giovedì 21 luglio 2011

la società del Tao



«la mente è semplicemente quello che fa il cervello»

dal risvolto di copertina:

Per anni, l’Intelligenza Artificiale, a cui oggi si dedicano milioni di dollari per la ricerca e l’energia intellettuale di migliaia di scienziati, è stata una sorta di chimera nella mente di un uomo: Marvin Minsky. A lui in primo luogo si deve, infatti, se questa disciplina ha assunto una fisionomia, si è distaccata dal resto della ricerca, e infine, se ha attratto così tanti cervelli. Ma tutto questo si manifestava, per anni, attraverso brevi e densissimi articoli. Mentre, per altrettanti anni, correva voce che Minsky «stava preparando un libro», il quale naturalmente sarebbe stato il libro. E un giorno il libro si manifestò: è La società della mente. Qui Minsky ... non vuole accettare nulla per inteso. Occorre partire veramente da zero, se si vuole tentare una risposta alla temibile domanda che egli pone fin dalle prime righe: «Come è possibile che il cervello, in apparenza così solido, sia il supporto di cose tanto impalpabili come i pensieri?». Inutile dire che, se l’inizio del libro è semplicissimo, alla fine ci troveremo avvolti da una rete di pensieri altamente complessa, in obbedienza al sapiente precetto di Einstein: «Ogni cosa deve essere resa quanto più semplice possibile, ma non ancora più semplice». Così, in questa rete, riconosceremo i famosi «frames» che Minsky aveva già introdotto in anni passati, ma anche ... discussioni che coinvolgono Freud o Piaget. Alla fine, ci accorgeremo che questo libro tiene fede, sino ai limiti di ciò che oggi si può dire nella scienza, alla sua scommessa iniziale: render conto di come funziona il cervello, questa «vasta società organizzata», e di conseguenza la nostra mente, se è vero, come Minsky afferma, che «la mente è semplicemente quello che fa il cervello». La società della mente è apparso per la prima volta nel 1985.

Sono pochi gli autori che, con un'unico testo che raccoglie il loro lavoro di anni, hanno fondato un'intero settore scientifico; tra questi per la chimica vi è Linus Pauling, per l'Intelligenza Artificiale (IA) è questo libro di uno dei "padri fondatori" e co-fondatore con Seymour Papert dello storico  MIT-AI Lab.

Il modello della mente come una società di aggregati di agenzie che utilizzano agenti per svolgere ogni tipo di processo mentale è la summa cognitivista-connessionista della mente modellata come un programma di computer, perfettamente in linea con l'approccio pragmatico dell'IA. L'epistemologia di Minsky è esplicita ed è definita dall'identificare la mente come ciò che fà il cervello e il cervello come una macchina, dalla sua definizione di IA:

Intelligenza Artificiale: Il campo di ricerca che ha a che fare con macchine che fanno cose che la gente considera intelligenti. Non vi è una chiara distinzione tra psicologia e IA perchè il cervello stesso è una sorta di macchina.

L'architettura gerarchica del modello a agenti/agenzie/società di Minsky è di tipo misto simbolica-connessionista in un  patchwork di sottoreti interconnesse in vari modi risultante in un sistema altamente cooperativo piuttosto che un unico grande sistema centrale.

I tre livelli dell'architettura del modello sono:

Agente: ogni parte o processo della mente che in se stesso è sufficientemente semplice da capire - anche se le interazioni (ovvero gli effetti di una parte del sistema su un'altra) tra gruppi di agenti possono produrre fenomeni che sono molto più difficili da capire.

Agenzia: ogni gruppo di parti considerato nei termini di cosa può realizzare come unità, non considerando cosa ognuna delle sue parti può realizzare per se stessa.

Società: una organizzazione di parti della mente.

Ad esempio si considera come costruire una torre sovrapponendo dei blocchi sparsi:


per fare questo un agente, COSTRUTTORE invoca tre altri agenti INIZIA AGGIUNGI FINE:


l'agente AGGIUNGI, ad esempio, è composto dagli altri agenti TROVA, PRENDI, METTI che a loro volta includono VEDI AFFERRA MUOVI e LASCIA:


il compito di COSTRUTTORE si avvale quindi di una serie di agenti inseriti in una burocrazia, o in un albero gerarchico:

la distinzione tra agenti e agenzie dipende dal punto di vista da cui si osserva l'albero gerarchico di processo: COSTRUTTORE, visto come un agente, è semplicemente un agente che attiva gli agenti alle sue dipendenze; visto da fuori, come agenzia, COSTRUTTORE fà quello che i suoi agenti fanno aiutandosi l'uno con l'altro:

Come fà notare Minsky sono gli agenti a livello più basso, come VEDI, AFFERRA etc. quelli di più difficile implementazione. VEDI, ad esempio, contiene una moltitudine di sottoagenti estremamente sofisticati che devono fare, tra l'altro, riconoscimento dell'immagine, gestione dei sensori visivi, riconoscimento della posizione spaziale etc mentre AFFERRA, in una tipica implementazione robotica, è una sofisticata gestione di sistemi elettro-motori. L'implementazione di AGGIUNGI quindi equivale ad una complessa moltidune di operazioni elettro-visivo-meccaniche per vedere dove è un blocchetto, riconoscerlo, elaborare la sua posizione, afferrarlo, muoverlo verso la torre in costruzione sapendola riconoscerla e posizionarla ed infine posizionare il blocchetto sopra la torre e lasciarlo, tutte operazioni che coinvolgono operazioni hardware-software di un sistema robotico. COSTRUTTORE, al contrario, è relativamente semplice in quanto consiste semplicemente in una routine di programma che deve solo iniziare l'operazione quando richiesto da agenti/agenzie superiori, eseguirla fino al numero di blocchi voluto ed infine fermare tutti i suoi sottoagenti.

Con un'architettura di questo genere Minsky, con decine di splendidi esempi, introducendo modelli per la memoria, le emozioni, la coscienza, il ragionamento etc. riesce a rispondere a domande quali:

Funzioni: Come lavorano gli agenti?
Personificazione: Di che cosa sono fatti?
Interazione: Come comunicano?
Origini: Da dove viene il primo agente?
Ereditarietà: Siamo tutti nati con gli stessi agenti?
Apprendimento: Come creiamo nuovi agenti e cambiamo i vecchi?
Carattere: Quali sono i tipi più importanti di agenti?
Autorità: Cosa succede quando gli agenti sono in disaccordo?
Intenzione: Come possono queste reti di agenti volere e desiderare?
Competenza: Come possono gruppi di agenti fare quello che agenti separati non possono?
Identità: Che cosa dà agli agenti unità o personalità?
Significato: Come possono capire qualcosa?
Sensibilità: Come possono avere sensazioni ed emozioni?
Consapevolezza: Come possono essere consci o auto-coscienti?

Il risultato è veramente notevole, considerando che - di fatto - ciò di cui stiamo parlando sono routines di programma che girano su un hardware; d'altra parte un cognitivista seguace di IA potrebbe ugualmente affermare che anche nella mente naturale biologica "non sono altro" che impulsi elettrici che girano su circuiti assonici e/o dendritici tra varie sottoreti cerebrali.

Nei vari modelli introdotti nell'architettura generale Minsky tiene conto, ad esempio, dei lavori sull'apprendimento e sviluppo mentale del bambino di Piaget, riassunto nel:

Principio di Papert: alcuni tra i passi più cruciali nella crescita mentale sono basati non semplicemente nell'acquisire nuove capacità, ma nell'acquisire nuovi modi di amministrare cosa già conosciamo.


oppure della tradizione di prima e seconda cibernetica sulle proprietà emergenti di un sistema complesso e del ruolo dell'osservatore, da lui riassunte - in modo significativo, nel termine Gestalt (forma, schema, rappresentazione), con una visione "positivista":

Gestalt: l'inaspettata emergenza, in un sistema complesso, di un fenomeno che non sembrava inerente nelle parti separate del sistema. Questi fenomeni  "emergenti" o "collettivi" mostrano che "il tutto è maggiore della somma delle sue parti". Tuttavia, ulteriori ricerche comunemente mostrano che tale fenomeno può essere spiegato completamente una volta che si tiene in conto anche dell'interazione di quelle parti - così come le peculiarità e le carenze nelle percezioni e aspettative proprie dell'osservatore. Non sembra quindi che ci sia nessun principio importante comune ai fenomeni che, di volta in volta, sono stati considerati "emergenti" - a parte la contemporanea inabilità al capirli. Quindi, le visioni "olistiche" tendono a diventare degli handicap scientifici quando indeboliscono la nostra determinazione ad estendere i confini della nostra comprensione.

In una visione di questo tipo - necessariamente - molti dei termini cari alla storia della psicologia diventano semplicemente dei miti:


intelligenza: mito per cui si ritiene che qualche singola entità o elemento è responsabile per la qualità dell'abilità di una persona a ragionare. Preferisco pensare a questa parola come non rappresentativa di qualche particolare potere o fenomeno, ma semplicemente come tutte le abilità mentali che, in un particolare momento, ammiriamo ma ancora non capiamo.

è da notare che una delle migliori definizioni di intelligenza per la mente naturale biologica è quella di capacità di prendere decisioni e comportamenti (in senso individuale, di gruppo o per la specie) adeguati (che in generale significa per la sopravvivenza) sulla base delle esperienze passate, del contesto/ambiente e in presenza di dati insufficienti o contrastanti. Questo comporta spesso l'utilizzo di una serie di capacità mentali di intelligenza quali la deduzione e l'inferenza logica e la creatività.
In generale, qualsiasi programma in presenza di dati insufficienti o contrastanti si "blocca" o li sostituisce con dati casuali o pseudo-casuali.

coscienza: il mito per cui la mente umana sarebbe consapevole (auto-conoscente) , nel senso di percepire cosa succede dentro di essa

introspezione: il mito per cui la nostra mente possieda la capacità di percepire direttamente o di apprendere le sue stesse operazioni

intuizione: il mito che la mente possieda qualche diretta (e quindi inesplicabile) capacità di risolvere problemi o percepire verità

metafora: il mito per cui vi è una distinzione chiara tra rappresentazioni che sono "realistiche" e quelle che sono meramente allusive


Nella gerarchia di agenti-agenzia-società di Minshy sarebbe interessante vedere se, ad un certo numero di livelli e di agenzie, possa emergergere una "massa critica", ovvero se introducendo milioni di agenti e centinaia di migliaia di agenzie connesse e distribuite possano emergere proprietà inaspettate - come nella mente biologica - ad esempio che, assegnato un compito a una  tale macchine, lei risponda: "No, non ne ho voglia".
Una tra le maggiori differenze dei modelli cognitivisti-computazionali-rappresentazionali-connessionisti con la mente biologica è che nei primi la mente è data, non evoluta nè adattata. Mentre la mente artificiale viene accesa ad un dato istante con il suo harware, quella biologica ha un'ontogenesi e una filogenesi, ed emerge come co-dipenza tra "quello che fra il cervello" e l'esperienza del mondo e dell'ambiente della sua ontogenesi. Mente ed esperienza del mondo nascono e si sviluppano - coemergono - insieme.
Particolarmente importante per questa considerazione, come discusso da Varela, Rosh e Thompsonsono due aspetti che risultano dal modello di Minsky, e più in generale da ogni modello cognitivista-connessionista:
  • l'assenza del Sé
Per Minsky il Sé è definito come:

Sè: in questo libro, quando scritto "Sé", il mito per cui ognuno di noi contiene qualche parte speciale che incarna l'essenza della mente. Quando scritto come "sé", la parola ha il senso ordinario di individualità di una persona.

In ogni modello della mente il Sé, l'IO non si trova, non c'è, compresa una parte importante del Sé: la coscienza.
  • la divisione tra scienza ed esperienza umana
Nelle ultime pagine di La Società della Mente Minsky esamina la nozione di libera volontà di scelta, con la quale intende "un Ego, Sé, IO o centro finale di controllo, dal quale scegliamo cosa fare ad ogni bivio nel corso del tempo".
Per Minsky la libertà di scelta è un mito, in particolare:


libertà di scelta: mito per cui la volontà umana è basata su qualche terza alternativa tra la causalità e il caso.

La conclusione di Minsky al riguardo è:

Non importa che il mondo fisico non abbia spazio per la libertà della volontà: questo concetto è essenziale ai nostri modelli del regno mentale. Troppo della nostra psicologia è basato su di esso per poterlo abbandonare. Siamo virtualmente costretti a mantenere questa credenza, anche se sappiamo che è falsa.

Con queste conclusioni riguardò al Sé, che Minsky - a differenza di quasi tutta la tradizione occidentale - ha il pregio di non ignorare, la scienza e l'esperienza umana si dividono, e non c'è modo di rimetterle insieme. La scoperta della scienza cognitiva di una mente priva di Sé viene ignorata, come nel caso di Hume nel Trattato sulla Natura Umana, oppure viene postulato come un IO trascendentale, come nel caso di Kant.
Per ritrovare una metodologia che possa riconciliare l'assenza di un Sé della mente con l'esperienza umana e il senso comune è necessario uscire dalle tradizioni e dai paradigmi occidentali per entrare in quelle discipline e tradizioni, tipicamente orientali, che da secoli hanno indagato e praticato su queste questioni.


 

 

 

 

 

MIT Media Lab 

mercoledì 13 luglio 2011

11 Tao su Feuerbach: la conoscenza come prassi


Le Thesen über Feuerbach fu scritto da Marx nel marzo del 1845. Rimase tuttavia a lungo inedito finchè non fu pubblicato nella Neue Zeit (1886) da Engels che lo riprodusse in appendice al suo Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca (1888).

I
Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l'oggetto (gegenstand, ciò che sta di fronte), il reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma dell' oggetto (objekt, ciò che è proiettato fuori dal soggetto) o dell' intuizione; ma non come attività umana sensibile, come prassi, non soggettivamente. È accaduto quindi che il lato attivo è stato sviluppato, in modo astratto e in contrasto col materialismo, dall'idealismo, che naturalmente ignora l'attività reale, sensibile come tale. Feuerbach vuole oggetti sensibili realmente distinti dagli oggetti del pensiero; ma non concepisce l'attività umana stessa come attività oggettiva. Perciò nell'Essenza del cristianesimo egli considera come schiettamente umano solo il modo di procedere teorico, mentre la prassi è concepita e fissata da lui soltanto nella sua raffigurazione sordidamente giudaica. Pertanto egli non comprende l'importanza dell'attività "rivoluzionaria", dell'attività "pratico-critica".

II
La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teoretica, ma pratica. È nella prassi che l'uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non - realtà di un pensiero isolato dalla prassi è una questione puramente scolastica.

III
La dottrina materialistica, secondo la quale gli uomini sono prodotti delle circostanze e dell'educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano le circostanze e che l'educatore stesso deve essere educato. Essa è perciò costretta a separare la società in due parti, una delle quali sta al di sopra dell'altra.
La coincidenza nel variare delle circostanze dell'attività umana, o autotrasformazione, può essere concepita o compresa razionalmente solo come prassi rivoluzionaria.

IV
Feuerbach prende le mosse dall'auto-estraneazione religiosa, dalla duplicazione del mondo in un mondo religioso e in un mondo terreno. Il suo lavoro consiste nel risolvere il mondo religioso nella sua base mondana. Ma il fatto che la base mondana si distacchi da se stessa e si costruisca nelle nuvole come un regno fisso e indipendente si può spiegare solo con l'auto-dissociazione e con l'auto-contraddizione di questa base mondana. Questa deve pertanto essere tanto compresa nella sua contraddizione quanto rivoluzionata praticamente. Così, per esempio, dopo che si è scoperto che la famiglia terrena è il segreto della sacra famiglia, è proprio la prima che deve essere dissolta teoricamente e praticamente.

V
Feuerbach, non soddisfatto del pensiero astratto, vuole l'intuizione; ma egli non concepisce la sensibilità come prassi umana sensibile.

VI
Feuerbach risolve l'essenza religiosa nell'essenza umana. Ma l'essenza umana non è un'astrazione immanente all'individuo singolo. Nella sua realtà, essa è l'insieme dei rapporti sociali. Feuerbach, che non s'addentra nella critica di questa essenza reale, è perciò costretto: a fare astrazione dal corso della storia, a fissare il sentimento religioso per sé e a presupporre un individuo umano astratto, isolato;
per lui, perciò, l'essenza umana può essere concepita solo come genere, come universalità interna, muta, che leghi molti individui naturalmente.

VII
Perciò Feuerbach non vede che il 'sentimento religioso' è anch'esso un prodotto sociale e che l'individuo astratto, che egli analizza, in realtà appartiene a una determinata forma sociale.

VIII
La vita sociale è essenzialmente pratica. Tutti i misteri che sviano la teoria verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nell'attività pratica umana e nella comprensione di questa prassi.

IX
Il punto più alto cui giunge il materialismo intuitivo, cioè il materialismo che non concepisce la sensibilità come attività pratica, è l'intuizione dei singoli individui nella società borghese.

X
Il punto di vista del vecchio materialismo è la società borghese; il punto di vista del nuovo materialismo è la società umana, o l'umanità sociale.


XI
I filosofi hanno [finora] solo interpretato il mondo in diversi modi - il punto, tuttavia, è di trasformarlo.
Highgate Cemetery, Highgate, London Borough of Camden, Greater London, England

giovedì 7 luglio 2011

cognizione del Tao

Brain connectivity graph. Quantitative analysis of brain connectivity reveals several clusters of highly interconnected regions (represented by different colors). In this analysis, the amygdala (Amyg, centre of figure) was connected to all but 8 cortical areas. These connections involved multiple region clusters, suggesting that the amygdala is not only highly connected, but that its connectivity topology might be consistent with that of a hub that links multiple functional clusters. In this manner, the amygdala may be important for the integration of cognitive and emotional information. Figure labels represent different cortical areas with the exception of Hipp (hippocampus) and Amyg, which represent subcortical areas.
Nella descrizione di Maturana e Varela dei sistemi viventi come sistemi autopoietici è centrale il ruolo della cognizione (dal latino: cognoscere, "sapere") in quanto:

"I sistemi viventi sono sistemi cognitivi, e il vivere in quanto processo è un processo di cognizione. Questa dichiarazione è valida per tutti gli organismi, con o senza un sistema nervoso"


Questa affermazione, combinata con i criteri mentali descritti da Bateson, pone la questione di come definire e studiare il concetto di cognizione, e più in generale di cosa siano le scienze della cognizione.
In generale il termine cognizione, studiato dalle scienze della cognizione, viene utilizzato in diverse accezioni da differenti discipline, etimologicamente definito come l'atto o l'effetto del conoscere, e quindi riferito nell'uomo alle funzioni cerebrali superiori, quali il pensiero, la competenza linguistica, l'intelligenza, l'elaborazione delle emozioni, la creatività etc.
La cognizione o i processi cognitivi possono essere naturali o artificiali, consci e inconsci e per questo motivo sono analizzati differentemente da diverse prospettive e in differenti contesti come la neurologia, neuroscienze, psicologia, filosofia, informatica e la linguistica. Il concetto di cognizione è strettamente collegato a concetti astratti di mente, ragionamento, percezione, intelligenza, apprendimento e molti altri ancora che descrivono le capacità della mente umana e le proprietà caratteristiche di intelligenza artificiale  (IA).


La cognizione tradizionalmente viene considerata una proprietà astratta degli organismi viventi avanzati; quindi è studiata come una proprietà diretta di un cervello o di una mente astratta su livelli simbolici e sottosimbolici. In psicologia ed in IA è utilizzata per riferirsi alle funzioni mentali, ai processi mentali e agli stati di entità intelligenti (umane, organizzazioni umane, robot altamente autonomi), con un particolare accento sullo studio di processi mentali come la comprensione, l'inferenza, la capacità di prendere decisioni e l'apprendimento.
Le metodologie con cui nel corso degli anni si è affrontato lo studio della cognizione e dei processi cognitivi, con le loro rispettive epistemologie, passano dagli studi iniziali del movimento cibernetico allo sviluppo del cognitivismo all'emergentismo alla concezione, sviluppata nelle sue basi da Humberto Maturana e successivamente ampliata da Francisco Varela, detta "enazione" o "disvelamento", il neologismo utilizzato per rendere il termine inglese enaction - enactive, legato al verbo to enact che annovera tra i suoi significati letterali "rappresentare", per esempio uno spettacolo, "mettere in atto", "promulgare", per esempio una legge, generare. L'enazione, o disvelamento con un significato legato alla tradizione ermeneutica, rende conto di come un sistema autopoietico, secondo Maturana e Varela, interagendo con l'ambiente, vivendo agendo e conoscendo, compie un atto di cognizione "generando un mondo".


Le varie aree di intersezione tra le tre metodologie di cognitivismo, emegentismo/connessionismo e enazione e le varie discipline, insieme ad alcuni autori rappresentativi, sono rappresentate da Varela come:


lo stesso Varela è rappresentabile nelle vicinanze della linea radiale delle neuroscienza ai limiti del cerchio esterno dell'enazione.
  • gli anni dei fondamenti: il movimento cibernetico 1943-1953

Nella nube fondatrice della cibernetica della decade 1943-1953 rimane oggi il suo dispiegarsi, spesso ormai dimenticato, verso una serie di argomenti e discipline. Quando i "padri fondatori" della cibernetica coniarono questo nuovo termine sapevano bene che stavano fondando una nuova scienza.
La fase cibernetica della cognizione ha prodotto, oltre alla sua influenza a lungo termine, spesso sotterranea, un grande numero di risultati concreti, tra i quali:

l'uso della logica matematica per comprendere le operazioni del sistema nervoso;
l'invenzione di macchine per l'elaborazione dell'informazione, il cui sviluppo furono i calcolatori digitali, ponendo così le basi per i modelli dell'IA;
la fondazione della meta-disciplina della teoria dei sistemi, che ha lasciato un'impronta in numerosi branche scientifiche, dall'ingegneria alla biologia alle scienza sociali all'economia;
la teoria dell'informazione, come teoria statistica dei segnali e dei canali di informazione;
i primi esempi di sistemi auto-organizzatori.

Quello che rimase del paradigma cibernetico per una scienza della mente fù l'idea che vede la mente come calcolo logico.
  • il paradigma cognitivista


«la mente è semplicemente quello che fa il cervello»

L'ipotesi cognitivista della mente si può datare al 1956. L'intuizione centrale, perfetta per lo sviluppo dell'IA, è che l'intelligenza assomiglia così tanto ad un computer nelle sue caratteristiche essenziali, che la cognizione può venire definita come un calcolo operante su rappresentazioni simboliche, ovvero il concetto di elaborazione dell'informazione nel cervello. Se la cognizione umana è un'elaborazione dell'informazione, molto complessa ma modellizzabile, allora si può sostituire al cervello un computer molto potente.
La differenza con il precedente periodo cibernetico è che quella che era una mera ipotesi/tentativo viene assunta ad ipotesi compiuta per la spinta dell'IA. In IA l'approccio allo studio e modellizzazione della mente e delle funzioni mentali è totalmente pragmatico: nessun modello della mente ha senso (non è utilizzabile) se non può, alla fine, essere tradotto come un flusso di processo in un linguaggio di programmazione ad alto livello e implementato su un hardware computazionale e/o robotico. L'incipit del libro di Marvin Minsky, riconosciuto come il padre dell'IA, è la quintessenza dell'ipotesi cognitivista e della modalità pragmatica dell'IA. Gli enormi investimenti in computer di quinta generazione per l'IA, soprattutto in Giappone, hanno creato per le ricerche cognitivistiche prestigiose istituzioni, giornali, tecnologie applicate e interessi commerciali internazionali.
Una vignetta pungente che illustra ironicamente l'ipotesi cognitivista in modo molto rappresentativo raffigura un gatto pescatore sul bordo  di un lago che osserva la sua preda nell'acqua e calcola nella sua mente la correzione di posizione tramite la legge di Snell sull'intefaccia aria/acqua.


L'approccio cognitivista alla mente è da molti anni il più esteso. Il dissenso e la critica verso di esso riguarda due forme basilari:
  1. una critica al calcolo simbolico come veicolo appropriato di rappresentazione.
  2. una critica all'adeguatezza della nozione di rappresentazione come categoria fondatrice della scienza della cognizione.
Queste due linee di dissenso hanno portato alle successivi linee di sviluppo.






  • l'alternativa dell'auto-organizzazione alla manipolazione dei simboli: la strategia connessionista

Una linea alternativa al paradigma cognitivista della mente come elaborazione dell'informazione nel cervello è rappresentata dall'alternativa dei modelli basati su concetti quali
connessionismo, auto-organizzazione, associazionismo, emergentismo, dinamica delle reti.
Il punto di partenza è il fatto che nel cervello reale non esistono regole o processori logici centrali, e che neppure l'informazione viene memorizzata in luoghi/indirizzi precisi. Sembra puttosto che il cervello operi sulla base di interconnessioni massive, in forma distribuita, così che il suo grado di reale connettività possa cambiare in seguito all'esperienza. In breve, il cervello presenta una capacità di auto-organizzatrice che non è in nessun modo rintracciabile nel campo della logica. 
E' solo a partire dal 1980 che queste idee si sono riaccese dopo trenta anni di ortodossia cognitivista, quella che Daniel Dennett ha definito come High Church Computationalism. Le motivazioni per un ulteriore sguardo all'interno del concetto di auto-organizzazione si fondavano su due debolezze largamente note del cognitivismo:
la prima è che l'elaborazione simbolica dell'informazione è seriale, basata su regole sequenziali, e questo comporta - come ogni elaborazione seriale - una drastica limitazione delle prestazioni quando il compito da affrontare richiede un gran numero di operazioni sequenziali (ad esempio l'analisi o il riconoscimento delle immagini o la previsione del tempo atmosferico).
La seconda è che l'elaborazione simbolica è localizzata: la perdita o il cattivo funzionamento di una qualsiasi parte del sistema cognitivo implica un completo collasso dell'intero sistema.
Questi due contrasti mostrano come le architetture e i meccanismi del cognitivismo mostrano come questo è ben lontano dall'essere un modello biologico: infatti i più comuni processi visici, anche nei piccoli insetti, si svolgono più velocemente di quanto sia fisicamente possibile se simulati in modo sequenziale, e la resilienza del cervello a danneggiarsi senza compromettere tutte le sue funzioni è nota ai neurobiologi da lungo tempo.
  • l'alternativa alla rappresentazione: il disvelamento - enazione

trad. italiana: Feltrinelli, Milano, 1992 (fuori catalogo)
si veda anche F. Varela, Scienza e Tecnologia della Cognizione (STC), hopefulmonster, 1987 (fuori catalogo)

Lo sviluppo di una via alla cognizione coerente con il modello autopoietico e con l'esperienza è stato portato avanti da Francisco Varela negli ultimi anni della sua vita insieme a Evan Thompson e Eleanor Rosh. Il titolo del libro è significativo sia nell'edizione inglese sia in quella italiana: "The Embodied Mind" (La Mente Incarnata - nota: embodied può essere tradotto anche come incorporato) si rifà ad un celebre e pioneristico libro di Warren McCullogh, Embodiments of Mind, tra i principali contributi storici del movimento cibernetico; il titolo italiano "La Via di mezzo della Conoscenza" pone in evidenza uno dei temi centrali discussi: l'integrazione tra le moderne conoscenze sulla cognizione e la tradizione Mādhyamika (Colui che segue la Via di Mezzo) elaborata da Nāgārjuna (circa 150 - 250 d.C).

Una delle principali insoddisfazioni che hanno portato all'alternativa del disvelamento è semplicemente la completa assenza di senso ed esperienza comune nelle definizioni di cognizione sia nel cognitivismo sia nel connessionismo. In entrambi gli approcci il criterio di cognizione è quello di una rappresentazione efficace del mondo esterno, già dato, generalmente come una situazione di problem-solving. Questo punto di vista appare troppo incompleto, dal momento che soltanto nel caso di un mondo già dato questo può venir rappresentato. Se il mondo che viviamo viene posto innanzi anziche essere già dato, la nozione di rappresentazione non ha più un ruolo centrale. Questa è l'esperienza comune, dove i contesti rilevanti ai quali riferirsi non sono mai già dati, ma piuttosto disvelati o posti innanzi da uno sfondo, e quello che risulta come rilevante è ciò che il senso comune sancisce come tale, sempre in modo contestuale. Quello che viene messo in discussione è l'assunto più radicato di tutta la tradizione scientifica: quello che il mondo, così come lo sperimentiamo, sia indipendente dall'osservatore. Se invece siamo portati a credere che la cognizione non possa venir compresa propriamente senza tenere conto della nostra storia personale e sociale sarà inevitabile concludere che conoscente e conosciuto, soggetto e oggetto, descritto e descrittore, osservazioni e osservatore stanno reciprocamente in una relazione circolare di mutua specificazione: emergono insieme. In termini filosofici la conoscenza è ontologica.
L'idea dell'ipotesi della cognizione come enazione nel lavorare senza una rappresentazione è di tracciare una via di mezzo tra il puro solipsismo (il mondo è totalmente creato dal soggetto) al puro rappresentazionismo (il mondo è totalmente - oggettivamente - dato e il soggetto può solo rappresentarlo).


"L'interpretazione del mondo come prestabilito, e dell'organismo quale sua rappresentazione o adattamento a esso, è una forma di dualismo. L'estremo opposto del dualismo è il monismo. Noi non stiamo proponendo il monismo; l'enazione è specificamente intesa come via di mezzo fra il dualismo e il monismo."

Il passaggio tra cognitivismo a connessionismo all'enazione può essere illustrato nella seguenti tabelle riassuntive:

  

THE THREE TRADITIONS OF COGNITIVE SCIENCE

 
COGNITIVISM EMERGENCE (Connectionism) ENACTIVE


METAPHOR FOR MIND:
Digital computer

Parallel distributed network
Inseparable from experience and world


METAPHOR FOR COGNITION:
Symbol processing

Emergence of global states
Ongoing interaction within the medium


THE WORLD IN RELATION TO US: Separate
Objective  
Separate
Objective  
Engaged
'Brought forth'  
Representable
(in symbols)
Representable
(in patterns of network activation)
Presentable
(through action)


MIND VS. BODY/WORLD: Separable Separable   Inseparable  

Cartesian dualism
(mind and body hermetically sealed from each other)
Epiphenomenal dualism
(mind related to body and world via emergence)
Phenomenology
(mind and world enacted in history of interactions)


EXPONENTS:
Simon, Newell,
Chomsky, Fodor,
Pylyshyn, Minsky
Rumelhart, McClelland,
Dennett, Hofstadter
Maturana, Lakoff,
Rorty, Piaget,
Dreyfus

Varela riassume le tre posizioni sulla cognizione tramite tre domande fondamentali:

Domanda 1: Cos'è la cognizione?

 
Risposta Cognitivista: Information processing come computazione simbolica, elaborazione dell'informazione: manipolazione di simboli sulla base di regole.
Risposta Connessionista: L'emergenza di stati globali: attrattori in un sistema auto-organizzatore.
Risposta Enazionista: Enaction - Enazione - Disvelamento. E' azione effettiva: storia dell'accoppiamento strutturale tra il sistema e il suo ambiente che "crea", "pone innanzi" un mondo.

Domanda 2: Come funziona?

Risposta Cognitivista: Attraverso ogni dispositivo che supporti e manipoli elementi funzionali fisici discreti: i simboli. Il sistema interagisce solo con la forma dei simboli (i loro attributi fisici), non con il significato.
Risposta Connessionista: Attraverso un dispositivo costituito da un grande numero di elementi analoghi ai neuroni, con regole locali per le operazioni individuali, ed altre regole per il cambiamento della connettività.
Risposta Enazionista: Attraverso una rete costituita da livelli multipli di sottoreti interconnesse e sensomotorie, una rete di elementi plastici interconnessi sottostante ad una storia ininterrotta.

Domanda 3: Come posso sapere quando un sistema cognitivo funziona adeguatamente?

Risposta Cognitivista: Quando i simboli rappresentano adeguatamente alcuni aspetti del mondo reale, e l'elaborazione dell'informazione conduce ad una "buona" soluzione del problema posto al sistema.
Risposta Connessionista: Quando gli stati globali (attrattori) corrispondono a una capacità cognitiva, portando una soluzione efficace al compito richiesto.
Risposta Enazionista: Quando diventa parte di un mondo di significati in evoluzione (come accade ai giovani di ogni specie) o ne forma uno nuovo (come accade nella storia dell'evoluzione).


a second before Tao


A second before the discovery of the Gravitation Law
Vladimir Kush



http://vladimirkush.com/

mercoledì 6 luglio 2011

il Te del Tao: XVIII - LO SCADIMENTO DEI COSTUMI


XVIII - LO SCADIMENTO DEI COSTUMI

Quando il gran Tao fu negletto
s'ebbero carità e giustizia,
quando apparvero intelligenza e sapienza
s'ebbero le grandi imposture,
quando i sei congiunti non furono in armonia
s'ebbero pietà filiale e clemenza paterna,
quando gli stati caddero nel disordine
s'ebbero i ministri leali.

in a Silent Tao




Woodlawn Cemetery, Bronx, Bronx County, New York, USA

Perché “Kind of Blue” è così importante

60 anni fa Miles Davis pubblicò il disco più venduto della storia del jazz, che non sarebbe mai più stato la stessa cosa

di Stefano Vizio Il Post 17 agosto 2019

Nel 1959, l’anno che uscì il disco di Miles Davis Kind of Blue, il jazz era in un momento strano della sua storia. Per oltre un decennio era stato l’indiscutibile avanguardia della musica statunitense e una delle più efficaci manifestazioni della vivacità e della raffinatezza della cultura popolare americana. Ed era stato, fino a quel momento, una musica quasi unicamente afroamericana nei suoi interpreti, nella sua estetica, nei suoi linguaggi. Qualcosa però stava cambiando. Charlie Parker, il più grande sassofonista che fosse mai esistito, era morto da ormai quattro anni. E con lui era andata scemando l’energia e la vitalità del bebop, il sottogenere del jazz che senza esagerare aveva rivoluzionato l’idea stessa di cosa fosse la musica occidentale, tra le altre cose per aver messo al centro la sua esecuzione dal vivo. Il rock ‘n roll stava muovendo i suoi primi passi, a sua volta grazie ad alcuni visionari musicisti neri, mentre altri musicisti bianchi stavano dimostrando di sapere a loro volta fare del gran jazz, da Dave Brubeck a Chet Baker.

I vecchi paradigmi su cui si era basato il jazz nei quindici anni precedenti stavano cominciando a stare stretti ai musicisti, che stavano pian piano trovando il modo di sfogare questa loro insofferenza rompendo sempre più regole e ritrovando la propulsione creativa tipica del primo bebop in forme musicali sempre più libere e intellettuali. Davis nel 1959 aveva 33 anni ed era già una celebrità, prima come trombettista bebop e poi come leader di band di talento spropositato, capaci di ridefinire l’estetica di un genere come era successo anni prima con Birth of the Cool, un disco che aveva portato all’estremo compimento tutti gli aspetti del bebop, segnandone sostanzialmente la fine.


Passato nel 1956 alla casa discografica Columbia, Davis era uno dei jazzisti più potenti e influenti di quel periodo, e aveva a disposizione la massima libertà creativa e i migliori musicisti in circolazione. Negli anni precedenti aveva messo insieme il suo cosiddetto “primo grande quintetto”, che però era andato incontro a varie sostituzioni e aggiunte, diventando un sestetto. Alla sezione ritmica c’erano Jimmy Cobb e Paul Chambers, rispettivamente alla batteria e al contrabbasso, mentre ai fiati c’erano Cannonball Adderley, che suonava il sax alto e aveva un’impostazione più classicamente blues, e John Coltrane, uno che da qualche anno era considerato tra i migliori del giro e che però doveva ancora essere decifrato, un po’ per il suo carattere introverso e un po’ per il suo stile ancora in definizione.

Al piano Davis aveva assoldato Bill Evans, un musicista bianco che aveva le sue stesse idee su un sacco di cose, idee che in quel momento erano rarissime se non uniche nella scena jazz. Davis infatti si era stufato dei funzionamenti alla base del bebop, e stava cercando un modo di suonare che permettesse una maggiore libertà espressiva, che consentisse più possibilità nell’esplorazione melodica. Quello che Davis aveva in testa era un modo nuovo di pensare le improvvisazioni, che da quindici anni rappresentavano il cuore della musica jazz. Per sua fortuna, qualche anno prima il compositore e pianista George Russell aveva pubblicato un libro fino ad allora semisconosciuto, sul quale Davis avrebbe basato una delle più importanti rivoluzioni della musica del Novecento.


In Lydian Chromatic Concept of Tonal Organization, Russell introdusse l’idea di musica modale. Semplificando moltissimo un concetto che spesso è difficile da comprendere anche per chi studia musica, Russell propose un nuovo tipo di improvvisazione, che non si basasse più sugli accordi ma su una serie di scale dette appunto “modali”. Queste scale non erano quelle tradizionali, maggiori o minori, ma avevano nomi come eolica, misolidia, frigia o locria, ed erano associate a dei “modi”, ciascuno dei quali era collegato a un’atmosfera o a un sentimento diversi. Può sembrare fantascienza, ma Russell non si era inventato niente: le note di quelle scale erano sempre sette, ed erano ovviamente prese tra le dodici note esistenti nella musica occidentale, ma gli intervalli tra di loro erano diversi da quelli associati alle tradizionali scale maggiori e minori.

L’armonia alla base del bebop si basava su una progressione rapida e molto ritmata di accordi. Queste progressioni si basavano a loro volta su schemi consolidati e complessi, e rappresentavano una griglia strettissima all’interno della quale dovevano muoversi i musicisti nelle improvvisazioni: essenzialmente, un normale assolo bebop consisteva in virtuosi arpeggi suonati sulle scale – maggiori o minori – associate a ciascun accordo. A ogni cambio di accordo, cambiavano le note suonate dai musicisti: ma sempre quelle erano. Chi improvvisava doveva sempre pensare all’accordo successivo, e ogni 32 battute tutta la progressione si ripeteva. Ovviamente i migliori jazzisti si muovevano in questi schemi con una naturalezza incredibile, senza pensare a ogni battuta alle note permesse e a quelle vietate: ma per quanto naturale fosse, le improvvisazioni erano vincolate a quel tipo di ragionamento.


Davis voleva suonare in modo diverso, e capì come farlo dopo aver conosciuto Russell. Sostanzialmente, con il jazz modale Davis si liberò non tanto degli accordi quanto dei vincoli che si portavano dietro. Per farlo sviluppò un nuovo tipo di armonia, basata su progressioni in cui gli accordi si alternavano con meno frequenza, ed erano suonati in modo diverso. Qui entrò in gioco Bill Evans, che come Davis si era appassionato alla musica modale e che aveva perfezionato un modo di suonare gli accordi senza suonare la tonica, cioè la nota che definisce – e dà il nome – all’accordo. In questo modo il tappeto armonico dei brani era più sospeso e meno “quadrato”, e dava maggiori libertà ai musicisti solisti. Questi ultimi, da parte loro, erano invitati a suonare senza pensare agli accordi ma a una serie di scale e ai “modi” che evocavano.

Le improvvisazioni della band di Davis cominciarono quindi ad assumere un ruolo diverso nell’economia dei brani. Se nel bebop c’era un tema (la melodia orecchiabile), seguito da una serie vorticosa di improvvisazioni concluse poi da una ripetizione del tema, i pezzi del nuovo jazz modale erano diversi. C’erano sempre i temi, ma nelle improvvisazioni i musicisti erano invitati a crearne di nuovi, sviluppando melodie più efficaci, più libere e più armoniose, meno macchinose di quelle del bebop. La possibilità di attingere a scale diverse, ciascuna con un “modo” associato, senza preoccuparsi dell’accordo sottostante e di quello che lo avrebbe immediatamente seguito, rendeva tutto possibile. Nel 1958 il sestetto di Davis registrò quello che si ritiene essere il primo pezzo del jazz modale, “Milestones”.


Ebbe un grande successo e soddisfò molto Davis, che si mise al lavoro per un intero disco “modale”. Convinse i suoi musicisti, che nel frattempo stavano intraprendendo sempre più a tempo pieno le carriere soliste, a tornare insieme e il 2 marzo li radunò ai Columbia Studios di Manhattan. Coltrane, Adderley, Chambers e Cobb non avevano idea di cosa avrebbero suonato; Evans ce l’aveva un po’ di più, ma l’unico ad avere le idee davvero chiare era Davis. Invece di consegnare ai musicisti dei tradizionali spartiti, diede loro delle essenziali annotazioni con delle serie di scale e delle linee melodiche. Quel giorno la band registrò “So What”, “Freddie Freeloader” e “Blue in Green”. Nel secondo giorno di registrazione, arrivato il 22 aprile, sette settimane dopo, la band registrò “All Blues” e “Flamenco Sketches”. Quello che secondo la maggior parte dei critici è il più importante disco della storia del jazz fu concluso interamente in due giorni di registrazioni.

Non tutto Kind of Blue è in realtà un disco modale. “Freddie Freeloader” e “All Blues” sono infatti due pezzi molto tradizionali, basati su una progressione blues. Ma negli altri tre Davis e la sua band applicarono totalmente i concetti sviluppati da Russell e perfezionati da Davis ed Evans, creando una cosa che non si era mai vista prima. Gli assoli del disco sono estremamente melodici, soprattutto quelli di Coltrane, che aveva uno stile più istintuale e meno conservatore di quello di Adderley.

Uno degli esempi più efficaci è “So What”: l’intero pezzo si basa su una progressione di una semplicità quasi primitiva, sedici battute di Re minore, otto di Mi bemolle minore, altre otto di Re minore, in modo “dorico”. Il tema, uno dei più famosi della storia del jazz, si basa su un botta e risposta essenziale tra contrabbasso e tromba, che presto lascia spazio all’assolo di Davis, che sviluppa una serie di melodie talmente efficaci e musicali che funzionano sostanzialmente come “nuovi temi”, ripresi più volte e ripetuti con variazioni.

Quando subentra Coltrane comincia riprendendo a sua volta una delle ultime melodie proposte da Davis, aumentando la velocità per sviluppare le sue nuove soluzioni melodiche, per esempio ripetendo frasi molto simili su registri diversi. Adderley, nella sua improvvisazione, suona subito una serie di motivi discendenti molto orecchiabili e simili tra loro, con sonorità tipicamente blues, e a tratti propone invece rapide scale più tradizionali, che ricordano gli assoli bebop. L’ultimo assolo è quello di Evans, che suona degli accordi usando il pianoforte quasi come uno strumento a percussione. La sua è l’improvvisazione più essenziale e dimessa, ma in realtà nell’accompagnamento di “So What” Evans non ripete praticamente mai la stessa cosa: tutta la sua parte non è altro che un lunghissimo dialogo con i solisti.


Il tema inizia a 0.33; l’assolo di tromba di Davis comincia a 1.31; l’assolo di sax di Coltrane comincia a 3.26; l’assolo di sax di Adderley comincia a 5.18; l’assolo di piano di Evans comincia a 7.07.

Kind of Blue ebbe da subito un enorme successo, sia di pubblico che di critica. Oggi si ritiene sia il disco jazz più venduto di sempre, con oltre quattro milioni di copie, ed è in cima alla stragrande maggioranza delle classifiche dei migliori dischi jazz di sempre. Fu un disco che aprì un’epoca nuova nel genere, insieme all’altra grande innovazione di quegli anni, il free jazz. A differenza del jazz modale, il free jazz risolse i vincoli delle progressioni armoniche del bebop rifiutando (quasi) tutte le regole, invece che adottandone di nuove. Lo teorizzò Ornette Coleman in The Shape of Jazz to Come, che uscì alla fine dello stesso anno.
Il jazz suonato in precedenza non finì il giorno che uscì Kind of Blue. Coltrane, per esempio, pubblicò l’anno successivo Giant Steps, un disco che portava all’estremo l’improvvisazione basata sui cambi di accordi. Ma diventò presto chiaro che la musica stava andando in un’altra direzione, e che c’era stato un prima e un dopo il 1959. The Shape of Jazz to Come Kind of Blue furono i due dischi che inaugurarono il jazz del decennio successivo, e che influenzarono pesantemente anche i musicisti rock che attinsero a piene mani non tanto dalle innovazioni nella teoria musicale quanto dall’impostazione mentale che stava dietro a quelle innovazioni.
Ma la vera grandezza di Kind of Blue, si dice spesso ancora oggi, è di aver saputo concretizzare questa rivoluzione musicale in un disco che è indiscutibilmente bellissimo, e che peraltro piace generalmente a tutti, anche a chi non sa niente di quello che c’è dietro, e addirittura a chi normalmente detesta il jazz. È un disco che si presta a molti piani di lettura, che viene suonato ogni giorno come sottofondo nei cocktail bar del mondo e sul quale vengono contemporaneamente tenuti seminari universitari, e che continua a essere in cima alle liste dei consigli sui dischi da cui partire per cominciare ad ascoltare jazz.