L’ETHOS BALINESE
Quali sono realmente le motivazioni e i valori che accompagnano le ricche e complesse attività culturali dei balinesi? Che cosa, se non sono le interrelazioni competitive o comunque cumulative, che cosa muove i balinesi ad attuare gli elaborati schemi della loro vita?
1. È subito evidente a chiunque visiti Bali che la forza motrice dell’attività culturale non è né l’avidità né il crudo bisogno fisiologico. I balinesi, specie nelle pianure, non sono affamati o poveri: sprecano il cibo e una parte assai notevole della loro attività è dedicata a opere affatto improduttive, di natura estetica o rituale, in cui profondono cibo e ricchezze. In sostanza si ha a che fare con un’economia dell’abbondanza più che con un’economia della penuria. Alcuni, in realtà, sono considerati ‘poveri’ dai compagni, ma nessuno di questi poveri rischia di morir di fame, e l’idea che nelle grandi città occidentali certe persone possano proprio morir di fame procurava ai balinesi un indicibile turbamento.
2. Quanto alle transazioni economiche, i balinesi mostrano grande prudenza nei piccoli affari. Essi lesinano il centesimo. D’altra parte, di quando in quando, contravvengono a questa prudenza profondendo grandi somme di danaro in cerimonie e in altre forme di prodigalità. Sono pochissimi i balinesi che aspirano ad aumentare continuamente le loro ricchezze o i loro beni; e costoro un po’ riescono sgradevoli e un po’ sono considerati strambi. La grande maggioranza lesina il centesimo in una prospettiva temporale limitata e con limitate aspirazioni; essi risparmiano finché ne hanno abbastanza da profondere in qualche cerimonia. Non si dovrebbe descrivere l’economia balinese in termini di un tentativo degli individui di aumentare al massimo il loro capitale, ma si dovrebbe piuttosto paragonarla alle oscillazioni di rilassamento in fisiologia e in ingegneria, riconoscendo non solo che quest’analogia descrive le loro sequenze di transazioni, ma che essi stessi concepiscono queste sequenze come naturalmente dotate di una struttura di questo tipo.
3. I balinesi dipendono molto dall’orientazione spaziale; per essere in grado di agire, devono conoscere la posizione dei punti cardinali, e se un balinese è trasportato in macchina per strade tortuose sì da perdere il senso della direzione, può restare gravemente disorientato e non essere capace di agire (così ad esempio un danzatore può non esser più capace di danzare), finché non abbia nacqui-stato il senso di orientamento scorgendo qualche punto di riferimento importante, come la montagna che sorge al centro dell’isola e intorno alla quale sono strutturati i punti cardinali. Vi è anche un’analoga dipendenza dall’orientazione sociale, ma con questa differenza: che mentre l’orientazione spaziale giace su un piano orizzontale, quella sociale è, per lo più, concepita verticalmente. Quando due sconosciuti s’incontrano, è necessario, prima di poter conversare con un minimo di libertà, che si dichiarino le loro posizioni di casta. L’uno chiede all’altro: « Dove siedi? », che è una metafora per stabilire la casta; la domanda in sostanza è: Siedi in alto o in basso? ». Conosciuta la casta dell’altro, ognuno saprà quale etichetta e quali forme linguistiche deve adottare, e la conversazione potrà svolgersi. Senza tale orientazione, un balinese ha la lingua paralizzata.
4. Si scopre sovente che l’attività (eccetto quel lesinare il centesimo ricordato sopra), piuttosto che essere finalizzata, cioè diretta verso qualche scopo futuro, è apprezzata di per sé. L’artista, il danzatore, il musicista e il prete a volte ricevono un compenso pecuniario per la loro attività professionale, ma solo raramente questo compenso è sufficiente a ripagare anche solo il tempo e i materiali impiegati dall’artista. Il compenso è un segno di apprezzamento, è una definizione del contesto in cui recita la compagnia teatrale, ma non è il suo sostegno economico. I guadagni della compagnia sono ad esempio messi da parte per comperare nuovi costumi, ma, al momento dell’acquisto, per mettere insieme la somma necessaria ogni membro deve di solito contribuire notevolmente al fondo comune. Analogamente, per quanto concerne le offerte che vengono portate al tempio in ogni festa non c’è alcun fine in questo enorme dispendio di lavoro artistico e di ricchezze materiali: il dio non concederà alcuna grazia per la bella ghirlanda di fiori e frutti che il fedele ha intrecciato per la ricorrenza annuale nel suo tempio, né si vendicherà delle omissioni. In luogo di uno scopo futuro, vi è una soddisfazione immediata e immanente nel compiere armoniosamente e con grazia, insieme con tutti gli altri, ciò che è giusto compiere in ogni contesto particolare.
5. In genere è evidente la soddisfazione provata nell’eseguire le cose alacremente e con gran concorso d’altra gente. D’altra parte l’essere espulsi dal gruppo è una tale sventura, che la minaccia di questa espulsione è una delle sanzioni più gravi nell’ambito della cultura.
6. È molto interessante notare che molte azioni balinesi sono articolatamente giustificabili in termini sociologici piuttosto che in termini di fini o valori individuali.
Ciò è particolarmente evidente in relazione a tutte le azioni connesse con il consiglio del villaggio, la gerarchia che comprende tutti i cittadini di pieno diritto. Questo organismo, nei suoi aspetti secolari, è chiamato I Desa (letteralmente “Signor Villaggio”), e numerose regole e procedure vengono razionalizzate con riferimento a questo personaggio astratto. Analogamente, nei suoi aspetti sacri, il villaggio è deificato come Betara Desa (Dio Villaggio), e gli vengono eretti santuari e portate offerte. (Possiamo immaginare che un’analisi alla Durkheim appanirebbe ai balinesi una procedura ovvia e appropriata per comprendere gran parte della loro cultura pubblica).
In particolare, tutte le transazioni monetanie che riguardano la tesoreria del villaggio sono rette dalla proposizione generale: “Il villaggio non perde” (Desanne sing dadi potjol). Questa proposizione generale vale, per esempio, in tutti i casi in cui viene venduto un capo della mandria del villaggio: il villaggio non può in alcun caso accettare un prezzo inferiore a quello che, effettivamente o nominalmente, aveva pagato. (È importante osservare che la regola assume una forma che, fissa un limite inferiore, e non è un imperativo a massimizzare il tesoro del villaggio).
Una singolare coscienza della natura dei processi sociali traspare da episodi come questo: un uomo povero era in procinto di affrontare uno degli importanti e costosi rites de passage che s’impongono quando una persona si avvicina al vertice della gerarchia consiliare. Chiedemmo che cosa sarebbe successo se si fosse rifiutato di fare questa spesa, e la prima risposta fu che, se fosse stato troppo povero, I Desa gli avrebbe prestato il denaro.
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