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venerdì 7 febbraio 2014

Umgreifende Tao

"Noi non viviamo immediatamente nell'essere, perciò la verità non è un nostro possesso definitivo; noi viviamo nell'essere temporale, perciò la verità è la nostra via".

I limiti delle scienze e l’impulso alla comunicazione sono due cose che ci additano il cammino verso la verità, la quale è qualcosa di ben più che un semplice possesso da parte dell’intelletto.
L’esattezza rigorosa delle scienze non è tutta la verità. Tale esattezza, nella sua validità universale, non ci vincola in tutto e per tutto quali uomini reali, ma solo quali esseri forniti d’intelletto. Si tratta solamente di un vincolo rispetto alle cose che vengono conosciute, di un vincolo particolare ma non pieno e totale. È vero che nella comunità dell’indagine scientifica, in grazia delle idee che in essa si realizzano e degli altri impulsi dell’esistenza che in essa si manifestano, possono darsi degli uomini che siano dei veri amici. Ma l’esattezza della conoscenza scientifica come tale vincola tutte le nature intellettive nella loro somiglianza, in quanto punti rappresentabili, e non vincola sostanzialmente gli uomini stessi.

Per l’intelletto che ha come mèta e come punto di vista l’esattezza il resto vale solo come sentimento, come soggettività, come istinto. Con questa bipartizione, accanto al mondo luminoso dell’intelletto, rimane solamente l’irrazionale, nel quale viene a sboccare tutto ciò che, secondo le circostanze, viene disprezzato o portato alle stelle. Intanto bisogna riconoscere che l’esattezza pura e semplice non ci appaga. E il movimento, che, nel pensare, va alla ricerca dell’autentica verità, nasce appunto da questo inappagamento. [...] La verità è qualche cosa di infinitamente più dell’esattezza scientifica.

Tutto considerato, anche la comunicazione ci fa avvertire e sentire che la verità è qualche cosa di infinitamente di più. La comunicazione è la via verso la verità in tutti i suoi aspetti. Lo stesso intelletto diventa chiaro a se stesso soltanto nella discussione. La maniera come l’uomo, in quanto esserci, in quanto spirito, in quanto esistenza, sta o può stare in comunicazione, è quella che rende possibile la rivelazione di ogni altra verità. La verità con la quale veniamo a contatto ai limiti delle scienze è quella stessa verità con la quale veniamo a contatto in questo movimento della comunicazione. La questione è d’intender bene quale verità essa sia.

La fonte di questa verità, per distinguerla da ciò che si presta a essere formulato e oggettivato, da ciò che è particolare, e determinato, nelle forme nelle quali l’essere può starci dinanzi, noi la chiamiamo il Tutto-avvolgente (Umgreifende). Questo concetto non è affatto familiare e tanto meno di per se stesso evidente. Il Tutto-avvolgente possiamo cercare di rischiararlo filosofando, ma non possiamo conoscerlo oggettivamente.
Qui ci attende il bivio fatale, dove noi raggiungiamo o il vero filosofare o torniamo da capo indietro, mentre, giungendo al nostro limite, dovremmo osare il salto verso il pensiero trascendente.

Se ci basiamo su tutto ciò che è sentimento, istinto, impulso, cuore e stato d’animo, come se soltanto questo fosse fonte di verità, non facciamo che nominare quel che rimane nel buio, quel che vorrebbe dar motivo alla nostra vita, con parole che inducono ad un’analisi psicologica, e ci fanno cascare in una psicologia che si presume comprensiva, mentre quel che importa è di raggiungere lo spazio luminoso del filosofare autentico e genuino.
I metodi del trascendere sorreggono la filosofia tutta intera. È impossibile anticipare in breve ciò che con essi possiamo raggiungere. Possiamo forse accostarci, con poche parole, se non alla piena comprensibilità, almeno all’atmosfera di cui si tratta.

Tutto ciò che diventa oggetto per me emerge, per così dire, dal fondo oscuro dell’Essere. Ogni oggetto è un essere determinato, che mi sta di fronte nella scissione di soggetto e oggetto; ma non è mai tutto l’Essere. Nessun essere conosciuto in questa maniera, cioè oggettivamente, è l’Essere.

Ma l’insieme delle cose conosciute come oggetti non rappresenta tutto l’Essere?
No. Come in un paesaggio dall’orizzonte sono racchiuse le cose, così tutti gli oggetti sono racchiusi dall’orizzonte in cui essi si trovano. Nel mondo dello spazio ci accade che, per quanto ci accostiamo all’orizzonte, non riusciamo mai a raggiungerlo, e esso piuttosto si muove con noi e sempre nuovamente si riforma, come quello che, volta per volta, tutto racchiude in sé.

Allo stesso modo, nel processo dell’indagine oggettiva, noi ci accostiamo, volta per volta, ad apparenti totalità, le quali però non ci si dimostrano mai come l’Essere pieno e autentico, ma devono, invece, essere oltrepassate in estensioni sempre nuove. Solo se tutti gli orizzonti si trovassero insieme, in un tutto compatto, dato che in tal caso essi ci rappresenterebbero una pluralità finita, noi potremmo, in uno sforzo di penetrazione a traverso tutti gli orizzonti, raggiungere l’Essere unico che vi è rinchiuso. Ma l’Essere non ci può esser dato rinchiuso, e gli orizzonti sono per noi illimitati. L’Essere ci trascina in tutti i sensi verso l’infinito.
Noi vogliamo renderci conto dell’Essere che, mentre ci si rivela venendoci incontro in ogni oggetto e in ogni orizzonte, pure, come tale, sempre indietreggia e si allontana. Questo Essere noi lo chiamiamo: il Tutto che ci avvolge. Il Tutto-avvolgente è dunque ciò che sempre e continuamente si annunzia a noi, e ci si annunzia non in quanto ci venga innanzi esso stesso, ma in quanto è la scaturigine di ogni altra cosa.

Con questo pensiero filosofico fondamentale noi vogliamo pensare al di là di quell’essere determinato dirigendoci verso il Tutto-avvolgente, nel quale siamo e che noi stessi siamo. È questo un pensiero che, per così dire, capovolge la nostra situazione perché ci libera dal vincolo di ogni essere determinato. Ma questo pensiero del Tutto-avvolgente è solo la prima pietra. In breve si direbbe che è ancora soltanto un pensiero puramente formale. Nello sforzo di un ulteriore avvicinamento, ci si mostrano subito i modi del Tutto-avvolgente insieme col compito del loro rischiaramento. L’Essere del Tutto-avvolgente, in se stesso, è Mondo e Trascendenza. L’Essere del Tutto-avvolgente che noi siamo è Esserci, Coscienza in generale, Spirito, Esistenza. Solo a traverso i modi del Tutto-avvolgente noi diventiamo interamente consapevoli della verità in tutte le sue possibilità, nel suo orizzonte possibile, nella sua ampiezza e nella sua profondità.
Il rischiaramento del Tutto-avvolgente riceve la sua spinta dalla nostra Ragione e dalla nostra Esistenza.

I movimenti nei quali noi ci apriamo sconfinatamente, coi quali vorremmo dare la parola a tutto ciò che è, attraverso i quali quasi attiriamo a noi ciò che ci è più lontano ed estraneo, in seno ai quali cerchiamo un rapporto con tutte le cose, e grazie ai quali non rompiamo la comunicazione con niente, questi movimenti noi li denominiamo ragione. Questa parola, che va radicalmente distinta da intelletto, esprime la condizione della verità, così come essa può venire in luce nei modi del Tutto-avvolgente. La logica filosofica riguarda la ragione in quanto si rende conto di se stessa.

Nel suo valore più largo e più comprensivo, entro il quale il valore delle scienze, vale a dire dell’intelletto, è soltanto un elemento, la verità trova, in ultimo, il suo fondamento nell’esistenza che noi possiamo essere. Tutto dipende dal lasciarci guidare nella vita da una incondizionatezza, da un possesso e un dominio pieno e assoluto di noi, il quale nasce soltanto dalla risoluzione. Mediante la risoluzione l’esistenza diventa reale, la vita viene foggiata e trasformata in quell’agire interiore che, rischiarandoci, ci sorregge nel volo. Quando l’amore ha come fondamento una risoluzione, non è più l’infida passione che s’agita senza mèta, ma la completa realizzazione di noi, nella quale ci si manifesta il vero Essere.

Quello che deve esser fatto nella vita del pensiero è reso possibile da un filosofare che, rimembrando e presagendo, faccia manifesta la verità. Questo filosofare ha il suo vero significato solamente se al pensiero corrisponde una realtà di chi pensa, la quale venga a integrarlo. Questa realtà non è la conseguenza o l’applicazione di una dottrina, ma è la prassi dell’essere umano, che si protende in avanti nell’eco del pensiero. È un impeto di movimento che ha luogo, per dir così, con due ali, che sono il pensiero e la realtà. L’uno e l’altra debbono spiegarsi, se si vuole che il volo riesca. Il pensiero puro e semplice rimarrebbe un vuoto agitarsi di possibilità; la realtà pura e semplice rimarrebbe una cupa incoscienza, dato che senza spiegamento non potrebbe intendere se stessa.

Questo modo di filosofare ebbe per me la sua prima origine nel campo della psicologia, che doveva subire una trasformazione e diventare poi rischiaramento dell’esistenza. Questo rischiaramento dell’esistenza mi riportò di nuovo all’orientamento nel mondo e alla metafisica. Il significato di questo pensare e di questo filosofare si risolve, in ultimo, in una logica filosofica, che non tien conto soltanto dell’intelletto e delle sue forme (giudizio e ragionamento), ma indica il fondo ultimo della verità, quale si mostra, in tutta la sua portata, nel Tutto-avvolgente.
L’Essere non è la somma degli oggetti. Bisogna dire piuttosto che gli oggetti nella scissione di soggetto e oggetto, vengono incontro al nostro intelletto dal Tutto-avvolgente dell’Essere stesso, che, mentre sfugge alla nostra comprensione oggettiva, è quello da cui tutte le nostre conoscenze oggettive e determinate ricevono senso e limiti, e da cui si effonde la melodia del Tutto, nel quale soltanto esse acquistano valore.
trad. di R. De Rosa
Friedhof am Hörnli Basel, Basel-Stadt, Switzerland
Yad Vashem Photo Archive

venerdì 8 febbraio 2013

il tonal del Tao


Le caratteristiche di un uccello solitario sono cinque:
la prima, che vola verso il punto più alto;
la seconda, che non sopporta compagni, neanche simili a lui;
la terza, che mira con il becco ai cieli;
la quarta, che non ha un colore definito;
la quinta, che canta molto dolcemente.
San Juan de la Cruz. Dichos de Luz y Amor
Il quarto libro di Castaneda - del 1974 - segna un forte distacco rispetto ai precedenti. Se i primi tre si potevano ancora considerare come "resoconti del lavoro sul campo" nella ricerca di un antropologo sulle tradizioni magiche della stregoneria del Messico, e non dei romanzi, quest'ultimo descrive esperienze e situazioni che, pur in continuità con i precedenti, mostrano come l'autore o sia entrato in un'opera di pura fantasia oppure sia stato completamente assorbito dalle esperienze di "magia" sperimentate dall'inizio degli anni 60, con o senza l'utilizzo di allucinogeni. L'inizio del libro fornisce alcune spiegazioni:
Nell'autunno del 1971, dopo essere stato via per parecchi mesi, mi sentii disposto a incontrare don Juan. Ero pronto a spingermi fin nel Messico centrale per raggiungerlo. Convinto che l'avrei trovato in casa di don Genaro, feci i miei preparativi per un viaggio di sei o sette giorni. Partii, ma già nel pomeriggio del secondo giorno, d'istinto, mi fermai presso l'abitazione di don Juan a Sonora. Parcheggiai la macchina e feci a piedi i pochi passi che mi separavano dalla casa. Là, con mia sorpresa, lui c'era.
"Don Juan! Non credevo di trovarvi qui."
Sorrise; sembrò che il mio stupore lo divertisse. Era seduto vicino alla porta su un bidone del latte vuoto. Pareva che fosse stato ad aspettarmi. Mi salutò come se finalmente fossi arrivato. Si tolse il cappello con un comico gesto di omaggio. Poi se lo rimise in testa e mi fece il saluto militare. Appoggiato al muro, sedeva sul bidone del latte come su una sella.

"Stavo andandomene fino al Messico centrale per nulla" dissi io. "E poi sarei dovuto tornare a Los Angeles. Trovarvi qui mi ha risparmiato giorni e giorni di viaggio."
"In qualche modo mi avreste trovato" replicò enigmatico; "Adesso mi siete debitore di questi  sei giorni che avreste impiegato per andare fin lì: giorni che dovreste usare per far qualcosa di più interessante che schiacciare l'acceleratore."
C'era qualcosa di seducente nel sorriso di don Juan. La sua cordialità era contagiosa.
"Dov'è la vostra roba per scrivere?" chiese.
Gli dissi che l'avevo lasciata nell'automobile; rispose che senza di essa non sembravo io, e volle che l' andassi a prendere.
"Ho finito di scrivere un libro" gli dissi.
Mi diede uno sguardo lungo, strano, che mi fece contrarre la bocca dello stomaco come se qualcosa di morbido mi avesse schiacciato il petto. Ebbi l'impressione di cominciare a sentirmi male; ma poi lui girò il capo e stetti bene di nuovo.
Volevo parlargli del mio libro, ma con un gesto mi fece capire che non desiderava saperne nulla. Sorrideva. Era di buon umore, accattivante, subito cominciò a farmi parlare di cose senza importanza, di gente, di quel che era successo. Finalmente riuscii a dirigere la conversazione su ciò che m'interessava davvero. Dissi che avevo ripreso in mano i primi appunti, rendendomi conto che lui, fin dall'inizio dei nostri rapporti, mi aveva fornito una descrizione particolareggiata del mondo degli stregoni. Alla luce di quanto mi aveva detto allora, io avevo cominciato a dubitare della funzione delle piante allucinogene.
"Perché mi avete fatto prendere per tanto tempo quelle piante potenti?" chiesi.
Sorrise e mormorò pianissimo: "Perché siete ottuso".
Capii subito, ma per essere più sicuro feci finta di non aver sentito bene.

"Come avete detto?"
"Lo sapete benissimo" rispose e si alzò.
Mi venne vicino e mi diede un colpetto sulla testa. "Siete piuttosto lento" disse. "E non c'era altro mezzo per scuotervi."
"Quindi nessuna di quelle piante era assolutamente necessaria?" gli chiesi.

"Nel vostro caso lo era. Ma ci sono altri tipi di persone che non sembrano averne bisogno."
 Si fermò vicino a me, fissando gli ultimi cespugli a sinistra della casa; poi si sedette di nuovo e cominciò a parlare di Eligio, l'altro suo apprendista. Disse che Eligio aveva preso delle piante psicotrope una volta sola da quando era con lui, e ora era forse ancor più avanti di me.
"Essere sensitivi, per certe persone, è una condizione naturale" disse. "Voi non lo siete. Ma neanch'io. In ultima analisi, la sensitività conta molto poco."
"Che cosa conta, allora?"

 Parve che cercasse una risposta.
"Conta che il guerriero sia senza macchia" disse alla fine. "Ma questo è solo un modo di dire, una scappatoia. Voi avete già compiuto qualche operazione di stregoneria, e credo che sia venuto il momento di nominare la fonte di tutto ciò che conta. Vi dirò quindi che ciò che conta per un guerriero è arrivare alla totalità di se stesso."
"Che cos'è la totalità di se stesso, don Juan?"

"Ho detto che l'avrei soltanto nominata. Nella vostra vita c'è ancora una quantità di fili separati che dovrete legare insieme, prima che io possa parlarvi della totalità di se stesso.
In periodi successivi Don Juan fornì a Castaneda, nei modi più disparati, diverse spiegazioni sul modello della stregoneria - la cosiddetta "spiegazione degli stregoni" - a seconda del grado di apprendimento che reputava raggiunto. Una parte essenziale della descrizione viene fornita dalla dualità tonal/nagual, corrispondente alla dualità tra il Teh del Tao, rappresentato dal simbolo dello Taijitu con tutte le sue infinite dualità, e la sua matrice, il Tao:
Don Juan e io ci incontrammo di nuovo il giorno successivo, in quello stesso parco, verso mezzogiorno. Don Juan indossava sempre il suo completo marrone. Ci sedemmo su una panchina; lui si tolse la giacca, la piegò con gran cura, ma con un'aria di suprema noncuranza, e la appoggiò sulla panchina. La sua noncuranza era studiatissima e tuttavia perfettamente naturale. Mi accorsi che lo stavo fissando.Sembrò consapevole del paradosso che offriva ai mici occhi e sorrise. Si raddrizzò la cravatta. Portava una camicia beige con le maniche lunghe. Gli stava benissimo.
"Porto ancora il mio completo perché voglio dirvi una cosa molto importante" disse, battendomi sulla spalla. "Ieri vi siete comportato bene. Ora è il momento di arrivare a qualche accordo definitivo."
Tacque per un lungo istante. Sembrava che si preparasse a una dichiarazione. Provai una strana sensazione allo stomaco. Avevo immediatamente supposto che stesse per rivelarmi la spiegazione degli stregoni. Si alzò e fece qualche passo avanti e indietro, come se gli fosse difficile esprimere quel che aveva in mente.
"Andiamo in quel ristorante dall'altra parte della strada e mangiamo qualcosa" disse alla fine.
Prese la giacca e prima di infilarla mi mostrò che era tutta foderata.
"E fatta su misura" disse e sorrise come se ne fosse orgoglioso, come se fosse stata una cosa importante.
"Devo attirare la vostra attenzione su di essa, perché altrimenti non vi badereste, ed è importantissimo che ne siate consapevole. Voi siete consapevole di ogni cosa solo quando pensate di doverlo essere; ma la condizione del guerriero è: essere consapevole di ogni cosa in ogni momento."
"Il mio completo e tutti questi ammennicoli sono importanti perché rappresentano la mia condizione nella vita. O piuttosto la condizione di una delle due parti della mia totalità. Questa discussione era in sospeso. Credo che ora sia il momento di farla. Doveva però essere fatta solo al momento giusto, altrimenti non avrebbe avuto senso. Con il mio completo volevo fornirvi un primo indizio. Penso d'esserci riuscito. Adesso è il momento di parlare, perché su questo argomento non ci può essere completa comprensione se non si parla."
"Quale argomento don Juan?"
"La totalità dell'io."
Si alzò bruscamente e mi condusse nel ristorante di un grande albergo, dall'altra parte della strada. Una donna di umore piuttosto ostile ci diede una tavola in un angolo, al fondo. Ovviamente, i posti migliori erano quelli vicini alle finestre.
Dissi a don Juan che quella donna me ne ricordava un'altra, in un ristorante dell'Arizona dove una volta eravamo andati a mangiare insieme: prima di darci il menù, ci aveva chiesto se avevamo abbastanza denaro per pagare.
"Non biasimo quella povera donna" disse don ]uan, come se simpatizzasse con lei. "Anche lei, come l'altra, ha paura dei messicani".
Rise piano. Un paio di persone alle tavole vicine girarono la testa e ci guardarono.
Don Juan disse che senza saperlo, o forse anzi in contrasto con la sua volontà, la donna ci aveva dato la tavola migliore: quella che ci avrebbe permesso di parlare, e a me avrebbe permesso di scrivere, a nostro piacimento.
Avevo appena tirato fuori di tasca il notes e l'avevo appoggiato sulla tavola, quando d'improvviso il cameriere venne verso di noi. Anche lui sembrava di cattivo umore. Stette di fronte a noi con aria di sfida.
Don Juan si mise a ordinare per sé un pranzo molto complicato. Ordinava senza guardare il menù, come se lo sapesse a memoria. Ero imbarazzato; il cameriere era comparso inatteso e non avevo avuto il tempo di leggere il menù: gli dissi quindi che prendevo anch'io lo stesso.
Don Juan mi sussurrò all'orecchio: "Scommetto che non hanno quello che ho ordinato."
Stirò braccia e gambe e mi disse di rilassarmi, di mettermi comodo, perché per preparare il nostro pranzo ci sarebbe voluta un'eternirà.
"Siete a un bivio cruciale" disse. "Forse l'ultimo, e forse anche il più difficile da capire. Alcune delle cose che vi indicherò oggi, probabilmente non saranno mai chiare. Non sono cose che possano essere chiarite, in alcun modo. Quindi non provate imbarazzo o scoraggiamento.Tutti noi siamo creature ottuse quando raggiungiamo il mondo della stregoneria, e raggiungerlo non vuol dire affatto essere certi di cambiare. Alcuni di noi restano ottusi fino all'ultimo."
Mi piaceva che comprendesse anche se stesso fra gli ottusi. Sapevo che non lo faceva per cortesia, ma come espediente didattico.
"Non inquietatevi se non caverete un significato da quanto sto per dirvi" proseguì "Considerando il vostro temperamento, ho paura che vi mettiate fuori combiamento da solo, nello sforzo di capire. Non fatelo! Quanto vi dirò deve solo servire a indicare una direzione."
Provai un improvviso senso di apprensione. Gli ammonimenti di don Juan mi cacciavano in una rifessione senza fine. Già in altre occasioni mi aveva ammonito così, proprio nello stesso modo, e ogni volta ciò da cui mi aveva messo in guardia s'era poi rivelato un'esperienza rovinosa.
"Divento molto nervoso quando mi parlate cosi" gli dissi.
"Lo so" rispose calmo. "Sto cercando deliberatamente di svegliarvi. Ho bisogno della vostra attenzione, della vostra intera attenzione."
Tacque e mi guardò: ebbi un riso nervoso e involontario. Sapevo che stava ampliando al massimo le possibilità drammatiche della situazione.
"Non vi dico tutto questo per farvi impressione" aggiunse don Juan come se avesse letto nei miei pensieri. "Vi do solo il tempo di prepararvi nel modo opportuno."
In quel momento il cameriere si fermò alla nostra tavola per annunciare che non disponevano di quel che avevamo ordinato. Don Juan rise rumorosamente e ordinò tortillas e fagioli. Il cameriere ridacchiò sprezzante, dichiarò che loro non ne servivano, e suggerì bistecca o pollo. Ci decidemmo per una zuppa.
Mangiammo in silenzio. La zuppa non mi piaceva e non riuscii a finirla, ma don Juan la divorò tutta.
"Ho messo il mio completo" disse d'un tratto "per parlarvi di qualcosa, qualcosa che già conoscete ma che bisogna chiarire perché diventi efficiente. Ho aspettato fino adesso perché Genaro ritiene che non soltanto dobbiate essere intenzionato a percorrere la strada del sapere, ma che i vostri stessi sforzi debbano essere senza macchia, tanto da rendervi degno di quel sapere. Vi siete comportato bene. Ora vi dirò la spiegazione degli stregoni."
Tacque di nuovo, si fregò le guance e fece girare la lingua nella bocca come per toccarsi i denti.
"Sto per parlarvi del tonal e del nagual" disse, e mi guardò con occhi penetranti.
Era la prima volta dall'inizio dei nostri rapporti che don Juan usava quelle due parole. Mi erano vagamente familiari: le avevo lette negli studi antropologici, sulle culture del Messico centrale. Sapevo che il "tonal" era considerato una sorta di spirito protettore, solitamente animale, che il bambino riceveva alla nascita e con il quale manteneva stretti vincoli per tutta la vita. "Nagual" era il nome attribuito all'animale in cui gli stregoni pretendevano di potersi trasformare o allo stregone che attuava tale trasformazione.
"Questo è il mio tonal" disse don Juan fregandosi le mani sul petto.
"Il vostro completo?"
"No. La mia persona."
Si batté le mani sul petto, sulle gambe e sulle costole.
"Il mio tonal è tutto questo"

Spiegò che ogni essere umano aveva due lati, due entità separate, due controparti, che divenivano operanti al momento della nascita; una era chiamata il "tonal", l'altra il "nagual".
Gli dissi ciò che gli antropologi sapevano intorno a quei due concetti. Mi lasciò parlare senza interrompermi.
"Bene, tutto quello che credete di sapere in proposito sono pure assurdità" disse poi. "Baso questa affermazione sul fatto che quanto vi sto dicendo del tonal e del nagual non può esservi già stato detto prima. Qualsiasi stupido capirebbe che non ne sapete nulla, perché per esserne informato dovreste essere uno stregone, e non lo siete. Oppure dovreste averne parlato con uno stregone, e non l'avete fatto. Quindi, lasciate perdere tutto quello che avete sentito dire prima, perché non vi servirebbe a niente."
"Era solo un commento" dissi.
Sollevò le sopracciglia con un'espressione comica.
"I vostri commenti sono fuori di posto" replicò.
"Questa volta mi occorre la vostra intera attenzione, perché sto per informarvi del tonal e del nagual. Per gli stregoni questo sapere presenta un interesse eccezionale, unico. Potrei dirvi che il tonal e il nagual sono esclusivamente di pertinenza degli uomini del sapere. Nel vostro caso, sono ciò che conclude tutto quello che vi ho, insegnato. Perciò ho aspettato fino adesso a parlarvene."
"Il tonal non è un animale che protegge una persona. Potrei dire piuttosto che è un protettore che può essere rappresentato come un animale. Ma non è un punto importante."
Sorrise e mi strizzò l'occhio.
"Adesso uso le vostre parole", disse. "Il tonal è la persona sociale."
Rise, immaginai, alla vista della mia confusione.
"Il tonal è dunque, propriamente, un protettore - un protettore che per lo più diviene una guardia."
Annaspavo con il mio notes. Cercavo di prestare attenzione a quanto don Juan stava dicendo. Lui rise e imitò i miei gesti nervosi.
"Il tonal è l'organizzazione del mondo" proseguì. "Forse il modo migliore per descrivere la sua enorme opera è dire che sulle sue spalle poggia il compito di mettere in ordine il caos del mondo. Non è esagerato affermare, con gli stregoni, che tutto quello che sappiamo e che facciamo come uomini è opera del tonal"
"In questo momento, per esempio, ciò che è impegnato nel tentativo di ricavare un senso dalla nostra conversazione è il vostro tonal: senza di esso ci sarebbero soltanto suoni misteriosi e smorfie, e non capireste nulla di quanto dico."
"Inoltre il tonal è il protettore che protegge una cosa che non ha prezzo; il nostro vero essere. Quindi una qualità specifica del tonal consiste nell'essere geloso delle sue azioni. E poiché le sue azioni sono la parte di gran lunga più importanti delle nostre vite, non c'è da meravigliarsi se alla fine il tonal si trasforma, in ciascuno di noi, da protettore in guardia."
Si fermò e mi chiese se avevo capito. Automaticamente feci di si col capo, ed egli sorrise con aria incredula.
"Un protettore è di larghe vedute e comprensivo" spiegò. "Una guardia, invece, è di mente ristretta e per lo più dispotica. Vi dirò che in tutti noi il tonal è stato trasformato in una guardia gretta e dispotica, mentre potrebbe essere un protettore di larghe vedute."
Avevo definitivamente perso il filo della sua spiegazione. Ascoltavo e annotavo ogni parola; tuttavia mi sembrava di non riuscire a liberarmi da un dialogo interiore, con me stesso.
"Per me è difficilissimo seguirvi" dissi.
"Se la smetteste di parlare con voi stesso, non avreste difficoltà" replicò tagliente.
La sua osservazione suscitò da parte mia tutta una lunga spiegazione. Finalmente mi ripresi e mi scusai dell'insistenza nel difendermi. Don Juan sorridendo fece un gesto con cui parve indicare che il mio atteggiamento non gli aveva dato veramente fastidio.
"Il tonal è tutto ciò che noi siamo" prosegui. "Dite un nome qualsiasi! Tutto ciò per cui possedete un nome è il tonal. E siccome il tonal è le sue stesse azioni, ogni cosa, ovviamente, deve ricadere nel suo ambito."
Gli ricordai che mi aveva detto che il "tonal" era la persona sociale, un'espressione che avevo usato io stesso con lui per designare un essere umano come risultato finale di processi di socializzazione. Feci notare che se il "tonal" era questo prodotto, non poteva essere ogni cosa, dato che il mondo intorno a noi non era il prodotto della socializzazione.
Don Juan a sua volta mi fece ricordare che il mio discorso non aveva fondamento per lui: già da tempo aveva precisato che non esiste il mondo, ma solo una descrizione del mondo che abbiamo imparato a vedere chiara e a prendere per certa. "Il tonal è tutto ciò che sappiamo" disse." Penso che questa sia di per sé una ragione sufficiente per  considerare il tonal una faccenda schiacciante".
Tacque per un momento. Parve che a questo punto si aspettasse domande o commenti, ma io non ne avevo alcuno. Mi sentivo però obbligato a porre comunque una domanda, e lottai per formularne una appropriata. Non ci riuscii. Capii che gli ammonimenti con cui aveva iniziato la nostra conversazione erano forse serviti a dissuadermi dall'avanzare qualsiasi interrogativo. Mi sentivo stranamente intorpidito. Non riuscivo a concentrare e ordinare i pensieri.  Sentivo e sapevo, senza ombra di dubbio, che ero incapace di pensare, e tuttavia lo sapevo senza pensare, come se fosse stato perfettamente possibile.
Guardai don ]uan. Stava fissando il centro del mio colpo. Spostò gli occhi e la chiarezza mentale mi tornò d'improvviso.
"Il tonal è tutto ciò che sappiamo" ripeté lentamente. "E questo include non solo noi, come persone, ma tutto nel nostro mondo. Si può dire che il tonal è tutto ciò che incontra l'occhio.
"Cominciamo a disporne al momento della nascita. Nell'istante in cui tiriamo il fiato per la prima volta, inspiriamo potere per il tonal. E quindi giusto dire che il tonal di un essere umano è intimamente legato alla sua nascita."
"Dovete ricordarvi questo. E molto importante per capire tutto ciò che sto dicendo. Il tonal ha inizio con la nascita e finisce con la morte."
Volevo ricapitolare tutti i punti che aveva esposto.
Aprii la bocca per chiedergli di ripetere gli elementi essenziali della nostra conversazione, ma con stupore mi accorsi di non riuscire a pronunciare le parole. Sperimentavo una stranissima incapacità: le mie parole erano pesanti e non riuscivo a dominare questa sensazione.
Guardai don Juan per fargli capire che non riuscivo a parlare. Stava di nuovo fissando la zona intorno al mio stomaco.
Distolse gli occhi e mi chiese come mi sentivo. Le parole mi corsero fuori come se fossi stato stappato. Gli dissi che avevo avuto la strana sensazione di non riuscire a parlare o a pensare, sebbene i miei pensieri fossero chiarissimi.
"I vostri pensieri erano chiarissimi?" chiese.
Allora mi resi conto che la chiarezza non era dei miei pensieri, ma della mia percezione del mondo.
Mi state facendo qualcosa, don Juan?
"Cerco di convincervi che i vostri commenti non sono necessari" mi rispose ridendo.
"Intendete dire che non volete che io ponga delle domande"
"No, no. Chiedete quel che volete ma non fate oscillare la vostra attenzione"
Dovetti riconoscere che ero stato distratto dall'immensità dell'argomento.
"Non riesco ancora a capire, don Juan, cosa volete dire quando affermate che il tonal è ogni cosa?" dissi dopo un momento di pausa.
"Il tonal è quello che fa il mondo." 

"Il tonal è il creatore del mondo?"
 Don Juan si grattò le tempie.
"Il tonal fa il mondo solo per modo di dire. Non può creare o cambiare nulla, e tuttavia fa il mondo perché ha la funzione di giudicare, di valutare, di rendere testimonianza. Dico che il tonal fa il mondo perché ne rende testimonianza e lo valuta secondo le leggi del tonal. In modo molto strano, il tonal è un creatore che non crea nulla. In altre parole, il tonal compone le leggi con le quali percepisce il mondo.  Quindi, per modo di dire, crea il mondo."
Cominciò a mormorare un motivo popolare, battendo il ritmo con le dita sul fianco della seggiola. Aveva gli occhi sfavillanti; sembravano emettere scintille. Ridacchiò scuotendo la testa.
"Non mi seguite" disse sorridendo.
"Ma no. Riesco a seguirvi" replicai in tono che però non era molto convincente.
"Il tonal è un'isola"  spiegò.  "Il modo migliore di descriverlo è dire che il tonal è questo"
Fece scorrere la mano sul piano della tavola.
"Possiamo dire che il tonal è come il piano di questa tavola. Un'isola. E su quest'isola abbiamo tutto. Quest'isola, infatti, è il mondo."
"C'è un tonal personale per ciascuno di noi, e ce n'è uno collettivo per tutti noi in ogni momento, che possiamo chiamare il tonal del tempo"
Indicò le file di tavole nel ristorante.
"Guardate! Ogni tavola ha la stessa conformazione.  Certi elementi si trovano in tutte. Sono però individualmente diverse le une dalle altre; ad alcune c'è più gente; su ciascuna di esse ci sono cibi diversi, piatti diversi, intorno a ciascuna di esse c'è un'atmosfera diversa; però dobbiamo riconoscere che tutte le tavole in questo ristorante sono molto simili. Lo stesso succede con il tonal. Possiamo dire che il tonal del tempo è ciò che ci rende simili, così come rende simili tutte le tavole in questo ristorante. Tuttavia ogni tavola, presa singolarmente, è un caso individuale, proprio come il tonal personale di ciascuno di noi. Ma la cosa importante da tenere a mente è che tutto ciò che sappiamo di noi e del nostro mondo è sull'isola del tonal. Capite quel che voglio dire?"
"Se il tonal è tutto ciò che sappiamo di noi e del nostro mondo, che cos'è allora il nagual?"
"ll nagual è la parte di noi con cui non abbiamo assolutamente a che fare."
" Come dite?"
"Il nagual è la parte di noi per la quale non c'è descrizione - non parole, non nomi, non sensazioni, non sapere."
"E' una contraddizione, don Juan. A mio parere, se non può essere né sentito né descritto, né  nominato, non può esistere."
"E' una contraddizione soltanto nel vostro parere. Vi avevo avvertito; non mettetevi fuori gioco da solo, cercando di capirlo."
"Potreste dire che il nagual è la mente?"
"No. La mente è un elemento della tavola. La mente è parte del tonal. Ecco: la mente è la chili sauce."
Prese una bottiglia di salsa e la collocò di fronte a me.
"Il nagual è l'anima?"
"No. Anche l'anima sta sulla tavola. Diciamo che è il portacenere."
"E i pensieri degli uomini?"

No. Anche i pensieri stanno sulla tavola. I pensieri sono come le posate."
Prese una forchetta e la mise vicino alla chili sauce e al portacenere.
"E' uno stato di grazia? Il paradiso?"
"Né l'uno né l'altro. Qualunque cosa possano essere, sono anch'essi parte del tonal. Diciamo che sono: il tovagliolo."
Continuai a sottoporgli tutti i modi possibili per descrivere ciò cui alludeva: intelletto puro, psiche, energia, forza vitale, immortalità, principio di vita. Per ogni mia parola scopriva un corrispettivo sulla tavola e me lo metteva davanti: alla fine tutto quel che si trovava sulla tavola era ammucchiato davanti a me.
Don Juan sembrava divertirsi enormemente. Aveva un breve scoppio di risa e si fregava le mani ogni volta che menzionavo un'altra possibilità.
"Il nagual è l'Essere Supremo, l'Onnipotente, Dio?" chiesi.
"No. Anche Dio sta sulla tavola. Diciamo che Dio è la tovaglia."
Fece un buffo gesto, come per ammucchiare la tovaglia con tutto il resto.
"Ma, state dicendo che Dio non esiste?"
"No. Non ho detto questo. Ho detto soltanto che il nagual non è Dio, perché Dio è un elemento del nostro tonal personale e del tonal del tempo. Il tonal, vi ho già detto, è tutto ciò di cui pensiamo sia costituito il mondo, compreso Dio, naturalmente. Dio non ha importanza che nella misura in cui fa parte del tonal del nostro tempo."
"Come io lo intendo, don Juan, Dio è ogni cosa. Non stiamo parlando della stessi cosa?"

"No. Dio è soltanto ogni cosa di cui potete pensare: dunque, propriamente, è solo un altro elemento sull'isola. Non si può essere a piacimento testimoni di Dio; di lui si può solo parlare. Il nagual invece è al servizio del guerriero. Se ne può essere testimoni, ma non se ne parlare."
"Se il nagual non è alcuna delle cose che ho nominato"  dissi "forse potete dirmi dov'è collocato. Dove si trova?"
Don Juan fece un gesto come per scopar via e indicò lo spazio di là dai limiti della tavola. Mosse la mano come per ripulire con il dorso un'immaginaria superficie oltre il piano della tavola.
"Il nagual è lì" disse. "Lì, tutt'intorno all'isola. Il nagual è lì, dove il potere si libra."
"Dal momento in cui siamo nati, intuiamo che per noi ci sono due parti. All'istante della nascita, e ancora per un po' di tempo dopo, siamo soltanto nagual. Poi intuiamo che, per funzionare, abbiamo bisogno di una controparte a ciò che abbiamo. Il tonal ci manca, e questo ci imprime, fin dall'inizio della vita, un senso di incompletezza. Poi il tonal comincia a svilupparsi e diviene enormemente importante per il nostro funzionamento, tanto importante che offusca la lucentezza del nagual, la sopraffà. Dal momento in cui diventiamo soltanto tonal, non facciamo che accresce il nostro iniziale senso di incompletezza che ci accompagna dalla nascita e che continuamente ci dice: ci vuole un'altra parte per essere completi."
"Dal momento in cui diventiamo soltanto tonal, cominciamo a formare delle coppie. Intuiamo i nostri due lati, ma li rappresentiamo sempre con gli elementi del tonal. Diciamo che le nostre due parti sono l'anima e il corpo. O pensiero e materia. O bene e male. O Dio e Satana. E non ci rendiamo conto che continuiamo soltanto a comporre coppie con ciò che sta sull'isola, come se mettessimo di fianco caffè e tè, oppure pane e tortillas, chili e senape. Siamo animali strani, ve lo dico io. Ci lasciamo trasportare fuori strada, e nella nostra follia crediamo di aver trovato la soluzione giusta."

Don Juan si alzò e si rivolse a me come un oratore.
Mi puntò l'indice contro, tremolando la testa.

"L'uomo non muove tra bene e male" disse in comico tono retorico, afferrando con entrambe le mani i vasetti del pepe e del sale. "Il suo vero moto è tra negativo e positivo."
Lasciò cadere il sale e il pepe e prese un coltello e una forchetta.
"Vi sbagliate! Non c'è movimento" prosegui, come se rispondesse a se stesso. "L'uomo è soltanto mente!"
Prese la bottiglia della salsa e la sollevò. Poi la rimise giù.
"Come vedete," disse piano "possiamo benissimo sostituire alla mente la chili sauce e concludere: L'uomo è soltanto chili sauce!, senza andare incontro per questo a una smentita peggiore."

"Ho paura di non aver posto la domanda giusta" dissi. "Forse ci capiremmo meglio se vi chiedessi che cosa propriamente si può trovare in quest'area, di là dall'isola?"
"Non è possibile rispondere. Se dicessi "Nulla", indicherei solo la parte nagual del tonal. Tutto ciò che posso dire è che lì, di là dall'isola, si trova il nagual."
"Ma, se lo chiamate il nagual, non finite per collocarlo sull'isola?"
"No. Gli do nome solo perché voglio che ne siate consapevole"
"Benissimo! Ma divenirne consapevole è il passo che ha trasformato il nagual in un nuovo elemento del mio tonal."
"Temo che non capiate. Ho menzionato il tonal e il nagual come una vera coppia. Ho fatto solo questo."
Mi ricordò che una volta, cercando di spiegargli la mia insistenza sul significato, avevo discusso l'idea che i bambini non siano in grado di distinguere tra "padre" e "madre" finché i due concetti non si sviluppino in termini tangibili, e che per essi il "padre" sia quello che porta i calzoni e la "madre" quella che porta la sottana, o comunque che la differenza stia nella capigliatura, nella forma del corpo, nei vestiti.
"Certamente non ci comportiamo allo stesso modo con le due parti di noi"; egli disse. "Noi intuiamo che c'è un altro lato di noi. Ma quando cerchiamo di afferrare quell'altro lato, il tonal prende il comando e diventa gretto e geloso. Ci abbaglia con le  sue astuzie e ci costringe a cancellare il minimo indizio dell'altra componente della coppia, il nagual."

venerdì 15 febbraio 2013

il Tao della programmazione: Libro 4 - Scrittura

Geoffrey James, 1987
Libro 4 - Scrittura

Così parlò il maestro programmatore:
“Un programma scritto bene è il suo stesso paradiso; un programma scritto male è il suo stesso inferno.”

4.1

Un programma dovrebbe essere leggero e agile, le sue subroutine collegate come una collana di perle. Lo spirito e l'intento del the programma dovrebbe essere mantenuto attraverso tutto il suo codice. Non ci dovrebbe essere né troppo poco né troppo, né cicli che non servono né variabili inutili, né mancanza di struttura né eccessiva rigidità.

Un programma dovrebbe seguire la “Legge del Minor Stupore”. Cosa dice questa legge? Semplicemente che il programma dovrebbe sempre rispondere all'utente nel modo che lo stupisce di meno.

Un programma, non importa quanto complesso, dovrebbe comportarsi come una singola unità. Il programma dovrebbe essere diretto dalla logica interiore anziché dall'apparenza esteriore.

Se il programma manca di questi requisiti, sarà in uno stato di disordine e confusione. Il solo modo per correggerlo è riscrivere il programma.

4.2

Un novizio chiese al maestro: “Ho un programma che a volte gira e a volte no. Ho seguito le regole della programmazione, eppure sono totalmente sconcertato. Qual è la ragione per questo?”

Il maestro rispose: “Sei confuso perchè non capisci il Tao. Solo uno stupido si aspetta un comportamento razionale da altri umani. Perché tu te lo aspetti da una macchina costruita da umani? I computer simulano il determinismo; solo il Tao è perfetto.”

“Le regole della programmazione sono transitorie; solo il Tao è eterno. Quindi devi contemplare il Tao prima di ricevere l'illuminazione.”

“Ma come farò a sapere quando ho ricevuto l'illuminazione?” chiese il novizio.

“Allora il tuo programma girerà correttamente”, rispose il maestro.

4.3

Un maestro stava spiegando la natura del Tao a uno dei suoi allievi. ``Il Tao è racchiuso in tutto il software - non importa quanto sia insignificante'', disse il maestro.

“Il Tao è in un calcolatore tascabile?” chiese l'allievo.

“Lo è” fu la risposta.

“Il Tao è in un videogioco?” continuò l'allievo.

“E' anche in un videogioco” disse il maestro.

“E il Tao è nel DOS per un personal computer?”

Il maestro tossì e si spostò leggermente sulla sedia. “La lezione è finita per oggi” disse.

4.4

Il programmatore del Principe Wang stava scrivendo software. Le sue dita danzavano sulla tastiera. Il programma venne compilato senza errori, girando come una brezza gentile.

“Eccellente!” esclamò il Principe, “La tua tecnica è perfetta!”

“Tecnica?” disse il programmatore voltandosi dal suo terminale, “Ciò che seguo è il Tao - oltre tutte le tecniche! Quando avevo appena iniziato a programmare vedevo davanti a me l'intero problema in un'unica massa. Dopo tre anni non vedevo più questa massa. Invece, usavo le subroutine. Ma ora non vedo nulla. Il mio intero essere esiste in un vuoto informe. I miei sensi sono inattivi. Il mio spirito, libero di lavorare senza progetti, segue il suo stesso istinto. In breve, il mio programma si scrive da solo. Certo, a volte ci sono problemi difficili. Li vedo arrivare, rallento, osservo in silenzio. Poi modifico una singola linea di codice e le difficoltà svaniscono come nuvolette di fumo. Poi compilo il programma. Sto seduto immobile e lascio che la gioia del lavoro riempia il mio essere. Chiudo gli occhi per un momento e poi mi disconnetto.”

Il Principe Wang disse, “Fossero tutti così saggi, i miei programmatori!”

Il Tao della Programmazione: Libro 3

mercoledì 12 gennaio 2011

complessità del Tao

"For every complex problem there is a simple solution that is wrong."
G. B. Shaw

La definizione di complessità di un sistema è essa stessa complessa: in diversi periodi storici diversi autori in diverse discipline hanno utilizzato definizioni diverse. Seth Lloyd nei primi anni 90 classificava almeno 32 esempi di definizioni, tra le quali informazione (Shannon), entropia (Gibbs-Boltzmann), complessità algoritmica, lunghezza del codice autodelimitante, minima lunghezza di descrizione, numero dei parametri, dei gradi di libertà o delle dimensioni, informazione mutua o capacità di canale, correlazione, dimensione frattale, autosomiglianza, sofisticazione, taglia della macchina topologica, diversità di sottoalbero a grafo, complessità temporale o spaziale di calcolo, profondità logica o termodinamica, ordine a grande scala, autorganizzazione, confine del caos e altri.
Le seguenti citazioni (eccetto l’ultima) provengono da un numero special di Science su “Complex Systems” delineando molti remi chiave del settore (Science 2 April 1999).

1. “To us, complexity means that we have structure with variations.” (Goldenfeld and Kadanoff 1999, p. 87)
2. “In one characterization, a complex system is one whose evolution is very sensitive to initial conditions or to small perturbations, one in which the number of independent interacting components is large, or one in which there are multiple pathways by which the system can evolve. Analytical descriptions of such systems typically require nonlinear differential equations. A second characterization is more informal; that is, the system is “complicated” by some subjective judgment and is not amenable to exact description, analytical or otherwise.” (Whitesides and Ismagilov 1999, p. 89)
3. “In a general sense, the adjective “complex” describes a system or component that by design or function or both is difficult to understand and verify. [...] complexity is determined by such factors as the number of components and the intricacy of the interfaces between them, the number and intricacy of conditional branches, the degree of nesting, and the types of data structures.” (Weng et al. 1999, p. 92)
4. “Complexity theory indicates that large populations of units can selforganize into aggregations that generate pattern, store information, and engage in collective decision-making.” (Parrish and Edelstein-Keshet 1999, p. 99)
5. “Complexity in natural landform patterns is a manifestation of two key characteristics. Natural patterns form from processes that are nonlinear, those that modify the properties of the environment in which they operate or that are strongly coupled; and natural patterns form in systems that are open, driven from equilibrium by the exchange of energy, momentum, material, or information across their boundaries.” (Werner 1999, p. 102)
6. “A complex system is literally one in which there are multiple interactions between many different components.” (Rind 1999, p. 105)
7. “Common to all studies on complexity are systems with multiple elements adapting or reacting to the pattern these elements create.” (Brian Arthur 1999, p. 107)
8. “In recent years the scientific community has coined the rubric ‘complex system’ to describe phenomena, structure, aggregates, organisms, or problems that share some common theme: (i) They are inherently complicated or intricate [...]; (ii) they are rarely completely deterministic; (iii) mathematical models of the system are usually complex and involve non-linear, ill-posed, or chaotic behavior; (iv) the systems are predisposed to unexpected outcomes (so-called emergent behavior).” (Foote 2007, p. 410)
9. “Complexity starts when causality breaks down” (Editorial 2009)


In generale, i sistemi complessi possono avere le seguenti caratteristiche:

Elevato numero di elementi e connessioni
Ad esempio il cervello umano ha circa 1011 - 1012 neuroni, la popolazione mondiale circa 1010 persone, in un laser sono coinvolti circa 1018 atomi, in un fluido vi sono circa 1023 molecole al cm cubo. Le connessioni o relazioni tra gli elementi crescono in modo esponenziale con il numero degli elementi, ad esempio nel cervello umano se si suppone che ogni neurone sia connesso con circa 1000 dendriti ad altri neuroni si ha un numero di circa 1014 - 1015 connessioni.

Confini difficilmente stabilibili
Può essere difficile determinare i confini di un sistema complesso. La decisione è definita sempre da parte dell'osservatore, ed è quindi sempre soggettiva in dipendenza dei paradigmi e dell'epistemologia dell'osservatore.

Possono essere aperti
I sistemi complessi sono generalmente sistemi aperti.

Possono avere memoria
La storia di un sistema complesso può essere importante dato che sono sistemi dinamici che cambiano nel tempo e gli stati interni passati possono avere un'influenza sugli stati presenti, ad esempio possono mostrare isteresi.

Possono essere annidati
I componenti di un sistema complesso possono essere essi stessi sistemi complessi. Ad esempio, un sistema economico è costituito da organizzazioni, che sono fatte di persone, che sono costituiti da cellule - che sono tutti sistemi complessi.

Strutture diverse delle reti dinamiche interne
La reti dinamiche di collegamento interno e verso l'esterno di un sistema complesso possono avere diverse topologie a piccola e a grande scala. Nella corteccia cerebrale umana, ad esempio, notiamo aree di densa connettività locale e poche connessioni di assoni molto lunghe tra le regioni all'interno della corteccia e le altre regioni del cervello.

Possono produrre fenomeni emergenti
I sistemi complessi possono presentare comportamenti emergenti, vale a dire che mentre i risultati possono essere deterministici, possono esibire proprietà che sono comprensibili solo a un livello superiore. Ad esempio, le termiti hanno fisiologia, biochimica e sviluppo biologico che sono descrivibili ad un certo livello di analisi, mentre il loro comportamento sociale comunitario è una proprietà che emerge dall'insieme delle termiti e deve essere analizzato a un livello diverso. Il fenomeno emergente di maggior rilievo, descrivibile come salto di livello logico, è - naturalmente - la vita.

Le relazioni e processi sono non lineari
Essendo non lineari i processi interni e/o la relazione tra gli input e gli output significa che una piccola perturbazione in ingresso o interna del sistema può produrre svariati tipi di effetti, ad esempio uno grande (come l'effetto farfalla), uno proporzionale alla perturbazione oppure al limite nessun effetto. Nei sistemi lineari l'effetto è sempre direttamente proporzionale alla causa.

I processi contengono anelli di retroazione
Anelli di retroazione negativi (smorzamento e stabilizzazione) e positivi (amplificazione)  si trovano sempre nei sistemi complessi. Gli effetti del comportamento di un elemento del sistema sono reimmessi in modo tale che l'elemento stesso è alterato. In generale anelli negativi sono essenziali per la stabilizzazione del sistema e per la sua omeostasi, ovvero per la sua stessa esistenza.


Comunemente sono due - tra i molti possibili - articoli che vengono indicati come fondamentali per l'inizio della definizione e del metodo di una scienza della complessità.
Il primo è Science and Complexity di Warren Weaver del 1947-48. In questo lavoro Weaver delinea chiaramente l'ambito della complessità suddividendo i problemi scientifici in tre categorie:
  • problemi di semplicità
sono quelli che Weaver definisce come problemi a due variabili. L'esempio tipico è una tavola da biliardo con due palle; la meccanica classica, date le condizioni iniziali, è in grado di predire con assoluta precisione la posizione e la velocità delle palle dopo il colpo.
  • problemi di complessità disorganizzata
se nell'esempio precedente le palle diventano miliardi o centinaia di miliardi la meccanica classica non è più in grado di dire nulla a causa dell'enorme numero di elementi. Ma se il moto degli elementi è disorganizzato, ovvero completamente casuale, come le molecole di un gas, allora la meccanica statistica sviluppata da Gibbs e Boltzmann può descrivere in modo efficace il sistema sulla base di valori medi, quali pressione e temperatura.
  • problemi di complessità organizzata
è il caso intermedio tra i precedenti, dove il numero di elementi continua ad essere troppo elevato per essere risolto come problema di due variabili e non può essere trattato statisticamente in quanto non è disordinato.

Weaver fà notare come siano proprio questi ultimi problemi quelli più vitali:
"La scienza ha avuto successo, ad oggi, nel risolvere un numero sbalorditivo di problemi relativamente semplici, laddove il problema difficile, e quelli che hanno più importanza per il futuro dell'uomo, attendono ancora."

"Che cosa fà sbocciare una primula quando lo fà? Perchè l'acqua salata non disseta? Perchè una sostanza chimica è un veleno mentre un'altra, in cui le molecole hanno gli stessi atomi ma sono arrangiate in una struttura speculare, è completamente inoffensiva? Perchè la quantità di manganese nella dieta di un animale altera il suo istinto materno? Qual'è la descrizione dell'invecchiamento in termini biochimici? ... Tutti questi sono certamente problemi complessi, ma non sono problemi di disorganizzazione, in cui i metodi statistici sono la chiave. Questi sono tutti problemi che coinvolgono simultaneamente un numero elevato di fattori che sono intercorrelati tra loro a formare un tutto organico. Sono tutti, nel linguaggio qui proposto, problemi di complessità organizzata."

La nascita della scienza moderna nel XVII secolo si identifica con una scelta drastica e inizialmente vincente: quella di rinunciare a studiare la natura come un tutto organico e concentrarsi su fenomeni semplici e quantificabili, isolandoli dal resto. Si tratta, altrimenti detto, di procedere smontando un meccanismo complesso e riducendolo a tante parti, sufficientemente piccole da poter essere ben capite nei loro processi evolutivi e descritte da leggi matematiche semplici.
Questo atteggiamento metodologico, che va sotto il nome di riduzionismo, è all’origine dei più impressionanti progressi nella storia della conoscenza della natura: in poco più di due secoli si scoprirono le leggi della gravitazione che regolano il moto dei pianeti, le leggi della termodinamica che permisero la costruzione del motore a combustione interna, le equazioni dell’elettromagnetismo che stanno alla base dell’elettrotecnica, dell’ottica e delle moderne telecomunicazioni, per finire – all’inizio del secolo successivo – con la relatività e la fisica quantistica che ci svelavano il comportamento profondo della materia, ma anche la storia dell’universo dal big-bang ad oggi.
Questi successi quasi incredibili portarono tuttavia a falsare non poco la prospettiva conoscitiva: si tendeva sempre più a considerare come importanti e fondamentali soltanto le parti semplici che risultavano dalla scomposizione, ignorando il sistema complesso da cui esse erano state isolate.
Da metodologia vincente il riduzionismo si trasformava gradualmente in una visione impoverita della natura, in una sorta di non dichiarata filosofia della conoscenza che in alcuni casi estremi, come la teoria delle stringhe, addirittura si colorava di qualche sfumatura quasi mistica: se fondamentale è solo la parte elementare, tutto ciò che deriva dalla cooperazione di tante parti ha scarsa dignità scientifica. E, ovviamente, una volta che una parte ritenuta prima elementare venga a sua volta scomposta, anch’essa perderà "dignità" in favore dei suoi componenti.
Canard Digérateur, o L'anatra-automa - 1738, Jacques de Vaucanson
Nell’800 le parti semplici erano gli atomi e la chimica la scienza regina della struttura intima della materia. Nel ‘900 la fortuna girò: si scoprono le particelle elementari e Dirac, il teorizzatore del positrone e uno dei padri fondatori della meccanica quanto-relativistica moderna, dichiarerà con sufficienza: "Tutto il resto è chimica …".
Nel dopoguerra negli Stati Uniti innanzi tutto – ma anche, naturalmente, in tutto il resto del mondo – la fisica era culturalmente dominata dagli studiosi delle particelle elementari, i quali ovviamente consideravano fondamentali solo i componenti ultimi della materia, quando nel 1972 P. W. Anderson, che cinque anni dopo avrebbe vinto il premio Nobel per la Fisica per i suoi contributi fondamentali alla comprensione teorica della struttura elettronica dei sistemi magnetici e disordinati, pubblicò il secondo articolo qui scelto destinato a fare storia,  intitolato "More is different".

Nel suo articolo Anderson sosteneva tesi assolutamente innovative, che si possono tuttavia riassumere in poche frasi, tanto incisive quanto rivoluzionarie:
"La capacità di ridurre ogni cosa a semplici leggi fondamentali non implica la capacità di ricostruire l’universo a partire da quelle leggi"
"L’ipotesi costruzionista crolla quando si confronta con la duplice difficoltà della scala e della complessità. Il comportamento di aggregati grandi e complessi di particelle elementari non si spiega in termini di una semplice estrapolazione delle proprietà di poche particelle. Al contrario, ad ogni livello di complessità compaiono proprietà interamente nuove"
"L’intero diventa non solo di più, ma anche molto diverso della somma delle sue parti".

I vari livelli della natura corrispondenti alle diverse scale di osservazione risultano dunque così solo parzialmente legati gli uni agli altri e tanto più sono lontani, tanto più possiamo considerarli come indipendenti.
Su questa base, Anderson completa il manifesto dell’anti-riduzionismo proponendo un nuovo schema di organizzazione gerarchica delle scienze che è ancora oggi un riferimento fondamentale per la classificazione delle scienze della complessità; la chiave di lettura è:
"Le entità elementari della scienza X obbediscono alle leggi della scienza Y. Ma questa gerarchia non implica che X sia semplicemente un’applicazione di Y".

Anzi, c’è di più:
"Ci aspettiamo di incontrare questioni veramente fondamentali ogni volta che componiamo le parti per formare un sistema più complesso e cerchiamo di capire i comportamenti sostanzialmente nuovi che ne risultano"

(liberamente adattato dalla presentazione del Prof. Mario Rasetti "Teoria della Complessità", 2008)

Anderson mette in rilievo che il fallimento dell'ipotesi riduzionistica non  implica il successo di una costruzionista:
"Infatti, più i fisici delle particelle elementari ci dicono riguardo alla natura delle leggi fondamentali, minore rilevanza essi sembrano avere al riguardo dei veri problemi  reali del resto della scienza, meno ancora riguardo a quelli della società"

Il lavoro di Anderson è una critica feroce sia nei confronti del riduzionismo classico che del costruttivismo. Alla fine del suo articolo riporta ironicamente un esempio associandolo ad un celebre dialogo tra Francis Scott Fitzgerald e Ernest Hemingway avvenuto nella Parigi degli anni 20:

FITZGERALD (costruzionista idealista): I ricchi sono diversi da noi.
HEMINGWAY (riduzionista radicale): Si, hanno più soldi.

Questi due lavori definiscono quindi lo spazio in cui opera la scienza della complessità, che più che nella scienza agisce intorno e tra la scienze, e la necessità di nuove metodologie oltre il riduzionismo e il costruttivismo - ovvero smontare o rimontare il sistema perdendone le proprietà  specificamente complesse - che possano considerare il sistema complesso come un tutto organico.
la Bellezza della Complessità
Lo studio della complessità è tipicamente interdisciplinare, o forse multi-disciplinare; alcune possibili applicazioni, esempi di modelli ed autori nei vari campi sono:
  • Fisica: formazione di strutture spazio-temporali nei lasers, ottica nonlineare, idrodicamica, plasmi, geofisica, metereologia locale e globale, astrofisica. Modelli: Sinergetica. Autori: Haken, Bar-Yam.
  • Medicina: attività e modellizzazione del cervello, battito cardiaco, flusso sanguigno, medicina olistica. Autori: Breitenberg, Pribram, Montecucco.
  • Computers: self-organization, synergetic computers, reti attrattive, computer paralleli.
  • Sociologia: dinamica di gruppi, teoria sistemica della società e dei rapporti tra società, socio-cibernetica, formazione collettiva di parametri d'ordine che governano il comportamento umano quali la pubblica opinione. Autori: Morin, Gallino, Parra Luna, Bar-Yam.
  • Economia: cicli di Schumpeter, modelli economici di aziende, organizzazioni, economie locali/nazionali/globali, effetti sinergici, economia comportamentale. Autori: Gabaix
  • Scienze Politiche: modellizzazione della politica. Autori: Pasquino.
  • Filosofia: concetto di auto-organizzazione, emergenza forte e debole.
  • Teoria dell'Informazione: compressione e inflazione dell'informazione, cambiamenti di informazione in processi di auto-organizzazione.
  • Teoria del Management: controllo indiretto dei processi, identità corporativa, organizzazioni che apprendono, analisi sistemica delle organizzazioni. Autori: Senge.
Una possibile mappa storica dell'evoluzione e delle varie linee di sviluppo degli studi sulla complessità è:


Dai tre nuclei principali di Teoria dei Sistemi, Cibernetica e Intelligenza Artificiale (o, più specificamente, Cibernetica dei Sistemi Mentali) degli anni 40-50, si dipartono diverse linee di studio: l'unione dei primi due porta a quella che dagli anni 60-70 viene definita Scienza della Complessità, in particolare negli anni 70 Henri Atlan e altri riconoscono che l'auto-organizzazione non è altro che un fenomeno emergente che si manifesta quando un sistema complesso si trova in equilibrio in una delicata condizione definita "margine del caos": l'attenzione si sposta così dall'auto-organizzazione ai sistemi complessi al margine del caos e, a partire dal 1978, l'espressione «teoria della complessità» comincia a sostituirsi a «cibernetica».