martedì 3 luglio 2012

del Tao dei giochi e della serietà - II


P. A che cosa stai pensando?
F. No ... è che ci sono tante di quelle domande.
P. Per esempio?
F. Be', capisco che cosa vuoi dire a proposito di cacciarci nei pasticci, che questo ci fa dire cose di tipo nuovo. Ma sto pensando al tipografo. Lui deve tenere tutte le sue lettere in ordine anche se disfa tutte le frasi bell'e fatte. E poi penso ai nostri pasticci: dobbiamo tenere i pezzetti dei nostri pensieri in ordine, ma come? ... per non diventare matti?
P. Penso di si ... si ... ma non so quale tipo di ordine. Questa è una domanda veramente difficile. Non credo che riusciremmo a ottenere oggi una risposta a questa domanda.


P. Hai detto che c'erano «tante di quelle domande". Ne hai qualche altra?
F. Sì ... sui giochi e le cose serie. Siamo partiti da lì e poi non so come o perché questo ci ha portati a parlare dei pasticci. Tu confondi sempre ogni cosa ... è una specie d'imbroglio.
P. Ma no, assolutamente no.


P. Tu hai sollevato due problemi. Ma in realtà ce n'è ancora un sacco ... Abbiamo cominciato da una domanda su queste conversazioni: sono serie? Oppure sono una specie di gioco? E ti sentivi offesa dall'idea che io potessi farne un gioco, mentre tu le prendevi sul serio. È come se una conversazione fosse un gioco se una persona vi partecipasse con certe emozioni o idee, ma non fosse un gioco se le sue idee o emozioni fossero diverse.
F. Sì, è che se le tue idee sulla conversazione sono diverse dalle mie ...
P. Se tutti e due avessimo l'idea di giocare, andrebbe bene?
F. Sì ... certo.
P. Allora sembra che dipenda da me chiarire che cosa intendo con l'idea di gioco. lo so di essere serio (qualunque ne sia il significato) nelle cose di cui parliamo. Noi  parliamo di idee. E io so di giocare con le idee allo scopo di comprenderle e metterle insieme. È un 'divertimento' nello stesso senso in cui un bambino 'si diverte' coi cubi ... E un bambino con i cubi per lo più si comporta in maniera molto seria col suo 'divertimento',
F. Ma, papà, è un gioco nel senso che tu giochi contro di me?
P. No. La mia idea è che tu e io stiamo giocando insieme contro i cubi - le idee. A volte siamo un tantino in competizione, ma in competizione su chi dei due riesce a sistemare l'idea successiva. E talvolta uno di noi aggredisce il pezzettino di costruzione dell'altro, oppure io cerco di difendere le idee che ho costruito dalle tue critiche. Ma alla fin fine lavoriamo sempre insieme per tirar su le idee in modo che si reggano in piedi.


F. Papà, i nostri discorsi hanno regole? La differenza tra un gioco e il divertirsi puro e semplice è che il gioco ha delle regole.
P. Sì. Lasciami pensare. Credo che abbiamo certe regole ... e credo che un bambino che gioca coi cubi abbia anche lui le sue regole. I cubi stessi costituiscono una specie di regola. In certe posizioni stanno su e in altre posizioni non stanno su. E sarebbe una specie d'imbroglio se il bambino usasse la colla per far star su i cubi in certe posizioni in cui altrimenti cadrebbero.
F. Ma che regole abbiamo noi?
P. Be', le idee con cui giochiamo comportano certe regole. Vi sono regole su come le idee si possono reggere e sostenere a vicenda. E se sono messe insieme in modo sbagliato, tutta la costruzione crollerà.
F. Niente colla, papà?
P. No ... niente colla. Soltanto logica.


F. Ma tu hai detto che se parlassimo sempre in modo logico e non incappassimo in pasticci, non potremmo dire mai niente di nuovo. Potremmo dir solo cose bell'e fatte. Come le hai chiamate quelle cose?
P. Clichés. Sì. La colla è ciò che tiene insieme i clichés.
F. Ma tu hai detto 'logica', papà.
P. Sì, lo so. Siamo di nuovo in un pasticcio. Solo che non vedo come faremo a uscire, da questo pasticcio.
F. Come ci siamo capitati, papà?
P. Giusto, vediamo se riusciamo a ricostruire i nostri passi. Stavamo parlando delle 'regole' di queste conversazioni, E io ho detto che le idee con cui giochiamo hanno regole di "logica".
F. Papà! Non sarebbe meglio avere un po' più di regole e seguirle più attentamente? Così non potremmo finire in questi terribili pasticci.
P. Sì, ma aspetta. Tu vuoi dire che io porto la conversazione in questi pasticci perché non rispetto certe regole che non abbiamo. Oppure, diciamo così: che potremmo farci delle regole che c'impedirebbero di finire nei pasticci - se noi le rispettassimo.
F. Sì, papà, le regole di un gioco servono proprio a questo.
P. Sì, ma tu vuoi che queste conversazioni diventino un gioco di quel tipo? lo preferirei giocare a canasta, che è anche divertente.
F. Sì, è vero. Possiamo giocare a canasta ogni volta che ne abbiamo voglia. Ma adesso preferirei giocare a questo gioco. Solo che non so che tipo di gioco sia. E neppure che tipo di regole abbia.
P. Eppure è già da un po' che stiamo giocando.
F. Sì, ed è stato divertente.
P. Vero.


P. Torniamo alla domanda che hai fatto, e io ho detto che era troppo difficile per potervi rispondere oggi, Stavamo parlando del tipografo che disfa i suoi clichés, e tu hai detto che deve lo stesso mantenere qualche ordine tra le sue lettere, per non diventare matto. E poi hai chiesto: «Che razza di ordine dovremmo mantenere per non diventare matti quando finiamo in un pasticcio?", A me sembra che le regole del gioco siano solo un nome diverso per quel tipo di ordine.
F. Sì ... e l'imbrogliare è ciò che ci caccia nei pasticci.
P. In un certo senso sì. È vero. Solo che tutto il sugo del gioco è che noi finiamo nei pasticci, e poi ne veniamo fuori dall'altra parte, e se non ci fossero pasticci il nostro 'gioco' sarebbe come la canasta o gli scacchi ... e noi non vogliamo che sia così.
F. Papà, ma sei tu che fai le regole?
P. Questo, figlia mia, è un tiro mancino. E probabilmente anche disonesto. Ma lo accetto per quello che è. Sì, sono io che faccio le regole ... dopo tutto non voglio che diventiamo matti.
F. D'accordo. Ma, papà, tu cambi anche le regole? Qualche volta?
P. Uhm, un altro tiro mancino. Sì, figliola mia, le cambio continuamente. Ma non tutte, solo qualcuna.
F. Mi piacerebbe che tu mi dicessi quando stai per cambiarle!
P. Uhm ... sì ... già. Vorrei poterlo fare. Ma non è così semplice. Se si trattasse degli scacchi o della canasta, potrei dirti le regole, e volendo potremmo smettere di giocare e metterei a discutere le regole. E potremmo poi cominciare una nuova partita con le nuove regole. Ma a quali regole dovremmo obbedire tra le due partite? Proprio mentre stiamo discutendo le regole?
F. Non capisco.
P. Sì, il fatto è che lo scopo di queste conversazioni è quello di scoprire le 'regole'. È come la vita: un gioco il cui scopo è di scoprire le regole, regole che cambiano sempre e non si possono mai scoprire.
F. Ma quello io non lo chiamo un gioco, papà.
P. Forse no. lo però lo chiamerei un gioco, o comunque un 'giocare'. Ma certo non è come gli scacchi o la canasta; è più simile a quello che fanno i gattini o i cuccioli.
Forse. Non lo so.


F. Papà, perché i gattini e i cuccioli giocano?
P. Non lo so ... non lo so ...

Metalogue: About Games and Being Serious; from ETC: A Review of General Semantics, Vol. X, 1953.

 del Tao dei giochi e della serietà - I

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