mercoledì 26 settembre 2012

Tao economico


“Di tutti gli organismi immaginari (draghi, protomolluschi, anelli mancanti, dèi, demoni, mostri marini e così via) il più ottuso è l’uomo economico. È ottuso perché i suoi processi mentali sono tutti quantitativi e le sue preferenze sono transitive. Il modo migliore per comprenderne l’evoluzione è di considerare i problemi di comunicazione che nascono nel contatto tra culture diverse.
Nell’interfaccia tra due civiltà si deve sempre raggiungere un certo grado di comprensione reciproca. Nel caso di due sistemi molto diversi, che condividono pochissime premesse, allestire un terreno comune di comunicazione non è facile e sarà tanto più difficile in quanto in tutte le culture le persone tendono a credere che i loro valori e preconcetti siano ‘veri’ e ‘naturali’. In realtà è probabile che questa preferenza per il proprio sistema culturale sia necessaria e universale. Tuttavia un preconcetto diffuso a livello interculturale e forse universale è la nozione che ‘più’ è più di ‘non tanto’ e che ‘più grande’ è più grande (e probabilmente meglio) di ‘non tanto grande’.
Avviene così che i dilemmi generati dal contatto fra le culture sono spesso risolti concentrando gli sforzi su quella premessa comune su cui è più facile trovarsi d’accordo, sicché l’incontro fra due civiltà è trasformato in una questione di commercio e in una occasione di profitto o in una manovra per il ‘potere’, con l’assunto implicito che l’esito inevitabile sia il dominio di una civiltà sull’altra. Se consideriamo le tragedie che avvengono all’interfaccia tra due culture umane, non sorprende che tragedie simili avvengano all’interfaccia tra società umane ed ecosistemi, con conseguenze di drastica riduzione o di lento deterioramento. Le premesse di questi incontri, quasi sempre semplicistiche, hanno permeato l’interpretazione dei messaggi e condizionato l’osservazione, e si sono via via espresse nel dispiegarsi degli eventi. Le premesse che portarono al conflitto fra i coloni e gli Indiani d’America erano le stesse che portarono alla distruzione delle grandi praterie e che oggi minacciano le foreste pluviali dell’America meridionale e i loro abitanti.
L’alternativa sarebbe una modifica dei nostri modi di vedere che portasse a un’affermazione delle complessità, e a una reciproca integrazione di entrambi i lati di ogni interfaccia. Riduciamo noi stessi a caricature come ‘l’uomo economico’, e abbiamo ridotto a un potenziale patrimonio le altre società e i boschi e i laghi […].
Che cosa ci vuole per reagire alle interfacce in modi più complessi?
Come minimo, sono necessarie impostazioni che affermino la complessità nostra e la complessità sistemica dell’altro, e che propongano la possibilità che le due complessità insieme possano costituire un sistema complessivo, con una rete mentale comune e con elementi di ciò che è necessariamente misterioso. Questa percezione insieme del sé e dell’altro è l’affermazione del sacro.
[…]
Che cosa pensiamo che sia un uomo? Che cosa vuol dire essere umani? Che cosa sono questi altri sistemi con cui entriamo in contatto, e quali relazioni li legano?
Accanto all’enigma [della Sfinge] voglio proporvi un ideale: forse non è raggiungibile, ma almeno è un sogno che possiamo cercare di approssimare. Questo ideale è che le nostre tecnologie, i nostri procedimenti medici e agricoli, e i nostri ordinamenti sociali arrivino ad armonizzarsi con le migliori risposte che sappiamo dare all’enigma della Sfinge.
Vedete, io non penso che un’azione o una parola siano una definizione sufficiente di se stesse; credo invece che un’azione o la targhetta posta su un’esperienza debbano essere viste in un contesto. E il contesto di ciascuna azione è formato dall’intera rete dell’epistemologia e dallo stato di tutti i sistemi implicati, insieme con la storia che ha portato a questo stato. Ciò che crediamo di essere dovrebbe essere compatibile con ciò che crediamo del mondo intorno a noi.
[…]
Per conseguire l’ideale che ho proposto, non dobbiamo far altro che essere coerenti. Ma, ohimè, essere coerenti è difficile e forse impossibile.
[…]
Infine, e qui è la difficoltà, le discipline relative ai nuovi modi di riflessione devono ancora essere definite. Credere che non esiste una mente distinta dal corpo e (naturalmente) un corpo distinto dalla mente, e agire di conseguenza, non significa affrancarsi da ogni limite. Significa accettare una nuova disciplina probabilmente più rigorosa della vecchia.
Questo mi riporta alla nozione di responsabilità. È una parola che di solito non uso, ma qui la voglio usare con tutto il suo peso. Come si deve interpretare la responsabilità di coloro che si occupano dei sistemi viventi, della vasta ed eterogenea folla di entusiasti e di cinici, di generosi e di avidi? Tutti costoro, individualmente o collettivamente, hanno la responsabilità di un sogno, che è poi il modo di porsi di fronte alla domanda: "Che cos'è un uomo, che può conoscere i sistemi viventi e agire su di essi, e che cosa sono questi sistemi, che possono essere conosciuti?". Le risposte a questo duplice enigma devono essere costruite intrecciando insieme la matematica, la storia naturale, l'estetica e anche la gioia di vivere e di amare…”.

Innocence and Experience

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