifesta come un globo di luce con braccia laterali, grande quanto una persona, simile a un gigantesco uovo luminoso.
4. Solo una parte piccolissima dei campi di energia all'interno di questo globo luminoso sono illuminati da un punto di intenso splendore situato sulla superficie dell'uovo.
5. La percezione si realizza quando i campi di energia del piccolo gruppo situato intorno al punto d'intenso splendore estendono la propria luce per illuminare identici campi di energia all'esterno dell'uovo. Poiché gli unici campi di energia percettibili sono quelli illuminati dal punto di intenso splendore, quel punto viene chiamato "il punto dove si mette insieme la percezione" o, semplicemente, "il punto di unione".
6. Il punto di unione si può spostare dalla sua posizione abituale sulla superficie del globo luminoso in un'altra, all'interno o all'esterno. Poiché la luminosità del punto di unione può far risplendere qualsiasi campo di energia con cui venga a contatto, ogni volta che si sposta in una nuova posizione illumina immediatamente nuovi campi di energia, rendendoli percettibili.
Questa percezione si chiama vedere.
7. Quando il punto di unione si sposta, rende possibile la percezione di un mondo del tutto diverso, altrettanto obiettivo e reale di quello che percepiamo di solito. Gli stregoni vanno in quell'altro mondo per attingervi energia, potere, soluzioni a problemi generali e particolari, o per trovarsi di fronte all'inimmaginabile.
8. L'intento è la forza diffusa che ci mette in grado di percepire. Noi non acquistiamo consapevolezza perché percepiamo, bensì riusciamo a percepire in conseguenza dell'intrusione e del peso dell'intento.
9. Gli stregoni tendono a raggiungere lo stato di consapevolezza totale per sperimentare tutte le possibilità di percezione che ha l'uomo. Questo stato di consapevolezza implica perfino una morte alternativa.

Un livello di conoscenza pratica faceva parte dell'insegnamento per la padronanza della consapevolezza. A quel livello pratico don Juan m'insegnò i procedimenti necessari a spostare il punto di unione.
I due grandi sistemi escogitati dai veggenti stregoni dei tempi antichi per ottenere lo scopo erano: il sognare, cioè il controllo e l'utilizzazione dei sogni, e l'agguato, cioè il controllo del comportamento.
Spostare il proprio punto di unione era una manovra essenziale che ogni stregone era obbligato ad apprendere.
Alcuni di loro, i nagual, imparavano anche a farlo per gli altri.
Riuscivano a spostare il punto di unione dalla sua collocazione abituale dandogli direttamente un colpo secco con la mano.
Chi lo riceveva, lo sentiva come una pacca sulla scapola destra - benché il corpo non fosse mai neanche sfiorato - e ne risultava uno stato di consapevolezza intensa.
Osservando la tradizione, don Juan effettuò la parte più importante e più drammatica delle sue lezioni, gli insegnamenti per il lato sinistro, esclusivamente in questi stati di consapevolezza intensa.
Per la loro straordinaria qualità, don Juan mi chiese di non discuterne con altri finché non avessimo concluso tutto quello che comprendeva lo schema d'insegnamento dello stregone.
Non mi fu difficile accettare quella richiesta.
In quegli eccezionali stati di consapevolezza le mie capacità di comprendere le istruzioni si accrescevano incredibilmente, ma nello stesso tempo le mie capacità di descrivere o ricordare s'indebolivano.
In quegli stati io agivo con sicurezza e abilità ma non ricordavo nulla di quello che avevo fatto una volta tornato nella mia consapevolezza normale.
Mi ci vollero anni prima di riuscire a effettuare la cruciale trasformazione da consapevolezza intensa a semplice memoria.
La ragione e il buon senso ritardarono questo momento perché si scontravano brutalmente con l'assurda, impensabile realtà della consapevolezza intensa e della conoscenza diretta.
Per anni la confusione conoscitiva che ne derivava mi costrinse a evitare il problema non pensandoci.
Tutto quello che ho scritto sul mio apprendistato stregonesco finora non è stato altro che il resoconto delle lezioni di don Juan sulla padronanza della consapevolezza.
Non ho ancora descritto l'arte dell'agguato o la padronanza dell'intento.
Don Juan m'insegnò i loro princìpi e le loro applicazioni con l'aiuto di due suoi compagni: uno stregone di nome Vicente Medrano e un altro di nome Silvio Manuel, ma qualsiasi cosa io abbia appreso dalle loro lezioni è ancora avvolto in ciò che don Juan chiamava le complicazioni della consapevolezza intensa.
Finora non sono riuscito a scrivere e neanche a pensare coerentemente sull'arte dell'agguato e la padronanza dell'intento.
Ho sbagliato a considerarli argomenti' per la memoria e per il ricordo normale.
Lo sono, ma al tempo stesso non lo sono.
Per porre fine a questa contraddizione non ho discusso gli argomenti in via diretta cosa virtualmente impossibile - ma li ho trattati per via indiretta tramite il tema conclusivo dell'insegnamento di don Juan: le storie degli antichi maestri dell'occulto.
Egli mi raccontò quelle storie per evidenziare quello che definiva il nocciolo astratto delle sue lezioni, ma io non fui in grado di afferrare la natura di quei noccioli astratti nonostante le sue esaurienti spiegazioni che, ora lo so, miravano più ad aprirmi la mente che a spiegare alcunché in modo razionale.
Il suo modo di parlare mi fece credere per molti anni che le sue spiegazioni dei noccioli astratti fossero come dissertazioni accademiche, e tutto quello che fui capace di fare, considerate le circostanze, fu di dare per scontate le sue spiegazioni.
Divennero parte della mia tacita accettazione del suo insegnamento, ma senza una stima completa da parte mia, che era invece essenziale alla loro comprensione.
Don Juan mi presentò tre gruppi di sei noccioli astratti ciascuno, a un livello di complessità crescente.
In questo volume mi sono occupato del primo gruppo che è composto dei seguenti noccioli astratti: le manifestazioni dello spirito, il tocco dello spirito, lo stratagemma dello spirito, la discesa dello spirito, le esigenze dell'intento e la manovrabilità dell'intento.

martedì 25 febbraio 2014

Tao ESPercettivo

Nel 1976 fu pubblicato nei Proceedings of the IEEE - una tra le più importanti riviste di ricerca applicata mondiali - una review di Harold Puthoff e Russell Targ dell'Electronics and Bioengineering Laboratory, Stanford Research Institute, sui risultati di un progetto di ricerca su ESP - percezioni extrasensoriali - durato tre anni, un argomento certamente non convenzionale per il giornale. L'articolo include risultati precedenti degli autori pubblicati nel 1974 su Nature, in assoluto una delle più importanti riviste di ricerca scientifica.





















La ricerca era specificamente dedicata all'esistenza e alle caratteristiche di un canale di trasmissione dell'informazione percepito tramite processi mentali innati, uno studio - condotto in modo rigoroso - perseguito per molti anni principalmente negli Stati Uniti e in Unione Sovietica, come riassunto nell'articolo:
Abstract-For more than 100 years, scientists have anempted to determine the truth or falsity of claims for the existence of a perceptual channel whereby certain individuals are able to perceive and describe remote data not presented to any known sense. This paper presents an outline of the history of scientific inquiry into such so-called paranormal perception and surveys the current state of the art in parapsychological research in the United Stales and abroad. The nature of this perceptual channel is examined in a series of experiments carried out in the Electronics and Bioengineering Labontory of Stanford Research Institute. The perceptual modality most extensively investigated is the ability of both experienced subjects and inexperienced volunteers to view, by innate mental processes, remote geographical or technical targets including buildings, roads, and laboratory apparatus. The accumulated data indicate that the phenomenon is not a sensitive function of distance, and Faraday cage shielding does not in any apparent way degrade the quality and accuncy of perception. On the basis of this research, some areas of physics are suggested from which a description or explanation of the phenomenon could be forthcoming.
In un tipico esperimento uno tra i più famosi parapsicologi mondiali, Uri Geller, fu introdotto in un ambiente schermato e richiesto di percepire del materiale grafico prodotto in diversi ambienti, sia vicini (alcuni metri) sia lontani (decine di metri.
La figura seguente riporta i risultati di sette esperimenti, mostrando sia l'immagine target che la relativa risposta grafica di Geller:
Gli autori citano espressamente come possibile modello di universo per l'esistenza del canale di percezione remota extrasensoriale quello di tipo acausale proposto da C.G. Jung e W. Pauli:
ACAUSALlTY. If natural laws were an absolute truth, then of course there could not possibly be any processes that deviate from it. But since causality is a statistical truth, it holds good only on average and thus leaves room for exceptions which must somehow be experienceable, that is to say, real. I try to regard synchronistic events as acausal exceptions of this kind. They prove to be relatively independent of space and time; they relativize space and time insofar as space presents in principle no obstacle to their passage and the sequence of events in time is inverted so that it looks as if an event which has not yet occurred were causing a perception in the present.
Elaborando una serie di esperimenti propri e di altri autori Puthoff e Targ riuscirono a dare delle stime ed indicazioni sulle proprietà del canale trasmissivo, come il bit-rate e la probabilità di corretta ricezione.
Dal 1972 al 1995 il progetto fu classificato SECRET e compartimentato ad accesso limitato.

INTRODUCTION
BY

This book is a clear, straightforward account of a set of successful experiments that demonstrate the existence of "remote viewing," a hitherto unvalidated human capacity. The conventional and time-honored canons of the laboratory have been observed, aided by our current repertoire of instrumentation, Faraday shielding, specifically generated sets of random numbers, and cathode rays. People - both inexperienced learners as well as those who have previously demonstrated psychic proficiency - have been used as subjects successfully. It is a perfectly regular and normal piece of scientific work, as is the study of communication among bees, the luminescence of fireflies, the way in which frogs discriminate between the sexes, or the scientific study of any new biological phenomena.

Contemporary quantum physics, specific qualities of electromagnetic fields, and advances in brain research not only have determined the experimental methods, but have contributed to the tentative explanations advanced in this book as to how this newly observed ability might operate. As all work following the canons of science must be, the experiments are presented in a form that can be inspected and replicated under the same conditions, and further tested by altering various experimental parameters.

The claimed results are narrow but clear. The particular set of human beings studied have been able to produce formal drawings on paper approximating some distant spatial target mediated only by the independent designation of the target and the concentration and attention of the subject.

In terms of the ordinary type of painstaking, procedures of the scientific method, we should now be well launched into a new era of exploring aspects of the human mind, with which scientists previously have had difficulty in dealing. There have been other thoroughly creditable, conventionally structured experiments before. But these have not received the kind of acceptance normally given within what scientists feel is a wholly rational, totally trustworthy scientific community. In fact, I think it may be fair to say that as the experimental methods to investigate so-called psychic powers have improved, so have the violence of controversy, the proclamations of disbelief, and the accusations of either conscious or unconscious fraud.

These particular experiments do start with several advantages: they come out of physics, popularly believed to be the hardest of the hard sciences; they come out of a respected laboratory; and they do not appear to be the work of true believers who set out to use science to validate passionately held beliefs. Tremendous efforts have been used which far outstrip the normal procedures to guarantee scientific credibility. Perhaps this in itself may make them less easily accepted. For scientists on the whole take each other's word for most of their experiments, and only present their data in completely accessible form when others have failed to replicate their experiments, seldom distrusting the carefulness and honesty of their colleagues.

We may well ask why it is necessary, in studies of this kind, to have at least twice as many safeguards and artificial substitutes for integrity as those usually demanded. Why does the psychic research worker, following ordinary rules, have to anticipate more hurdles than research workers in other controversial fields - such as the study of the inheritance of acquired characters, the existence of eidetic imagery, mind/body relationships postulated for somatotypic studies, or the findings of psychoanalysis. In all of these fields, those who claimed new results have been subjected to enormous academic punishment. They have been tempted to distort or suppress their data. Many have become unscientifically dogmatic and stubborn advocates of their positions. And, occasionally, some have been driven into exile, or even into desperate situations involving suicide, misery, and death.

The scientific world and the literate public have been fully exposed to the intricacies of disputes involving scientific theories so dogmatic as to resemble religious beliefs. Among other topics, they have been treated to diatribes on the impossibility of transmitting acquired characters and to the inextricable associations made between some scientific claim and the sociological platforms of communism, capitalism, fascism, or racism. We have read Double Helix, the accounts of Lysenko, Tempter by Norbert Wiener, and most recently the story of Bill Summerlin in June Goodfield's The Siege of Cancer. We have even read of the early use of the microscope to find miniature horses in horse sperm.

Psychic researchers do, I think, sometimes forget that they are not the only research workers who are subjected to harassment, misquotation, and unfair attack when they challenge old theories and propose new ones. Yet when we examine the history of the last hundred years, in which careful experimentation has been continuously misrepresented and denied, we find many recognized scientists insisting that psychic research should be endlessly repeated because it is not a "recognized area of scientific research." As one person quoted in this manuscript said, "This is the kind of thing that I would not believe in even if it existed." We can easily conclude that this is indeed an area of scientific research more fraught with irrational opposition than most, although hardly more subject to attack than, for example, psychoanalysis.

There are, I think, a series of historical reasons for this. It would be valuable for the open-minded reader to explore some of the historical and cross-cultural backgrounds of psi capacity. It seems to be a very unevenly distributed ability, overtly manifested by only a few individuals. In most societies, no connection is made between these very special unique "sensitives" and the rest of the population. Sometimes, in other societies, the capabilities exhibited by the few individuals are generaised, but if there are a large number of individuals believed to be capable of some exercise of psi - like predicting the future, diagnosing illness, or healing the sick - then the individuals who would normally stand out are simply absorbed into a group of practitioners and their special abilities go unremarked. Other societies outlaw all such behavior as coming from the devil or involving fraud, and here again, both the uniquely gifted and the somewhat gifted will be discouraged.

Furthermore, there is good reason to believe that the practitioner of an uninstitutionaised art-such as a prophet or healer or diagnostician-may have limited understanding or control of his or her special capacities. There is therefore a tremendous temptation to include various kinds of tricks in the practitioner's repertoire, in case the little understood and unreliable power fails. This may be why the tricks of the healer who palms a "pain" by extracting a small crystal from the body of a patient go hand in hand with the demonstration of special healing abilities. The charismatic leader may also substitute oratorial tricks for the spontaneity which won him his original place. The medium who once could easily attain an altered state of consciousness may take along a glove filled with wet sand, in case the spirits fail to arrive. There seems to be a fluctuating, unpredictable quality about these special powers, which may be due to nothing more than the lack of a stable cultural understanding.

In any event, such abilities should probably be classified with all other statistically unusual abilities, such as the amazing aptitudes of some individuals to arouse awe or wonder.

As scientific exploration tells us more about how these capabilities can be disciplined and developed - as mathematical and musical ability have been fostered in the past - many conditions of uncertainty surrounding psi capacity can be removed. For example, the sophistication possessed by one of the subjects mentioned in this book in his describing the necessary conditions for "remote viewing" is particularly striking.

Psychic powers have historically been closely associated with powers of healing, an area where faith and hope and response to placebos means that many diagnoses and many cures remain problematical. Faith in the healer is essential to the ability of the healer to heal, so that both healer and patient are held in a tight circular system which is beneficial to both, and dangerous to break. The vested claims of other kinds of healers inevitably come in conflict with the claims for and by the psychic healer, further obscuring rational discussion. The reception accorded psychoanalysis and all attempts to trace symptoms or their relief to communicative activities is analogous to the reception given to reports of psychic healing - sometimes with amusing overtones such as when the psychoanalyst who holds to a carefully structured theory of what is happening is obliquely credited with "just having generaised therapeutic powers" as a way of explaining the theory away!

Through the ages, deliberate magical procedures have also taken on independent life, and guilds of conjurers and magicians naturally hold vested interests in their bags of tricks. It has become customary to include expert magicians among the groups testing the powers of sensitives, and to give critical comment on the conditions under which experimental proof for some psychic ability is sought. From this has arisen the curious type of criticism which will undoubtedly plague psychic research for a long time to come, that if a particular act could have been performed by a magician, then it could not have been genuinely psychic. But is this any more meaningful than the kinds of doubt which plague the study of the psychosomatic disorders of a single patient who displays a mixed set of symptoms which could be "caused" by several different sets of antecedent circumstances?

I think one of the worst complications arises when both sensitives themselves and their followers advocate psychic energies as being "extrasensory," as proof of life after death, or of the existence of supernatural or transcendent powers of some sort. When they attach such a belief system to something as little-known and undependable as psychic energy, fanaticism is often substituted for open-mindedness. The very tenuousness of the connection, the insistence upon a physical manifestation of a power claimed to be outside the physical universe, means that they must cling to their beliefs more strongly in the face of all evidence to the contrary. When scientific methods were applied to the study of psychic powers, the confrontations became increasingly dogmatic, the arguments became more farfetched, and paranoia on both sides arose.

It is often hard to tell the fanaticism of the true believer from the paranoia of the serious experimenter, as each side feeds upon the other's obstinate insistence. No researcher on psychic abilities can expect to be free of this situation, and certainly the authors of the present book were not immune to misrepresentations by both the credulous and the stubbornly unconvinced.

The SRI research not only displays the elegance characteristic of physical experimentation and theory, but the experimenters have also used an imaginative approach to the human aspects of their problem. Where too many experimenters have put their "subjects" through long, dull, repetitive performances - during which whatever psychic capacities they had first displayed eventually deteriorated - Targ and Puthoff have reaised that boring experiments are unproductive for learners, and resented by sensitives with developed psychic powers. Furthermore, where much of existing research has treated the human participants as either "subjects" (usually thought of as human substitutes for rats persuaded to run a maze) or impostors or self-deluded oddities, Targ and Puthoff have treated both their apprentice learners and experienced sensitives as collaborators and persons whose views were to be respected. It is unique here that the subjects were considered as partners in research. And Puthoff and Targ have been richly rewarded and have gained new insights into the complicated and delicate processes involved in "remote viewing."

In addition to the "remote viewing," in which the participants were most successful in picturing by drawing rather than by verbally describing and interpreting the nature of the "target" areas, the authors present a few cases of precognition - correct viewing of the target area before it is known to the observer who is later to be directed there by randomly chosen instructions. These are the cases which raise the most interesting questions both for the contemporary state of theory in physics, and for the way in which precognition may be expected to function in everyday life. If there is precognition of a future event, such as a train wreck, can death in the wreck be avoided by not taking the train, even though the wreck still occurs? Stated succinctly, does precognition add up to greater freedom of the will, or to a new prescription for despair? There seems little reason to believe that human beings could live with the certain knowledge of disasters which they would have no power to prevent. This issue is not yet faced by the experimenters, but will, I understand, be on their future agenda.

A second issue, which will undoubtedly be picked up by the sensationalist press, and. which flows from the accounts of Soviet interest in mind influencing from a distance, is the prevalence of fantasies surrounding spying and being spied upon. "Could the enemy read the President's mind?" as one newspaper account put it. But such fantasies of omnipotence or total vulnerability to inimical forces have been continuously fed and exaggerated for over a quarter century by the science fiction in which many dilemmas are solved not by science, but by ESP. These fictions represent easy solutions, most likely unreal and certainly regressive and unchallenging in nature.

Thirdly, these experiments are concerned with the ability of participants to penetrate shielding when both participants are willing to do so. But it may prove quite possible that this channel could be as successfully blocked as it can be successfully opened. Experiments which demonstrate that there is a counterpart to the cooperation between the observer at the target and the observer in the shielded laboratory, in which a trained observer at the target blocks the channel, would go a long way to avert all the suggestions that one's mind can be "read," creating the strange paranoia that, in this postwar world of nuclear threat, is inevitably exacerbated in the minds of the public, in the press, and even by fellow scientists.

Finally, I think it is important to reaise that if a certain psi phenomenon can be studied by scientific methods and one or more of its mechanisms involved can be related to existing scientific theory, this does not necessarily lead to a reductionist demolition of the essence of the phenomenon. Explaining the behavior of great artists in terms of childhood trauma, order of birth, or congenital excess of a hormone may advance our knowledge of biological functions far more than it explains a great work of art. Those who wish to relate the human condition to some transcendent power in the universe should be better, not worse, off by an increased knowledge of electromagnetic mechanisms. Science is not simply a device for explaining away events and capacities hitherto thought to be God-given. Because science expands one type of knowledge, it need not denigrate another. All great scientists have understood this. But those who hold a slavish belief in "scientific facts" and who do not understand the glorious uncertainties of modern science are likely to come to small conclusions that are as trivializing as reducing "remote viewing" to repetitious "readings" of a pack of cards.

As I understand contemporary trends in physical science, there is increasing recognition of vast unknown areas which science may explore and assist in ordering, but to which it may never provide anything like complete answers. Such explorations, however, should greatly expand our present paradigms.
-M.M

FORWORD
BY

It was comfortable, human . . . warm, soft-leather chairs in a quiet room away from the lasers and bevatrons and whatever else was going on at SRI's center in Menlo Park. Somehow I hadn't expected it to be human. I had expected to be plugged into a big steel machine with blinking lights, with white-smocked doctors watching dials and frowning over germ-masks at me, because that's what advanced paranormal research is in the movies.

I didn't even change from my civilian clothes. I sat there on the couch and Russell Targ said, "We don't care what you do outside this room, but while you're here, you have permission to be psychic."

He looked at the clock and reached for a miniature tape recorder. "Hal should be there in three minutes," he said, and switched the machine on.

"It is eleven o'clock on Tuesday, July 18, 1975. This is a remote viewing experiment with Richard Bach as the subject, Russell Targ and Hal Puthoff as experimenters."

He clicked it off and handed the machine to me. "You can start anytime. Press the button there on the microphone and tell me where Hal is."

My throat went dry. "You know, Russell, I've never been in Menlo Park before."

"That's okay," he said cheerfully.

He did not tell me to close my eyes or open them or to breathe or meditate or anything of the sort. He just asked me to describe where a man was who had been in this room half an hour before, who was now somewhere 300 square miles in some direction, across, roundabout. Describe where he is, please, in detail. I forced myself quiet. I did not remind him that what he asked was impossible, that psychic things are fun to talk about but to sit in this chair, no matter how comfortable, and somehow leave my body - are you asking me to leave my body, Russell?

Hal's last words as be left to drive to his secret destination were not much help. "See you in the aether," he had said cheerily, and I had laughed. Now he was waiting for me in the aether and I somehow had to find him, no excuses accepted. I closed my eyes and pressed the switch on the microphone.

As soon as the dark fell behind my eyes, I saw city streets, gray watercolors of asphalt and concrete, as though I hovered on some noiseless gliding carpet a thousand feet over the ground.

My imagination, of course. There's no place Hal could be that wasn't on some city block, somewhere. I was just imagining the logical.

But my carpet stopped, and looking over the side I saw Hal's car pull to the curb just past an intersection. "Got him in sight," I said in total fake confidence. It was a surreal television picture that I watched in my mind, and all I had to do was to tell the machine what this other me was sending - no incense required, no dim lights, no magic words.

My other me sometimes sent me wrong pictures. What he showed as a tiny steep-roofed building was in fact a gigantic steep-roofed building, and what he showed as parks were tree-lined residential streets. But everything else he sent turned out to be a clear description of a place I had never been.

Mystics for years have smiled mysteriously and told us that we are limited by the world only because we believe that we are limited by it. That it is all illusion for our eyes to accept.

Today, the teachers who once chalked diagrams of matter in solid unsmashable protons and billiard-ball electrons tell us that matter is energy, that space is time, that an electron is not so much a particle or a wave as it is a field of probabilities, not a thing as much as an energy event. That behind solid matter is nothing touchable at all. Modern physics, in short, is no longer physical, and the new scientific method shows up surrounded in adventure.

It is okay to be right, it is okay to be wrong. Let's pretend it is possible and see what happens. Out of this method we begin to meet aspects of our being that have powers next to which nuclear violences are faint cat's-puffs in the air.

When I first reaised the implications of the Targ/Puthoff research, I was afraid for their lives - these were established scientists who had found a principle that has made secrets impossible. But it is too late now to burn their files; what they've found is already being duplicated and expanded in laboratories and private organizations around the world. As I am coming to know more of the powers that I have, so are thousands of others, so will the readers of this book.

This world-changing, I think, is going to be fun.
-R.B.

lunedì 24 febbraio 2014

le due Verità del Tao


La ricerca del Sé e della Coscienza nella prospettiva enazionista, considerando mondi di coscienza ed esperienza senza fondamento analizzato secondo la tradizione del Buddhismo Abhidharma, contiene entro di sè una radicale distinzione tra la verità ordinaria, mondana, sperimentabile, convenzionale e descrivibile e la verità ultima, analogamente alla distinzione tra la manifestazione del Tao, il Te o The, e la verità ultima, indescrivibile, del Tao, una distinzione tra mondano e trascendente presente in molte tradizioni, come la dualità Ātman/Brahman nell'Induismo e quella Tonal/Nagual nei resoconti di Castaneda:

WORLDS WITHOUT GROUND

The Middle Way

The Two Truths


The Abhidharma analysis of the mind into basic elements and mental factors already contained within it the distinction between two kinds of truth: ultimate truth, which consisted of the basic elements of existence into which experience could be analyzed, and relative or conventional truth, which was our ordinary, compounded (out of basic elements) experience. Nagarjuna invoked this distinction, gave it new meaning, and insisted on its importance.
The teaching of the doctrine by the Buddha is based upon two truths: the truth of worldly convention (samvrti) and the ultimate, supreme truth (paramartha).
Those who do not discern the distinction between these two truths, do not understand the profound nature of the Buddha's teaching.
Relative truth (samvrti, which literally means covered or concealed) is the phenomenal world just as it appears-with chairs, people, species, and the coherence of those through time. Ultimate truth (paramartha) is the emptiness of that very same phenomenal world. The Tibetan term for relative truth, kundzop, captures the relation between the two imagistically; kundzop means all dressed up, outfitted, or costumed-that is, relative truth is sunyata (absolute truth) costumed in the brilliant colors of the phenomenal world.
By now it should be obvious that the distinction between the two truths, like the analysis of the Abhidharma, was not intended as a metaphysical theory of truth. It is a description of the experience of the practitioner who experiences his mind, its objects, and their relation as codependently originated and thus as empty of any actual, independent, or abiding existence. Like the Abhidharma categories, the description also functions as a recommendation and contemplative aid. This can be seen very clearly in the discourse of Buddhist communities. For example, many of the forms that Westerners take as poetry or irrationality in Zen are actually contemplative exercises directing the mind toward codependent emptiness.
The term for relative truth, samvrti, is also often translated as "convention" (within Buddhism as well as by academic scholars), which gives rise to much interpretative confusion. It is important to understand in what sense convention is meant. "Relative" or "conventional" should not be taken in a superficial sense. Convention does not mean subjective, arbitrary, or unlawful. And relative does not mean culturally relative. The relative phenomenal world was always taken to operate by very clear laws regardless of the conventions of any individual or society, such as the laws of karmic cause and effect.
Furthermore, it is very important to understand that the use of convention here is not an invitation to decenter the self and/or world into language as is so popular at present in the humanities. As the founder of the Gelugpa lineage in Tibetan Buddhism puts it, "... since nominally designated things are artificial, that is, established as existent in conventional terms, there is no referent to which names are attached which (itself) is not established as merely conventionally existent. And since that is not to say that in general there is no phenomenal basis for using names, the statement of the existence of that (conventional referent) and the statement that (all things) are mere nominal designations are not contradictory." Thus in Buddhism one can perfectly well make distinctions in the relative world between true statements and false ones, and it is recommended that one make true ones.
The sense in which the things designated, as well as the designations, are only conventional may be explained by an example: when I call someone John, I have the deep assumption that there is some abiding independent thing that I am designating, but Madhyamika analysis shows there to be no such truly existing thing. John, however, continues to act just the way a perfectly good designatum is supposed to, so in relative or conventional truth he is indeed John. This claim may remind the reader of our discussion of color. Although the experience of color can be shown to have no absolute ground either in the physical world or the visual observer, color is nonetheless a perfectly commensurable designable. Thus such scientific analysis can perfectly well be joined by the far more radical presentation of groundlessness in the Madhyamika.
Because this relative, conventional, codependently originated world is lawful, science is possible-just as possible as daily life. In fact, perfectly functional pragmatic science and engineering are possible even when they are based on theories that make unjustifiable metaphysical assumptions-just as daily life continues coherently even when one believes in the actual reality of oneself. We offer the vision of enactive cognitive science and of evolution as natural drift neither as a claim that this is the only way science can be done nor as a claim that this is the very same thing as Madhyamika. Concepts such as embodiment or structural coupling are concepts and as such are always historical. They do not convey that at this very moment - personally - one has no independently existing mind and no independently existing world.
This is a crucially important point. There is a powerful reason why some Madhyamika schools only refute the arguments of others and refuse to make assertions. Any conceptual position can become a ground (a resting point, a nest), which vitiates the force of the Madhyamika. In particular, the view of cognition as embodied action (enaction), although it stresses the interdependence of mind and world, tends to treat the relationship between those (the interaction, the action, the enaction) as though it had some form of independent actual existence. As one's mind grasps the concept of enaction as something real and solid, it automatically generates a sense of the other two terms of the argument, the subject and object of the embodied action. (As we shall discuss, this is why pragmatism is also not the same as thing as the middle way of Madhyamika.) We would be doing ii great disservice to everyone concerned - mindfulness/awareness practitioners, scientists, scholars, and any other interested persons - were we to lead anyone to believe that making assertions about enactive cognitive science was the same thing as allowing one's mind to be experientially processed by the Madhyamika dialectic, particularly when this is combined with mindfulness/awareness training. But just as the Madhyamika dialectic, a provisional and conventional activity of the relative world, points beyond itself, so we might hope that our concept of enaction could, at least for some cognitive scientists and perhaps even for the more general milieu of scientific thought, point beyond itself to a truer understanding of groundlessness.

Tao visto dal cielo

This view of the twilight sky and Martian horizon taken by NASA's Curiosity Mars rover includes Earth as the brightest point of light in the night sky at a distance of 160 million kilometers.
Image Credit: NASA/JPL-Caltech/MSSS/TAMU

http://www.nasa.gov/mission_pages/msl/

mercoledì 19 febbraio 2014

il Te del Tao: LXVIII - RENDERSI EGUALE AL CIELO


LXVIII - RENDERSI EGUALE AL CIELO

Chi ben fa il capitano non è irruente,
chi ben guerreggia non è impetuoso,
chi ben vince il nemico non dà battaglia,
chi bene adopera gli uomini se ne pone al di sotto:
questa è la virtù del non contendere,
questa è la forza dell'adoprar gli uomini,
questo è rendersi eguale al Cielo,
il culmine per gli antichi.

martedì 18 febbraio 2014

Ta000

L'ultimo libro di Roberto Saviano descrive in dettaglio uno dei maggiori processi dinamici globali che stà distruggendo l'intero pianeta, dall'economia criminale a interi territori a milioni di singoli individui.

Nessuna paura che mi calpestino.
Calpestata, l’erba diventa un sentiero.
BLAGA DIMITROVA

Coca # 1

La coca la sta usando chi è seduto accanto a te ora in treno e l’ha presa per svegliarsi stamattina o l’autista al volante dell’autobus che ti porta a casa, perché vuole fare gli straordinari senza sentire i crampi alla cervicale. Fa uso di coca chi ti è più vicino. Se non è tuo padre o tua madre, se non è tuo fratello, allora è tuo figlio. Se non è tuo figlio, è il tuo capoufficio. O la sua segretaria che tira solo il sabato per divertirsi. Se non è il tuo capo, è sua moglie che lo fa per lasciarsi andare. Se non è sua moglie è la sua amante, a cui la regala lui al posto degli orecchini e meglio dei diamanti. Se non sono loro, è il camionista che fa arrivare tonnellate di caffè nei bar della tua città e non riuscirebbe a reggere tutte quelle ore di autostrada senza coca. Se non è lui, è l’infermiera che sta cambiando il catetere di tuo nonno e la coca le fa sembrare tutto più leggero, persino le notti. Se non è lei, è l’imbianchino che sta ritinteggiando la stanza della tua ragazza, che ha iniziato per curiosità e poi si è trovato a fare debiti. Chi la usa è lì con te. È il poliziotto che sta per fermarti, che tira da anni e ormai tutti se ne sono accorti e lo scrivono in lettere anonime che mandano agli ufficiali sperando che lo sospendano prima che faccia cazzate. Se non è lui, è il chirurgo che si sta svegliando ora per operare tua zia e con la coca riesce ad aprire anche sei persone in un giorno, o l’avvocato da cui devi andare per divorziare. È il giudice che si pronuncerà sulla tua causa civile e non ritiene questo un vizio, ma solo un aiuto a godersi la vita. È la cassiera che ti sta dando il biglietto della lotteria che speri possa cambiare il tuo destino. È l’ebanista che ti sta montando un mobile che ti è costato lo stipendio di un mese. Se non è lui, a usarla è il montatore venuto a casa tua a metter su l’armadio Ikea che da solo non sapresti assemblare. Se non è lui, è l’amministratore di condominio del tuo palazzo che sta per citofonarti. È l’elettricista, proprio quello che ora sta cercando di spostarti la presa nella stanza da letto. O il cantautore che stai ascoltando per rilassarti. Usa coca il parroco da cui stai andando per chiedere se puoi cresimarti perché devi battezzare tuo nipote, ed è stupito che tu non l’abbia ancora preso, quel sacramento. Sono i camerieri che ti serviranno al matrimonio di sabato prossimo, se non sniffassero non riuscirebbero ad avere in quelle gambe così tanta energia per ore. Se non sono loro, è l’assessore che ha appena deliberato le nuove isole pedonali, e la coca gliela danno gratis in cambio di favori. La usa il parcheggiatore, che ormai sente l’allegria solo quando tira. È l’architetto che ha messo a nuovo la tua villetta delle vacanze, ne fa uso il postino che ti ha recapitato la lettera con il tuo nuovo bancomat. Se non è lui, è la ragazza del call center, che ti risponde con la voce squillante e chiede in cosa può esserti utile. Quell’allegria, uguale a ogni telefonata, è effetto della polvere bianca. Se non è lei, è il ricercatore che sta seduto ora a destra del professore e aspetta di farti l’esame. La coca l’ha innervosito. È il fisioterapista che sta cercando di metterti a posto il ginocchio, a lui invece la coca lo rende socievole. È l’attaccante che ne fa uso, quello che ha segnato un gol rovinandoti la scommessa che stavi vincendo a pochi minuti dalla fine della partita. Usa coca la prostituta da cui vai prima di tornare a casa, quando devi sfogarti perché non ne puoi più. Lei la coca la prende per non vedere più chi le è davanti, dietro, sopra, sotto. La prende il gigolo che ti sei regalata per i tuoi cinquant’anni. Tu e lui. La coca gli dà la sensazione di essere il più maschio di tutti. Usa coca lo sparring partner con cui ti alleni sul ring, per cercare di dimagrire. Se non è lui che ne fa uso, è l’istruttore di equitazione di tua figlia, la psicologa da cui va tua moglie. Usa coca il migliore amico di tuo marito, quello che ti corteggia da anni e che non t’è mai piaciuto. Se non è lui, è il preside della tua scuola. Tira coca il bidello. L’agente immobiliare che sta facendo ritardo proprio ora che eri riuscito a liberarti per vedere l’appartamento. Ne fa uso la guardia giurata, quella che ha ancora il riporto quando ormai tutti si rasano i capelli. Se non lui, il notaio da cui non vorresti mai più tornare, che usa coca per non pensare agli alimenti da pagare alle mogli che ha lasciato. Se non è lui, è il taxista che impreca contro il traffico ma poi torna allegro. Se non è lui, la usa l’ingegnere che sei costretto a invitare a casa perché forse ti aiuta a fare uno scatto di carriera. È il vigile urbano che ti sta facendo una multa e mentre parla suda moltissimo anche se è inverno. Oppure è il lavavetri con gli occhi scavati, che riesce a comprarla chiedendo prestiti, o è quel ragazzo che rimpinza di volantini le auto cinque alla volta. È il politico che ti ha promesso una licenza commerciale, quello che hai mandato in parlamento con i voti tuoi e della tua famiglia ed è sempre nervoso. È il professore che ti ha cacciato da un esame alla prima esitazione. O è l’oncologo da cui stai andando a parlare, ti hanno detto essere il migliore e speri ti possa salvare. Lui, quando tira, si sente onnipotente. O è il ginecologo che sta dimenticando di buttare la sigaretta prima di entrare in stanza e visitare tua moglie che ha le prime doglie. È tuo cognato che non è mai allegro, è il ragazzo di tua figlia che invece lo è sempre. Se non sono loro, allora è il pescivendolo che sistema il pesce spada in bella mostra, o è il benzinaio che sbrodola la benzina fuori dalle auto. Tira per sentirsi giovane, ma non riesce ormai a inserire al suo posto neanche la pistola del distributore. O è il medico della mutua che conosci da anni e ti fa entrare prima senza fare la fila perché a Natale sai cosa regalargli. La usa il portiere del tuo palazzo, ma se non la usa lui allora la sta usando la professoressa che dà ripetizioni ai tuoi figli, l’insegnante di piano di tuo nipote, il costumista della compagnia di teatro che andrai a vedere stasera, il veterinario che cura il tuo gatto. Il sindaco da cui sei andato a cena. Il costruttore della casa in cui vivi, lo scrittore che leggi prima di dormire, la giornalista che ascolterai al telegiornale. Ma se, pensandoci bene, ritieni che nessuna di queste persone possa tirare cocaina, o sei incapace di vedere o stai mentendo. Oppure, semplicemente, la persona che ne fa uso sei tu.

http://www.robertosaviano.com/

lunedì 17 febbraio 2014

il Matto - 0 Major


Attimo per attimo, e ad ogni passo, il Matto si lascia il passato alle spalle. Egli porta con sé null'altro che la propria purezza, la propria innocenza e la propria fiducia, simbolizzate dalle rose bianche che ha in mano. Lo schema del suo abito è composto dai colori di tutti e quattro gli elementi dei tarocchi, per indicare che egli è in armonia con tutto ciò che lo circonda. La sua intuizione funziona al sommo delle sue capacità. In questo momento il Matto ha il sostegno dell'universo per fare questo balzo nell'ignoto. Nel fiume della vita lo attendono avventure su avventure. La carta vuole indicare questo: se hai fiducia nella tua intuizione qui e ora, se ti fidi della tua sensazione di ciò che è giusto, non puoi sbagliare. Le tue azioni possono sembrare “sciocche” agli altri, o perfino a te, se cerchi di analizzarle con la mente razionale. Ma lo zero che il Matto occupa all'interno della numerazione è il numero che non ha numero in cui la fiducia e l'innocenza sono le guide, e non lo scetticismo o le esperienze fatte in passato.

Un Matto è qualcuno che continua ad aver fiducia; un Matto continua a fidarsi in contrasto con tutte le sue esperienze. Tu lo inganni, e lui ha fiducia in te; tu torni a ingannarlo, e lui si fida di te; di nuovo lo inganni, e lui si fida. A quel punto dirai che quella persona è matta, non impara nulla. La sua fiducia è incredibile; la sua fiducia è così pura che nessuno la può corrompere. Sii un matto nel senso taoista o Zen. Non cercare di creare intorno a te un muro di sapere. Qualsiasi esperienza ti coinvolga, lascia che accada, e poi continua a lasciarla andare. Continua senza posa a ripulire la tua mente; continua a morire al passato, in modo da restare nel presente, nel qui e ora, come se fossi appena nato, un infante. All'inizio sarà difficilissimo. Il mondo inizierà ad abusare di te, lascia che accada. Quelle persone sono dei poveretti: anche se vieni ingannato e imbrogliato e derubato, lascia che accada, poiché ciò che realmente ti appartiene non ti può essere portato via, ciò che veramente è tuo non ti può essere rubato da nessuno. E ogni volta che non permetti alle situazioni di corromperti, quella diventa un'integrazione interiore. La tua anima diventerà più cristallizzata.