venerdì 4 novembre 2011

la grammatica del Tao


Improvvisamente, un giorno, il signor Remo iniziò a odiare il suo cane.
Non era un uomo cattivo. Ma qualcosa si era rotto dentro di lui quando era rimasto vedovo. Aveva perso la moglie e gli era restato il cane, un botolo salcicciometiccio, grasso e nerastro, con orecchioni da pipistrello. Si chiamava Bum, ovvero Boomerang, perché riportava indietro qualsiasi cosa gli tirassero, con prontezza e perseveranza.
Un tempo il signor Remo e Bum avevano fatto lunghe passeggiate insieme e conversato del mondo umano e canino, di Cartesio e Rin Tin Tin. C’era grande intesa tra loro. Ma ora non si parlavano più. Il signore stava seduto in poltrona guardando il vuoto e Bum si accucciava ai suoi piedi, guardandolo con smisurato affetto.
Era quello sguardo di assoluta dedizione e totale fiducia che il signor Remo soprattutto detestava.
Il mondo non era che perdita, solitudine e dolore. Che senso aveva in questo pianeta orribile quella creatura incongrua, che scodinzolava e uggiolava di gioia, e riempiva del suo peloso,
sovrabbondante amore una casa desolata?
Il padrone iniziò a non dar più da mangiare al cane. Lo lasciava anche due giorni senza cibo. Ma Bum continuava a seguirlo amorosamente. Quando il signor Remo si sedeva a tavola per il suo pasto, il cane non chiedeva nulla, né si avvicinava. Guardava con mite curiosità, e negli occhi aveva scritto: se tu mangi, ebbene anche io mi sazio. E più il padrone si ingozzava, ostentatamente e rumorosamente, più tenero diveniva lo sguardo di Boomerang. E quando finalmente il cane veniva sfamato, non correva frenetico alla ciotola, no... scodinzolava composto e riconoscente come per dire: avrai le tue buone ragioni se mi hai fatto digiunare, ti ringrazio oggi che ti sei ricordato.
Il padrone, forse avvelenato dall’ultima stilla di rimorso, si ammalò. Gli venne la febbre alta e Bum lo vegliò. Nella notte, quasi nel delirio, il signor Remo si destava e vedeva gli occhi spalancati e amorevoli del cane, e le lunghe orecchie dritte, come antenne. E sembrava dire: anche la morte morderò, padrone mio, se si avvicina a te.
Nell’anima ormai riarsa del signor Remo, l’odio per quell’amore smisurato crebbe. Non portò fuoriil cane per quattro giorni.
Bum aprì con la zampa la porta del terrazzo e lì pisciò con discrezione. Contrasse il suo metabolismo a venti gocce di urina e un cece fecale ogni due giorni. Non guaì, né diede segni di nervosismo, solo ogni tanto guardava il giardino fuori dalla finestra emettendo un piccolo sbuffo, come un sospiro di nostalgia, ma niente più.
Il padrone guarì e, appena rimessosi in piedi, senza una ragione, tirò un calcio al cane.
Bum si nascose sotto il letto e il signor Remo si vergognò.
Lo chiamò, il cane venne. Il padrone gli fece una carezza falsa e forzata e disse: – Bum, devo abbandonarti. Mi dispiace. Non riesco più a occuparmi di te. Anzi, ma questo tu non lo puoi capire, ti detesto.
Il cane lo guardò con infinito affetto e dedizione.
Perché non lo affidò a un canile o a qualche conoscente? Per pigrizia, anzitutto. Ma anche perché ricordava una frase della moglie. Gli aveva detto: Remo, se io morissi, mi raccomando, non lasciare solo il nostro Bum.
Allora Remo si era arrabbiato per quella frase: come si poteva dubitare di questo?
E invece, povera Dora, lei conosceva bene il grumo di cattiveria dentro al cuore del marito.
Lei lo aveva abbandonato.
E abbandonando il cane, ora lui si prendeva una folle rivincita sul destino.
Così il signor Remo prese la macchina e portò Boomerang fuori città, in un grande prato dove spesso giocavano insieme.
Il padrone camminava dietro e il cane davanti.
Remo notò la caratteristica camminata aritmica di Bum. Ogni dodici passi ne zoppicchiava uno, alzando la zampetta posteriore come se il terreno bruciasse.
Spesso lui e la moglie avevano trovato buffa e irresistibile questa andatura.
Ora il padrone guardava ondeggiare il grasso sedere di Bum con disgusto.
Perciò, quando furono lontani da occhi indiscreti, legò il cane a un albero e senza voltarsi se ne andò.
Tornò a casa, e cucinò con cura, come non faceva da tempo.
Calciò la ciotola di Bum in un angolo.
Prese il guinzaglio e la museruola, e li buttò nella spazzatura.
Ma quella notte verso le tre, sentì grattare alla porta. Era Boomerang.
Un po’ sporco e bagnato, gli saltò addosso festoso, e fece il giro della casa per manifestare la sua gioia. Non sospettava nulla. Non c’era posto per il tradimento, nel suo cuore semplice e quadrupede.
Il signor Remo quasi non dormì per la rabbia. Sognò massacri di foche e colbacchi di barboncino.
[…]


pragmatica del Tao: assiomi


Definiti i fondamenti di epistemologia cibernetica necessari per descrivere la comunicazione e l'interazione umana la Scuola di Palo Alto di Watzlawick pose come base del modello cinque assiomi:
  • Gli assiomi
1. L'impossibilità di non comunicare

Il primo assioma sancisce l'impossibilità di non comunicare: qualsiasi comportamento, in situazione di interazione tra persone, è ipso facto una forma di comunicazione. Di conseguenza, quale che sia l'atteggiamento assunto da un qualsivoglia individuo (poiché non esiste un non-comportamento), questo diventa immediatamente portatore di significato per gli altri: ha dunque valore di messaggio. Anche i silenzi, l'indifferenza, la passività e l'inattività sono forme di comunicazione al pari delle altre, poiché portano con sé un significato e soprattutto un messaggio al quale gli altri partecipanti all'interazione non possono non rispondere. Ad esempio, non è difficile che due estranei che si trovino per caso dentro lo stesso ascensore si ignorino totalmente e, apparentemente, non comunichino; in realtà tale indifferenza reciproca costituisce uno scambio di comunicazione nella stessa misura in cui può lo è un'animata discussione. Non è necessario, inoltre, che all'interno di un'interazione tra persone si verifichi la comprensione reciproca perché possiamo definire comunicazione i loro comportamenti reciproci; riguardo a questo aspetto si può parlare di comunicazione intenzionale o non-intenzionale, consapevole o inconsapevole, efficace o inefficace; si tratta di un altro ordine d'analisi, che approfondiremo affrontando le varie forme della comunicazione patologica. Ogni assioma può venire distorto dalla presenza di disturbi della comunicazione e portare allo sviluppo di patologie strettamente correlate allo specifico principio. Per quanto riguarda l'impossibilità di non-comunicare, riteniamo che sia interessante esporre ciò che è stato definito "il dilemma dello schizofrenico". Lo schizofrenico, almeno apparentemente, cerca di non comunicare attraverso tutta una serie di messaggi come il silenzio, le assurdità, l'immobilità, il ritrarsi; ma, poiché tutti questi comportamenti costituiscono comunque atti comunicativi, egli è preso in pieno in una situazione paradossale nella quale cerca di negare di stare comunicando e al tempo stesso di negare che il suo diniego sia comunicazione. Parlando in termini più generali, si verifica la distorsione del primo assioma tutte le volte che qualcuno cerca di evitare l'impegno inerente ad ogni comunicazione attraverso tentativi di non-comunicare (ad es. il rifiuto o la squalificazione della comunicazione), finendo per generare un'interazione paradossale, assurda o "folle". In questa prospettiva, un comportamento etichettato come patologico può essere considerato come l'unica reazione possibile ad un contesto di comunicazione assurdo e insostenibile. Il sintomo (che sia nevrotico o psicotico) assume perciò il valore di messaggio non verbale; anche un sintomo è dunque comunicazione. 

2. I livelli comunicativi di contenuto e relazione

Nel 1951 Bateson e Ruesch definirono il fatto che ogni comunicazione (verbale e/o non-verbale) implica un impegno e perciò definisce la relazione tra i partecipanti, ovvero la comunicazione non soltanto trasmette informazione, ma al tempo stesso impone un comportamento. Questa impostazione porta a considerare come in ogni comunicazione vi sia l’aspetto di “notizia” (report) e di “comando” (command).
L’aspetto di “notizia” di un messaggio trasmette informazione, ed è quindi sinonimo nella comunicazione umana del contenuto del messaggio. L’aspetto di “comando”, d’altra parte, si riferisce al tipo di messaggio che deve essere assunto e perciò, in definitiva, alla relazione tra i comunicanti. Il primo trasmette i "dati" della comunicazione, il secondo il modo in cui si deve assumere tale comunicazione, ad esempio "Questo è un ordine" oppure "Stò solo scherzando", ed è naturalmente in relazione al contesto in cui avviene la comunicazione. Spesso avviene che l'aspetto di contenuto è irrilevante, mentre l'aspetto di definizione della relazione è la ragione per cui la comunicazione viene portata avanti o terminata in vari modi.



Ogni comunicazione comporta di fatto un aspetto di metacomunicazione che determina la relazione tra i comunicanti. Ad esempio, un individuo che proferisce un ordine esprime, oltre al contenuto (la volontà che l'ascoltatore compia una determinata azione), anche la relazione che intercorre tra chi comunica e chi è oggetto della comunicazione, nel caso particolare quella di superiore/subordinato. Bateson definisce due aspetti caratteristici di ogni comunicazione umana: uno di notizia e uno di comando; in sostanza si parla di un aspetto di contenuto del messaggio e di un aspetto di relazione dello stesso. In altre parole, ogni comunicazione, oltre a trasmettere informazione, implica un impegno tra i comunicanti e definisce la natura della loro relazione. Il ricevente accoglie un messaggio che possiamo considerare oggettivo per quanto riguarda l'informazione trasmessa, ma che contiene anche un aspetto metacomunicativo che definisce un modello che rientra in un'ampia gamma di possibili relazioni differenti tra i due comunicanti. Pare che gli scambi comunicativi "patologici" siano caratterizzati da una lotta costante per definire i rispettivi ruoli e la natura della relazione, mentre l'informazione trasmessa dai comunicanti passi nettamente in secondo piano (anche se questi ultimi sono inconsapevoli di ciò). L'aspetto di relazione di una comunicazione è definito dai termini in cui si presenta la comunicazione stessa, dal non-verbale che ad essa si accompagna e dal contesto in cui questa si svolge. In un contesto comunicativo patologico si può avere spesso a che fare con episodi di confusione tra contenuto e relazione; questo accade quando, ad esempio, tra i comunicanti c'è un oggettivo accordo a livello di contenuto, ma non a livello di definizione della relazione, che porta ad una pseudo-mancanza di accordo in cui i partecipanti cercano, inutilmente peraltro, di accordarsi sul contenuto dei messaggi scambiati, ignorando che il disaccordo si situa in realtà su un piano di metacomunicazione. Perché l'aspetto di relazione della comunicazione umana è così importante? Perché, con la definizione della relazione tra i due comunicanti, questi definiscono implicitamente sé stessi. Una delle funzioni della comunicazione consiste nel fornire ai comunicanti una conferma o un rifiuto del proprio Sé; attraverso la metacomunicazione si sviluppa dunque la consapevolezza del Sé, la coscienza degli individui coinvolti nell'interazione. E' essenziale che ognuno dei comunicanti sia consapevole del punto di vista dell'altro e del fatto che anche quest'ultimo possieda questa consapevolezza (concetto di percezione interpersonale); la mancanza di coscienza della percezione interpersonale è definita impenetrabilità da Lee. E' stato osservato che nelle famiglie con un membro schizofrenico si possono rilevare modelli comunicativi caratterizzati da impenetrabilità e da disconferma del Sé, che solitamente risultano devastanti per colui che si trova a ricevere messaggi che, sul piano della relazione, trasmettono comunicazioni del tipo "tu non esisti".

 

3. La punteggiatura della sequenza di eventi

La natura di una relazione dipende anche dalla punteggiatura delle sequenze di scambi comunicativi tra i comunicanti. Questa tende a differenziare la relazione tra gli individui coinvolti nell'interazione e a definire i loro rispettivi ruoli: essi punteggeranno gli scambi in maniera che questi risultino organizzati entro modelli di interazione più o meno convenzionali. La punteggiatura di una sequenza di eventi, in un certo senso, non è che una delle possibilità d'interpretazione degli eventi stessi, per cui anche i ruoli dei comunicanti sono definiti dalla propensione degli individui stessi ad accettare un certo sistema di punteggiatura oppure un altro. Watzlawick fa l'esempio della cavia da laboratorio che dice: "Ho addestrato bene il mio sperimentatore. Ogni volta che io premo la leva lui mi dà da mangiare"; quest'ultimo non accetta la punteggiatura che lo sperimentatore cerca di imporgli, secondo la quale è lo sperimentatore stesso che ha addestrato la cavia e non il contrario. Il terzo assioma decreta dunque la connessione tra la punteggiatura della sequenza degli scambi che articolano una comunicazione e la relazione che intercorre tra i comunicanti: il modo di interpretare la punteggiatura è funzione della relazione tra i comunicanti. Infatti, poiché la comunicazione è un continuo alternarsi di flussi comunicativi da una direzione all'altra e le variazioni di direzione del flusso comunicativo sono scandite dalla punteggiatura, il modo di leggerla sarà determinato dal tipo di relazione che lega i comunicanti. Per quanto riguarda le manifestazioni patologiche collegate alla distorsione di questo concetto, i problemi insorgono quando si presentano delle discrepanze relative alla punteggiatura (in sostanza delle visioni diverse della realtà), determinate dal fatto che i comunicanti non possiedono lo stesso grado d'informazione senza tuttavia saperlo o che, dalla stessa informazione, traggano conclusioni diverse; in questi casi si creano una sorta di malintesi che inevitabilmente portano a circoli viziosi che incidono pesantemente sulla natura della relazione. L'unica maniera per risolvere questo tipo di situazione è fare sì che i comunicanti riescano ad uscire da una visione univoca e radicata della realtà e accettino la possibilità che l'altro possa interpretare quest'ultima in maniera differente; in una parola, è necessario che i comunicanti riescano a metacomunicare. In tale contesto possiamo collocare il concetto di profezia che si autodetermina, che nella comunicazione ha il suo equivalente nel dare la cosa per scontata; stiamo parlando del caso in cui un individuo assume un comportamento che provoca negli altri una reazione alla quale quel certo comportamento sarebbe la risposta adeguata: l'individuo in questione, dunque, crede di reagire ad un atteggiamento che in realtà è stato da lui stesso provocato.

4. Comunicazione numerica e analogica

 Il quarto assioma attribuisce agli esseri umani la capacità di comunicare sia tramite un modulo comunicativo digitale (o numerico) sia con un modulo analogico. In altre parole se, come ricordiamo, ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione, il primo sarà trasmesso essenzialmente con un modulo digitale e il secondo attraverso un modulo analogico. Quando gli esseri umani comunicano per immagini la comunicazione è analogica; questa comprende tutta la comunicazione non-verbale. Quando comunicano usando le parole, la comunicazione segue il modulo digitale. Questo perchè le parole sono segni arbitrari e privi di una correlazione con la cosa che rappresentano, ma permettono una manipolazione secondo le regole della sintassi logica che li organizza. Nella comunicazione analogica questa correlazione invece esiste: in ciò che si usa per rappresentare la cosa in questione è presente qualcos'altro di simile alla cosa stessa. La comunicazione numerica possiede un grado di astrazione, di versatilità, nonché di complessità e sintassi logica enormemente superiore rispetto alla comunicazione analogica, ma anche dei grossi limiti per quanto riguarda la trasmissione dei messaggi sulla relazione tra i comunicanti; al contrario, mentre la comunicazione analogica risulta molto più ricca e significativa quando la relazione è il problema centrale della comunicazione in corso, al tempo stesso può risultare ambigua a causa della mancanza di sintassi, di indicatori logici e spazio-temporali. I problemi possono insorgere quando si verifica una traduzione del materiale analogico in materiale digitale, ovvero un'acquisizione della valenza relazionale contenuta nella comunicazione (messaggio)dell'altro. La principale difficoltà, come abbiamo già accennato, consiste nella natura ambigua del modulo analogico di trasmissione dell'informazione dovuta all'impossibilità di rappresentare le principali funzioni di verità logiche (negazione e congiunzione); ciò può dare luogo a innumerevoli conflitti di relazione dovuti all'errata interpretazione digitale del messaggio analogico. Osservando il comportamento degli animali apprendiamo che essi risolvono il problema della corretta interpretazione dei messaggi analogici tramite rituali che recano con sù una valenza simbolica. Nelle patologie di natura isterica si verifica probabilmente il processo opposto a quello descritto precedentemente: un'errata traduzione del messaggio dal modulo digitale a quello analogico provoca i sintomi di conversione, che hanno un'innegabile valenza simbolica, in un contesto in cui non era più possibile comunicare con il modulo digitale.

Glen Tarnowski, A balance relationship

5. L'interazione complementare e simmetrica

La suddivisione del tipo di relazione in simmetrica e complementare è stata descritta per la prima volta da Gregory Bateson in Naven, un rituale di travestimento della popolazione Iatmul della Nuova Guinea, la sua prima opera del 1936 - successivamente revisionata nell'edizione del 1958. 
Bateson descrive un processo di interazione tra individui e gruppi di individui denominato schismogenesi, un tipo di circolo vizioso che divide in due categorie: Schismogenesi complementare, dove, dati due gruppi sociali, l'interazione tra loro è tale che un comportamento X di un gruppo comporta un comportamento Y dell'altro: i due comportamenti ne provocano un altro ancora, come accade per i comportamenti dominanti e remissivi nei conflitti di classe. Inoltre tali comportamenti possono esagerarne un altro, portando ad una grave spaccatura ed a un possibile conflitto. Nel rapporto fra due individui o fra due gruppi, il comportamento di uno è autoritario e quello dell'altro è umile. Il processo può essere descritto come una retroazione negativa tra i due comportamenti complementari, che conduce ad una stabilizzazione del gruppo.
Schismogenesi simmetrica, dove le due entità coninvolte sono sullo stesso piano e un comportamento X di un gruppo aumenta il comportamento Y dell'altro, il quale a sua volta aumenta il comportamento X.
Il processo può essere descritto come una retroazione positiva tra i due comportamenti simmetrici, che conduce potenzialmente ad una distruzione del gruppo, un comportamento sociale osservato in diverse popolazioni, ad esempio nel caso dell'amok in Malesia ed Indonesia, un'improvvisa esplosione di violenza incontrollata all'interno di un gruppo sociale o tra più gruppi sociali senza causa apparente.



L'assioma, riprendendo il lavoro di Bateson, si riferisce quindi ad una classificazione della natura delle relazioni che le suddivide sulla base dell'uguaglianza oppure della differenza. Nel primo caso si parla di relazioni simmetriche, in cui entrambi i partecipanti tendono a rispecchiare il comportamento dell'altro (ad es. nel caso della diade dirigente-dipendente), nel secondo si parla di relazioni complementari, in cui il comportamento di uno dei comunicanti completa quello dell'altro (ad es. tra due dipendenti o tra due dirigenti). Nella relazione complementare uno dei due comunicanti assume la posizione one-up (superiore) e l'altro quella one-down (inferiore); i diversi comportamenti dei partecipanti si richiamano e si rinforzano a vicenda, dando vita ad una relazione di interdipendenza in cui i rispettivi ruoli one-up e one-down sono stati accettati da entrambi (ad es. le relazioni madre-figlio, medico-paziente, istruttore-allievo, insegnante-studente). Va da sé, comunque, che"i modelli di relazione simmetrica e complementare si possono stabilizzare a vicenda" e che "i cambiamenti da un modello all'altro sono importanti meccanismi omeostatici". E' fondamentale, per andare avanti, avere chiaro il concetto che le relazioni simmetriche e quelle complementari non devono assolutamente essere equiparate a "buona" e "cattiva", né le posizioni one-up e one-down vanno accostate ad epiteti quali "forte" e "debole"; si tratta solo di una suddivisione che ci permette di classificare ogni interazione comunicativa in uno dei due gruppi. In ogni relazione simmetrica è presente un rischio potenziale legato allo sviluppo della competitività; accade così che, quando in un'interazione di tipo simmetrico si perda la stabilità o sopraggiunga una situazione di disputa o litigio, si possa verificare un'escalation simmetrica da cui ci si può aspettare l'instaurarsi di uno stato di guerra più o meno aperto (o scisma) e un rifiuto reciproco del Sé dell'altro da parte dei due partecipanti. Tipico in questo caso è il conflitto coniugale che s'instaura con la persecuzione di un modello di frustrazione da parte dei due coniugi. I problemi legati alle relazioni complementari si hanno, ad esempio, quando uno dei comunicanti chiede la conferma di una definizione del Sé per cui il partner si trova costretto a cambiare la propria; ciò si rende necessario perché, all'interno di una relazione complementare, una definizione del Sé si può mantenere solamente se il partner assume un ruolo complementare. Uno dei rischi possibili è che a una richiesta di conferma del Sé corrisponda una disconferma, che porta ad un crescente senso di frustrazione e disperazione in uno o in entrambi i partecipanti. A volte, inoltre, capita che certi individui sembrino molto ben adattati al di fuori del contesto comunicativo con il partner e solo osservati insieme al loro "complementare" mostrino la patologia della loro relazione con esso. A questo proposito è perfettamente calzante la teorizzazione della "folie à deux" ad opera di due psichiatri francesi, Lasègue e Falret, pubblicata nel 1877.

giovedì 3 novembre 2011

fusione del Tao


Per “Trasmutazione : si intende il cambiamento della composizione chimica di un elemento in un’altra forma, creando così un nuovo elemento di diversa  composizione chimica; gli Alchimisti credevano fermamente che sarebbe stato possibile tramutare il Piombo in Oro conoscendo i segreti della Pietra Filosofale.
Qualcosa di molto simile alla Trasmutazione Alchemica degli atomi è stata  sperimentata  a Bologna il 14 Gennaio 2011, dal Prof. Sergio Focardi e dal Prof. Andrea Rossi che hanno presentato al pubblico uno strumento denominato ENERGY CATALYZER ( E-CAT) , con il quale è possibile ottenere energia a spese della trasmutazione del NICHEL in RAME.
Nella Tavola Periodica degli Elementi Chimici Nichel (n*atomico 28)  e Rame (n* atomico 29)  differiscono per un Protone (= nucleo dell’ atomo di H+).
Infatti l’E-CAT, è un semplice strumento grande poco piu’ di una scatola da scarpe (coperto da brevetto) che sostanzialmente contiene polvere di Nichel (probabilmente di dimensione nano-ecnologica, in cui viene immesso a pressione gas Idrogeno).
Il contenitore, coperto per precauzione da uno spesso  strato di Piombo, viene riscaldato a circa 500° C, e dopo un poco la sua temperatura sale di molti gradi così che viene raffreddato facendo scorrere all’ estero un flusso di acqua che bolle e produce vapore. Quest’ultimo  puo’ essere utilizzato come fonte di Energia con un guadagno energetico che gli inventori del E-CAT dicono che puo’ essere considerato elevatissimo rispetto all’ energia spesa per attivare lo strumento. L’E-CAT, dicono gli Autori , è stato tenuto acceso continuativamente per sei mesi ed ha riscaldato per tutto il tempo un grande capannone.
Molti scienziati presenti alla dimostrazione c/o l’Università di Bologna, sono comunque rimasti increduli e alcuni di loro considerano ancora una bufala questa scoperta anche se gli autori Focardi e Rossi hanno risposto a numerosissime domande in modo coerente  e per molti aspetti convincente.
Anche gli autori dell’ E-CAT, sinceramente, dicono che una spiegazione teorica di tali fatti sperimentali non è facilmente comprensibile allo stato attuale delle conoscenze, perche’ per quanto l’ assorbimento nella polvere di Nichel a 500°C dell’Idrogeno molecolare possa produrre protoni, poi non si capisce come possano tali protoni compenetrare ed innestare (entanglement) il nucleo del Nichel per trasmutarlo in Rame.
Comunque sia, benche’ il Rame non sia presente all’inizio della sperimentazione dell’E-CAT, l’effettiva presenza di tale metallo negli Isotopi Cu63 e Cu65, effettivamente verificata, fa’ ritenere che nel processo di produzione così elevata di energia abbia dato luogo ad una reazione nucleare a bassa Energia (LENR = Low Energy Nuclear Reaction) con produzione di raggi Gamma, che sono stati schermati dalla protezione di Piombo.
In conclusione gli inventori hanno deciso di passare dalla sperimentazione alla fabbricazione di energia con il sistema E-CAT e stanno realizzando appositamente una fabbrica in Grecia che è un grande produttore di Nichel.

Facciamogli gli Auguri!
(per loro e per noi...)


tratto da:
"Non troverai mai la verità se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspetti"
Eraclito

il Silenzio (le Stelle) - XVII Major


Il silenzio, simile alla ricettività specchiante di una notte colma di stelle, in cui splende la luna piena, è riflesso al di sotto nel lago brumoso. Il volto che si staglia nel cielo è in profonda meditazione, una dea della notte che dona profondità, pace e comprensione. Questo è un tempo estremamente prezioso. Ti sarà facile riposarti all'interno, scandagliare le profondità del tuo silenzio interiore là dove esso incontra il silenzio dell'universo. Non c'è nulla da fare, nessun luogo dove andare, e la qualità del tuo silenzio interiore permea ogni cosa che fai. Alcune persone forse potranno sentirsi a disagio, tanto sono abituate al clamore e all'infuriare del mondo. Non preoccuparti; cerca coloro in grado di risuonare col tuo silenzio, oppure goditi la solitudine. Questo è il tempo di tornare a casa, a te stesso. La comprensione e le intuizioni che ti giungono in questi momenti si manifesteranno in seguito, in una fase più estroversa della tua vita.

L'energia del tutto ha preso possesso di te. Sei posseduto, non sei più, il Tutto è. In questo momento, mentre il silenzio penetra in te, ne puoi comprendere il significato, poiché è lo stesso silenzio sperimentato da Gautama il Buddha. È lo stesso silenzio che Chuang Tzu o Bodhidharma o Nansen... Il sapore del silenzio è lo stesso. Il tempo muta, il mondo continua a cambiare, ma l'esperienza del silenzio, la sua gioia, resta la stessa. Quella è la sola cosa su cui puoi fare affidamento, la sola cosa che non muore mai. È la sola cosa che puoi definire il tuo essere più autentico.

21st century Tao



Cat's foot iron claw
Neuro-surgeons scream for more
At paranoia's poison door.
Twenty first century schizoid man.

Blood rack barbed wire
Polititians' funeral pyre
Innocents raped with napalm fire
Twenty first century schizoid man.

Death seed blind man's greed
Poets' starving children bleed
Nothing he's got he really needs
Twenty first century schizoid man

(Fripp/Sinfield/McDonald/Lake/Giles) 



i Luoghi e l'Ethos del Tao


L’ETHOS BALINESE
Quali sono realmente le motivazioni e i valori che accompagnano le ricche e complesse attività culturali dei balinesi? Che cosa, se non sono le interrelazioni competitive o comunque cumulative, che cosa muove i bali­nesi ad attuare gli elaborati schemi della loro vita?
1. È subito evidente a chiunque visiti Bali che la forza motrice dell’attività culturale non è né l’avidità né il cru­do bisogno fisiologico. I balinesi, specie nelle pianure, non sono affamati o poveri: sprecano il cibo e una parte assai notevole della loro attività è dedicata a opere affatto im­produttive, di natura estetica o rituale, in cui profondono cibo e ricchezze. In sostanza si ha a che fare con un’econo­mia dell’abbondanza più che con un’economia della pe­nuria. Alcuni, in realtà, sono considerati ‘poveri’ dai compagni, ma nessuno di questi poveri rischia di morir di fame, e l’idea che nelle grandi città occidentali certe persone possano proprio morir di fame procurava ai ba­linesi un indicibile turbamento.
2. Quanto alle transazioni economiche, i balinesi mo­strano grande prudenza nei piccoli affari. Essi lesinano il centesimo. D’altra parte, di quando in quando, contravvengono a questa prudenza profondendo grandi somme di danaro in cerimonie e in altre forme di prodigalità. Sono pochissimi i balinesi che aspirano ad aumentare continuamente le loro ricchezze o i loro beni; e costoro un po’ riescono sgradevoli e un po’ sono considerati stram­bi. La grande maggioranza lesina il centesimo in una prospettiva temporale limitata e con limitate aspirazioni; essi risparmiano finché ne hanno abbastanza da profon­dere in qualche cerimonia. Non si dovrebbe descrivere l’economia balinese in termini di un tentativo degli indi­vidui di aumentare al massimo il loro capitale, ma si do­vrebbe piuttosto paragonarla alle oscillazioni di rilassa­mento in fisiologia e in ingegneria, riconoscendo non solo che quest’analogia descrive le loro sequenze di transazioni, ma che essi stessi concepiscono queste sequenze come na­turalmente dotate di una struttura di questo tipo.
3. I balinesi dipendono molto dall’orientazione spazia­le; per essere in grado di agire, devono conoscere la posi­zione dei punti cardinali, e se un balinese è trasportato in macchina per strade tortuose sì da perdere il senso del­la direzione, può restare gravemente disorientato e non essere capace di agire (così ad esempio un danzatore può non esser più capace di danzare), finché non abbia nacqui-stato il senso di orientamento scorgendo qualche punto di riferimento importante, come la montagna che sorge al centro dell’isola e intorno alla quale sono strutturati i punti cardinali. Vi è anche un’analoga dipendenza dal­l’orientazione sociale, ma con questa differenza: che men­tre l’orientazione spaziale giace su un piano orizzontale, quella sociale è, per lo più, concepita verticalmente. Quan­do due sconosciuti s’incontrano, è necessario, prima di poter conversare con un minimo di libertà, che si dichia­rino le loro posizioni di casta. L’uno chiede all’altro: « Do­ve siedi? », che è una metafora per stabilire la casta; la domanda in sostanza è: Siedi in alto o in basso? ». Conosciuta la casta dell’altro, ognuno saprà quale etichet­ta e quali forme linguistiche deve adottare, e la conver­sazione potrà svolgersi. Senza tale orientazione, un bali­nese ha la lingua paralizzata.
4. Si scopre sovente che l’attività (eccetto quel lesinare il centesimo ricordato sopra), piuttosto che essere finaliz­zata, cioè diretta verso qualche scopo futuro, è apprezzata di per sé. L’artista, il danzatore, il musicista e il prete a volte ricevono un compenso pecuniario per la loro attività professionale, ma solo raramente questo compenso è suf­ficiente a ripagare anche solo il tempo e i materiali impie­gati dall’artista. Il compenso è un segno di apprezzamen­to, è una definizione del contesto in cui recita la compa­gnia teatrale, ma non è il suo sostegno economico. I gua­dagni della compagnia sono ad esempio messi da parte per comperare nuovi costumi, ma, al momento dell’acqui­sto, per mettere insieme la somma necessaria ogni membro deve di solito contribuire notevolmente al fondo comune. Analogamente, per quanto concerne le offerte che ven­gono portate al tempio in ogni festa non c’è alcun fine in questo enorme dispendio di lavoro artistico e di ricchezze materiali: il dio non concederà alcuna grazia per la bella ghirlanda di fiori e frutti che il fedele ha intrecciato per la ricorrenza annuale nel suo tempio, né si vendicherà delle omissioni. In luogo di uno scopo futuro, vi è una soddisfazione immediata e immanente nel compiere armo­niosamente e con grazia, insieme con tutti gli altri, ciò che è giusto compiere in ogni contesto particolare.
5. In genere è evidente la soddisfazione provata nell’ese­guire le cose alacremente e con gran concorso d’altra gen­te. D’altra parte l’essere espulsi dal gruppo è una tale sventura, che la minaccia di questa espulsione è una delle sanzioni più gravi nell’ambito della cultura.
6. È molto interessante notare che molte azioni balinesi sono articolatamente giustificabili in termini sociologici piuttosto che in termini di fini o valori individuali.
Ciò è particolarmente evidente in relazione a tutte le azioni connesse con il consiglio del villaggio, la gerarchia che comprende tutti i cittadini di pieno diritto. Questo organismo, nei suoi aspetti secolari, è chiamato I Desa (let­teralmente “Signor Villaggio”), e numerose regole e pro­cedure vengono razionalizzate con riferimento a questo personaggio astratto. Analogamente, nei suoi aspetti sacri, il villaggio è deificato come Betara Desa (Dio Villaggio), e gli vengono eretti santuari e portate offerte. (Possiamo immaginare che un’analisi alla Durkheim appanirebbe ai balinesi una procedura ovvia e appropriata per compren­dere gran parte della loro cultura pubblica).

In particolare, tutte le transazioni monetanie che ri­guardano la tesoreria del villaggio sono rette dalla propo­sizione generale: “Il villaggio non perde” (Desanne sing dadi potjol). Questa proposizione generale vale, per esem­pio, in tutti i casi in cui viene venduto un capo della mandria del villaggio: il villaggio non può in alcun caso accettare un prezzo inferiore a quello che, effettivamente o nominalmente, aveva pagato. (È importante osservare che la regola assume una forma che, fissa un limite infe­riore, e non è un imperativo a massimizzare il tesoro del villaggio).
Una singolare coscienza della natura dei processi sociali traspare da episodi come questo: un uomo povero era in procinto di affrontare uno degli importanti e costosi rites de passage che s’impongono quando una persona si avvi­cina al vertice della gerarchia consiliare. Chiedemmo che cosa sarebbe successo se si fosse rifiutato di fare questa spesa, e la prima risposta fu che, se fosse stato troppo povero, I Desa gli avrebbe prestato il denaro. 













Omaggio al doppio Tao


"Certo, avrebbe potuto farlo dopo, in qualsiasi momento, ma l'ordine, come pure si dice del cane, è il miglior amico dell'uomo, anche se, come il cane, ogni tanto morde. Avere un posto per ogni cosa e avere ogni cosa al suo posto è sempre stata una regola d'oro nella famiglie perbene, come pure si è ampiamente dimostrato che eseguire in buon ordine quel che si deve è sempre stata la più solida polizza assicurativa contro i fantasmi del caos."


José de Sousa Saramago (Azinhaga, 16 novembre 1922 – Tías, 18 giugno 2010)
Campo das Cebolas, Lisboa

 L'uomo che è appena entrato nel negozio per noleggiare una videocassetta ha nella sua carta d'identità un nome tutt'altro che comune, di un sapore classico che il tempo ha reso stantio, niente di meno che Tertuliano Máximo Afonso. Il Máximo e l'Afonso, di applicazione più corrente, riesce ancora ad ammetterli, a seconda, però, della disposizione di spirito in cui si trovi, ma il Tertuliano gli pesa come un macigno fin dal primo giorno in cui ha capito che l'infausto nome si prestava a essere pronunciato con un ironia che poteva essere offensiva. È professore di Storia in una scuola media, e la videocassetta gli era stata suggerita da un collega di lavoro che tuttavia non si era dimenticato di preavvisare, Non che si tratti di un capolavoro del cinema, ma potrà intrattenerla per un'ora e mezza. In verità, Tertuliano Máiximo Afonso ha un gran bisogno di stimoli che lo distraggano, vive da solo e si annoia, o, per dirla con la precisione clinica che l'attualità richiede, si è arreso alla temporale debolezza d'animo comunemente nota come depressione. Per avere un'idea chiara del suo caso, basti dire che è stato sposato e non si ricorda di cosa lo abbia portato al matrimonio, ha divorziato e ora non vuole neanche ricordarsi dei motivi per cui si è separato. In compenso, da questa mal riuscita unione non sono nati figli che ora sarebbero li a pretendere gratis il mondo su un vassoio d'argento, ma la dolce Storia, la seria ed educativa cattedra di Storia al cui insegnamento lo hanno chiamato e che potrebbe essere il suo cullante rifugio, la vede ormai da lungo tempo come una fatica senza senso e un inizio senza fine. Per dei temperamenti nostalgici, generalmente fragili, poco flessibili, vivere da soli è un castigo durissimo, ma una tale situazione, bisogna riconoscerlo, ancorché penosa, solo di tanto in tanto sfocia in un dramma convulso, di quelli che ti fanno accapponare la pelle e rizzare i capelli. Ciò che per lo più si vede, al punto di non suscitare ormai sorpresa, è gente che subisce con pazienza il pignolo scrutinio della solitudine, come è avvenuto in passato recente a esempi pubblici, benché non particolarmente notori, e persino, in due casi, dal felice epilogo, quel pittore di ritratti di cui non siamo mai giunti a conoscere altro che l'iniziale del nome, quel medico generico che tornò dall'esilio per morire fra le braccia dell'amata patria, quel revisore di bozze che esautorò una verità per impiantare al suo posto una menzogna, quell'impiegato subalterno dell'anagrafe che faceva sparire certificati di morte, e che rientravano tutti, per casualità o coincidenza, nel sesso maschile, ma nessuno che avesse la sventura di chiamarsi Tertuliano, e questo avrà certo rappresentato per loro un impagabile vantaggio per quanto riguarda i rapporti con il prossimo. Il commesso del negozio, che aveva già preso dallo scaffale la cassetta richiesta, ha inserito nel registro di uscita il titolo del film e la data in cui ci troviamo, e subito dopo ha indicato al noleggiante la riga dove firmare. Tracciata dopo un attimo di esitazione, la firma ha mostrato solo le ultime due parole, Máximo Afonso, senza il Tertuliano, ma, come chi avesse deciso di chiarire in anticipo un fatto che sarebbe potuto diventare motivo di controversia, il cliente, nel momento stesso in cui le scriveva, ha mormorato, Così è più rapido. Non gli è servito a molto l'aver messo le mani avanti, giacché il commesso, mentre trasferiva in una scheda i dati della carta d'identità, ha pronunciato a voce alta l'infelice e vieto nome, per giunta con un tono che persino una creatura innocente avrebbe riconosciuto come intenzionale. Nessuno, crediamo, per quanto scevra da ostacoli sia stata la sua vita, si arrischierà a dire che non gli è mai capitata una vessazione del genere. Benché prima o poi ci si presenti davanti, e si presenta sempre, uno di quegli spiriti forti a cui le debolezze umane, soprattutto quelle supremamente delicate, suscitano risate di scherno, la verità è che certi suoni inarticolati che a volte, senza volerlo, ci escono di bocca non sono altro che gemiti irreprimibili di un dolore antico, come una cicatrice che all'improvviso si fosse fatta risentire. Mentre infila la cassetta nella sua sciupata cartella d'insegnante, Tertuliano Máximo Afonso, con una briosità degna di nota, si sforza di non lasciar trasparire il dispiacere causatogli dalla denuncia gratuita del commesso, ma non ha potuto impedirsi di dire fra sé e sé, sia pur recriminandosi per la bassa ingiustizia del pensiero, che la colpa era del collega, della mania che ha certa gente di dare consigli senza che nessuno glieli abbia chiesti. Tale è il bisogno di scaricare le colpe su qualcosa di distante quando la verità è che ci è mancato il coraggio di affrontare quel che avevamo davanti. Tertuliano Máximo Afonso non sa, non immagina, non può indovinare che il commesso si è già pentito del maleducato sproposito, un altro orecchio, più fino del suo, capace di frantumare le sottili gradazioni di voce con cui si era dichiarato sempre a disposizione in risposta agli alterati saluti di congedo che gli erano stati rivolti, avrebbe consentito di percepire che si era instaurata li, dietro quel bancone, una grande volontà di pace. In definitiva, è benevolo principio mercantile, radicato nell'antichità e comprovato dall'uso dei secoli, che la ragione ce l'ha sempre il cliente, anche nel caso improbabile, ma possibile, che si chiami Tertuliano.

José Saramago delivering his Nobel Lecture, 1998



Mas não queria prender-se porque, então, seria confessar a inutilidade do que vivera. Que ganhara em fazer tão largo rodeio para, afinal, vir dar ao caminho por onde seguiam aqueles que resolutamente quisera deixar? «Queriam-me casado, fútil e tributável?», perguntara o Fernando Pessoa. «É isto o que a vida quer de toda a gente?», perguntava [...]
© José Saramago 2010



"Tempo pessimo per votare, si lagnò il presidente di seggio della sezione elettorale quattordici dopo aver chiuso violentemente il parapioggia inzuppato ed essersi tolto un impermeabile che a ben poco gli era servito nell'affannato trotto di quaranta metri da dove aveva lasciato l'auto fino alla porta da cui, col cuore in gola, era appena entrato. Spero di non essere l'ultimo, disse al segretario che lo aspettava qualche passo indietro, al riparo dalle raffiche che, sospinte dal vento, allagavano il pavimento. Manca ancora il suo supplente, ma siamo in orario, tranquillizzò il segretario, Se continua a piovere così sarà una vera impresa se arriveremo tutti, disse il presidente mentre si trasferivano nella sala dove si sarebbe svolta la votazione. Salutò per primi i colleghi di seggio che avrebbero fatto gli scrutatori, poi i rappresentanti di lista e i loro rispettivi supplenti. Usò l'attenzione di adottare per tutti le stesse parole, non lasciando trasparire nel viso né nel tono della voce alcun indizio che consentisse di cogliere le sue personali tendenze politiche e ideologiche. Un presidente, sia pure di una sezione elettorale tanto normale come questa, dovrà regolarsi in tutte le situazioni secondo il più rigoroso senso di indipendenza, o, in altre parole, mantenere le apparenze."