lunedì 6 agosto 2012

Tao fantasma

Nel 1992 P.P. Gariaev e V.P. Poponin, biologi molecolari dell'Accademia Russa delle Scienze, riportarono il cosidetto Effetto DNA Fantasma. Il test che lo evidenzia si può riassumere come:
il setup utilizzato è quello denominato photon correlation spectroscopy o scattering (diffusione) dinamico della luce, una tecnica utilizzata per determinare il profilo d'ampiezza di particelle in sospensione. Il campione da analizzare viene posto in una cuvetta su cui incide un fascio laser; le particelle in soluzione diffondono spazialmente a diversi angoli la luce la quale, ad un determinato angolo, viene rivelata da un fotomoltiplicatore. Il segnale generato viene conteggiato nel numero di fotoni rivelati e autocorrelato per estrarre un eventuale segnale periodico o un pattern dal rumore. Se le particelle in analisi sono piccole rispetto alla lunghezza d'onda della luce laser si ha tipicamente uno scattering di tipo Rayleigh e si osserva una dipendenza nel tempo del segnale dell'intensità di scattering dovuta al moto browniano termico delle particelle in soluzione del tipo:

dove il segnale di autocorrelazione è legato alle dimensioni delle particelle.
Nell'esperimento di Gariaev e Poponin si sono introdotti per l'analisi spettroscopica diversi campioni di DNA con i seguenti risultati:
nella prima figura è riportata la funzione di autocorrelazione con il campione vuoto per ottenere il background di rumore della misura, rappresentato da conteggi casuali del fotomoltiplicatore.
Nella seconda figura è illustrata la funzione di autocorrelazione ottenuta ponendo un campione di DNA nella camera di misura, con un tipico andamento oscillatorio e di decadimento esponenziale.
Se il campione di DNA viene rimosso ci si aspetta, naturalmente, che il segnale ritorni al rumore di fondo; in modo del tutto inaspettato invece si misura il segnale periodico della terza figura dopo 2,5 secondi dalla rimozione del campione, che persiste per alcune decine di secondi e cambia nel tempo, come nella quarta figura dopo 25,6 secondi, come se il DNA fosse rimasto nella scatola e si comportasse da “fantasma”.
Molti altri esperimenti di controllo hanno confermato che iniziando l'esperimento senza DNA, il laser restituisce una traccia in cui si può evidenziare solamente rumore. Inserendo il DNA si ha una traccia con un preciso segnale, togliendo il DNA il livello del segnale diminuisce ma si possono riconoscere bene dei profili, come se fossero generati da un DNA, appunto da un DNA fantasma.
Gariaev e Poponin hanno inoltre riportato che se il fascio laser è modulato si trova che è in grado di modificare la struttura del DNA; ad esempio furono in grado di convertire un embrione di rana in un embrone di salamandra. 
Entrambi gli effetti, l’interazione luce-DNA e l’effetto fantasma, sono al momento inspiegati.
Diversi esperimenti correlati sono stati riportati dal gruppo di Gariaev ed altri gruppi russi; ad esempio nel 1975 V. Adamenko eseguì il seguente esperimento:
Ref.: Gariaev et al., "Principles of Linguistic-Wave Genetics", DNA Decipher Journal, January 2011
da una foglia vivente si sono tagliate alcune parti e il rimanente è stato esposto ad un campo elettromagnetico ad alta frequenza. Visualizzando l'immagine della foglia una parte assente esibiva l'effetto fantasma, che durava per 10-15 secondi ed è stato filmato.

P.P. Gariaev, K.V. Grigor’ev, A.A. Vasil’ev, V.P. Poponin, and V.A. Shcheglov, “Investigation of the Fluctuation Dynamics of DNA Solutions by Laser Correlation Spectroscopy,” Bulletin of the Lebedev Physics Institute (1992), no. 11-12, p. 23-30.
as cited by Vladimir Poponin in an online article “The DNA Phantom Effect: Direct Measurement of a New Field in the Vacuum Substructure” (Update on DNA Phantom Effect: March 19, 2002).

The DNA Phantom Effect

il meglio Tao






venerdì 3 agosto 2012

quanto Tao sai?


Figlia Papà, quante cose sai?
Padre Eh? Uhm ... so circa un chilo di cose.
F. Non dire sciocchezze. Un chilo di quali cose? Ti sto chiedendo davvero quante cose sai.
P. Be', il mio cervello pesa circa un chilo e penso di usarne circa un quarto ... Quindi diciamo due etti e mezzo.
F. Ma tu sai più cose del papà di Johnny? Sai più cose di me?
P. Uhm ... una volta conoscevo un ragazzino in Inghilterra che chiese a suo padre: «I padri sanno sempre più cose dei figli?» e il padre rispose: «Sì». Poi il ragazzino chiese: « Papà, chi ha inventato la macchina a vapore?» e il padre: "James Watt». E allora il figlio gli ribatté: "Ma perché non l'ha inventata il padre di James Watt?".

F. Lo so. lo so più cose di quel ragazzo, perché so perché il padre di James Watt non l'ha inventata. È perché qualcun altro doveva inventare quaIcos'altro prima che chiunque potesse fare una macchina a vapore. Voglio dire ... non so ... ma ci voleva qualcuno che scoprisse la benzina prima che qualcuno potesse costruire un motore.
P. Sì ... questa è la differenza. Cioè, voglio dire che il sapere è come tutto intrecciato insieme, o intessuto, come una stoffa, e ciascun pezzo di sapere è significativo o utile solo in virtù degli altri pezzi, e ...
F. Pensi che si dovrebbe misurare in metri?
P. No, direi di no.
F. Ma le stoffe si comprano a metro.
P. Sì, ma non volevo dire che è una stoffa. È solo come stoffa ... e certamente non sarebbe piatto come stoffa ... ma avrebbe tre dimensioni ... forse quattro dimensioni.
F. Che cosa vuoi dire, papà?
P. Non so, veramente, tesoro. Stavo solo cercando di riflettere.

P. Non sta andando molto bene, questa mattina. E se prendessimo un'altra rotta? Ciò su cui dobbiamo riflettere è come i pezzi del sapere sono intrecciati insieme. Come si aiutano l'un l'altro.
F. E come fanno?
P. Be' ... qualche volta due fatti si sommano e tutto ciò che ne salta fuori sono solo due fatti. Ma qualche volta, invece di sommarsi soltanto, i due fatti si moltiplicano ... e saltano fuori quattro fatti.
F. Non si può moltiplicare uno per uno e ottenere quattro. Lo sai che non si può.
P. Oh, perbacco.

P. Ma sì che si può. Se le cose da moltiplicare sono pezzi di sapere o fatti o qualcosa del genere. Perché ciascuno di essi è qualcosa di doppio.
F. Non capisco.
P. Anzi, qualcosa di almeno doppio.
F. Ma papà!
P. Sì ... prendiamo il gioco delle venti domande. Tu pensi qualcosa, per esempio pensi 'domani'. Bene. Ora io ti chiedo: «E astratto?», e tu dici: «Sì». Ora dal tuo 'sì' io ho ricavato una doppia dose d'informazione: so che è astratto e so che non è concreto. O diciamo così... dal tuo 'sì' io posso dimezzare il numero delle possibilità per  ciò che può essere quella cosa. E questo è moltiplicare per un mezzo.
F. Non è una divisione?
P. Sì... è lo stesso. Cioè ... d'accordo, è una moltiplicazione per 0,5. La cosa importante è che non si tratta solo di una sottrazione o di un'addizione.
F. Come fai a sapere che non lo è?
P. Come faccio a saperlo? ... Be', metti che io faccia un'altra domanda e dimezzi le possibilità tra le cose astratte. E poi un'altra. Con ciò le possibilità si saranno ridotte a un ottavo di quelle che erano all'inizio. E due volte due volte due fa otto.
F. E due più due più due fa soltanto sei.
P. Proprio.
F. Ma, papà, non capisco: che cosa succede con le venti domande?
P. Il fatto è che se scelgo bene le domande, posso scegliere tra due volte due volte due volte due ... per venti volte cose, cioè tra 2 alla 20 cose. Questo fa più di un milione di cose che tu avresti potuto pensare. Una domanda è sufficiente per decidere tra due cose; e due domande possono decidere fra quattro cose ... e così via.
F. Non mi piace l'aritmetica, papà.
P. Sì, lo so. Fare i calcoli è noioso, ma certe idee sono divertenti. Comunque tu volevi sapere come misurare il sapere, e se cominci a misurare le cose, questo ti porta sempre all'aritmetica.
F. Ma ancora non abbiamo per niente misurato il sapere.
P. Sì, lo so. Però abbiamo fatto qualche progresso verso la possibilità di misurarlo, se lo volessimo. E ciò vuoi dire che siamo un po' più vicini a sapere che cos'è il sapere.
F. Quello sarebbe un sapere molto buffo, papà, il sapere sul sapere ... questo tipo di sapere lo misureremmo allo stesso modo?
P. Lasciami pensare ... non so ... questa è proprio la domanda del raddoppio finale. Perché ... be', torniamo al gioco delle venti domande. Quello che ancora non abbiamo detto è che le domande debbono avere un certo ordine: prima le domande generali, e poi quelle particolari. Ed è solo dalle risposte alle domande generali che si sa quali domande particolari si debbono fare. Invece noi le abbiamo considerate tutte uguali. Non so. Ora però tu mi chiedi se il sapere sul sapere si dovrebbe misurare allo stesso modo del sapere d'altro tipo. E la risposta deve sicuramente essere no. Vedi, se le prime domande del gioco mi dicono quali domande devo fare dopo, esse devono in parte essere domande sul sapere. Esse indagano su che cos'è il sapere.
F. Papà ... c'è mai stato nessuno che ha misurato quanto uno sapeva?
P. Oh, sì, spesso. Ma certo non so quale fosse il significato dei risultati. Lo fanno mediante esami e prove e quiz, ma è come cercar di sapere quanto è grande un pezzo di carta gettandogli contro dei sassi.
F. Cioè, come?
P. Voglio dire ... se tu getti dei sassi a due pezzi di carta dalla stessa distanza, e vedi che uno dei due pezzi è colpito più spesso dell'altro, allora probabilmente quello che colpisci di più è più grande dell'altro. Allo stesso modo, in un esame tu getti un sacco di domande agli studenti, e se vedi che colpisci più conoscenze in uno studente che negli altri, allora pensi che quello ne sappia di più. Questa è l'idea.
F. Ma in questo modo si potrebbe misurare un pezzo di carta?
P. Certo che si potrebbe. Anzi, sarebbe un ottimo metodo. Si misurano moltissime cose, in questo modo. Per esempio si giudica quanto è forte un caffè guardando quanto è scuro ... si guarda cioè quanta luce esso blocca. Si gettano onde luminose invece che sassi, ma è la stessa
idea.
F. Ah.

F. Ma allora ... perché non dovremmo misurare il sapere a quel modo?
P. Come? Coi quiz? No ... per l'amor di Dio. Il punto è che quel metodo di misura non risponde alla tua domanda - che ci sono diversi generi di sapere - e che c'è il sapere sul sapere. E poi si dovrebbero dare voti più alti allo studente che sa rispondere alle domande più generali? O forse ci dovrebbero essere tipi diversi di voti per i diversi tipi di domande.
F. Be', d'accordo, facciamo così e poi sommiamo tutti i voti, e poi ...
P. No ... non si potrebbero sommare insieme. Potremmo moltiplicare o dividere un tipo di voto per un altro tipo, ma non potremmo sommarli.
F. Perché no, papà?
P. Perché ... perché no. Non mi stupisco che non ti piaccia l'aritmetica, se non ti spiegano queste cose a scuola. Che cosa ti spiegano? Perdinci, mi domando che idee abbiano gl'insegnanti sull'aritmetica.
F. E che cosa è l'aritmetica, papà?
P. No. Restiamo al problema di misurare il sapere ... L'aritmetica è un insieme di trucchi per pensare con chiarezza, e l'unica cosa divertente che ha è la chiarezza. E la prima regola per essere chiari è quella di non mescolare idee che sono del tutto diverse tra loro. L'idea di due arance è del tutto diversa dall'idea di due chilometri. Perché se le sommi ottieni solo una grande confusione in testa.
F. Ma, papà, io non so tener separate le idee. Dovrei farlo?
p. No ... no ... No, naturalmente. Devi combinarle; ma non sommarle. Ecco tutto. Cioè ... se le idee sono numeri e vuoi combinarne due tipi diversi, la cosa da fare è moltiplicarli l'uno per l'altro. E allora hai un nuovo tipo di idea, un nuovo tipo di quantità. Se nella tua testa ci sono chilometri e ci sono ore, e tu dividi i chilometri per le ore, ottieni 'chilometri all'ora', cioè una velocità.
F. Sì, papà. E se invece li moltiplicassi, che cosa otterrei?
P. Be', ehm ... penso che otterresti chilometri-ora? Sì, so di che si tratta. Cioè so che cos'è un chilometro-ora. È quello che si paga al tassista. Il suo contachilometri misura i chilometri e poi c'è un orologio che misura le ore, e il contachilometri e l'orologio lavorano insieme e moltiplicano le ore per i chilometri, e poi i chilometriora vengono moltiplicati per qualcos'altro che trasforma i chilometri-ora in denaro.
F. Una volta ho fatto un esperimento.

P. Quale?
F. Volevo vedere se riuscivo a pensare due pensieri contemporaneamente. Allora pensai 'È estate' e pensai 'È inverno'. E cercai di pensare alle due cose insieme.
P. Allora?
F. Ma mi accorsi che non stavo pensando due pensieri. Pensavo un solo pensiero a proposito di pensarne due.
P. Certo, è proprio così. Non si possono mescolare i pensieri, si possono solo combinare. E alla fin fine ciò significa che non li si può contare. Perché contare è proprio aggiungere semplicemente una cosa all'altra. E peri pensieri questo non lo si può fare assolutamente.
F. Allora veramente abbiamo un solo grande pensiero che ha tanti rami ... tanti e tanti e tanti rami?
P. Sì, penso di sì. Non so. Comunque penso che sia un modo più chiaro per dirlo. Cioè più chiaro che parlare di pezzi di sapere e cercare di contarli.

F. Papà, perché non usi gli altri tre quarti del tuo cervello?
P. Ah, sì... già ... vedi, il punto è che anch'io ho avuto degli insegnanti a scuola. E loro hanno riempito circa un quarto del mio cervello di fumo. Poi ho letto i giornali e ho ascoltato quello che dicevano gli altri, e così mi son riempito di fumo un altro quarto.
F. E l'altro quarto, papà?
P. Oh ... quello è il fumo che ho fatto da me quando ho cercato di pensare da solo.


metalogue: "How much do you know?", from ETC.:A Review of General Semantics, Vol. X, 1953.

mercoledì 1 agosto 2012

lunedì 30 luglio 2012

la complessità dal KaliYuga al Tao - V


12. Eraclito: "vivere di morte, morire di vita"
In questa unione di nozioni logicamente complesse, esiste una relazione tra la vita e la morte.
Ho spesso citato la frase illuminante di Eraclito, del VI secolo aC: "vivere di morte, morire di vita". E' diventato da poco comprensibile, dal momento in cui abbiamo appreso che il nostro organismo degrada la sua energia, non solo a ricostituire le sue molecole, ma che le nostre stesse cellule si degradano e che produciamo nuove cellule. Viviamo dalla morte delle nostre cellule.
E questo processo di rigenerazione permanente, quasi di ringiovanimento permanente, è il processo della vita. Ciò che rende possibile aggiungere alla formula molto esatta di Bichat, dicendo: "la vita è l'insieme delle funzioni che lotta contro la morte", questo
strano complemento che ci presenta una complessità logica: "Integrare la morte per combattere meglio contro la morte". Ciò che  di nuovo si sa su questo processo è estremamente interessante: è stato piuttosto recentemente appreso che le cellule che muoiono non sono solo le cellule vecchie; infatti cellule apparentemente sane riceventi messaggi diversi dalle cellule vicine, "decidono", in un dato momento, di commettere suicidio. Esse si suicidano e i fagociti divorano i loro resti. In questo modo, l'organismo determina quali cellule devono morire prima di aver raggiunto la senescenza. Vale a dire che la morte delle cellule e la loro liquidazione postmortem sono incluse nell'organizzazione vivente.
C'è una sorta di fenomeno di auto-distruzione, di apoptosi, dal momento che questo termine è stato preso dal mondo vegetale, indicante la scissione degli steli fatta dagli alberi in autunno, in modo che le foglie morte cadano.
Da un lato, quando vi è una insufficienza di morti cellulari a seguito di
differenti incidenti e perturbazioni, ci sono un certo numero di malattie che sono mortali a lungo termine, come l'osteoporosi, vari tipi di sclerosi, e alcuni tumori, dove le cellule rifiutano di morire, diventando immortali, formando tumori e andando a farsi una passeggiata in forma di metastasi (Può sembrare che sia una rivolta delle cellule contro la loro morte individuale che porti a queste forme di morte dell'organismo). D'altra parte, l'eccesso di morte cellulare determina AIDS, Parkinson e morbo di Alzheimer.
Vedete a quale punto questo rapporto tra la vita e la morte è complesso: è necessario per le cellule morire, ma non troppo! Si vive tra due catastrofi, l'eccesso o l'insufficienza di mortalità. Si trova ancora una volta il problema
epistemologico fondamentalmente della complessità generalizzata.

13. Sulle macchine non banali
Gli esseri viventi sono certamente macchine, ma a differenza delle macchine artificiali che sono banali macchine deterministiche (dove si conoscono le uscite quando si conoscono gli ingressi), questi sono macchine non-banali (von Foerster) dove si possono prevedere comportamenti innovativi.
Siamo macchine, questa verità era già nell'uomo-macchina di La Mettrie. Siamo macchine fisiche, macchine termiche, funzioniamo alla temperatura di 37 gradi. Ma siamo macchine complesse.
Von Neumann stabilì la differenza tra macchine viventi e macchine artificiali prodotte dalla tecnologia: i componenti delle macchine tecniche, avendo la buona qualità di essere estremamente affidabili, vanno verso il loro degrado, verso l'usura, fin dall'inizio del loro funzionamento.
Laddove la macchina vivente, costituita principalmente da componenti tutt'altro che affidabili, proteine
degradanti - ​​e si capisce molto bene che questa mancanza di affidabilità delle proteine ​​permette di ricostituirsi non-stop - è in grado di essere rigenerata e riparata; anch'essa va verso la morte, ma dopo un processo di sviluppo. La chiave di questa differenza sta nella capacità di auto-riparazione e auto-rigenerazione. La parola rigenerazione è capitale qui.
Si può dire che la caratteristiche di innovazione che emergono nell'evoluzione della vita (le quali sono determinate da cambiamenti ambientali, o per l'irruzione di rischi multipli), come la comparsa dello scheletro nei vertebrati, ali negli insetti, uccelli o pipistrelli , tutte queste creazioni, sono tipiche macchine
non-banali. Vale a dire, dà una nuova soluzione alle sfide insormontabili senza questa soluzione.
Tutte le figure importanti della storia umana, al livello intellettuale, religioso, messianico, o politico, erano macchine non-banali. Si può sostenere che tutta la Storia dell'Umanità, che inizia diecimila anni fa, è una storia
non-banale , vale a dire una storia fatta di eventi impredicibili, imprevisti, di distruzioni e creazioni. La storia della vita che la precede è una storia non-banale, e la storia dell'universo, dove la nascita della vita e quindi dell'umanità sono incluse, è una  storia non-banale.
Siamo obbligati a de-banalizzare la conoscenza e la nostra visione del mondo.

14. Complessificare la nozione di caos
Abbiamo visto come la nozione di sistema ci porta alla complessità dell'organizzazione che a sua volta ci porta alla complessità logica. Vediamo ora il concetto di caos, come appare entro la teoria del caos, e che comprende il disordine e impredicibilità. Il battito delle ali di una farfalla a Melbourne
può provocare con una successione di processi a catena un uragano in Giamaica, per esempio.
In realtà, credo che il
parola caos debba essere considerata nel suo senso profondo, il suo senso Greco. Sappiamo che nella visione del mondo dei Greci , il caos è all'origine del Cosmo. Il caos non è disordine puro, porta in sé la indistinzione tra le potenzialità di ordine, di disordine, e di organizzazione da cui nascerà un cosmo, che è un universo ordinato.
I Greci videro per un po' troppo ordine nel cosmo, che è effettivamente ordinato perché lo spettacolo immediato, l'ordine impeccabile del cielo che vediamo ogni notte con le stelle, è sempre nello stesso posto. E se i pianeti sono mobili vanno anche nello stesso posto con un ordine impeccabile. Tuttavia, sappiamo oggi con le concezioni allargate del tempo cosmico che tutto questo ordine è allo stesso tempo temporaneo e parziale in un universo di movimento, collisione, trasformazione.
Caos e Cosmos sono associati - ho impiegato la parola Chaosmos -  vi è anche un rapporto circolare tra i due termini. E' necessario prendere la parola caos in un senso molto più profondo e più intenso di quello della teoria
fisica del caos.

15. La necessità di contestualizzazione
Prendiamo ancora una volta il termine "complexus" nel senso di "ciò che è tessuto insieme".
E' una parola molto importante, che indica che la rottura di conoscenza impedisce di collegare e contestualizzare.
La
modalità caratteristica di conoscenza della scienza disciplinare isola gli oggetti, uno dall'altro, e li isola rispetto al loro ambiente. Si può anche dire che il principio della sperimentazione scientifica permette di prendere un corpo fisico in Natura, di isolarlo in un ambiente artificiale e controllato di laboratorio, e quindi studiare questo oggetto in funzione delle perturbazioni e delle variazioni che si intendono eseguire. Questo infatti rende possibile conoscere un certo numero di sue qualità e proprietà. Ma si può anche dire che questo principio di decontestualizzazione è stato sventurato, non appena fu portato al vivente. L'osservazione dal 1960 di Jane Goodall di una tribù di scimpanzé nel loro ambiente naturale è in grado di dimostrare la supremazia di conoscenza dell'osservazione (in un ambiente naturale) rispetto alla sperimentazione in laboratorio. Molta pazienza era necessaria in modo che Jane Goodall potesse percepire che gli scimpanzé avevano diverse personalità, con rapporti piuttosto complessi di amicizia, di rivalità, tutta una psicologia, una sociologia di scimpanzé, invisibile agli studi in un laboratorio o in una gabbia, è apparsa nella loro complessità.
L'idea di conoscere i viventi nel loro ambiente divenne capitale in etologia animale. Ripetiamolo, l'autonomia del vivente ha bisogno di essere conosciuta nel suo ambiente.
D'ora in poi, diventando consapevoli delle degradazioni che il nostro sviluppo tecno-economico fa alla biosfera, ci si rende conto del legame vitale con la biosfera stessa che crediamo di aver ridotto al rango di oggetto manipolabile. Se la degradiamo, ci degradiamo noi stessi, e se lo distruggiamo, distruggiamo noi stessi.
La necessità di contestualizzazione è estremamente importante. Oserei dire che è un principio di conoscenza: Chiunque ha fatto una traduzione in una lingua straniera cercherà una parola sconosciuta nel dizionario; ma essendo le parole polisemiche, non è immediatamente noto quale sia la buona traduzione, il senso della parola verrà cercata nel senso della frase alla luce del senso globale del testo. Pensando questo gioco dal testo alla parola, e dal testo al contesto, e dal contesto alla parola, un senso si cristallizza. In altre parole, l'inserimento nel testo e nel contesto è una evidente necessità cognitiva. Prendiamo ad esempio l'economia, la scienza
sociale più avanzata da un punto di vista matematico, ma che è isolata dal contesto umano, sociale, storico e sociologico: il suo potere di previsione è estremamente debole perché l'economia non funziona in modo isolato: le sue previsioni hanno bisogno di essere continuamente riviste, che ci indica l'incapacità di una scienza che è molto avanzata, ma troppo chiusa.
Più in generale, la contestualizzazione reciproca
manca in tutte le scienze sociali.
Ho spesso citato il caso della diga di Assuan, perché è rivelatrice e significativa: è stata costruita nell'Egitto di Nasser, perché rendesse possibile regolare il corso di un fiume capriccioso, il Nilo, e producesse energia elettrica per un paese che ne aveva grande bisogno. Tuttavia, dopo qualche tempo, cosa è successo? Questa diga ha mantenuto una parte dei limi che fecondavano la valle del Nilo, che ha costretto la popolazione agricola ad abbandonare i campi e sovrappopolare grandi metropoli come il Cairo; ha trattenuto una parte del pesce che i residenti mangiavano; inoltre oggi, l'accumulo di limi indebolisce la diga e provoca nuovi problemi tecnici. Ciò non significa che la diga di Assuan non avrebbe dovuto essere costruita, ma che tutte le decisioni prese in un contesto tecnico-economico sono suscettibili di essere disastrose per le loro conseguenze.
E' come la deviazione dei fiumi in Siberia che il governo sovietico fece e dove le conseguenze perverse sono più importanti di quelle positive. E' quindi necessario riconoscere l'inseparabilità della separabili, a livello storico e sociale, come è stato riconosciuto a livello microfisico. Secondo la fisica quantistica, confermato da esperimenti di Aspect, due entità microfisiche sono immediatamente collegate l'una all'altra anche se sono separate da spazio e tempo. Ancor più, si arriva all'idea che tutto ciò che è separato è al tempo stesso inseparabile.

il Tao tra terra e cielo


« Sono felice di spendere la mia vita a saldare la terra con il cielo »


il Te del Tao: XLI - EQUIPARA LE DIVERSITÀ


XLI - EQUIPARA LE DIVERSITÀ

Quando il gran dotto apprende il Tao
lo pratica con tutte le sue forze,
quando il medio dotto apprende il Tao
or lo conserva ed or lo perde,
quando l'infimo dotto apprende il Tao
se ne fa grandi risate:
se non fosse deriso non sarebbe degno d'essere il Tao.
Perciò motti invalsi dicono:
illuminarsi nel Tao è come ottenebrarsi,
avanzare nel Tao è come regredire,
spianarsi nel Tao è come incavarsi,
la virtù somma è come valle,
il gran candore è come ignominia,
la virtù vasta è come insufficienza,
la virtù salda è come esser volgo,
la naturale genuinità è come sbiadimento,
il gran quadrato non ha angoli,
il gran vaso tardi si completa,
il gran suono è una sonorità insonora,
la grande immagine non ha forma.
Il Tao è nascosto e senza nome,
ma proprio perché è il Tao
ben impresta e completa.