martedì 12 giugno 2012

la complessità dal KaliYuga al Tao - I

*Presented at the Colloquium “Intelligence de la complexité: épistémologie et pragmatique”, Cerisy-La-Salle, France, June 26th, 2005

Perché la problematica della complessità è apparsa così tardi? E perché dovrebbe essere giustificata?

1. I tre principi del rifiuto della complessità da parte della 'scienza classica'

La scienza classica ha respinto la complessità in virtù di tre principi esplicativi fondamentali:
  1. Il principio del determinismo universale, illustrato dal Demone di Laplace, in grado, grazie alla sua intelligenza ed ai sensi estremamente sviluppati, non solo di conoscere tutti gli eventi passati, ma anche di prevedere tutti gli eventi in futuro.
  2. Il principio di riduzione, che consiste nel conoscere qualunque composto con la sola conoscenza dei suoi elementi costitutivi fondamentali.
  3. Il principio di separazione, che consiste nell'isolare e separare le difficoltà cognitive una dall'altra, che porta alla separazione tra le discipline, che sono diventate ermetiche una dall'altra.
Questi principi hanno portato a sviluppi estremamente brillanti, importanti e positivi della conoscenza scientifica fino al punto in cui i limiti di intelligibilità che essi costituivano sono diventati più importanti delle loro delucidazioni.
In questa concezione scientifica, il concetto di "complessità" è assolutamente respinta. Da un lato, di solito significa confusione e incertezza; l'espressione "è complesso", infatti, esprime la difficoltà di dare una definizione o una spiegazione. D'altra parte, poiché il criterio di verità della scienza classica è espresso da leggi semplici e concetti, la complessità si riferisce solo alle apparenze che sono superficiali o illusorie. A quanto pare, i fenomeni nascono in un modo confuso e dubbioso, ma la missione della scienza è quello di cercare, dietro quelle apparenze, l'ordine nascosto che è la realtà autentica dell'universo.
Certo, la scienza occidentale non è sola nella ricerca della realtà "vera" dietro le apparenze, per l'Induismo, il mondo delle apparenze, il māyā è illusorio, e per il Buddhismo il saṃsāra, il mondo dei fenomeni, non è la realtà ultima. Ma la vera realtà, nel mondo hindù o buddhista, è inesprimibile e in casi estremi inconoscibile. Laddove, nella scienza classica, dietro le apparenze, vi è l'ordine impeccabile e implacabile della natura.
Infine, la complessità è invisibile nella divisione disciplinare del reale. Infatti, il primo significato della parola deriva dal complexus latino, che significa ciò che è tessuto insieme. La particolarità, non della disciplina in sé, ma della disciplina come è concepita, non-comunicante con le altre discipline, chiusa in se stessa, naturalmente disintegra la complessità.
Per tutte queste ragioni, si è capito perché la complessità è invisibile o illusoria, e perché il termine è stato deliberatamente rifiutato.

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