martedì 12 novembre 2013

i tre Tao complessi: Co-Scienza

Vladimir Kush, Islands of memory
Dei tre sistemi più complessi conosciuti - l'ecosistema planetario, l'universo e il sistema cervello/mente/coscienza/ umano, la coscienza, o più specificamente l'autocoscienza - la coscienza di essere coscienti - ha avuto un lungo sviluppo storico in ambiti molto diversi, dalle neuroscienze alla filosofia sia occidentale che orientale.
In questi due brani, uno di riferimento ai modelli storico-psicologici occidentali e l'altro di resoconto di una tradizione medio-orientale, si può comparare la diversità di visione tipica della descrizione di sistemi altamenti complessi:
Coscienza (ingl. Consciousness; ted. Bewusstsein; fr. Conscience). Il concetto di coscienza si è evoluto parallelamente allo sviluppo della filosofìa, della psicologia e della neurofisiologia. Ciascuna di queste discipline ha di volta in volta messo l'accento sugli aspetti soggettivi, su quelli comportamentali, ο su quelli fisiologici della coscienza, fornendo definizioni parziali e limitate al campo di indagine. In senso moderno, il termine è stato introdotto da G.W. Leibniz che distinse da un lato le petites perceptions, cioè la somma degli stimoli subliminali, e dall'altro l'aperception attraverso cui le percezioni arrivano a livello cosciente. Questa distinzione contiene l'ipotesi di una soglia sensitiva suscettibile di sperimentazione psicofisica, e la separazione tra contenuti psichici avvertiti coscientemente e contenuti preconsci. Nel concetto di aperception è implicita una consapevolezza della propria sensibilità che C.K. Wernicke localizzerà come «organo» nella corteccia cerebrale. Contro l'impostazione di Wernicke che fa della coscienza un'entità a sé, si espresse W. Wundt per il quale, «essendo la coscienza di per sé, per definizione, la premessa di ogni esperienza interiore, essa non può riconoscere immediatamente l'essenza di se stessa». E ancora, siccome «la coscienza consiste nel fatto di constatare in noi stessi certi stati e fenomeni, la coscienza stessa non è uno stato ο condizione suscettibile di separazione da tali processi interiori» (1873-1874). Queste due posizioni sono esemplari per le direzioni assunte dallo studio della coscienza: come fenomeno qualitativo della psiche, ο come entità fisiologica neurofisiologicamente localizzabile.
1. LA STRUTTURA DELLA COSCIENZA. - In ambito neurofisiologico, con lo sviluppo dell'elettroencefalografia e la scoperta delle funzioni del sistema reticolare, cominciò a svilupparsi la tesi che lo stato di veglia, descrivibile con precisi indici fisiologici, coincidesse con la coscienza vera e propria, cioè con Γ autoconsapevolezza. In proposito C.W. Simon e W.H. Emmons scrivono: « La coscienza si riferisce agli stadi di stato vigile durante i quali si hanno vari gradi di consapevolezza degli stimoli esterni, e allo stato di transizione durante il quale stimoli interni, cioè i sogni, sono presenti e sono ricordati» (1956). I tracciati elettroencefalografici permettono di seguire il continuum tra la veglia e il sonno in correlazione con i comportamenti più complessi associati alla coscienza e alla noncoscienza.
G. Benedetti riassume in cinque punti fondamentali la struttura della coscienza: a) la coscienza è il risultato di attività neuroniche complesse che debbono svolgersi selettivamente per l'azione inibitrice contemporanea su altri sistemi neuronici che, funzionando, impedirebbero la selettività delle prime. La selettività si manifesta nell'elettroencefalogramma con i fatti di desincronizzazione; b) gli impulsi che sfociano nel fatto percettivo cosciente si svolgono attraverso circuiti centroperiferici che, attivando la periferia sensoriale, realizzano un feedback centroperiferocentrale; c) per il riconoscimento, nel fatto percettivo entrano in attività zone corticali che conservano la traccia degli avvenimenti passati; d) per giungere alla consapevolezza che quello che sta avvenendo si svolge nella «propria» mente è necessaria l'acquisizione dell'Io, per la quale occorre che entrino in attività le zone encefaliche che assicurano il cosiddetto «schema corporeo»; e) l'attività dell'analisi percettiva di queste afferenze a livello corticale presuppone la loro integrazione in schemi ideoverbali che approdano al linguaggio. A questa descrizione neurofisiologica, G. Benedetti aggiunge una definizione fenomenologica della coscienza centrata su tre componenti fondamentali: a) la consapevolezza della sensibilità; b) la consapevolezza di sé con percezione interna organizzata in un complesso stabile che è l'Io; c) la capacità di questo Io di estendersi mediante i processi mnemonici nel passato, e mediante quelli di anticipazione nel futuro (1969).
I contributi del comportamentismo e della psicologia sperimentale hanno introdotto una linea di tendenza che approda a una definizione della coscienza in termini operativi, come è quella di J.A.M. Fredericks secondo la quale la coscienza è « un processo psicofisiologico complesso che si manifesta con la consapevolezza che ha un individuo della propria identità, del proprio passato e della propria situazione percettiva ed emozionale; la coscienza è inoltre caratterizzata dagli aspetti oggettivi del comportamento ed è biologicamente definibile come un fenomeno che garantisce un processo continuo ed adeguato di informazione e di adattamento tra l'Io soggettivo, il sistema nervoso e l'ambiente percettivo» (1969). A partire da questa definizione Fredericks distingue gli «stati» dai «contenuti» di coscienza, dove per stati si intende il continuum dei livelli di attivazione (v.) che possono essere studiati sia sulla base delle strutture anatomiche che fungono da mediatori, sia da misure fisiologiche come l'elettroencefalogramma, i potenziali evocati, il riflesso psicogalvanico, sia da indici comportamentali che correlano i livelli di attivazione con le prestazioni nei compiti di vigilanza, attenzione e detenzione. Per contenuti, invece, si intendono quei fenomeni, studiati nel passato con il metodo dell'introspezione e oggi con l'approccio sperimentale, che costituiscono l'oggetto dell'attivazione coscienziale.
2. IL CAMPO DI COSCIENZA E LA VIGILANZA. - La coscienza dischiude un campo sperimentale le cui strutture sono state descritte da H. Ey et al. in riferimento: «a) all'atto fondamentale che apre gli occhi del soggetto sul mondo e lo mette in condizione di trovarsi di fronte ad esso, cioè di dividere la propria esperienza in due categorie: il soggettivo e l'oggettivo; b) all'atto con cui il soggetto si introduce nella propria esperienza in quanto riesce a distinguere l'immaginario dal reale nel proprio spazio "antropologico", cioè nella sua rappresentazione; c) all'atto con il quale il soggetto dispone la propria presenza al mondo senza lasciarsi fatalmente trasportare in un passato ormai trascorso, né trascinare verso un avvenire aperto dal desiderio» (1979). Questa nozione si è rivelata utile in sede clinica per l'inquadramento dei disturbi della coscienza, perché combina il riferimento fisiologico con l'esperienza vissuta e descritta a livello fenomenologico, consentendo il confronto tra la descrizione soggettiva e l'osservazione oggettiva del clinico. Le nozioni di « campo» ο «scena » erano già state introdotte da Wernicke e da K. Jaspers, ma il primo solo sul versante fisiologico e il secondo su quello fenomenologico, quindi in modo tale da non consentire un confronto tra il momento autodescrittivo e l'osservazione dall'esterno.
Lo strutturarsi del campo avviene, secondo Ey, in base allo stato di veglia con particolare attenzione alla funzione della vigilanza che indica lo stato coscienziale ottimale per la prestazione di compiti determinati, grazie alla messa in funzione di specifici meccanismi di detenzione e selezione degli stimoli che poi, attraverso l'attenzione, vengono immagazzinati (storage) nei depositi della memoria a breve ο a lungo termine (v. MEMORIA). Lo stato di vigilanza è in stretto rapporto con i processi facilitanti e inibenti interposti fra il tronco cerebrale e la corteccia. Trattandosi di una funzione fisiologica, la vigilanza può subire modificazioni per effetto della fatica e della prostrazione fisica, ο a causa di lesioni focali ο diffuse del cervello. Letta in chiave gestaltica, la vigilanza struttura il campo di coscienza nella relazione figurasfondo, dove alcuni oggetti sono percepiti in modo chiaro e nitido rispetto agli altri presenti nel campo di coscienza, ma non focalizzati. In ordine alla vigilanza si parla anche di ampiezza ο di restringimento del campo di coscienza nel senso che una vigilanza rivolta intensamente a un oggetto funge da schermo per tutti gli altri stimoli ambientali che possono disturbarla ο deviarla. In questo caso si parla di restringimento del campo di coscienza, mentre quando la vigilanza è fluttuante e distesa, senza una particolare concentrazione, ne deriva una maggior ampiezza del campo di coscienza, che, in condizioni normali, ha contemporaneamente presente dalle cinque alle otto unità di contenuto.
3. DISTURBI DELLA COSCIENZA. Se lo stato di coscienza vigile ο lucido è caratterizzato dalla consapevolezza di sé e dall'attenzione all'ambiente, che sono le strutture fondamentali della vita psichica, è ovvio che qualsiasi disturbo, qualunque ne sia la motivazione ο l'aspetto, influisce su tali strutture, determinando un arretramento ai livelli inferiori della vita psichica con manifestazioni che vanno dal torpore allo stato crepuscolare, confusionale e comatoso.
a) Il torpore ο obnubilamento di coscienza è caratterizzato da diminuzione della vigilanza e da una perdita di differenziazione nel campo di coscienza. Il soggetto appare sonnolento, rallentato nei pensieri e nel modo di reagire all'ambiente, non è ben consapevole di ciò che accade intorno a lui, non reagisce immediatamente agli stimoli. Si notano disturbi della concentrazione e della memoria, disorientamento nel tempo e nello spazio, difficoltà a capire. Esempi tipici sono il torpore da sedativi, da assunzione di bevande alcoliche, da malattie cerebrali come encefaliti ο tumori.
b) Lo stato crepuscolare è caratterizzato da un restringimento del campo di coscienza con interruzione dei rapporti con l'ambiente ad eccezione di un'azione particolare a sfondo abituale come camminare, compiere un gesto meccanico, dire frasi banali senza riferimento al contesto ο all'interlocutore. Il comportamento può essere passivo ο agitato, oppure saldamente coerente con le linee ο le fantasie a cui s'è ridotto il campo coscienziale. Lo stato crepuscolare ha solitamente un inizio acuto con repentina cessazione del disturbo, seguito da un sonno con amnesia quasi totale. A seconda del contesto in cui insorgono si è soliti distinguere uno stato crepuscolare epilettico che si presenta in modo improvviso con caratteristiche di ottundimento mentale in cui il soggetto appare perso, stordito e con gravi disturbi dell'affettività. Sintomi analoghi si riscontrano nello stato crepuscolare alcolico conseguente ad abitudini etiliste, e nello stato crepuscolare isterico che la psicoanalisi legge come un tentativo da parte del soggetto di misconoscere un vissuto psichico ο reale particolarmente spiacevole.
c) Lo stato confusionale ο confusione mentale è una destrutturazione più grave della coscienza, non più in grado di organizzare le esperienze percettive in un insieme coerente. Il soggetto non distingue ciò che accade nella sua mente e ciò che accade nel mondo esterno perché le percezioni si mescolano con i pensieri, le rappresentazioni, le immagini e i sentimenti che vengono proiettati nell'ambiente circostante. Perdurando questo stato si assiste a una perdita sempre maggiore delle capacità critiche e di giudizio della realtà esterna, una riduzione della memoria, soprattutto a breve termine, la comparsa di stati oniroidi fino a stati di totale incoerenza con deliri. A livello comportamentale lo stato confusionale può assumere le forme della catatonia (v.), con immobilità motoria e assenza di linguaggio, ο dell'amenza, che è uno stato confusionale allucinatorio delirante acuto accompagnato da agitazione motoria, stato angoscioso, incoerenza del linguaggio, contenuti di pensiero molto caricati affettivamente, ma non strutturati e deliranti. L'agitazione motoria raggiunge stati di eccitamento che sottendono una condizione di vero e proprio panico. Uno stato di confusione mentale si riscontra anche nella sindrome di passaggio ο di transito (Durchgangsyndrome) che è una sindrome psicorganica reversibile che rappresenta il punto di transizione tra gli stati psicopatologici acuti e i quadri psicorganici ad andamento cronico caratterizzati da disintegrazione della personalità e demenza.
d) Il coma è una condizione di perdita totale della coscienza e dell'attività volontaria, simile al sonno, dove però il soggetto non può essere svegliato e non reagisce alle abituali stimolazioni. Il coma costituisce il livello minimo di attivazione dell'organismo e può essere provocato da cause endocraniche come emorragia cerebrale, trombosi, trauma, tumore, epilessia, ο extracraniche come diabete, ipoglicemia, intossicazione da narcotici ο da alcol. Si distingue uno stato di precoma dove la percettività e la reattività sono in parte conservate soprattutto per la sensibilità dolorifica, di coma in tutto simile al sonno, e di coma profondo che richiede metodiche di rianimazione che si possono praticare finché l'elettroencefalogramma non mostra il tracciato lineare, detto «silenzio elettrico», che segna la morte del cervello.
e) I disturbi della coscienza dell'Io, che sono distinti dai disturbi caratterizzati dal progressivo restringimento del campo della coscienza, possono riferirsi: 1) all'identità dell'Io, come nei fenomeni di depersonalizzazione (v. PERSONA, § 1) dove il soggetto si sente staccato dalla propria esperienza e quasi un osservatore estraneo dei propri processi mentali e del proprio corpo; 2) ai confini dell'Io (v.) dove il soggetto ha la sensazione che i propri pensieri e sentimenti vengano avvertiti dall'ambiente circostante in una sorta di diffusione del pensiero al di fuori di sé, ο indotti dall'ambiente quasi fossero formati dal di fuori e immessi in lui; 3) alla coscienza alternante, espressione con cui K. Jaspers descrive quella condizione isterica in cui « la vita psichica distaccata si presenta con uno sviluppo così ricco che si crede di avere a che fare con un'altra personalità; però, una volta passato questo stato, la personalità normale non ne conserva alcun ricordo» (1913-1959, p. 436; v. SCISSIONE, § 1, 3). I disturbi della coscienza dell'Io, quando non si accompagnano a esperienze schizofreniche, non comportano di regola una riduzione della vigilanza ο vistosi disturbi del comportamento.
4. LA COSCIENZA DAL PUNTO DI VISTA FENOMENOLOGICO.
La fenomenologia, con E. Husserl, ha reagito alla lettura psicologica della coscienza intesa come entità, facoltà ο cosa, per affermare che la coscienza è un atto caratterizzato dalla sua intenzionalità diretta alle cose per cui, scrive Husserl, «io non vedo delle sensazioni di colore, ma degli oggetti colorati, né intendo sensazioni uditive, ma la canzone del cantante» (1913, p. 374). Negata come cosa e ribadita come atto, la coscienza non è un campo interiore in cui si raccolgono le percezioni che provengono dall'esterno, ma è un originario fuori-di-sé o, come dice M. MerleauPonty, una trascendenza: «Gli atti dell'Io sono di natura tale che oltrepassano se stessi per cui non c'è intimità della coscienza. La coscienza è da capo a fondo trascendenza, non trascendenza subita perché una simile trascendenza sarebbe il ristagno della coscienza ma trascendenza attiva. La coscienza che ho di vedere ο di sentire non è l'annotazione passiva di un evento psichico chiuso in sé e che mi lascerebbe incerto circa la realtà della cosa sentita ο vista [...] ma è il movimento profondo di trascendenza che è il mio essere stesso, il contatto simultaneo con il mio essere e con l'essere del mondo» (1945, p. 485-486).
Su questa linea si muove anche l'analitica esistenziale di M. Heidegger che, superando la distinzione tra interiorità ed esteriorità con la nozione di Esserci (Dasein), che designa la condizione dell'uomo che è originariamente nel mondo, afferma che «nel comprendere, l'Esserci non va al di là di una sua sfera interiore, in cui sarebbe dapprima incapsulato; l'Esserci, in virtù del suo modo fondamentale di essere, è già sempre "fuori", presso l'ente che incontra in un mondo già sempre scoperto» (1927, p. 133). Infine J.P. Sartre distingue l'essere per sé della coscienza dall'essere in sé delle cose, negando che la coscienza possa essere trattata come una cosa perché, a differenza delle cose, essa è presenza a se stessa: «L'essere della coscienza, in quanto coscienza, è di esistere a distanza da sé, come presenza a sé, e questo niente di distanza che l'essere porta nel suo essere è il nulla» (1943, p . 122). Nulla infatti separa il soggetto da se stesso nella coscienza che ha di sé.
Il teorema dell'intenzionalità della coscienza, che Husserl aveva ripreso da F. Brentano (v. ATTO, § 1) contro l'impostazione naturalistica della psicologia, è ripercorso da Jaspers per il quale « l'essere della coscienza non è come quello delle cose, ma la sua essenza è nell'essere diretto intenzionalmente agli oggetti. Questo fenomeno originario, tanto evidente quanto sorprendente, è stato chiamato intenzionalità» (1933, p . 118). La coscienza non è solo diretta all'oggetto, ma riflette anche su di sé ponendosi come autocoscienza (v.), a proposito della quale Jaspers scrive: «L'io penso" e l'io penso che penso" coincidono in modo da non poter esistere l'uno senza l'altro. Ciò che dal punto di vista logico sembra assurdo, qui è reale, e precisamente: l'uno non è come uno, ma come due; con ciò non diventa due, ma resta uno in una modalità unica» (1933, p. 119).
5. LA COSCIENZA DAL PUNTO DI VISTA PSICOANALITICO.
La teoria psicoanalitica si è costituita rifiutando di definire la psiche in termini di coscienza, e a questo proposito S. Freud scrive: « Che parte rimane nella nostra esposizione alla coscienza, che un tempo era onnipotente e ricopriva tutto il resto? Nient' altro che quella di organo dì senso per la percezione di qualità psichiche» (1899, p.560). Nella metapsicologia Freud descrive il sistema percezione-coscienza dal punto di vista: a) topico: situato alla periferia dell'apparato psichico, riceve sia le informazioni provenienti dal mondo esterno, sia quelle dal mondo interno come il piacere e il dispiacere; b) funzionale: si oppone all'inconscio perché nella coscienza non viene registrata alcuna traccia durevole delle eccitazioni come invece accade nell'inconscio; c) economico: dispone di un'energia mobile capace di investire, con il meccanismo dell'attenzione, questo ο quell'elemento; d) dinamico: sia in ordine al "conflitto" dove si assiste a un tentativo cosciente di evitare lo sgradevole e di regolare il principio di piacere, sia in ordine alla "cura" dove si assiste a quella presa di coscienza che tuttavia Freud non considera sufficiente per togliere la rimozione e i suoi effetti.
Anche se marginaiizzata, la coscienza ha costituito anche per Freud il punto di partenza per la giustificazione di un inconscio che è il risultato di un'inferenza a partire dalla lacunosità degli atti di coscienza che «non danno luogo a serie in sé conchiuse e ininterrotte». Di fronte a questa constatazione, «mentre nella psicologia della coscienza non si è mai andati oltre a quelle serie lacunose di fenomeni, che palesemente dipendono da qualcos'altro, l'altra concezione, quella secondo cui lo psichico è in sé inconscio, ha permesso di sviluppare la psicologia fino a farne una scienza naturale come tutte le altre» (1938, p. 584 e 585).
Passando dalla prima articolazione della psiche che prevedeva la ripartizione in Inconscio, Preconscio e Conscio, alla seconda che distingue tre istanze: Es, Io, SuperIo (v. APPARATO PSICHICO, § 5), Freud evita di identificare la coscienza con l'Io limitandosi a stabilire un semplice legame di appartenenza della coscienza all'Io: «Ci siamo fatti l'idea che esista nella persona un nucleo organizzato e coerente di processi psichici che chiamiamo [...] Io [...]. A tale Io è legata la coscienza; esso domina le vie d'accesso alla motilità, ossia alla scarica degli eccitamenti nel mondo esterno; l'Io è quell'istanza psichica che esercita un controllo su tutti i processi parziali, è l'istanza psichica che di notte va a dormire e che anche allora esercita la censura onirica» (1922, p. 479-480); dove è evidente che, quando la coscienza dorme, l'Io continua a vigilare, per cui tra le due istanze non si dà coincidenza. Questa distinzione tra Io e coscienza è ripresa a proposito della dissociazione psichica dove Freud distingue una scissione della coscienza (Bewusstseinspaltung) da una scissione dell'Io (Ichspaltung) (ν. SCISSIONE, § II).
6. LA COSCIENZA DAL PUNTO DI VISTA DELLA PSICOLOGIA ANALITICA. La non coincidenza dello psichico con la coscienza e il legame tra coscienza e Io sono le tesi di C.G. Jung, per il quale « la coscienza è la funzione ο attività che mantiene il rapporto di contenuti psichici con l'Io. La coscienza non è identica con la psiche, in quanto la psiche rappresenta la totalità di tutti i contenuti psichici i quali non sono di necessità collegati tutti direttamente con l'Io, ossia non sono con l'Io in un rapporto tale che ad essi spetti la qualità della consapevolezza» (1921, p. 433-434). Per quanto concerne la relazione tra Io e coscienza, Jung, in base alla sua teoria dei complessi (v. COMPLESSO, § 2), intende l'Io come il complesso centrale della coscienza: «per "Io" intendo un complesso di rappresentazioni che per me costituisce il centro del campo della mia coscienza e che mi sembra possedere un alto grado di continuità e di identità con se stesso. Perciò parlo anche di un complesso dell'Io. Il complesso dell'Io è tanto un contenuto quanto una condizione della coscienza [...], giacché un elemento psichico per me è cosciente in quanto riferito al complesso dell'Io. Tuttavia poiché l'Io è solo il centro del campo della mia coscienza, esso non è identico alla totalità della mia psiche, ma è soltanto un complesso fra altri complessi. Distinguo quindi fra l'Io e il Sé, in quanto l'Io è solo il soggetto della mia coscienza, mentre il Sé è il soggetto della mia psiche totale, quindi anche di quella inconscia» (1921, p. 468).
7. LA COSCIENZA MORALE. Con questa espressione, per la quale la lingua tedesca non impiega il termine Bewusstsein, ma il termine Gewissen, si intende quell'insieme di processi cognitivi ed emozionali che sono alla base della formazione di una guida interiore che regola la condotta individuale, in armonia con i valori riconosciuti dal gruppo sociale di appartenenza. I processi cognitivi sono indispensabili per la conoscenza delle norme e per la valutazione della conformità delle proprie azioni alle medesime; i processi emozionali, come la paura, la colpa e la vergogna, sembrano necessari, in una prima fase detta «eteronoma», alla promozione di comportamenti conformi.
a) Dal punto di vista cognitivo J. Piaget ha mostrato, partendo dalla disposizione dei bambini di fronte alle regole del gioco, che fino al settimo anno il bambino considera le regole come inviolabili, e irrilevanti i motivi di colui che non le ha osservate. Il fondamento dell'inviolabilità è nell'imposizione da parte di un'autorità esterna, per cui l'osservanza delle regole ha una base eteronoma. Più tardi il bambino riconosce che le regole rispondono a un vantaggio reciproco per i componenti del gruppo, impara a valutare ogni caso nella sua peculiarità in base all'idea di equità. In questa fase la condotta, da eteronoma, diventa autonoma.
b) Dal punto di vista comportamentista l'interiorizzazione delle regole avviene per effetto di un buon condizionamento in grado di sviluppare reazioni anticipate di timore dettate dalla paura di una punizione, dal senso di colpa che insorge dopo aver compiuto un'azione precedentemente punita, dalla vergogna che insorge quando gli altri scoprono le nostre devianze. L . Kohlberg ha individuato tre livelli nella formazione della coscienza morale: 1) premorale in cui si ubbidisce alle regole solo per evitare punizioni; 2) conformità in cui si ubbidisce per allontanare la colpa derivante dalla censura dell'autorità; 3) principi in cui l'obbedienza avviene in termini di ricompense e punizioni oggettive. Una coscienza morale basata sulla consapevolezza dei principi che regolano la conviconvivenza si sviluppa molto tardi e in ogni caso dopo l'età evolutiva.
c) Dal punto di vista psicoanalitico la formazione della coscienza morale è strettamente connessa alla formazione del SuperIo (v. AUTOOSSERVAZIONE) che, a sua volta, è il prodotto dell'evoluzione del complesso di Edipo (v.) e quindi della modalità di relazionarsi alle figure parentali e di interiorizzarne i divieti. Alla formazione del SuperIo, che per S. Freud è alla base di ogni formazione etica, il fondatore della psicoanalisi riconosce un valore terapeutico: «In ogni tempo si è assegnato all'etica il massimo valore, come se tutti se ne aspettassero importanti conseguenze. Ed è vero che l'etica, com'è facile riconoscere, tocca il punto più vulnerabile di ogni civiltà. Perciò essa va intesa come un esperimento terapeutico, come lo sforzo di raggiungere attraverso un imperativo del SuperIo ciò che finora non fu raggiunto attraverso nessun'altra opera di civiltà» (1929, p. 627628). Dal canto suo C.G. Jung sviluppa un concetto di coscienza morale come emancipazione dalle norme collettive senza di cui è impossibile un autentico processo di individuazione (v.); pertanto «la norma collettiva diventa sempre più superflua in un orientamento collettivo dellavita e con ciò la vera moralità va in rovina. Quanto più l'uomo è sottoposto a norme collettive, tanto maggiore è la sua immoralità individuale» (1921, p. 464).



















David R. Ingham, Mandelbrot Islands of Consciousness
Una volta parlando con G. gli domandai se ritenesse possibile raggiungere la ‘coscienza cosmica’ non soltanto per un istante, ma per un tempo più lungo. Per ‘coscienza cosmica' intendevo, come l'ho esposto nel mio libro Tertium Organum, la più alta coscienza accessibile all'uomo.
"Non so che cosa intendete per 'coscienza cosmica', disse G. È un termine vago ed indefinito; ognuno può dare questo nome a ciò che gli pare. Nella maggior parte dei casi ciò che viene detto 'coscienza cosmica' non è che fantasia, sogno, associazioni, accompagnate da un lavoro intensivo del centro emozionale. Talvolta ciò può giungere sino alla soglia dell'estasi, ma il più delle volte non si tratta che di un'esperienza emozionale soggettiva, a livello dei sogni. D'altronde, prima di parlare di 'coscienza cosmica', dobbiamo definire in generale che cos'è la coscienza.
"Come definite voi la coscienza?".
"La coscienza è considerata indefinibile, dissi. E in effetti, come potrebbe essere definita, se è una qualità interiore? Con i mezzi ordinari a nostra disposizione, è impossibile stabilire la presenza della coscienza in un altro uomo. Noi la conosciamo soltanto in noi stessi".
"Tutto questo è spazzatura, disse G., il solito sofisma scientifico. È ora che voi ve ne liberiate. C'è solo una cosa giusta in ciò che avete detto: che voi non potete conoscere la coscienza che in voi stesso. Ma, notate bene, potete conoscerla soltanto quando l'avete. E quando non l'avete, potete riconoscere, al momento stesso, di non averla; lo potrete fare soltanto più tardi. Intendo dire che, quando essa ritorna, voi potete vedere che è mancata per molto tempo, e ricordare il momento in cui è scomparsa e quello in cui è riapparsa. Potrete così determinare i momenti in cui voi siete più vicino o più lontano dalla coscienza. Ma, osservando in voi stesso l'apparire e lo scomparire della coscienza, vedrete inevitabilmente un fatto che non vedete mai e del quale non vi eravate mai reso conto, cioè che i momenti di coscienza sono molto corti e separati gli uni dagli altri da lunghi intervalli di completa incoscienza, di lavoro automatico della macchina. Vedrete che potete pensare, sentire, agire, parlare, lavorare, senza esserne cosciente. E se imparate a vedere in voi stesso i momenti di coscienza e i lunghi periodi di meccanicità, vedrete negli altri con uguale certezza in quali momenti sono coscienti di ciò che fanno e in quali momenti non lo sono. "Il vostro errore principale consiste nel credere di avere sempre la coscienza, e in generale che la coscienza sia sempre presente, oppure che non sia mai presente. In realtà, la coscienza è una proprietà che cambia continuamente. Ora è presente, altre volte manca. E vi sono differenti gradi, differenti livelli di coscienza. Ma la coscienza e i diversi livelli di coscienza devono essere compresi in noi stessi dalla sensazione, dal gusto che ne abbiamo. Nessuna definizione può aiutarci, e nessuna definizione è possibile, fintanto che non comprendiamo ciò che dobbiamo definire. La scienza e la filosofia non possono definire la coscienza, perché vogliono definirla là dove essa non c'è. È necessario distinguere la coscienza dalla possibilità di coscienza. Noi non abbiamo che la possibilità di coscienza, e dei rari sprazzi di coscienza. Di conseguenza, non possiamo definire la coscienza".

Non posso dire che ciò che G. disse sulla coscienza mi fosse subito chiaro, ma uno dei colloqui seguenti mi spiegò i principi sui quali questi argomenti si basavano.
Un giorno, all'inizio di una riunione, G. fece una domanda alla quale tutti i presenti dovevano rispondere a turno: "Qual è la cosa più importante che ho visto durante le mie osservazioni?". Alcuni dissero che, durante i loro tentativi di osservazione di sé, ciò che avevano sentito con particolar forza era un flusso incessante di pensieri che avevano trovato impossibile arrestare. Altri parlarono della difficoltà di distinguere il lavoro di un centro da quello di un altro centro. In quanto a me, evidentemente non avevo capito la domanda, oppure risposi ai miei propri pensieri; spiegai infatti che ciò che più mi aveva colpito nel sistema, era la connessione di tutti i suoi elementi, collegati tra loro in modo da formare un tutto, come se fosse un 'organismo', e il significato interamente nuovo che assumeva ora per me la parola conoscere, che includeva non più soltanto l'idea di conoscere questa o quella cosa, ma la relazione tra questa cosa e tutto il resto.
G. era visibilmente insoddisfatto di tutte le nostre risposte. Avevo già cominciato ad avvertire che in tali circostanze egli aspettava da noi delle indicazioni di qualcosa di definito che invece ci era sfuggito, o che non avevamo saputo comprendere.
"Non uno tra voi ha notato la cosa più importante, benché io ve l'avessi messa in evidenza, egli disse. Ossia, nessuno di voi ha notato che voi non vi ricordate di voi (egli diede a queste parole un accento particolare). Voi non sentite voi stessi, voi non siete coscienti di voi stessi. In voi, 'qualcosa osserva', come 'qualcosa parla', o 'pensa' o 'ride'; voi non sentite: io osservo, io constato, io vedo. Tutto si constata da solo, si vede da solo... Per arrivare ad osservarsi veramente occorre innanzitutto ricordarsi di se stessi (e di nuovo accentuò queste parole). Tentate di ricordarvi di voi stessi quando vi osservate e più tardi mi parlerete dei risultati. Solo i risultati ottenuti mentre ci si ricorda di se stessi hanno un valore. Altrimenti, voi non siete nelle vostre osservazioni; e in questo caso, quale può essere il loro valore?".

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