venerdì 7 dicembre 2012

in-culturazione del Tao

Kurt Wenner.com, Waterloo Station
Nella descrizione dello stato di coscienza ordinaria Tart approfondisce i fattori decisivi che portano alla sua formazione individuale entro uno specifico gruppo socio-culturale, quali il processo di acculturazione - la formazione della specifica cultura personale all'interno di una più vasta cultura sociale condivisa - :

I have now mentioned several times that we believe certain things imply because we were trained to believe them. Let us now look at the training process by which our current "normal" or ordinary state of consciousness came about.

Enculturation
Figure 4-4 illustrates the concept of the spectrum of human potential. By the simple fact of being born human, having a certain type of body and nervous system, existing in the environmental conditions of the planet earth, a large (but certainly not infinite) number of potentials are possible for you. Because you are born into a particular culture, existing at a particular time and place on the surface of the planet, however, only a small (perhaps a very small) number of these potentials will ever be realized and become actualities. We can think of a culture as a group of people who, through various historical processes, have come to an agreement that certain human potentials they know of are "good," "holy," "natural," or whatever local word is used for positively valuing them, and should be developed. They are defined as the essence of being human. Other potentials, also known to the culture, are considered "bad," "evil," "unnatural." The culture actively inhibits the development of these potentials in its children, not always successfully. A large number of other human potentials are simply not known to that particular culture, and while some of them develop owing to accidental circumstances in a particular person's life, most do not develop for lack of stimulation. Some of these potentials remain latent, capable of being developed if circumstances are right in later life; others disappear completely through not being developed at an early, critical stage. Most of us know how to do arithmetic, speak English, write a check, drive an automobile, and most of us know about things, like eating with our hands, which are repellent to us (naturally or through training?). Not many of us, though, were trained early in childhood to enter a d-ASC where we can be, for example, possessed by a friendly spirit that will teach us songs and dances as is done by some cultures. Nor were most of us trained to gain control over our dreams and acquire spirit guides in those dreams who will teach us useful things, as the Senoi of Malaysia are. Each of us is simultaneously the beneficiary of his cultural heritage and the victim and slave of his culture's narrowness. What I believe is worse is that few of us have any realization of this situation. Like almost all people in all cultures at all times, we think our local culture is the best and other peoples are uncivilized or savages. Figure 4-4 shows two different cultures making different selections from and inhibitions of the spectrum of human potential. There is some overlap: all cultures, for example, develop a language of some sort and so use those particular human potentials. Many potentials are not selected by any culture. We can change the labels in Figure 4-4 slightly and depict various possible experiences selected in either of two states of consciousness. Then we have the spectrum of experiential potentials, the possible kinds of experiences or modes of functioning of human consciousness. The two foci of selection are two states of consciousness. These may be two "normal" states of consciousness in two different cultures or, as discussed later, two states of consciousness that exist within a single individual. The fact that certain human potentials can be tapped in state of consciousness A that cannot be tapped in state of consciousness B is a major factor behind the current interest in altered states of consciousness. Figure 4-4, then, indicates that in developing a "normal" state of consciousness, a particular culture selects certain human potentials and structures them into a functioning system. This is the process of enculturation. It begins in infancy, possibly even before birth: there has been speculation, for example, that the particular language sounds that penetrate the walls of the womb from outside before birth may begin shaping the potentials for sound production in the unborn baby.
Figure 4-5 summarizes the main stages of the enculturation process. The left-hand column represents the degree to which physical reality shapes the person and the degree to which the person can affect (via ordinary muscular means) physical reality. The right-hand column indicates the main sources of programming, the psychological influences on the person. The main stages are infancy, childhood, adolescence, adulthood, and senescence.

giovedì 6 dicembre 2012

Tao senza Qualità


La risposta che Fedro diede alla domanda: «Se non sai definire la Qualità, che cosa ti fa pensare che esista?» era improntata a un procedimento classico della scuola del realismo filosofico. «Una cosa esiste» egli disse «se il mondo non può funzionare normalmente senza di essa. Se riusciamo a dimostrare che un mondo senza Qualità non funziona normalmente, allora avremo dimostrato che la Qualità esiste, che sia definita o no». A questo punto Fedro procedette a sottrarre la Qualità dalla descrizione del mondo così come lo conosciamo.
La prima vittima di questa sottrazione, disse, sarebbero state le arti. Se non si può distinguere tra bello e brutto in campo artistico, le arti scompaiono. Non ha senso appendere un quadro alla parete quando la parete nuda sembra altrettanto bella. Le sinfonie non hanno ragione di esistere, se una qualsiasi canzonetta sembra altrettanto bella. E così per la poesia, l'umorismo e tutto il resto.
Poi Fedro fece sparire lo sport. Il football, il baseball, ogni tipo di giochi. I punteggi non sarebbero più la misura di nulla, non sarebbero che vuote statistiche, come il numero delle pietruzze in un mucchio di ghiaia. Chi andrebbe alle partite? Chi giocherebbe?
Poi eliminò la Qualità dal commercio. Dato che qualità e sapore sarebbero indifferenti, i negozi di alimentari venderebbero soltanto i cereali fondamentali come riso, grano, farina e semi di soia; probabilmente anche la carne, senza differenza di prezzi tra i tagli; il latte per i neonati, le vitamine e i sali minerali per compensare le possibili carenze. Invece sparirebbero le bevande alcooliche, il tè, il caffé e il tabacco. E così pure i cinema, i balli, le commedie e le feste. Useremmo solo i trasporti pubblici e ci metteremmo scarpe militari.
Molti di noi rimarrebbero senza lavoro, ma solo momentaneamente, perché col tempo troveremmo una nuova sistemazione all'interno di lavori essenziali e non qualitativi. La scienza applicata e la tecnologia ne risulterebbero drasticamente cambiate, ma la scienza, la matematica, la filosofia e soprattutto la logica rimarrebbero immutate.
Questo parve a Fedro estremamente interessante. Se venisse eliminata la Qualità, soltanto la razionalità rimarrebbe immutata. Strano. Come mai?
Fedro non lo sapeva, ma sapeva che eliminando la Qualità dalla descrizione del mondo così come lo conosciamo aveva messo in luce l'importanza di questa nozione, che diventava fondamentale in un modo che lui non aveva neanche sospettato. Il mondo può funzionare senza di essa, ma la vita sarebbe così insulsa che non varrebbe neanche la pena di viverla. La locuzione valere la pena di è una locuzione qualitativa. La vita sarebbe semplicemente un vivere senza nessun valore e nessuno scopo.
Fedro valutò la distanza che aveva percorso seguendo questa linea di pensiero e decise che indubbiamente aveva dimostrato il suo punto di vista.
Notò immediatamente la somiglianza di questo mondo privo di Qualità con alcune situazioni sociali di cui aveva letto: l'antica Sparta, la Russia comunista e i suoi satelliti. La Cina comunista, il Mondo nuovo di Aldous Huxley e 1984 di George Orwell. Gli vennero in mente anche persone di sua conoscenza alle quali questo mondo privo di Qualità sarebbe andato benissimo. Erano gli stessi che cercavano di farlo smettere di fumare. Gli chiedevano delle giustificazioni razionali per il suo vizio, e dato che lui non riusciva a trovarne lo guardavano dall'alto in basso, come se avesse perso la faccia. Dovevano avere delle motivazioni, dei piani, delle soluzioni per tutto. Erano della sua stessa gente. Quella che ora lui stava attaccando. Cercò a lungo un termine che riassumesse tutte le loro caratteristiche, una parola che descrivesse questa mondo privo di Qualità.
Squareness.
Jeroen Anthoniszoon van Aken detto Hieronymus Bosch - il Maestro di Hertogenbosch, Dettagli
Squareness. Proprio così. Quando si sottrae la Qualità si ottiene la squareness. L'assenza di Qualità è l'essenza della squareness.
Gli vennero in mente alcuni suoi amici artisti coi quali aveva fatto un viaggio da un capo all'altro degli Stati Uniti. Erano negri, e si erano sempre lamentati proprio di questa assenza di Qualità che Fedro stava descrivendo. Square era il termine che avevano coniato per definirla. Molto tempo fa, prima che lo adottassero i mass media trasformandolo in un termine bianco di uso comune, i negri avevano definito square tutta la paccottiglia intellettuale con la quale non volevano avere più niente a che fare. E tra lui e loro c'era stato un fantastico guazzabuglio di conversazioni e di malintesi, proprio perché Fedro era un esempio perfetto di quella squareness di cui stavano parlando, e più lui cercava di farsi spiegare di che cosa si trattasse più .loro diventavano vaghi. E adesso anche lui, con la sua Qualità, era arrivato a parlare come loro, con altrettanta vaghezza, benché quello di cui parlava non fosse meno chiaro e solido di tutte le entità razionalmente definite con cui avesse avuto a che fare.
Gli venne in mente l'osservazione di uno di loro: «Ehi, amico, perché non cerchi semplicemente di capire? E smettila con le tue domande da sette dollari. Se stai sempre lì a chiederti cos'è una cosa non avrai mai il tempo di conoscerla». Sentimento. Qualità. Che fossero la stessa cosa?
Fedro si rendeva conto che, intellettualmente, la Qualità fungeva da discriminante, ciò che si cerca in ogni analisi intellettuale. Basta prendere il coltello analitico e appoggiarne la punta direttamente sul termine Qualità perché il mondo si spacchi in due — hip e square, classico e romantico, tecnologico e umanistico — e la spaccatura è netta, senza sbavature. Ah, se Kant fosse vivo! Kant l'avrebbe apprezzato, da gran maestro tagliatore di diamanti. Lui avrebbe capito. Tenere la Qualità indefinita: questo era il segreto.
Con un barlume di consapevolezza, Fedro scrisse di essersi impegnato in uno strano tipo di suicidio intellettuale. «La squareness può essere descritta, in modo succinto ma esauriente, come l'incapacità di vedere la Qualità prima che essa venga definita intellettualmente... Abbiamo dimostrato che la Qualità, benché indefinita, esiste. Quel che resta da analizzare non è dunque la Qualità, ma quelle particolari consuetudini di pensiero dette squareness che a volte ci impediscono di vederla».
È fu così che Fedro cercò di rispondere all'attacco. Il soggetto dell'analisi ora era l'analisi stessa.

mercoledì 5 dicembre 2012

metastrutture del Tao

Kybernetes, Vol. 36 No. 7/8, 2007
I concetti e metaconcetti di struttura, struttura che connette e metastruttura - struttura di strutture - sviluppati da Bateson nell'ambito della metascienza dell'epistemologia, da lui delineata come:
La tesi platonica del libro è appunto che l'epistemologia è una metascienza indivisibile e integrata il cui oggetto è il mondo dell'evoluzione, del pensiero, dell'adattamento, dell'embriologia e della genetica: la scienza della mente nel senso più ampio del termine.
Confrontare questi fenomeni (confrontare il pensiero con l'evoluzione e l'epigenesi con entrambi) è il "modo di ricerca" della scienza detta “epistemologia”.

Nella mia vita ho messo la descrizione dei bastoni, delle pietre, delle palle da biliardo e delle galassie in una scatola, il pleroma, e li ho lasciati lì. In un'altra scatola ho messo le cose viventi: i granchi, le persone, i problemi riguardanti la bellezza, quelli riguardanti la differenza. Argomento di questo libro è il contenuto della seconda scatola.
Qualche tempo fa me la sono presa con i difetti dell'istruzione scolastica occidentale. Stavo scrivendo ai miei colleghi del Board of Regents dell'Università della California e nella lettera mi si insinuò questa frase:
Infrangete la struttura che connette gli elementi di ciò che si apprende e distruggerete necessariamente ogni qualità”.
Vi offro la locuzione "la struttura che connette" come sinonimo, come altro possibile titolo di questo libro.
"La struttura che connette". Perchè‚ le scuole non insegnano quasi nulla su questo argomento? Forse perchè‚ gli insegnanti sanno di essere condannati a rendere insipido, a uccidere tutto ciò che toccano e sono quindi saggiamente restii a toccare o insegnare ogni cosa che abbia importanza vera e vitale? Oppure uccidono ciò che toccano "proprio perchè‚" non hanno il coraggio di insegnare nulla che abbia un'importanza vera e vitale? Dov'è l'errore?
Quale struttura connette il granchio con l'aragosta, l'orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei noi con l'ameba da una parte e con lo schizofrenico dall'altra?

Ricominciamo daccapo. Le parti di un granchio sono connesse secondo varie strutture di simmetria bilaterale, di omologia seriale e così via. Chiamiamo queste strutture "interne" al singolo granchio che cresce "connessioni di primo ordine". Ma se ora consideriamo il granchio e l'aragosta, troviamo di nuovo connessioni strutturali. Chiamiamole "connessioni di secondo ordine", o omologie filogenetiche.
Consideriamo ora l'uomo o il cavallo: anche qui osserviamo simmetrie e omologie seriali. Quando li consideriamo insieme, riscontriamo la stessa comunanza interspecifica di strutture con qualche differenza (omologia filogenetica). E, naturalmente, troviamo anche che alle dimensioni si preferiscono le forme, le strutture e le relazioni. In altri termini, quando si analizza questa distribuzione di somiglianze formali, si scopre che l'anatomia nei suoi tratti generali presenta tre livelli o tipi logici di proposizioni descrittive:

1. Per ricavare connessioni di primo ordine si devono confrontare le parti di ogni membro della "creatura" con altre parti dello stesso individuo.
2. Per scoprire relazioni simili tra le parti (ossia per ottenere connessioni di secondo ordine) si devono confrontare i granchi con le aragoste o gli uomini con i cavalli.
3. Per dedurre connessioni di terzo ordine si deve confrontare il "confronto" tra granchi e aragoste con quello tra uomo e cavallo.

Abbiamo costruito una scala di come si deve pensare a... a che cosa? Ah, già, alla struttura che connette.

La mia tesi fondamentale può essere ora espressa in questi termini: "la struttura che connette è una metastruttura". E' una struttura di strutture. E' questa metastruttura che definisce l'asserzione generale che sono effettivamente "le strutture che connettono".













sono stati ulteriormente sviluppati principalmente da Tyler Volk e Jeffrey Bloom, individuando una serie di metastrutture applicabili in diversi settori:
Complicity, An International Journal of Complexity and Education
1 Spheres: maximum volume, minimum surface, containment; grapes, domes.
2 Sheets: transfer surface for matter, energy, or information; fish gills, solar collectors.
3 Tubes: surface transfer, connection, support; leaf veins, highways, chains of command.
4 Webs or Networks: parts in relationships within systems (can be centered or clustered, using clonons or holons, see 8, 11, and 12); subsystems of cells, organisms, ecosystems, machines, society.
5 Borders: protection, openings for controlled exchange; cell membranes, national borders.
6 Binaries: minimal and thus efficient system; two sexes, two-party politics, bifurcating decision process.
7 Gradients: continuum of variation between binary poles; chemical waves in cell development, human quantitative and qualitative values.
8 Centers: key components of system stability; DNA, social insect centers, political constitutions and government.
9 Layers or Holarchy: levels of webs, in which successive systems are parts of larger systems; biological nesting from biomolecules to ecosystems, human social nesting, engineering designs, computer software.
10 Emergence: general phenomenon when a new type of functionality derives from binaries or webs; life from molecules, cognition from neurons.
11 Holons versus clonons: parts of systems as functionally unique versus interchangeable; heart-lungs-liver (holons) of body versus skin cells (clonons) of the skin.
12 Clusters: subset of webs, distributed systems of parts with mutual attractions; bird flocks, ungulate herds, children playing, egalitarian social groups.
13 Arrows: stability or gradient-like change over time; biological homeostasis, growth, self-maintaining social structures.
14 Breaks: relatively sudden changes in system behavior; cell division, insect metamorphosis, coming-of-age ceremonies, political elections.
15 Triggers: initiating agents of breaks, both internal and external; sperm entering egg, precipitating events of war.
16 Cycles: recurrent patterns in systems over time; protein degradation and synthesis, life cycles, power cycles of electricity generating plants, feedback cycles, educational grade levels (cyclic design within an arrow of overall educational progress.

Le metastrutture delineate da Volk e Bloom sono state correlate a diverse caratteristiche del caos e della complessità:
by Anukriti Verma, M.Des student at Industrial Design Centre (IDC), IIT Bombay; site: Ravi Poovaiah

Metapatterns

The Pattern Underground

in a glass Tao



Looking through the window can you tell me what you see
You're sure you're really seeing what is meant to be a glass
A mirror to reflect what I conspire a vision, image I desire

Standing on the ice believing all I'm searching for
Close your cloudy eyes and chase all that you did before
Standing on the ice believing all I'm searching for
Close your cloudy eyes and chase all that you did before

Living in a glass house shielding all that's meant for me
Can you clear the shade and can you tell me what you see?

Shadow fills the light until the glass house becomes the night
Dark is gleaming or am I dreaming? Running everywhere, seeing clearly when I dare
Is it today or is it your way and the moon must fall
Inspiration waits for your call for you to get a silhouette

Narrow the field aim in any direction
Do what I feel just to see my reflection

Any turn I know disappearing everywhere I go I look to you for what I do
And only then I see that the glass house is just for me
And any time is never mine

Narrow the field aim in any direction
Do what I feel just to see my reflection

Shadow fills the light, until the glass house becomes night
Dark is gleaming or am I dreaming?
Running everywhere, seeing clearly when I dare
Is it today or is it your way and the moon must fall
Inspiration waits for your call for you to get a silhouette.

martedì 4 dicembre 2012

Tao aggregati del Sé

© Igor Morski
Dopo la descrizione cognitivista del Sé e della mente e la sua discussione critica da un punto di vista fenomenologico-esperienziale, Varela, Rosch e Thompson integrano per la prima volta nelle scienze cognitive termini e concetti ripresi dalle tradizioni orientali che - per millenni - hanno studiato e descritto in modo esperienziale le entità di Mente, Coscienza e Sé; in particolare gli autori si riferiscono per la descrizione ai cinque aggregati descritti nei canoni Abhidhamma della tradizione Buddhista:

Looking for a Self in the Aggregates
We now tum to some of the categories in the Buddhist teachings called the Abhidharma. This term refers to a collection of texts that forms one of the three divisions of the Buddhist canon (the other two are the Vinaya, which contains ethical precepts, and the Sutras, which contain the speeches of the Buddha). Based on the Abhidharma texts and their later commentaries, there emerged a tradition of analytic investigation of the nature of experience, which is still taught and used in contemplation by most Buddhist schools. The Abhidharma contains various sets of categories for examining the arising of the sense of self. These are not intended as ontological categories, such as one finds, for example, in Aristotle's Metaphysics. Rather, these categories serve on the one hand as simple descriptions of experience and on the other hand as pointers toward investigation.
The most popular set of these categories, one that is common to all Buddhist schools, is known as the five aggregates. (The Sanscrit term translated as "aggregate" is skandha, which literally means "heap." The story goes that when the Buddha first taught this framework for examining experience, he used piles of grain to stand for each aggregate.)
The five aggregates are

1. Forms

2. Feelings/sensations

3. Perceptions (discernments )/impulses

4. Dispositional formations

5. Consciousnesses

The first of the five aggregates is considered to be based on the physical or material; the remaining four are mental. All five together constitute the psychophysical complex that makes up a person and that makes up each moment of experience. We will examine the way in which we take each of these to be ourselves and will query whether we can find something in the aggregates that will answer to our basic, emotional, reactional conviction in the reality of self. In other words, we will be looking for a full-blown, really existing ego-self-some lasting self that would serve as the object of our emotional conviction that there really is a ground underneath the dependent, impermanent, everyday personality.

Forms
This category refers to the body and the physical environment. It does so, however, strictly in terms of the senses-the six sense organs and the corresponding objects of those organs. They are the eye and visible objects, the ear and sounds, the nose and smells, the tongue and tastes, the body and touchables, and the mind and thoughts. The sense organs do not refer to the gross external organ but to the actual physical mechanism of perception. The mind organ (there is debate in the tradition as to just what physical structure that is) and thoughts are treated as a sense and its object because that is how they appear in experience: we feel that we perceive our thoughts with our mind just as we perceive a visible object with our eye.
We might point out that even at this level of analysis we have already departed from the usual idea of an abstract, disembodied observer who, like a cognitive entity parachuted into a ready-made world, encounters matter as a separate and independent category.
Here, as in Merleau-Ponty's phenomenology, our encounter with the physical is already situated and embodied. Matter is described experientially.
Is our body our self? Think how important our body and possessions are to us, how terrified we become if the body or important possessions are threatened, how angry or depressed we become if they are damaged. Think of how much effort, money, and emotion we spend on feeding, grooming, and caring for the body. Emotionally we treat the body as though it were ourself. Intellectually we may do so also. Our circumstances and moods may change, but the body appears stable. The body is the location point of the senses; we look at the world from the vantage point of the body, and we perceive the objects of our senses to be related spatially to our body. Though the mind may wander, sleeping or daydreaming, we count on returning to the same body.
Yet do we really think of the body as the same as the self? As upset as we might be at the loss of a finger (or any other body part), we would not feel that we had thereby lost our identity. In fact, even in normal circumstances, the entire makeup of the body changes rapidly, as seen by the turnover of one's cells. Let us take a brief philosophical excursion on this point.
We might ask, "What do the cells that make up my body now have in common with the cells that will make up my body in, say, seven years?" And, of course, the question contains its own answer: what they have in common is that they both make up my body and therefore make up some kind of pattern through time that is supposedly my self. But we still don't know what that pattern qua the self is; we have simply gone round in a circle.
Philosophers will recognize this little vignette as a variation on the example of the ship of Theseus, which, every so often, has all of its planks replaced. The question is, Is it the same ship or not? And philosophers, being more sophisticated than most of the rest of us, deftly reply that there really isn't any fact of the matter one way or the other. It all depends on what you want to say. In one sense, yes, it is the same ship, and in another sense, no, it isn't the same ship. It all depends on what your criteria of identity are. For something to be the same (to have some kind of invariant pattern or form) it must suffer some change, for otherwise one would not be able to recognize that it had stayed the same. Conversely, for something to change there must also be some kind of implicit permanance that acts as a reference point in judging that a change has occurred. So the answer to the quandary is both yes and no, and the details of any specific yes or no answer will depend on one's criteria of identity in the given situation.
But surely the self-my self- can't depend on how someone chooses to look at it; it is, after all, a self in its own right . Perhaps, then, the ego-self is the owner of the body, of this form that can be seen in so many ways. Indeed, we do not say "I am a body" but "I have a body." But just what is it that I have? This body, which I seem to own , is also the home for numerous microorganisms . Do I own them? A strange idea, since often they seem to get the best of me. But who is it that they get the best of?
Perhaps the most definitive argument that we do not take our body as our self is that we can imagine a total body transplant, that is, the implantation of our mind in someone else's body (a favorite theme in science fiction), yet we would still count as ourselves. Perhaps, then, we should leave the material and look to the mental aggregates for the basis of the self.

Feelings/Sensations
All experiences have some kind of feeling tone, classifiable as pleasant, unpleasant, or neutral , and as either bodily feeling or mental feeling. We are very concerned about our feelings. We strive endlessly to seek pleasure and avoid pain. Our feelings are certainly self-relevant, and at moments of strong feeling we take ourselves as our feelings. Yet are they our self? Feelings change from moment to moment. (Awareness of these changes can be made even more precise in mind fulness/awareness practice: one develops firsthand experience of the momentary arising of feelings and sensations as well as their changes.) Though feelings affect the self, no one would say that these feellings are the self. But what /who is it , then, that feelings are affecting ?

Perceptions/Impulses
This aggregate refers to the first moment of recognition, identification, or discernment in the arising of something distinct , coupled with the activation of a basic impulse for action toward the discerned object.
Within the context of mind fulness/awareness practice, the coupling of discernment and impulse in a moment of experience is especially important . There are said to be three root impulses - passion/ desire (toward desirable objects), aggression/anger (toward undesirable objects), and delusion/ignoring (toward neutral objects). Insofar as beings are caught up in habits of ego clinging, physical or mental objects are discerned, even at the first instant, in relation to the self—either as desirable, undesirable, or irrelevant to the self-and in that very discernment is the automatic impulse to act in the relevant fashion.
These three basic impulses are also called the three poisons because they are the beginnings of actions that will lead to further ego grasping. But who is this ego who is grasping?

Dispositional Formations
This next aggregate refers to habitual patterns of thinking, feeling, perceiving, and acting-habitual patterns such as confidence, avarice, laziness, worry, etc. We are now in the domain of the kinds of phenomena that could well be called cognitive in the language of cognitive science or personality traits in personality psychology.
We are certainly heavily self-invested in our habits and traits—our personality. If someone criticizes our behavior or makes a favorable comment about our personality, we feel that she is referring to our self. As in each of the other aggregates, our emotional response indicates that we take this aggregate as our ego-self. But again when we contemplate the object of that response, our conviction falls apart. We do not normally identify our habits with our self. Our habits, motives, and emotional tendencies may change considerably over time, but we still feel a sense of continuity as if there were a self distinct from these personality changes. Where could this sense of continuity come from, if not from a self that is the basis of our present personality?

lunedì 3 dicembre 2012

Tao a nord di nessun sud

Karakorum 2 (K2), 8.611 m., North Face, Tibet

«Come può dirvi chiunque, non sono un tipo molto gradevole. Non so nemmeno cosa voglia dire. Ho sempre ammirato i cattivi, i fuorilegge, i figli di puttana. Non mi piacciono gli uomini perfettamente rasati, con la cravatta e un buon lavoro. Mi piacciono gli uomini disperati, con i denti rotti, il cervello a pezzi e una vita da schifo. Sono loro che mi interessano. Sono pieni di sorprese. Ho anche un debole per le donnacce, quelle che si ubriacano e bestemmiano, che hanno le calze molli e il trucco sbavato. Mi interessano più i pervertiti dei santi. Mi rilasso con gli scoppiati perché anch'io sono uno scoppiato. Non mi vanno le leggi, la morale, la religione, le regole. Non mi va di essere plasmato dalla società».
Everest, 8.848 m., North Face and Rongbuk Monastery, Tibet
Harry era appena sceso dal merci e stava camminando lungo l’Alameda verso il locale di Pedro per prendersi una tazza di caffè da cinque centesimi. Era mattina presto, ma lui si ricordava che di solito aprivano alle cinque. Da Pedro, per cinque centesimi , si poteva starsene seduti anche un paio d’ore. Si poteva riflettere. Si poteva pensare a dove uno aveva sbagliato o dove invece ci aveva azzeccato.
Il bar era aperto. La ragazza messicana che gli portò il caffè lo guardò come si guarda un essere umano. I poveri conoscevano la vita. Una brava ragazza. Bè, più o meno. Le donne erano tutte delle piantagrane. E comunque ,di guai era pieno il mondo. Si ricordò di una massima che aveva sentito da qualche parte: la vita non è che un mucchio di guai.
Harry si sedette a uno dei vecchi tavoli. Il caffè era buono. Aveva trent’otto anni ed era un uomo finito. Sorseggiò il caffè e si mise a pensare a dove aveva sbagliato e dove ci aveva azzeccato. Si era semplicemente stufato… del mondo delle assicurazioni, degli uffici angusti con gli alti tramezzi di vetro, dei clienti. Si era stufato di tradire sua moglie, di palpare le segretarie nell’ascensore o nei corridoi. Si era stufato delle feste di Natale e quelle di Capodanno e dei compleanni, e delle rate della macchina nuova e di quelle dei mobili, delle bollette della luce, del gas, dell’acqua, di tutto quello stillicidio di necessità che lo dissanguava.
Si era stufato e aveva mollato, tutto qui. Il divorzio era arrivato presto, e poco dopo lui si era trovato fuori. Non aveva niente e aveva scoperto che anche non avere niente creava un mucchio di problemi. Era un altro tipo di fardello. Se solo ci fosse stata una via di mezzo. A quanto pareva un uomo aveva solo un’alternativa, vivere una vita frenetica o diventare un barbone.
Eiger, 3.970 m., North Face, CH

giovedì 29 novembre 2012

il Tao che non si può beffare - II


I Tragedy
It seems that the dramatists of classical Greece and possibly their audiences and the philosophers who throve in that culture believed that an action occurring in one generation could set a context or set a process going which would determine the shape of personal history for a long time to come.
The story of the House of Atreus in myth and drama is a case in point. The initial murder of Chrysippus by his stepbrother Atreus stars a sequence in which the wife of Atreus is seduced by Atreus‘ brother Thyestes, and in the ensuing feud between the brothers, Atreus kills and cooks his brother‘s son, serving him to his father in a monstrous meal. These events led in the next generation to the sacrifice of Iphigenia by her father, Agamemnon, another son of Thyestes, and so on to the murder of Agamemnon by his wife, Clytemnestra, and her paramour, Aegisthus, brother of Agamemnon and son of Thyestes.
In the next generation, Orestes and Electra, the son and daughter of Agamemnon, avenge their father‘s murder by killing Clytemnestra, an act of matricide for which the Furies chase and haunt Orestes until Athena intervenes, establishing the court of the Areopagus and trying Orestes before that court, finally dismissing the cases. It required the intervention of a goddess to conclude the sequence or anangke, or necessity, whereby each killing led irresistibly to the next.
The Greek idea of necessary sequence was, of course, not unique. What is interesting is the Greeks seem to have thought of anangke as totally impersonal theme in the structure of the human world. It was as if, from the initial act onwards, dice were loaded against the participants. The theme, as it worked itself out, used human emotions and motives as its means, but the theme itself (we would vulgarly call it a “force”) was thought to be impersonal, beyond and greater than gods and persons, a bias or warp in the structure of the universe.
Such ideas occur at other times and in other cultures. The Hindu idea of karma is similar and differs from anangke only in the characteristically Hindu elaboration which includes both “good” and “bad” karma and carries recipes for the “burning up” of bad karma.
I myself encountered a similar belief among the Iatmul of New Guinea. The Iatmul shamans claimed that they could see a person‘s ngglambi as a black cloud or aura surrounding him or her. The Iatmul are a sorcery-ridden people and it was quite clear that nnglambi followed the pathway of sorcery. A might sin against B, thus incurring the black cloud. B might pay a sorcerer to avenge the first sin, and nnglambi would the surround both B and the sorcerer. In any case, it was expected that the person with black nnglambi would encounter tragedy – perhaps his own death, perhaps that of a relative, for ngglambi is contagious – and the tragedy would probably be brought about by sorcery. Ngglambi, like anangke, worked through human agencies.
The present question, however, does not concern the detailed nature of anangke, ngglambi, karma, and other similar conceptions that human individuals attribute to the larger system. The question is simply: What are the characteristics of those mental subsystems called individuals, arising from their aggregation in larger systems also having mental characteristics, that are likely to be expressed by generating such mythologies (true or false) as those of anangke, etc.? This is a question of a different order, not to be answered by reification of the larger mental system nor by simply evoking motives of the participant individuals.
A piece of an answer can be tentatively offered, if only to show the reader the direction of our inquiry.
Anangke, karma, and ngglambi are reified abstractions, the last being the most concretely imagined, so that the shamans even “see” it. The others are less reified and are perceptible only in their supposed effects, above all in the myths – the quasi-miraculous tales that exemplify the workings of the principle.
Now, it is well known in human interaction that individual beliefs become self-validating, both directly, by “suggestion,” so that the believer tends to see or hear or taste that which he believes; or indirectly, so that the belief may validate itself by shaping the actions of the believers in a way which brings to pass that which they believe, hope, or fear may be the case. Then let me chalk up as a characteristic of human individuals a potential for pathology arising our of the fact that they are of a flexible and viscous nature. They clot together to create aggregates which become the embodiment of themes of which the individuals themselves are or may be unconscious.
In terms of such a hypothesis, anangke and karma are particular epiphenomena brought about by the clustering of flexible subsystems.