lunedì 11 giugno 2012

KaliYuga&Tao





















Evoluzione di un sistema dinamico ad elevata complessità - quali i sistemi socioculturali-economici umani -  in presenza di crash ("crisi") di sistema, proposto da Ervin László nel 1986. A partire dallo stato stazionario iniziale a sinistra, caratterizzato da fluttuazioni su un livello medio dei suoi parametri principali, il sistema sperimenta oscillazioni nei suoi parametri vitali sempre più ampie e diventa instabile, dovuto al fatto che i meccanismi omeostatici a feedback negativo di compensazione e stabilizzazione nei suoi sottosistemi non riescono più a compensare i runaway di feedback positivo. Al seguito di instabilità sempre più accentuate può insorgere un crash di sistema, caratterizzato da una rapida e drastica riduzione dei parametri di sistema. E' da notare come l'insorgere del crash sia deterministico ma di tipo caotico, e quindi imprevedibile. L'evoluzione di sistema a seguito del crash può essere di cinque tipi: 1) distruzione ("morte") diretta del sistema; 2) distruzione indiretta del sistema, dovuta al fatto che esso mantiene la stessa configurazione precedente ma "tenta" sulla base di drastici feedback negativi e impegni di risorse di ritornare allo stato precedente, cosa impossibile perchè i processi globali di runaway positivo sono passati oltre il punto di non-ritorno e sono diventati irreversibili; 3) processo di downgrade di sistema: esso mantiene la precedente configurazione ma riduce in modo drastico quantitativamente il valore dei suoi parametri vitali e si porta ad un nuovo stato stazionario caratterizzato da un livello medio più basso; 4) il sistema impegna tutte le risorse disponibili per "recuperare" ad un nuovo livello stazionario ma mantiene la stessa configurazione, tuttavia può non raggiungere uno stato stabile e "venir meno"; 5) il sistema oltre a impegnare risorse si riconfigura nella sua struttura e si "risolleva" verso un nuovo livello di stabilità caratterizzato da un valor medio superiore rispetto al precedente.
(da: E. László, Evolution: the General Theory, 1987-1996; Evoluzione, Feltrinelli, 1986), modificato.
Ervin László riprende il modello cibernetico in forma generale affermando che i sistemi viventi effettuano una auto-correzione verso la stabilità quando escono fuori dall'equilibrio. I sistemi biologici tendono a retroazionare in modo positivo e negativo fino a quando l'intero sistema incontra una minaccia alla sua sopravvivenza che non può risolvere con gli strumenti e le informazioni di cui dispone. Il grafico precedente proposto nel 1986 illustra l'evoluzione di sistema in presenza di instabilità caotiche crescenti e di un eventauale crash (rottura) di sistema.
Laszlo afferma che la specie umana si comporta come un sistema unitario e stà entrando (presso l'area denominata "NOW") in un'epoca estremamente destabilizzante della sua storia, il cui esito non è certo, ovvero è imprevedibile. L'umanità può semplicemente morire per la sua incapacità di risolvere i problemi circa il dominio e la violenza, o tentare di ristabilire la stabilità precedente o, se sufficienti informazioni vengono integrate rapidamente, possa essere in grado di saltare a un nuovo livello di funzionamento stabile.























Intervista di Paolo Cianconi, Davide Ferrararis, Emma Pizzini, Irene Luzi (febbraio 2008).
Pubblicata sul n. 17 di "La visione sottile", periodico di cultura transpersonale in Italia.
Editore:Om – Associazione per la medicina e la psicologiatranspersonale.

Questo libro sul caos ("Il punto del Caos", 2007) parla di una problematica attuale, ripresa in un nuovo libro che affronta in modo più scientifico la medesima questione; ... il libro del Caos è più dedicato alla problematica attuale ...

Siamo sei miliardi e mezzo di persone che interagiscono, come una rete simile alla rete neurologica, diciamo un'intelligenza comune e tutto questo fa sì che la cultura, non solo l'individuo, ma la cultura globale cambino insieme, lentamente, forse troppo lentamente ma c'è un cambiamento.

Troppo lento rispetto a che cosa?

Alla sfida, alla problematica del collasso ecologico, sociale ed economico cui stiamo assistendo

Quando le dicono questa cosa, cioè che la velocità con la quale noi prendiamo coscienza del problema è molto inferiore rispetto alla velocità con la quale procede il collasso, lei come risponde?

Bisognerebbe facilitare, accelerare il cambiamento della coscienza, cambiare i valori, cambiare la consapevolezza, facilitare la spinta, spingere avanti.

Perché parla di circa cinque anni?

Voglio dare questa data, la fine del 2012, come quella dell'archetipo dell'umanità. Tante persone ne parlano, diverse culture ne parlano come un punto chiave, un 'phase-change', un cambiamento profondo. La cosa importante non è dire che nel 2012 ci sarà un collasso, bensì considerare questa data come un punto oltre il quale sarebbe difficile tornare indietro.

Quanti come lei dicono questa cosa? 

Siamo sempre di più. 

Sempre di più a che livello? 

A livello di una cultura emergente, la cosiddetta cultura dei 'creativi culturali', o 'nuova cultura'. Abbiamo fondato anche un club in Italia, il Club Budapest-Italia, che potete trovare su internet. Ritengo che il 25-30% degli adulti vogliano trovare una nuova maniera di pensare.

Essenzialmente un 30% di persone sta modificando il pensiero?

Si, è pronto a modificare i valori e la percezione, benché non modifichi ancora molto i comportamenti. Ci vorrebbe più peso politico, più peso culturale; queste persone infatti sono tutt'ora piuttosto disperse. Quello che stiamo facendo qui in Italia è di creare una rete, che si chiama 'Rete Olistica' che consente a tutti coloro che sono interessati di registrarsi e prendere contatti diretti con altri che la pensano in questa maniera. C'è anche la possibilità di accedere a un'enciclopedia olistica.

Lei pensa che il passaggio dall'inconsapevolezza alla consapevolezza presenti degli stadi? Per cui, per esempio, abbiamo delle persone che sono inconsapevoli, delle persone che sono mediamente consapevoli e delle persone che sono efficacemente consapevoli?

Il problema è che non siamo arrivati al punto critico in chi questa nuova cultura possa esercitare un peso determinate dal punto di vista economico, industriale e politico. Le persone sono ancora isolate, anche se alcuni sono "avanti", sicuramente voi lo siete, no? Non siete così unici, forse abbastanza, ma non completamente.
Esiste una rete alternativa, una rete di creativi culturali, com'è stato rilevato in America attraverso un sondaggio che risale già a quasi 10 anni fa, per vedere come si sviluppa questa cultura. Una cultura ancora sotterranea, non ancora in grado di emergere pienamente nella coscienza collettiva. Ora questa rete si sta sviluppando anche in altri paesi quali l'Olanda, la Germania, il Giappone, l'Ungheria, la Francia e, ovviamente, anche in Italia; recentemente anche in Brasile.

Come emerge questa cultura, per quanto in misura limitata? Mediante esponenti di rilievo, oppure dei congressi?

Una grande spinta l'ha data la consapevolezza dell'insostenibilità del carico della società attuale sul pianeta, tutte queste cose le descrivo anche nel "Punto del Caos": non si può andare avanti così, questo dà la spinta.

Ma quanti sono consapevoli che così non si va avanti?

Secondo questo sondaggio più di quanto noi si pensi, benché i mezzi di comunicazione non reagiscano ancora. Ci sono media alternativi, ma sono piccoli giornali, piccoli radioamatori; la componente dominante, che esprime la corrente principale del flusso informativo, il 'mainstream', non reagisce ancora.

Lei ha una teoria sul perché non reagisce ancora?

Ci sono diverse teorie. Secondo me, la più probabile è che hanno paura, perché vogliono conservare la loro posizione dominante e questi cambiamenti sono sempre pericolosi per coloro che detengono il potere.

Non dovrebbe fare più paura l'apocalisse certa, rispetto al cambiamento?

Voi che siete psicologi sapete meglio di me che la prima reazione è ignorare, rimuovere, sopprimere, dire forte che non è vero o che ci sono ancora 50 anni e comunque la tecnologia potrà risolvere tutti i problemi, ecc. Sono scuse per non agire, per non prendere sul serio il problema. Quello che deve crescere è consapevolezza, più a livello periferico che al centro.

Quindi chi ha più consapevolezza? Un popolo di tipo occidentale o un popolo di tipo tradizionale in trasformazione? Perché viene da pensare che forse questa consapevolezza sia una questione più occidentale, visto che forse siamo noi che possiamo vedere in maniera più globale il disastro.

Forse noi abbiamo più bisogno di trasformazione, giacché una cultura di tipo ancora tradizionale vive più in armonia con il suo ambiente, è una società più stabile, mentre questa società moderna, all'avanguardia, quella tipo Americano, New York, Madison Avenue, ecc., si basa su concetti e valori obsoleti, che le grandi imprese continuano a promuovere e divulgare. Sono i valori del modernismo, della casa, dell'automobile, del televisore, del frigorifero, tutto ciò che è tipico del modernismo. Quando c'è un po' di sviluppo come adesso in India o in Cina, ci sono tante persone che vogliono avere un più alto livello di vita, non la qualità quanto piuttosto lo standard di vita, che è quantitativo, economico.

In qualche modo, lo sviluppo offusca la consapevolezza, perché crea delle zone d'ombra?

Sì, lo sviluppo modernista, lo sviluppo 'mainstream', quello sì.

E prevalentemente questo lo sviluppo che viene promosso o comunque divulgato.

Viene divulgato questo genere di sviluppo per l'interesse dei grandi sistemi, delle grandi imprese, le multinazionali. Vogliono vendere e promuovono un certo tipo di consumismo.

Ma, ai vertici di queste imprese, arriva la notizia che questo si sta traducendo in un grave rischio per la sopravvivenza dell'umanità e dell'ecosistema?

Sì, arriva. C'è un certo numero di imprese che inizia a rispondere, anche se non reagiscono molto velocemente. Il tema diventa più accessibile, più riconosciuto. Un esempio è anche la nostra famiglia. Ho due figli che lavorano in ambito simile: uno all'università e l'altro nel mondo dell'impresa, come consulente per il management. Ha lavorato per grandi imprese per una decina d'anni, poi ha detto basta e ha voluto fondare un proprio studio di consulenza per un management sostenibile. Ha cominciato 6/7 anni fa e i primi due anni non aveva praticamente clienti, o solamente piccolissime imprese, mentre negli ultimi 2 o 3 anni sono anche le grandi imprese a voler ricevere corsi e dunque informazioni su come fare. Lui dice che sono aperti, ma nella pratica non si vede ancora tanta differenza.

Dunque quello che ascoltano poi non viene tradotto in pratica. In genere, invece, l'auspicio di una formazione utile è ricevere informazioni, metabolizzarle, farle proprie e sulla base di quanto appreso cambiare la propria coscienza, in modo che dal cambiamento intellettuale derivi un cambiamento d'azione.

Individualmente sì. E nel cambiare i grandi sistemi che c'è rigidità: si manifesta un feedback negativo che elimina la divergenza. E difficile cambiare un meccanismo complesso. Presso le Nazioni Unite ho potuto notare che, benché ogni tanto vengano nominate persone veramente all'avanguardia, che pensano in maniera avanzata, una volta dentro al sistema non agiscono. Forse hanno paura o non trovano il modo di intervenire e quel sistema regge, regge da sé e governa i comportamenti al suo interno. E difficile da cambiare.

Come si dovrebbe fare per accelerare i tempi? Forse ce la faremmo, se avessimo più tempo, invece pare che il tempo di agire sia poco.

Alcuni dicono che, se abbiamo troppa consapevolezza della crisi, corriamo il rischio di farci paralizzare dalla paura. Io penso si debba correre questo rischio, perché non vedo altra soluzione. La consapevolezza della crisi imminente può catalizzare una trasformazione profonda.

Secondo lei, in che ambito gli esseri umani stanno esprimendo una maggiore reazione?

Nella ricerca spirituale. ...

Lei ritiene che rifarsi al tema della spiritualità possa velocizzare le cose?

Sì, perché chiama in causa una sensibilità che può arrivare a influenzare i comportamenti e quindi a dare una spinta di cambiamento attraverso la richiesta di prodotti e servizi sostenibili, come il biologico, ecc.

In definitiva, a suo parere, su quali punti l'umanità dovrebbe trovare presto un accordo per fermare il processo?

Fermare il riscaldamento dell'atmosfera, ridurre di molto l'inquinamento e dare accesso all'acqua, perché 3 miliardi di persone non hanno accesso sicuro all'acqua e in 10 anni la quota aumenterà del 50%. La fame è un grande problema, ma l'acqua non potabile è la causa principale della maggior parte delle malattie, come ci ricorda l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità).
Purtroppo, nonostante il 2006 sia stato dedicato all'acqua dallo Human Development Report, la mancanza di acqua continua ad aumentare e il livello delle falde sotterranee a diminuire. La popolazione cresce, soprattutto nelle grandi città, senza che se ne abbia una chiara conoscenza. Ad esempio, a Città del Messico si stima un aumento di circa due milioni, da 23 a 25, ma non se ne ha certezza.
Anche a Mosca vengono stimati 8 o 9 milioni di persone, ma ci sono almeno 3 milioni di abitanti che non si sa se ci sono o meno, in quanto si tratta di gente che passa, immigrati clandestini, ecc.
Secondo me, quindi, i tre punti principali d'intervento sono l'atmosfera, l'acqua e la giustizia sociale, perché il forte e crescente divario economico e sociale genera altrettanta frustrazione e violenza. La struttura della società è sempre più sotto stress.

Anche l'OMS parla degli effetti socio-economici della salute e li contestualizza proprio nel cosiddetto ambiente sociale: dove c'è disuguaglianza non c'è salute.

Ci sarebbe ancora la possibilità di avere risorse per tutti, fino a 8 miliardi persone, ma il potere e la ricchezza sono troppo concentrati e la maggioranza vive nella scarsità e non ha reale espressione politica.

Ma l'élite risente del cambiamento?

Ne risente ma non vuole essere consapevole, perché ha paura di perdere il potere. Alcuni bloccano coscientemente una trasformazione, altri sono dubbiosi ma per ora fanno come hanno sempre fatto.

Queste élite sono informate?

Ne sanno abbastanza, probabilmente. Il livello intellettuale e di cultura dell'élite è alto, ma cosa accada veramente nella testa di coloro che bloccano o non vogliono reagire è difficile da comprendere.

Forse sono troppo lontani dal problema, pensano di non rientrare nella possibile catastrofe, pensano che se l'acqua arriverà alta si troveranno al piano di sopra. Forse, come dicevamo, è la paura l'elemento chiave, la perdita dei vantaggi è un fattore importante.

Quando si parla con loro a livello individuale sono consapevoli, però la contestazione più ricorrente è che c'è una concorrenza molto stretta che obbliga a difendere la propria posizione secondo le logiche attuali. Chi abbandonasse la posizione verrebbe subito sostituito da altri e dunque non vuole sacrificarsi inutilmente.

Lei pensa che queste persone abbiano un pensiero sul futuro, si preoccupino della sorte dei figli, della generazione successiva?

Non molto, probabilmente. Quelli che sentono la necessità davvero di fare qualche cosa per gli altri sono le persone vicine al pensionamento, oppure i giovani, non coloro che sono attivi nel mercato del lavoro. Dal suo interno, il sistema è difficile da trasformare. Secondo la mia conoscenza dei sistemi complessi, a questo punto di biforcazione è difficile trasformare il sistema da dentro. Un sistema si trasforma quando arriva ad un punto abbastanza critico di insostenibilità, quando strutturalmente non regge più. La spinta però viene sempre da fuori. Gli elementi interni vogliono sostenere il sistema così com'è, senza cambiare niente. Il problema è che all'interno il potere è ben organizzato, mentre all'esterno c'è dispersione e mancanza d'organizzazione.

Forse gli elementi esterni che hanno coscienza sono ancora troppo distanti tra di loro? La rete effettivamente ancora non c'è?

Non è ancora abbastanza ampia e organizzata. Inoltre, gli esponenti di questa nuova componente sociale di creativi culturali pensano di essere meno numerosi di quanto non sia in realtà. Ad esempio, in America, quando i ricercatori domandano a costoro di stimare la loro dimensione, rispondono circa 5 milioni di adulti, mentre invece secondo i sondaggi sono 45 milioni. Dicono "siamo pochi", mentre potrebbero dire, con ragione "siamo tanti!"

Tornando a coloro che detengono il potere decisionale, lei ha pensato a qualche stimolo informativo specifico diretto a questo gruppo?

Come ho fatto nel libro 'Il punto del Caos', tratto appunto di queste problematiche. Di recente ho anche ricevuto alcuni inviti da grandi imprese, come BASF o Deutsche Bank, e il fatto che vogliano ascoltare è un buon segnale, ma poi non sembra che riescano a cambiare concretamente e in modo sostanziale le pratiche correnti.
Vi segnalo una cosa interessante: ho fatto una presentazione ad un gruppo che si chiama YPO, theYoung Presidents Organization, ne fanno parte circa 1.500 membri, tutti sotto i 35 anni pur essendo presidenti di società di un certo rilievo. Un invito che già in sé costituisce un buon segnale. Poco dopo ho ricevuto un invito da un'altra organizzazione, Young Enterpreneurs Organization, giovani imprenditori: stesso livello di impresa, stesso limite di età, ma la differenza è che sono imprenditori, non presidenti nominati, dunque proprio coloro che hanno il potere di agire, di trasformare le cose attraverso le loro imprese.
In questo gruppo, che ha più potere reale, credo sia diffuso il sentimento che un'apertura consenta l'opportunità di trarre profitto anche dalla crisi. In fondo, sono tutti giovani abbastanza opportunisti, che hanno fatto carriera trovando sempre come agire secondo le circostanze e forse ora alcuni pensano a come adattarsi trovando un possibile vantaggio nella nuova condizione di crisi. Insomma, la situazione è complessa.

Dal vostro punto di vista, quanti sono i teorici, diciamo planetari, che hanno un'influenza? Altri come lei o come Zygmunt Bauman, ad esempio?

Francamente io non credo di avere influenza, né la vedo in altri. Parliamo, scriviamo, questo è tutto. Io preferisco indirizzarmi al pubblico in generale, piuttosto che alla leadership stabilita. La consapevolezza generale deve crescere, in modo che si voglia qualcosa di diverso. Ad esempio, alcuni nuovi prodotti come le auto ibride (automobili con motori bimodali) sono stati sottovalutati.
Alcuni anni fa la Toyota ha lanciato sul mercato il modello 'Prius', senza grandi aspettative: la performance non è superiore, anzi è minore delle auto normali e costa di più. Ci vogliono 10 anni per ammortizzare la spesa e chi vuole aspettare 10 anni? Invece c'è stata una grande domanda e si devono attendere sei mesi per ricevere il modello! Evidentemente non entrano in gioco solamente aspetti di calcolo, è anche una questione di valori.

Lei pensa che ci siano ancora abbastanza valori rimanenti dopo tutto lo sconquasso che c'è stato nel '900?

E stato sottovalutato anche questo cambiamento, perché non sanno che c'è veramente un cambiamento in corso. L'ascesa di Barack Obama in America, nonostante sia per metà afroamericano, ne è un segnale. E’ un giovane che ha un certo carisma, un certo coraggio, ricorda un po' Kennedy. Forse un avversario conservatore come McCain potrebbe ancora ricevere più voti, o essere comunque imposto dall'alto come probabilmente è avvenuto con Bush, il che ci riporta all'importanza di un cambiamento dal basso.
L'opinione pubblica è fondamentale e la sensazione che le cose non vadano per il verso giusto è sempre più diffusa. Anche qui in Italia tutti i contadini dicono che qualcosa deve cambiare, che così non va bene, che non siamo sulla buona strada. Non è fatalismo, il fatalismo è pericoloso perché dice che il futuro è un disastro e non c'e niente da fare. Mi ricordo una barzelletta per dire qual è la differenza tra un ottimista e un pessimista: l'ottimista ritiene questo il mondo migliore possibile, il pessimista teme che l'ottimista abbia ragione. Nessuno dei due fa niente, perché non ha ragione di fare alcunché.

Pensa che l'attenzione verso il mondo spirituale potrebbe aiutare, considerando la crisi spirituale che ha caratterizzato la modernità in occidente e forse nel mondo?

In effetti si registra una crescita di attenzione verso la spiritualità, non la religiosità, quanto proprio la spiritualità, il che è diverso. Ogni religione è dottrinale, il fedele deve seguire gli insegnamenti della propria chiesa. La spiritualità invece è sviluppo interiore, nella sua essenza. Il buon religioso è profondamente spirituale, ma non tutti sono buoni religiosi. La religiosità può esistere senza spiritualità e la spiritualità può esistere senza religiosità.
In ogni caso, la vera spiritualità è oggi più potente, cresce tra la gente inducendo molti a cercare dentro se stessi, a capire il proprio compito in questo mondo in cambiamento. E’ interessante notare quanti diversi eventi vengono organizzati ultimamente su questo tema del compito. Qual è il compito oggettivo per la nostra generazione o per l'umanità? Abbiamo un compito davanti a noi, c'è qualcosa da fare oppure dobbiamo affidarci al caos di un mondo in cui tutto sia accidentale?

Forse potremmo dire che la nostra cultura post-moderna, che sembra non abbia più nessuno scopo, abbia invece il più importante di tutti: organizzare la salvezza, permettere la frenata, riorganizzare le attività con un diverso utilizzo delle energie, ecc.

Sì, possiamo darci l'onorevole scopo, in termini immediati e concreti, di ritrovare i nostri rapporti l'uno con l'altro, nonché il rapporto umano con l'ambiente, con la biosfera, sentire che siamo responsabili, non solamente per noi quanto anche per gli altri, per tutto quello che accade. Questa è la prima cosa. Amore è la parola che viene usata sempre più spesso, in diversi ambienti. Non solamente amore dei giovani o fra sessi diversi, amore fisico, bensì anche amore 'spirituale', potremmo dire, quello al quale si riferiscono il cristianesimo o il buddhismo, ad esempio.
Questa parola riavvicina all'idea di collegarsi, ritrovare rapporti uno con l'altro. La mentalità moderna è invece una mentalità classica, classico-moderna, diciamo newtoniana. Secondo questa visione, noi siamo tutti individui isolati e competitivi e non abbiamo niente in comune con gli altri, tanto meno interessi comuni; con gli altri abbiamo rapporti solo se consentono di avere benefici o profitti maggiori rispetto al fare da soli. Un approccio molto pragmatico, a corto termine. I rapporti sono tutti esterni, la causalità è esterna.

Le metodologie che stanno diffondendosi negli ultimi tempi, per esempio di meditazione, di riavvinicinamento alla natura, quelle che noi definiamo di tipo transpersonale, lei le vede positivamente, dunque?

Sì. Vi riporto un'esperienza personale di circa 10 giorni fa a San Francisco, dove sono stato invitato da un gruppo buddhista della Soka Gakkai. Mi hanno proposto un incontro in Giappone con il Signor Daisau Ikeda, una personalità di questo culto, probabilmente il prossimo ottobre. Pare abbiano trovato tanti elementi comuni tra la mia teoria e il loro buddhismo, che deriva dagli insegnamenti di Nichiren Daishonin. È interessante, no?
Il loro buddhismo è molto più vicino al nuovo paradigma scientifico, alla 'nuova scienza', rispetto al cristianesimo tradizionale. Secondo la loro visione, tutti evolvono insieme uno con l'altro, in inglese si dice 'dipendent core evolution' ('Principio di interdipendenza'. N.d.c.). Tutto è collegato con tutto.

Quasi un aspetto quantistico?

Si può interpretare come effetto quantistico, ma il riconoscere che nel mondo tutto è collegato non è privilegio della ricerca fisica, perché altri come Bergson, come Whitehead, cioè grandi filosofi del processo, detti "process philosophers", hanno parlato dei collegamenti interni di tutto il mondo come un sistema unico che evolve insieme. Ora ritroviamo questo nel mondo quantistico, microscopico, però questo tipo di collegamento si trova anche nel mondo macroscopico.
Le altre dimensioni presentano sempre lo stesso tipo di rapporti, secondo connessioni non locali (vedi anche teoria dell'universo olografico. N.d.c.). Dunque non c'è niente di puramente newtoniano: una massa qui, una massa laggiù, collegate solo con rapporti esterni di casualità. Quello è un concetto obsoleto. Invece, sappiamo adesso che tutto cambia se uno cambia, perché ogni altro aspetto del mondo è influenzato da questo cambiamento.

Una concezione co-evolutiva.

Sì, co-evolutiva e post-darwinista, in quanto considera l'evoluzione dal punto di vista sistemico, ecologico. Il mondo come un sistema. Cominciai a scrivere di questo 40 anni fa, mentre si andava delineando il nuovo paradigma scientifico. Cambia la mentalità, cambia il paradigma di riferimento, cambia la maniera di vedere il mondo. Purtroppo c'è ancora questo atteggiamento 'tecnicista' che vede la scienza solo in quantoricerca pura, lontana dalla società, dalla politica, dal mondo pratico. Invece, secondo me, la visione del mondo sta cambiando proprio tra gli scienziati, anche se non abbastanza da modificare i comportamenti ed essere pienamente visibile. La tensione tra vecchi e nuovi criteri guida è in pieno fermento, con effetti contrastanti rispetto alle scelte di percorso.

È un po' come se ci fosse sfuggito il sistema di controllo? Oppure siamo noi ad essere sfuggiti al sistema di controllo?

Viviamo ora in un sistema instabile, dunque non ben controllabile da coloro che detengono il potere. Com'è accaduto nel 1989 con il sistema comunista in Europa orientale: c'era il partito comunista, i governanti, ecc., ma non poterono reggere e siamo arrivati al punto dove tutto è cambiato, trasformato ad un tratto.

Questo sarebbe il punto di cambiamento per il sistema capitalistico?

La questione non è solo economica, è soprattutto sociale, ma certo la produzione e lo scambio di beni sono centrali. A parte il Vietnam del Nord e piccoli paesi, non ci sono veramente alternative al mercato, mercato libero, che sappiamo però non essere mai tale: ci sono tanti poteri che interagiscono e influenzano il mercato; il mercato completamente libero è pura idealizzazione. D'altronde non abbiamo molte altre alternative e dobbiamo fare i conti con il mercato anche se non è libero, anche perché esprime la crisi di questo sistema che vi introduce valori di corto termine, egoistici, di ricchezza, di potere.

Considerando l'importanza e l'influenza che a tutt'oggi caratterizza la religione a livello mondiale, come spiega quella che sembra un'assenza di ruolo dei leader religiosi riguardo a questa crisi, al contrario degli scienziati che invece sempre più spesso ne parlano?

Alcuni vogliono fare qualcosa, come il Dalai Lama, che ne parla sempre, certo da una posizione molto speciale. Gli altri credo risentano del timore cui abbiamo fatto cenno prima: quando il sistema diventa instabile, emerge la paura di. . . in inglese si dice "to rock the boat" (smuovere le acque. N.d.c.). Ma alcuni vogliono reagire, fare qualcosa.
Ho un amico, una persona che stimo molto, Sri Sri Ravi Shankar, riconosciuto come principale esponente dell'induismo indiano e seguito da milioni di persone, con il quale abbiamo convenuto di fare qualcosa questo autunno, una riunione di capi spirituali di diverse religioni. Ci sono già un centinaio di adesioni, in gran parte di piccoli gruppi religiosi. Il Vaticano ha comunicato la presenza del Segretario di Stato in delega al Papa.

Lei come vede la posizione della Chiesa cattolica verso un movimento di tipo ecologista?

Non saprei dire con esattezza; di certo so che la Chiesa e l'Università, in quanto strutture tradizionali, sono due grandi organismi conservatori.

Quindi mette anche l'Università tra le strutture che non cambiano?

L'Università è la più grande e la più difficile da cambiare. C'è un potere insito nel corpo docente, oltre che nella struttura: ogni nuovo insegnante era già allievo del professore precedente, dunque c'è sempre un chiaro passaggio d'eredità, senza soluzione di continuità. A maggior ragione quando l'Università è ricca e ha prestigio. Le grandi università non cambiano molto. A volte sembra il contrario perché si dimostrano all'avanguardia con professori e ricercatori conosciuti, ma la struttura non cambia; possono variare i contenuti di alcuni seminari, ma non la struttura stessa: tutto rimane sempre separato e le conoscenze non si integrano in una nuova concezione della facoltà. Del resto, nei fatti anche tra i docenti prevale una modalità d'azione molto competitiva e territoriale. Io non sono tornato alle Nazioni Unite dopo averle lasciate, come non sono tornato in Università, avevo difficoltà a riadattarmi a questa mentalità, tutti arroccati come in una torre d'avorio. Un cambiamento può provenire solo dalla base, dal margine; anche l'evoluzione della specie procede sempre dal margine.

Pensa che la nostra generazione sia capace di fare un sacrificio? Sacrificare se stessa, rinunciare a tanti privilegi, per un futuro migliore?

Il sacrificio dipende dai valori. Se il mio valore è avere la più grande macchina, una piccola macchina sarà un sacrificio. Se il mio valore è di risparmiare e di essere prudente, non mi sarà così difficile esprimere un consumo più consapevole. Oppure, andare in bicicletta è meglio che fare un altro viaggio, ecc., ma certo sacrificarsi è difficile, come anche rivedere valori che sono radicati nella tradizione.
Dobbiamo trovare un nuovo valore, o meglio una nuova visione del mondo. Dobbiamo capire che siamo tutti insieme, che siamo arrivati a un punto critico e dobbiamo agire insieme per creare un mondo più consapevole, più in pace, più sostenibile e che questo è possibile. La possibilità c'è, ma non per lungo tempo. Questo e il problema: la possibilità non resterà ancora aperta a lungo.
Sappiamo che un flusso positivo, una volta lanciato, diviene quasi impossibile da frenare quando si innesca un processo di crescita esponenziale, in cui ogni elemento spinge in avanti l'altro ("run away"). Sono processi che conosciamo dalla cibernetica e riguardano l'ambiente, la società o le imprese. A livello d'ambiente naturale, la biosfera è un sistema stabile e da cinque miliardi di anni si è mantenuto più o meno dentro una soglia limite. Ora invece stiamo profondamente sollecitando quest'equilibrio e, se s'innesca un processo di feedback positivo di tipo "run away", allora il rischio è non poter più intervenire, con grave rischio di sopravvivenza per la maggioranza della popolazione mondiale entro i prossimi venti anni. Un gran pericolo incombe sull'umanità, ma pochi se ne vogliono veramente rendere conto.


Purtroppo sì, per un'ampia serie di fattori convergenti, secondo la dinamica esposta prima. Solo per fare un esempio, si è visto che alla riduzione delle calotte polari corrisponde un aumento della superficie scura del pianeta (dall'alto, l'acqua è più scura del ghiaccio), che assorbe così più calore con ulteriore scioglimento dei ghiacci e così via, in accelerazione progressiva. Si rischia un'escalation simile ad una guerra, molto difficile poi da gestire.Abbiamo 4-5, massimo 10 anni per intervenire, ma tenere la data del 2012 come "punto di controllo" mi sembra appropriato, visto che già molti ne parlano anche per motivi spirituali. Due settimane fa ho visitato il museo antropologico di Città del Messico, dove è conservato il famoso calendario Maya; come ricordano gli antropologi, i Maya hanno fatto calcoli molto precisi sui movimenti stellari del nostro sistema, con cicli esatti di 6 mila anni, uno dei quali si conclude appunto nel 2012. Proprio adesso che, a tutti gli effetti, sembra approssimarsi un cambiamento profondo.

Come potevano prevedere tanto tempo fa quello che sarebbe diventata l'umanità, il collasso imminente?

Forse mediante osservazione consapevole di fenomeni a noi sconosciuti; forse potremmo supporre di non essere l'unica specie intelligente di questa parte della galassia e che l'informazione sia giunta da fuori. In fondo, pensare che siamo l'unica specie consapevole dell'universo non è ragionevole. Ho amici ricercatori che sono abbastanza convinti che un contatto con specie extraterrestri ci sia o ci sia stato, ma si voglia mantenere un segreto completo per timore del cambiamento; forse, peraltro, questi esseri non vogliono interferire nel nostro mondo. In ogni caso, la natura è più viva e più complessa di quanto non pensiamo.

Cosa suggerirebbe ad un adolescente del mondo occidentale, nella programmazione dei prossimi 10 anni della propria vita?

Di informarsi e poi di agire secondo la sua 'insight survey', la nuova conoscenza scaturita dalla sua indagine intuitiva. Si può fare tanto! Già come individui, si può vivere i propri rapporti in maniera 'sostenibile'. Si possono evitare illusori effetti specchianti, trovare alternative. Dunque per prima cosa informarsi, essere più consapevoli.

Quali sono secondo lei le migliori fonti di informazione?

Purtroppo non i media. Ci sono libri, c'è tutta questa cultura alternativa che in parte è New Age, un po' pazza, ma ci sono anche fonti d'informazione molto interessanti. Ad esempio, in Italia abbiamo provato a mettere insieme quest'enciclopedia olistica, una fonte d'informazione abbastanza interessante su diversi argomenti, quali salute o ecologia, dal punto di vista olistico. L'informazione si trova, soprattutto su internet, dove c'è ormai tutto. Nella scuola forse è più difficile, quindi è proprio necessario muoversi fuori dei percorsi stabiliti, 'out of the mainstream'. Molti giovani sentono che non stiamo andando lungo la strada giusta, cercano risposte ed è giusto parlare di questo tema e far sapere che ci sono alternative. Sono le nuove generazioni ad esprimere un atteggiamento più ecologista e più consapevole, si vede già da come vestono e dalle abitudini; purtroppo, nella loro ricerca, molto spesso hanno difficoltà a trovare la propria strada.

Un suo libro da suggerire ai giovani?

"Tu puoi cambiare il mondo", con la prefazione di Gorbaciov. Un testo ricco d'indicazioni su cosa fare concretamente. La cosa importante è che ci siano persone impegnate a fare qualcosa, non solamente a parlare a casa propria. La spinta arriverà, presto o tardi: ognuno è bene che agisca nel proprio campo.

  


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