I GRANDI PROCESSI STOCASTICI.
9. CONFRONTO E COMBINAZIONE DEI DUE SISTEMI STOCASTICI.
In questo paragrafo cercherò di rendere più precisa la descrizione dei due sistemi, di esaminare le funzioni di ciascuno di essi e infine di esaminare il carattere del più vasto sistema dell'evoluzione generale che risulta della combinazione dei due sottosistemi.
Ciascun sottosistema ha due componenti (come è implicito nella parola "stocastico",): una componente casuale e un processo di selezione che agisce sui prodotti della componente casuale.
Nel sistema stocastico del quale si sono soprattutto interessati i darwinisti, la componente casuale è il cambiamento "genetico", o per mutazione o per redistribuzione dei geni tra gli individui di una popolazione. Io parto dall'assunto che la mutazione non è sensibile alle esigenze dell'ambiente o alla tensione interna dell'organismo. Ma accetto anche l'assunto che il meccanismo di selezione che agisce sugli organismi casualmente variabili comprende sia la tensione interna di ciascuna creatura sia, in seguito, le circostanze ambientali cui la creatura è soggetta.
E' di importanza fondamentale notare che, per quanto riguarda la permanenza degli embrioni in un ambiente riparato (l'uovo o il corpo materno), l'ambiente esterno non esercita una forte azione selettiva sulle novità genetiche fino a quando l'epigenesi non ha compiuto molti passi. In passato e ancora a tutt'oggi la selezione naturale esterna ha favorito quei cambiamenti che proteggono l'embrione e l'individuo immaturo dai pericoli esterni. Ne è risultata una sempre maggiore separazione tra i due sistemi stocastici.
Un altro metodo per assicurare la sopravvivenza di parte, almeno, della prole è quello di accrescerne grandemente il numero. Se ciascun ciclo riproduttivo produce "milioni" di larve, la nuova generazione può sopportare circa sei decimazioni consecutive. Ciò equivale a trattare le cause esterne di decesso come probabilistiche, senza fare alcun tentativo di adattarsi alla loro natura specifica. Con questa strategia, inoltre alla selezione interna viene data piena libertà di agire sul cambiamento.
Così, o perchè‚ c'è protezione della prole immatura o perchè‚ essa viene generata in quantità astronomiche, accade che oggi, per molti organismi, le condizioni interne costituiscano il "primo" vincolo cui deve sottostare la nuova forma. Sarà vitale la nuova forma in questo ambito? L'embrione in sviluppo sarà capace di tollerare la nuova forma, oppure il cambiamento provocherà irregolarità letali nel suo sviluppo? La risposta dipenderà dalla flessibilità somatica dell'embrione. Soprattutto, nella riproduzione sessuata, l'accoppiamento dei cromosomi nella fecondazione impone un processo di comparazione. Ciò che vi è di nuovo nell'uovo o nello spermatozoo viene a contatto con ciò che vi è di vecchio nell'uno o nell'altro, e il confronto favorisce la conformità e la conservazione. Le novità eccessive saranno eliminate per ragioni di incompatibilità.
Al processo di fusione della riproduzione faranno seguito tutte le complessità dello sviluppo, e a questo punto l'aspetto combinatorio dell'embriologia, sottolineato dal termine "epigenesi", imporrà nuove prove di conformità. Sappiamo che nello stato precedente tutti i requisiti di compatibilità erano stati soddisfatti, con la conseguente produzione di un fenotipo sessualmente maturo. Se non fosse stato così, quello stato non sarebbe mai potuto esistere.
E' molto facile cadere nell'errore di ritenere che se il nuovo è vitale allora nel vecchio doveva esserci qualcosa che non andava. Questa opinione, cui sono inevitabilmente inclini organismi che già soffrono delle patologie causate da un cambiamento sociale rapidissimo e frenetico, è naturalmente in gran parte assurda. Ciò che è "sempre" importante è essere certi che il nuovo non sia "peggiore" del vecchio. Non è ancora assodato che una società contenente il motore a combustione interna sia vitale, o che dispositivi elettronici di telecomunicazione come la televisione siano compatibili con l'aggressiva rivalità intraspecifica prodotta dalla Rivoluzione industriale. A parità di condizioni (il che spesso non accade), il vecchio, che ha già superato più prove, ha più probabilità di essere vitale del nuovo, che non è stato ancora sottoposto ad alcuna prova.
La selezione interna, allora, è la prima batteria di analisi cui è soggetta qualunque componente o combinazione genetica nuova.
Viceversa, le radici immediate del secondo sistema stocastico sono nell'adattamento esterno (cioè nell'interazione tra fenotipo e ambiente). La componente casuale è data dal sistema costituito dal fenotipo in interazione con l'ambiente.
Le particolari caratteristiche acquisite generate in risposta a un dato cambiamento dell'ambiente possono essere prevedibili. Se si riducono le riserve alimentari, è probabile che l'individuo dimagrisca, soprattutto attraverso la metabolizzazione del proprio grasso. L'uso e il disuso apporteranno cambiamenti nello sviluppo o nel sottosviluppo di determinati organi. E così via. Analogamente, è spesso possibile prevedere un cambiamento particolare all'interno dell'ambiente: si può prevedere che una variazione climatica verso il freddo ridurrà la biomassa locale e ridurrà quindi le riserve di cibo per molte specie di organismi. Ma ambiente e organismo presi "insieme" diventano imprevedibili. Né l'organismo né l'ambiente contengono informazioni che permettano all'uno di conoscere la mossa successiva dell'altro. Ma in questo sottosistema è già presente una componente selettiva in quanto i cambiamenti somatici provocati dall'abitudine e dall'ambiente (compresa la stessa abitudine) sono adattativi. ("Assuefazione" è il nome della vasta classe di cambiamenti indotti dall'ambiente e dall'esperienza che non sono adattativi e non conferiscono vantaggi in termini di sopravvivenza). Ambiente e fisiologia insieme "propongono" cambiamenti somatici che possono essere vitali o non vitali, ed è lo stato dell'organismo in quel dato momento, così com'è determinato dalla "genetica", che ne determina la vitalità. Come ho sostenuto nel paragrafo 4, i limiti di ciò che può essere conseguito col cambiamento somatico o con l'apprendimento sono sempre fissati in ultima analisi dalla genetica.
Insomma, la combinazione di fenotipo e ambiente costituisce dunque la componente casuale del sistema stocastico che "propone" il cambiamento; lo stato genetico "dispone", permettendo alcuni cambiamenti e impedendone altri. I lamarckiani sostengono che il cambiamento somatico controlla quello genetico, ma in realtà è vero il contrario: è la genetica che limita i cambiamenti somatici, rendendone possibili alcuni e impossibili altri.
Inoltre, il genoma dell'organismo individuale, come ciò che contiene le potenzialità del cambiamento, è quello che gli informatici chiamerebbero una "banca", una riserva di possibili percorsi alternativi di adattamento. La maggior parte di queste alternative restano inutilizzate e perciò invisibili in qualunque individuo.
Analogamente, per quanto concerne l'altro sistema stocastico, si ritiene oggi che il "pool" genico della "popolazione" sia estremamente eterogeneo. Il mescolamento dei geni nella riproduzione sessuata crea, magari raramente, tutte le combinazioni genetiche che potrebbero presentarsi. Esiste quindi una grande banca di percorsi genetici alternativi che ogni popolazione selvaggia può imboccare sotto la pressione della selezione, come dimostrano gli studi di Waddington sull'assimilazione genetica.
Se questo quadro è corretto, tanto la popolazione quanto l'individuo sono pronti per muoversi. C'è da aspettarsi che non vi sia bisogno di attendere mutazioni appropriate, il che ha un certo interesse storico. Com'è noto, Darwin cambiò opinione sul lamarckismo nella convinzione che i tempi geologici fossero insufficienti per un processo evolutivo che agisse senza l'ereditarietà lamarckiana. Pertanto nelle edizioni successive dell'"Origine delle specie" egli accettò una posizione lamarckiana. La scoperta di Theodosius Dobzhansky che l'unità di evoluzione è la popolazione, e che la popolazione è un deposito eterogeneo di possibilità geniche, riduce fortemente il tempo richiesto dalla teoria evoluzionistica. La popolazione è in grado di rispondere immediatamente alle pressioni ambientali. L'organismo individuale è capace di cambiamenti somatici adattativi, ma è la popolazione che, tramite la mortalità selettiva, subisce i cambiamenti che vengono trasmessi alle generazioni future. Oggetto della selezione diventa la "potenzialità" del cambiamento somatico. E' sulla "popolazione" che agisce la selezione ambientale.
Passiamo ora a esaminare i contributi separati di ciascuno di questi due sistemi stocastici al processo evolutivo nel suo complesso. Chiaramente, in ciascun caso è la componente selettiva che determina la direzione di quei cambiamenti che vengono alla fine incorporati nel quadro globale.
La struttura temporale dei due processi stocastici è necessariamente diversa. Nel caso del cambiamento genetico casuale, il nuovo stato del D.N.A. esiste fin dall'istante della fecondazione, ma forse non contribuisce all'adattamento esterno se non molto più tardi. In altre parole, il primo criterio del cambiamento genetico è "conservativo". Ne segue che è questo sistema stocastico interno ad assicurare ovunque la chiara evidenza della somiglianza formale nelle relazioni interne tra le parti (cioè l'omologia). Inoltre, è possibile prevedere quale tra le molte specie di omologia sarà la più favorita dalla selezione interna: "in primo luogo" verrà favorita l'omologia citologica, quell'insieme così sorprendente di somiglianze che unisce tutto il mondo degli organismi cellulari. Ovunque guardiamo, all'interno delle cellule troviamo forme e processi confrontabili. La danza dei cromosomi, dei mitocondri e degli altri organelli citoplasmatici e la struttura ultramicroscopica uniforme dei flagelli, ovunque essi si presentino, nelle piante o negli animali - tutte queste somiglianze formali così profonde sono il risultato della selezione interna, che a questo livello elementare si concentra sul conservatorismo.
Una conclusione simile emerge quando ci s'interroga sul destino che attende i cambiamenti che hanno superato le prime prove citologiche. Un cambiamento occorso in una fase "più precoce" nella vita dell'embrione deve disturbare una catena più lunga e quindi più complessa di eventi successivi.
E' difficile o impossibile fornire una qualunque stima quantitativa della distribuzione delle omologie lungo la vita delle creature. Asserire che l'omologia predomina soprattutto nei primissimi stadi della produzione dei gameti, della fecondazione e così via, equivale a fare un'affermazione quantitativa che identifica i "gradi" dell'omologia e assegna un valore a caratteristiche quali il numero dei cromosomi, la struttura mitotica, la simmetria bilaterale, gli arti pentadattili, il sistema nervoso dorsale centrale, eccetera. Una siffatta valutazione risulta estremamente artificiale in un mondo dove la quantità non determina mai la struttura. Ma il sospetto resta. Le "uniche" strutture formali comuni a tutti gli organismi cellulari - alle piante come agli animali - si trovano al livello cellulare.
Da questi ragionamenti segue una conclusione interessante: dopo tante controversie e tanto scetticismo, la teoria della ricapitolazione è ancora sostenibile. Esiste una ragione a priori per attendersi che la struttura formale degli embrioni rassomigli a quella degli embrioni delle forme ataviche più di quanto la struttura formale degli adulti non rassomigli a quella degli adulti atavici. Non è certo questo che sognavano Haeckel e Herbert Spencer quando pensavano che l'embriologia dovesse seguire i percorsi della filogenesi. L'attuale formulazione è più negativa: deviare all'inizio del percorso è più difficile (meno probabile) che deviare più avanti.
Se fossimo ingegneri dell'evoluzione e ci trovassimo a dover scegliere un percorso filogenetico che da creature simili ai girini e capaci di nuotare liberamente portasse fino al "Balanoglossus", sessile e vermiforme, che vive nel fango, scopriremmo che il percorso evolutivo più facile eviterebbe disturbi troppo precoci e troppo drastici negli stadi di sviluppo dell'embrione. Potremmo scoprire addirittura che, segmentando l'epigenesi in stadi separati, si otterrebbe una semplificazione del processo "evolutivo". Arriveremmo allora a una creatura con larve simili a girini, capaci di nuotare liberamente, le quali ad un certo punto subirebbero una metamorfosi trasformandosi in adulti sessili e vermiformi. Il meccanismo del cambiamento non è semplicemente permissivo o semplicemente creativo. Vi è piuttosto un determinismo continuo per cui i cambiamenti che possono intervenire sono membri di una "classe" di cambiamenti conforme a quel particolare meccanismo. Il sistema del cambiamento genetico casuale filtrato dal processo selettivo della vitalità interna conferisce alla filogenesi le caratteristiche di una diffusa omologia.
Se ora consideriamo l'altro sistema stocastico, arriviamo ad un quadro completamente diverso. Bench‚ l'apprendimento o il cambiamento somatico non possano mai toccare direttamente il D.N.A., è chiaro che i cambiamenti somatici (cioè i famosi caratteri acquisiti) sono di solito adattativi. Adattarsi ai cambiamenti ambientali è utile in vista della sopravvivenza individuale e/o della riproduzione e/o del semplice benessere e della riduzione delle tensioni. Le modifiche di adattamento avvengono a molti livelli, ma a ciascun livello vi è un beneficio reale o apparente. E' bene ansimare quando si sale ad alta quota, ed è bene imparare a non ansimare quando si resta a lungo in alta montagna. E' bene avere un sistema fisiologico capace di compensare uno sforzo fisiologico, anche se l'adattamento conduce all'acclimazione e l'acclimazione può significare assuefazione.
In altre parole, l'adattamento somatico crea sempre un contesto per il cambiamento genetico; se poi tale cambiamento genetico sopravvenga o no, è tutt'altro problema; io lo metterò da parte per il momento, e considererò invece lo spettro di quello che "può" esser proposto dal cambiamento somatico. Chiaramente, questo spettro o insieme di possibilità porrà un limite esterno a ciò che può essere attuato da questa componente stocastica dell'evoluzione.
Una caratteristica comune dei cambiamenti somatici è subito evidente: "tutti" sono "quantitativi" o, come direbbero gli informatici, "analogici". Nel corpo animale il sistema nervoso centrale e il D.N.A. sono in ampia misura (e forse completamente) digitali, ma il resto della fisiologia è analogico.
Così, confrontando i cambiamenti genetici casuali del primo sistema stocastico con i cambiamenti somatici di risposta del secondo, incontriamo di nuovo l'asserzione generale sottolineata nel capitolo 2: "la quantità non determina la struttura". I cambiamenti genetici possono essere fortemente astratti e operare a grande distanza dalla loro espressione fenotipica ultima, e nella loro espressione finale possono indubbiamente essere quantitativi o qualitativi. Ma quelli somatici sono assai più diretti e, a mio avviso, soltanto quantitativi. Le proposizioni descrittive che forniscono alla descrizione della specie strutture comuni (cioè omologia) non sono mai disturbate, per quanto mi risulta, dai cambiamenti somatici che possono essere indotti dall'abitudine e dall'ambiente.
In altre parole, l'opposizione dimostrata da D'Arcy Thompson sembrerebbe aver radice in questa opposizione tra i due grandi sistemi stocastici(cioè derivare da essi.
Infine, devo mettere a confronto il duplice sistema stocastico dell'evoluzione biologica con i processi del pensiero. Anche il pensiero è caratterizzato da un siffatto duplice sistema? (Se così non fosse, l'intera struttura di questo libro sarebbe sospetta).
In primo luogo è importante notare che quello che nel capitolo 1 ho chiamato “platonismo” è oggi plausibile in base ad argomenti quasi opposti a quelli che potrebbe prediligere una teologia dualistica. Il parallelismo tra evoluzione biologica e mente viene istituito non postulando un Progettista o Artefice nascosto nel meccanismo del processo evolutivo, bensì postulando il carattere stocastico del pensiero. I critici di Darwin del secolo scorso (specie Samuel Butler) volevano introdurre nella biosfera ciò che essi chiamavano “mente” (cioè un'entelechia soprannaturale). Oggi io sottolineerei che il processo "creativo" deve sempre contenere una componente casuale. I processi esplorativi (l'interminabile procedere per "tentativi ed errori" del progresso mentale) possono conseguire la "novità" solo incamminandosi lungo percorsi presentatisi a caso, alcuni dei quali, alla prova, vengono in qualche modo selezionati per qualcosa di simile alla sopravvivenza.
Se ammettiamo che il pensiero creativo sia fondamentalmente stocastico, vi sono parecchi aspetti del processo mentale umano che suggeriscono un'analogia positiva. Cerchiamo una suddivisione binaria del processo mentale che sia stocastica in entrambe le sue metà, le quali però differiranno per il fatto che la componente casuale dell'una sarà digitale e la componente casuale dell'altra sarà analogica.
Il modo più semplice di affrontare questo problema sembra essere quello di considerare dapprima i processi selettivi che governano e limitano il risultato. In questo caso i due metodi principali per saggiare i pensieri o le idee sono noti a tutti.
Il primo è una prova di coerenza: la nuova idea ha senso alla luce di ciò che già si conosce o si crede? Anche ammettendo che vi siano molte specie di senso e che la 'logica', come già si è visto, sia un modello poco valido di come funziona il mondo, tuttavia una certa qual conformità o coerenza (rigorosa o fantastica) è il primo requisito che il pensatore esige dalle idee che gli si presentano alla mente. Per converso, la genesi delle idee nuove dipende quasi interamente (forse non interamente) dal rimescolamento e dalla ricombinazione di idee che già si possedevano.
Vi è di fatto un parallelismo assai stretto tra questo processo stocastico all'interno del cervello e l'altro processo stocastico costituito dalla genesi dei cambiamenti genetici casuali su cui opera una selezione interna per assicurare una certa conformità tra il vecchio e il nuovo. E se esaminiamo la cosa più da vicino, la somiglianza formale sembra aumentare.
Quando ho discusso la contrapposizione tra epigenesi ed evoluzione creativa, ho sottolineato che nell'epigenesi devono essere tenute lontane tutte le informazioni "nuove", e che il processo somiglia piuttosto all'elaborazione di teoremi all'interno di una tautologia di partenza. In questo capitolo ho sottolineato che l'intero processo dell'epigenesi può essere considerato come un filtro critico ed esatto, che esige certi requisiti di conformità all'interno dell'individuo che si sviluppa. Vediamo ora che nel processo intracranico del pensiero vi è un filtro simile che, come l'epigenesi entro l'organismo individuale, esige la conformità e la ottiene tramite un processo più o meno somigliante alla logica (cioè somigliante all'individuazione dell'appropriata tautologia per creare teoremi). Nel processo del pensiero il "rigore" è l'analogo di quello che nell'evoluzione è la "coerenza interna".
Insomma il sistema stocastico intracranico del pensiero o dell'apprendimento ha una forte somiglianza con la componente dell'evoluzione in cui i cambiamenti genetici casuali sono selezionati dall'epigenesi. Infine, allo storico delle culture viene così offerto un mondo in cui certe somiglianze formali persistono per molte generazioni di storia culturale, sicché‚ egli può cercare di individuare tali strutture proprio come uno zoologo cerca le omologie.
Passando ora a quell'altro processo di apprendimento o di pensiero creativo che comprende non solo il cervello dell'individuo ma anche il mondo che circonda l'organismo, vi troviamo l'analogo del processo evolutivo in cui l'esperienza, imponendo cambiamenti di abitudini e del soma, crea quella relazione tra creatura e ambiente che chiamiamo "adattamento".
Ogni azione della creatura vivente comporta una certa dose di tentativi ed errori, e un tentativo, per essere nuovo, dev'essere in qualche misura casuale. Anche se la nuova azione è solo un elemento di qualche "classe" di azioni bene esplorata, deve pur sempre diventare, appunto perchè‚ nuova, in qualche misura una convalida o un'esplorazione della proposizione “ecco-come-si-deve-fare”.
Ma nell'apprendimento, come nel cambiamento somatico, vi sono limitazioni e facilitazioni che selezionano ciò che può essere appreso. Alcune di esse sono esterne all'organismo, altre sono interne. Nel primo caso, ciò che può essere appreso in un dato istante è limitato o facilitato da ciò che è stato appreso in precedenza. Esiste anzi un apprendimento ad apprendere, con un limite ultimo, imposto dalla costituzione genetica, per ciò che può essere cambiato immediatamente in risposta alle necessità ambientali. E' come se ad ogni passo venisse rimosso uno strato, fino ad arrivare al controllo genetico.
Da ultimo, è necessario ricomporre i due processi stocastici che ho separato ai fini dell'analisi. Quale relazione formale esiste tra loro?
A mio avviso, il nocciolo della questione sta nell'opposizione tra digitale e analogico o, per dirla in altri termini, nell'opposizione tra il "nome" e il "processo" che ha quel nome.
Ma l'"assegnazione del nome" è a sua volta un processo, il quale interviene non solo nelle nostre analisi ma, in modo profondo e significativo, anche entro i sistemi che tentiamo di analizzare. Quali che siano la codificazione e la relazione meccanica fra il D.N.A. e il fenotipo, il D.N.A. rimane pur sempre in qualche modo un insieme di ingiunzioni che esigono le relazioni che si manifesteranno nel fenotipo - e, cioè, in questo senso, danno loro un nome.
E quando ammettiamo che l'assegnazione dei nomi è un fenomeno che si presenta nei fenomeni che studiamo e li organizza, riconosciamo "ipso facto" che in quei fenomeni ci attendiamo gerarchie di tipi logici.
Con Russell e coi "Principia" possiamo giungere fino a questo punto. Ma noi non ci troviamo ora nel mondo russelliano della logica astratta o della matematica, e non possiamo accettare una vuota gerarchia di nomi o di classi. Per il matematico va benissimo parlare di "nomi di nomi di nomi" o di "classi di classi di classi", ma per lo scienziato questo mondo vuoto non basta. Ciò che noi cerchiamo di afferrare è un'interconnessione, un'interazione di passaggi digitali (ossia l'assegnazione del nome) e analogici. "Il processo di assegnazione del nome può a sua volta ricevere un nome", e questo fatto ci obbliga a sostituire alla semplice scala di tipi logici proposta dai "Principia" un'"alternanza".
In altre parole, per ricombinare i due sistemi stocastici in cui ho diviso tanto l'evoluzione quanto il processo mentale ai fini dell'analisi, dovrò considerarli come "alternantisi". Ciò che nei "Principia" appare come una scala fatta di gradini tutti uguali (nomi di nomi di nomi e così via) diventerà un'alternanza di due specie di gradini. Per passare dal "nome" al "nome del nome" dobbiamo passare attraverso il "processo" di assegnare un nome al nome. Dev'esserci sempre un processo generativo mediante il quale le classi, prima di poter ricevere un nome, vengono create.
In questo paragrafo cercherò di rendere più precisa la descrizione dei due sistemi, di esaminare le funzioni di ciascuno di essi e infine di esaminare il carattere del più vasto sistema dell'evoluzione generale che risulta della combinazione dei due sottosistemi.
Ciascun sottosistema ha due componenti (come è implicito nella parola "stocastico",): una componente casuale e un processo di selezione che agisce sui prodotti della componente casuale.
Nel sistema stocastico del quale si sono soprattutto interessati i darwinisti, la componente casuale è il cambiamento "genetico", o per mutazione o per redistribuzione dei geni tra gli individui di una popolazione. Io parto dall'assunto che la mutazione non è sensibile alle esigenze dell'ambiente o alla tensione interna dell'organismo. Ma accetto anche l'assunto che il meccanismo di selezione che agisce sugli organismi casualmente variabili comprende sia la tensione interna di ciascuna creatura sia, in seguito, le circostanze ambientali cui la creatura è soggetta.
E' di importanza fondamentale notare che, per quanto riguarda la permanenza degli embrioni in un ambiente riparato (l'uovo o il corpo materno), l'ambiente esterno non esercita una forte azione selettiva sulle novità genetiche fino a quando l'epigenesi non ha compiuto molti passi. In passato e ancora a tutt'oggi la selezione naturale esterna ha favorito quei cambiamenti che proteggono l'embrione e l'individuo immaturo dai pericoli esterni. Ne è risultata una sempre maggiore separazione tra i due sistemi stocastici.
Un altro metodo per assicurare la sopravvivenza di parte, almeno, della prole è quello di accrescerne grandemente il numero. Se ciascun ciclo riproduttivo produce "milioni" di larve, la nuova generazione può sopportare circa sei decimazioni consecutive. Ciò equivale a trattare le cause esterne di decesso come probabilistiche, senza fare alcun tentativo di adattarsi alla loro natura specifica. Con questa strategia, inoltre alla selezione interna viene data piena libertà di agire sul cambiamento.
Così, o perchè‚ c'è protezione della prole immatura o perchè‚ essa viene generata in quantità astronomiche, accade che oggi, per molti organismi, le condizioni interne costituiscano il "primo" vincolo cui deve sottostare la nuova forma. Sarà vitale la nuova forma in questo ambito? L'embrione in sviluppo sarà capace di tollerare la nuova forma, oppure il cambiamento provocherà irregolarità letali nel suo sviluppo? La risposta dipenderà dalla flessibilità somatica dell'embrione. Soprattutto, nella riproduzione sessuata, l'accoppiamento dei cromosomi nella fecondazione impone un processo di comparazione. Ciò che vi è di nuovo nell'uovo o nello spermatozoo viene a contatto con ciò che vi è di vecchio nell'uno o nell'altro, e il confronto favorisce la conformità e la conservazione. Le novità eccessive saranno eliminate per ragioni di incompatibilità.
Al processo di fusione della riproduzione faranno seguito tutte le complessità dello sviluppo, e a questo punto l'aspetto combinatorio dell'embriologia, sottolineato dal termine "epigenesi", imporrà nuove prove di conformità. Sappiamo che nello stato precedente tutti i requisiti di compatibilità erano stati soddisfatti, con la conseguente produzione di un fenotipo sessualmente maturo. Se non fosse stato così, quello stato non sarebbe mai potuto esistere.
E' molto facile cadere nell'errore di ritenere che se il nuovo è vitale allora nel vecchio doveva esserci qualcosa che non andava. Questa opinione, cui sono inevitabilmente inclini organismi che già soffrono delle patologie causate da un cambiamento sociale rapidissimo e frenetico, è naturalmente in gran parte assurda. Ciò che è "sempre" importante è essere certi che il nuovo non sia "peggiore" del vecchio. Non è ancora assodato che una società contenente il motore a combustione interna sia vitale, o che dispositivi elettronici di telecomunicazione come la televisione siano compatibili con l'aggressiva rivalità intraspecifica prodotta dalla Rivoluzione industriale. A parità di condizioni (il che spesso non accade), il vecchio, che ha già superato più prove, ha più probabilità di essere vitale del nuovo, che non è stato ancora sottoposto ad alcuna prova.
La selezione interna, allora, è la prima batteria di analisi cui è soggetta qualunque componente o combinazione genetica nuova.
Viceversa, le radici immediate del secondo sistema stocastico sono nell'adattamento esterno (cioè nell'interazione tra fenotipo e ambiente). La componente casuale è data dal sistema costituito dal fenotipo in interazione con l'ambiente.
Le particolari caratteristiche acquisite generate in risposta a un dato cambiamento dell'ambiente possono essere prevedibili. Se si riducono le riserve alimentari, è probabile che l'individuo dimagrisca, soprattutto attraverso la metabolizzazione del proprio grasso. L'uso e il disuso apporteranno cambiamenti nello sviluppo o nel sottosviluppo di determinati organi. E così via. Analogamente, è spesso possibile prevedere un cambiamento particolare all'interno dell'ambiente: si può prevedere che una variazione climatica verso il freddo ridurrà la biomassa locale e ridurrà quindi le riserve di cibo per molte specie di organismi. Ma ambiente e organismo presi "insieme" diventano imprevedibili. Né l'organismo né l'ambiente contengono informazioni che permettano all'uno di conoscere la mossa successiva dell'altro. Ma in questo sottosistema è già presente una componente selettiva in quanto i cambiamenti somatici provocati dall'abitudine e dall'ambiente (compresa la stessa abitudine) sono adattativi. ("Assuefazione" è il nome della vasta classe di cambiamenti indotti dall'ambiente e dall'esperienza che non sono adattativi e non conferiscono vantaggi in termini di sopravvivenza). Ambiente e fisiologia insieme "propongono" cambiamenti somatici che possono essere vitali o non vitali, ed è lo stato dell'organismo in quel dato momento, così com'è determinato dalla "genetica", che ne determina la vitalità. Come ho sostenuto nel paragrafo 4, i limiti di ciò che può essere conseguito col cambiamento somatico o con l'apprendimento sono sempre fissati in ultima analisi dalla genetica.
Insomma, la combinazione di fenotipo e ambiente costituisce dunque la componente casuale del sistema stocastico che "propone" il cambiamento; lo stato genetico "dispone", permettendo alcuni cambiamenti e impedendone altri. I lamarckiani sostengono che il cambiamento somatico controlla quello genetico, ma in realtà è vero il contrario: è la genetica che limita i cambiamenti somatici, rendendone possibili alcuni e impossibili altri.
Inoltre, il genoma dell'organismo individuale, come ciò che contiene le potenzialità del cambiamento, è quello che gli informatici chiamerebbero una "banca", una riserva di possibili percorsi alternativi di adattamento. La maggior parte di queste alternative restano inutilizzate e perciò invisibili in qualunque individuo.
Analogamente, per quanto concerne l'altro sistema stocastico, si ritiene oggi che il "pool" genico della "popolazione" sia estremamente eterogeneo. Il mescolamento dei geni nella riproduzione sessuata crea, magari raramente, tutte le combinazioni genetiche che potrebbero presentarsi. Esiste quindi una grande banca di percorsi genetici alternativi che ogni popolazione selvaggia può imboccare sotto la pressione della selezione, come dimostrano gli studi di Waddington sull'assimilazione genetica.
Se questo quadro è corretto, tanto la popolazione quanto l'individuo sono pronti per muoversi. C'è da aspettarsi che non vi sia bisogno di attendere mutazioni appropriate, il che ha un certo interesse storico. Com'è noto, Darwin cambiò opinione sul lamarckismo nella convinzione che i tempi geologici fossero insufficienti per un processo evolutivo che agisse senza l'ereditarietà lamarckiana. Pertanto nelle edizioni successive dell'"Origine delle specie" egli accettò una posizione lamarckiana. La scoperta di Theodosius Dobzhansky che l'unità di evoluzione è la popolazione, e che la popolazione è un deposito eterogeneo di possibilità geniche, riduce fortemente il tempo richiesto dalla teoria evoluzionistica. La popolazione è in grado di rispondere immediatamente alle pressioni ambientali. L'organismo individuale è capace di cambiamenti somatici adattativi, ma è la popolazione che, tramite la mortalità selettiva, subisce i cambiamenti che vengono trasmessi alle generazioni future. Oggetto della selezione diventa la "potenzialità" del cambiamento somatico. E' sulla "popolazione" che agisce la selezione ambientale.
Passiamo ora a esaminare i contributi separati di ciascuno di questi due sistemi stocastici al processo evolutivo nel suo complesso. Chiaramente, in ciascun caso è la componente selettiva che determina la direzione di quei cambiamenti che vengono alla fine incorporati nel quadro globale.
La struttura temporale dei due processi stocastici è necessariamente diversa. Nel caso del cambiamento genetico casuale, il nuovo stato del D.N.A. esiste fin dall'istante della fecondazione, ma forse non contribuisce all'adattamento esterno se non molto più tardi. In altre parole, il primo criterio del cambiamento genetico è "conservativo". Ne segue che è questo sistema stocastico interno ad assicurare ovunque la chiara evidenza della somiglianza formale nelle relazioni interne tra le parti (cioè l'omologia). Inoltre, è possibile prevedere quale tra le molte specie di omologia sarà la più favorita dalla selezione interna: "in primo luogo" verrà favorita l'omologia citologica, quell'insieme così sorprendente di somiglianze che unisce tutto il mondo degli organismi cellulari. Ovunque guardiamo, all'interno delle cellule troviamo forme e processi confrontabili. La danza dei cromosomi, dei mitocondri e degli altri organelli citoplasmatici e la struttura ultramicroscopica uniforme dei flagelli, ovunque essi si presentino, nelle piante o negli animali - tutte queste somiglianze formali così profonde sono il risultato della selezione interna, che a questo livello elementare si concentra sul conservatorismo.
Una conclusione simile emerge quando ci s'interroga sul destino che attende i cambiamenti che hanno superato le prime prove citologiche. Un cambiamento occorso in una fase "più precoce" nella vita dell'embrione deve disturbare una catena più lunga e quindi più complessa di eventi successivi.
E' difficile o impossibile fornire una qualunque stima quantitativa della distribuzione delle omologie lungo la vita delle creature. Asserire che l'omologia predomina soprattutto nei primissimi stadi della produzione dei gameti, della fecondazione e così via, equivale a fare un'affermazione quantitativa che identifica i "gradi" dell'omologia e assegna un valore a caratteristiche quali il numero dei cromosomi, la struttura mitotica, la simmetria bilaterale, gli arti pentadattili, il sistema nervoso dorsale centrale, eccetera. Una siffatta valutazione risulta estremamente artificiale in un mondo dove la quantità non determina mai la struttura. Ma il sospetto resta. Le "uniche" strutture formali comuni a tutti gli organismi cellulari - alle piante come agli animali - si trovano al livello cellulare.
Da questi ragionamenti segue una conclusione interessante: dopo tante controversie e tanto scetticismo, la teoria della ricapitolazione è ancora sostenibile. Esiste una ragione a priori per attendersi che la struttura formale degli embrioni rassomigli a quella degli embrioni delle forme ataviche più di quanto la struttura formale degli adulti non rassomigli a quella degli adulti atavici. Non è certo questo che sognavano Haeckel e Herbert Spencer quando pensavano che l'embriologia dovesse seguire i percorsi della filogenesi. L'attuale formulazione è più negativa: deviare all'inizio del percorso è più difficile (meno probabile) che deviare più avanti.
Se fossimo ingegneri dell'evoluzione e ci trovassimo a dover scegliere un percorso filogenetico che da creature simili ai girini e capaci di nuotare liberamente portasse fino al "Balanoglossus", sessile e vermiforme, che vive nel fango, scopriremmo che il percorso evolutivo più facile eviterebbe disturbi troppo precoci e troppo drastici negli stadi di sviluppo dell'embrione. Potremmo scoprire addirittura che, segmentando l'epigenesi in stadi separati, si otterrebbe una semplificazione del processo "evolutivo". Arriveremmo allora a una creatura con larve simili a girini, capaci di nuotare liberamente, le quali ad un certo punto subirebbero una metamorfosi trasformandosi in adulti sessili e vermiformi. Il meccanismo del cambiamento non è semplicemente permissivo o semplicemente creativo. Vi è piuttosto un determinismo continuo per cui i cambiamenti che possono intervenire sono membri di una "classe" di cambiamenti conforme a quel particolare meccanismo. Il sistema del cambiamento genetico casuale filtrato dal processo selettivo della vitalità interna conferisce alla filogenesi le caratteristiche di una diffusa omologia.
Se ora consideriamo l'altro sistema stocastico, arriviamo ad un quadro completamente diverso. Bench‚ l'apprendimento o il cambiamento somatico non possano mai toccare direttamente il D.N.A., è chiaro che i cambiamenti somatici (cioè i famosi caratteri acquisiti) sono di solito adattativi. Adattarsi ai cambiamenti ambientali è utile in vista della sopravvivenza individuale e/o della riproduzione e/o del semplice benessere e della riduzione delle tensioni. Le modifiche di adattamento avvengono a molti livelli, ma a ciascun livello vi è un beneficio reale o apparente. E' bene ansimare quando si sale ad alta quota, ed è bene imparare a non ansimare quando si resta a lungo in alta montagna. E' bene avere un sistema fisiologico capace di compensare uno sforzo fisiologico, anche se l'adattamento conduce all'acclimazione e l'acclimazione può significare assuefazione.
In altre parole, l'adattamento somatico crea sempre un contesto per il cambiamento genetico; se poi tale cambiamento genetico sopravvenga o no, è tutt'altro problema; io lo metterò da parte per il momento, e considererò invece lo spettro di quello che "può" esser proposto dal cambiamento somatico. Chiaramente, questo spettro o insieme di possibilità porrà un limite esterno a ciò che può essere attuato da questa componente stocastica dell'evoluzione.
Una caratteristica comune dei cambiamenti somatici è subito evidente: "tutti" sono "quantitativi" o, come direbbero gli informatici, "analogici". Nel corpo animale il sistema nervoso centrale e il D.N.A. sono in ampia misura (e forse completamente) digitali, ma il resto della fisiologia è analogico.
Così, confrontando i cambiamenti genetici casuali del primo sistema stocastico con i cambiamenti somatici di risposta del secondo, incontriamo di nuovo l'asserzione generale sottolineata nel capitolo 2: "la quantità non determina la struttura". I cambiamenti genetici possono essere fortemente astratti e operare a grande distanza dalla loro espressione fenotipica ultima, e nella loro espressione finale possono indubbiamente essere quantitativi o qualitativi. Ma quelli somatici sono assai più diretti e, a mio avviso, soltanto quantitativi. Le proposizioni descrittive che forniscono alla descrizione della specie strutture comuni (cioè omologia) non sono mai disturbate, per quanto mi risulta, dai cambiamenti somatici che possono essere indotti dall'abitudine e dall'ambiente.
In altre parole, l'opposizione dimostrata da D'Arcy Thompson sembrerebbe aver radice in questa opposizione tra i due grandi sistemi stocastici(cioè derivare da essi.
Infine, devo mettere a confronto il duplice sistema stocastico dell'evoluzione biologica con i processi del pensiero. Anche il pensiero è caratterizzato da un siffatto duplice sistema? (Se così non fosse, l'intera struttura di questo libro sarebbe sospetta).
In primo luogo è importante notare che quello che nel capitolo 1 ho chiamato “platonismo” è oggi plausibile in base ad argomenti quasi opposti a quelli che potrebbe prediligere una teologia dualistica. Il parallelismo tra evoluzione biologica e mente viene istituito non postulando un Progettista o Artefice nascosto nel meccanismo del processo evolutivo, bensì postulando il carattere stocastico del pensiero. I critici di Darwin del secolo scorso (specie Samuel Butler) volevano introdurre nella biosfera ciò che essi chiamavano “mente” (cioè un'entelechia soprannaturale). Oggi io sottolineerei che il processo "creativo" deve sempre contenere una componente casuale. I processi esplorativi (l'interminabile procedere per "tentativi ed errori" del progresso mentale) possono conseguire la "novità" solo incamminandosi lungo percorsi presentatisi a caso, alcuni dei quali, alla prova, vengono in qualche modo selezionati per qualcosa di simile alla sopravvivenza.
Se ammettiamo che il pensiero creativo sia fondamentalmente stocastico, vi sono parecchi aspetti del processo mentale umano che suggeriscono un'analogia positiva. Cerchiamo una suddivisione binaria del processo mentale che sia stocastica in entrambe le sue metà, le quali però differiranno per il fatto che la componente casuale dell'una sarà digitale e la componente casuale dell'altra sarà analogica.
Il modo più semplice di affrontare questo problema sembra essere quello di considerare dapprima i processi selettivi che governano e limitano il risultato. In questo caso i due metodi principali per saggiare i pensieri o le idee sono noti a tutti.
Il primo è una prova di coerenza: la nuova idea ha senso alla luce di ciò che già si conosce o si crede? Anche ammettendo che vi siano molte specie di senso e che la 'logica', come già si è visto, sia un modello poco valido di come funziona il mondo, tuttavia una certa qual conformità o coerenza (rigorosa o fantastica) è il primo requisito che il pensatore esige dalle idee che gli si presentano alla mente. Per converso, la genesi delle idee nuove dipende quasi interamente (forse non interamente) dal rimescolamento e dalla ricombinazione di idee che già si possedevano.
Vi è di fatto un parallelismo assai stretto tra questo processo stocastico all'interno del cervello e l'altro processo stocastico costituito dalla genesi dei cambiamenti genetici casuali su cui opera una selezione interna per assicurare una certa conformità tra il vecchio e il nuovo. E se esaminiamo la cosa più da vicino, la somiglianza formale sembra aumentare.
Quando ho discusso la contrapposizione tra epigenesi ed evoluzione creativa, ho sottolineato che nell'epigenesi devono essere tenute lontane tutte le informazioni "nuove", e che il processo somiglia piuttosto all'elaborazione di teoremi all'interno di una tautologia di partenza. In questo capitolo ho sottolineato che l'intero processo dell'epigenesi può essere considerato come un filtro critico ed esatto, che esige certi requisiti di conformità all'interno dell'individuo che si sviluppa. Vediamo ora che nel processo intracranico del pensiero vi è un filtro simile che, come l'epigenesi entro l'organismo individuale, esige la conformità e la ottiene tramite un processo più o meno somigliante alla logica (cioè somigliante all'individuazione dell'appropriata tautologia per creare teoremi). Nel processo del pensiero il "rigore" è l'analogo di quello che nell'evoluzione è la "coerenza interna".
Insomma il sistema stocastico intracranico del pensiero o dell'apprendimento ha una forte somiglianza con la componente dell'evoluzione in cui i cambiamenti genetici casuali sono selezionati dall'epigenesi. Infine, allo storico delle culture viene così offerto un mondo in cui certe somiglianze formali persistono per molte generazioni di storia culturale, sicché‚ egli può cercare di individuare tali strutture proprio come uno zoologo cerca le omologie.
Passando ora a quell'altro processo di apprendimento o di pensiero creativo che comprende non solo il cervello dell'individuo ma anche il mondo che circonda l'organismo, vi troviamo l'analogo del processo evolutivo in cui l'esperienza, imponendo cambiamenti di abitudini e del soma, crea quella relazione tra creatura e ambiente che chiamiamo "adattamento".
Ogni azione della creatura vivente comporta una certa dose di tentativi ed errori, e un tentativo, per essere nuovo, dev'essere in qualche misura casuale. Anche se la nuova azione è solo un elemento di qualche "classe" di azioni bene esplorata, deve pur sempre diventare, appunto perchè‚ nuova, in qualche misura una convalida o un'esplorazione della proposizione “ecco-come-si-deve-fare”.
Ma nell'apprendimento, come nel cambiamento somatico, vi sono limitazioni e facilitazioni che selezionano ciò che può essere appreso. Alcune di esse sono esterne all'organismo, altre sono interne. Nel primo caso, ciò che può essere appreso in un dato istante è limitato o facilitato da ciò che è stato appreso in precedenza. Esiste anzi un apprendimento ad apprendere, con un limite ultimo, imposto dalla costituzione genetica, per ciò che può essere cambiato immediatamente in risposta alle necessità ambientali. E' come se ad ogni passo venisse rimosso uno strato, fino ad arrivare al controllo genetico.
Da ultimo, è necessario ricomporre i due processi stocastici che ho separato ai fini dell'analisi. Quale relazione formale esiste tra loro?
A mio avviso, il nocciolo della questione sta nell'opposizione tra digitale e analogico o, per dirla in altri termini, nell'opposizione tra il "nome" e il "processo" che ha quel nome.
Ma l'"assegnazione del nome" è a sua volta un processo, il quale interviene non solo nelle nostre analisi ma, in modo profondo e significativo, anche entro i sistemi che tentiamo di analizzare. Quali che siano la codificazione e la relazione meccanica fra il D.N.A. e il fenotipo, il D.N.A. rimane pur sempre in qualche modo un insieme di ingiunzioni che esigono le relazioni che si manifesteranno nel fenotipo - e, cioè, in questo senso, danno loro un nome.
E quando ammettiamo che l'assegnazione dei nomi è un fenomeno che si presenta nei fenomeni che studiamo e li organizza, riconosciamo "ipso facto" che in quei fenomeni ci attendiamo gerarchie di tipi logici.
Con Russell e coi "Principia" possiamo giungere fino a questo punto. Ma noi non ci troviamo ora nel mondo russelliano della logica astratta o della matematica, e non possiamo accettare una vuota gerarchia di nomi o di classi. Per il matematico va benissimo parlare di "nomi di nomi di nomi" o di "classi di classi di classi", ma per lo scienziato questo mondo vuoto non basta. Ciò che noi cerchiamo di afferrare è un'interconnessione, un'interazione di passaggi digitali (ossia l'assegnazione del nome) e analogici. "Il processo di assegnazione del nome può a sua volta ricevere un nome", e questo fatto ci obbliga a sostituire alla semplice scala di tipi logici proposta dai "Principia" un'"alternanza".
In altre parole, per ricombinare i due sistemi stocastici in cui ho diviso tanto l'evoluzione quanto il processo mentale ai fini dell'analisi, dovrò considerarli come "alternantisi". Ciò che nei "Principia" appare come una scala fatta di gradini tutti uguali (nomi di nomi di nomi e così via) diventerà un'alternanza di due specie di gradini. Per passare dal "nome" al "nome del nome" dobbiamo passare attraverso il "processo" di assegnare un nome al nome. Dev'esserci sempre un processo generativo mediante il quale le classi, prima di poter ricevere un nome, vengono create.
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