giovedì 6 ottobre 2011

conoscere il Tao


“CONOSCI TE STESSO”


L'antica massima greca “conosci te stesso” può contenere molti livelli di intuizione mistica, ma oltre a questi aspetti la questione ne presenta uno semplicissimo, universale e anzi pragmatico. E' certo che tutta quanta la conoscenza esterna deve in parte derivare da ciò che si chiama conoscenza di sé, "autoconoscenza".
I buddhisti sostengono che il sé è una sorta di favola. Se è così, il nostro compito sarà quello di identificare quale specie di favola sia. Ma per il momento accetterò il 'sé' come concetto euristico, come una scala utile per arrampicarsi ma forse in seguito da gettar via o da abbandonare.
Allungo la mano nel buio ed essa tocca l'interruttore della luce. “L'ho trovato, eccolo qui”, e “Ora io posso premerlo”.
Ma per poter accendere la luce non avevo bisogno di conoscere la posizione dell'interruttore o quella della mia mano. Sarebbe bastato il semplice resoconto sensoriale del contatto tra mano e interruttore. Dicendo “eccolo qui” avrei potuto essere completamente in errore e tuttavia, con la mano sull'interruttore, avrei potuto premerlo.
La domanda è: "dov'è la mia mano?" Questo elemento di autoconoscenza ha una relazione molto particolare e specifica con la questione della ricerca dell'interruttore o del "sapere" dove esso sia.
Se fossi stato ipnotizzato, per esempio, avrei potuto credere di tenere la mano sopra la testa mentre, in realtà, la tenevo tesa orizzontalmente in avanti. In tal caso, avrei situato l'interruttore in alto sopra la mia testa. Avrei addirittura potuto prendere il fatto che ero riuscito ad accendere la luce come una riprova della scoperta che l'interruttore era “sopra la mia testa”.
Noi "proiettiamo" sul mondo esterno le opinioni che abbiamo sul nostro sé e ci può spesso accadere di essere in errore sul sé eppure di muoverci, agire e interagire con i nostri amici con successo ma sulla base di opinioni false.
Che cos'è allora questo 'sè'? Che cosa, nel contesto di questo capitolo, si aggiunge all'informazione se si segue l'antica massima “conosci te stesso”?
Ricominciamo daccapo. Supponete che io 'sappia' di avere la mano sopra la testa e che 'sappia' che l'interruttore è all'altezza delle mie spalle. Supponete che io abbia ragione a proposito dell'interruttore, ma torto a proposito della mano. Nella mia ricerca dell'interruttore non metterò mai la mano dove esso si trova. Sarebbe meglio se io non 'sapessi' dov'è l'interruttore. Forse allora lo troverei con qualche movimento casuale del tipo tentativo ed errore.
Quali sono allora le regole dell'autoconoscenza? In quali circostanze è meglio (sotto il profilo pragmatico) non avere tale conoscenza che avere opinioni errate? In quali circostanze l'autoconoscenza è necessaria sotto il profilo pragmatico? I più sembrano vivere senza alcuna risposta a domande di questo genere. Anzi, sembrano vivere senza neppure porsi simili domande.
Accostiamoci alla questione con meno arroganza epistemologica. Un cane ha autoconoscenza? E' possibile che un cane "privo" di autoconoscenza sia in grado di inseguire un coniglio? Tutto il complesso di ingiunzioni che ci ammoniscono di conoscere noi stessi è forse solo un groviglio di mostruose illusioni edificate per compensare i paradossi della coscienza?
Se ci sbarazziamo dell'idea che il cane è una creatura e il coniglio un'altra e consideriamo la totalità coniglio-cane come un solo sistema, possiamo chiederci: quali ridondanze devono esistere in questo sistema affinch‚ questa parte del sistema possa inseguire quell'altra? E, magari, non possa "non" inseguirla?
La risposta ora ha un aspetto affatto diverso: l'unica informazione (cioè ridondanza) necessaria in questi casi è relazionale. Il coniglio, con la sua corsa, ha forse "detto" al cane di inseguirlo? Nell'esempio dell'interruttore, quando la mano (la 'mia' mano?) ha toccato l'interruttore, si è creata l'informazione necessaria sulla "relazione" tra mano e interruttore; ed è diventato possibile premere l'interruttore senza informazione collaterale su di me, sulla mia mano o sull'interruttore.
Il cane sa come invitarci a giocare a rincorrerlo: abbassa il mento e la gola verso il suolo e si allunga in avanti, tenendo le zampe anteriori premute contro il suolo dai gomiti alle estremità. Gli occhi sono rivolti in alto e si muovono nelle orbite senza che la testa si sposti; le zampe posteriori sono piegate sotto il corpo, pronte a scattare in avanti. Chiunque abbia mai giocato con un cane conosce bene questo atteggiamento. L'esistenza di un segnale siffatto dimostra che il cane è capace di comunicare ad almeno due livelli russelliani, o tipi logici.
Qui, tuttavia, del gioco m'interessano solo quegli aspetti che esemplificano la regola che "due descrizioni sono meglio di una".
Il gioco e la creazione del gioco debbono essere visti come un unico fenomeno e anzi, dal punto di vista soggettivo, è plausibile dire che la sequenza può essere veramente giocata solo finch‚ conserva qualche elemento creativo e inatteso. Se la sequenza è del tutto nota, essa è "rituale", bench‚ forse sempre formativa del carattere. Quando un essere umano A che gioca ha a sua disposizione un numero finito di azioni alternative, è abbastanza semplice vedere un primo livello di scoperta. Si tratta di sequenze evolutive con una selezione naturale non di elementi ma di "strutture di elementi" di azione. A tenterà varie azioni su B e scoprirà che B accetta solo certi contesti. Cioè, A deve o far precedere certe azioni da certe altre oppure collocare alcune delle proprie azioni in certe cornici temporali (sequenze di interazione) che sono preferite da B:
A 'propone' e B 'dispone'.
Un fenomeno a tutta prima miracoloso è l'invenzione del gioco tra membri di specie di mammiferi assai diverse tra loro. Ho osservato questo processo di interazione tra il nostro chow-chow e il nostro gibbone addomesticato, ed era chiarissimo che il cane reagiva in modo normale a una inattesa tiratina della pelliccia. Il gibbone sbucava all'improvviso dalle travi del tetto della veranda e attaccava agilmente; il cane gli correva dietro, il gibbone scappava e tutto il sistema si spostava dal portico alla nostra camera da letto, che invece di travi e travicelli scoperti aveva un soffitto a intonaco. Costretto al pavimento, il gibbone in ritirata si rivoltava contro il cane, che a sua volta si ritirava e correva sulla veranda. Allora il gibbone si arrampicava sul tetto e tutta la sequenza ricominciava daccapo e veniva ripetuta molte volte con evidente divertimento di entrambi i giocatori.
Scoprire o inventare giochi in acqua con un delfino è un'esperienza molto simile. Avevo deciso di non fornire all'anziana femmina "Tursiops" nessuna indicazione su come comportarsi con me, tranne lo 'stimolo' della mia presenza in acqua. Così rimasi seduto a braccia conserte sugli scalini che scendevano nella vasca. Il delfino mi si avvicinò e mi si mise accanto a cinque-dieci centimetri di distanza dal mio fianco. Di quando in quando, a causa del movimento dell'acqua, avveniva tra noi un accidentale contatto fisico. Apparentemente questi contatti non presentavano alcun interesse per l'animale. Dopo forse due minuti, il delfino si allontanò e si mise a nuotare lentamente intorno a me; pochi istanti dopo sentii qualcosa che mi si infilava sotto il braccio destro. Era il muso del delfino, e io mi trovai di fronte al problema di come non dare all'animale "nessuna indicazione" su come comportarsi con me. La tattica da me progettata era impossibile.
Allentai il braccio destro e lasciai che ci infilasse sotto il muso. In pochi secondi avevo sotto il braccio tutto il delfino. Esso si curvò quindi davanti a me fino a mettermisi in grembo. Da questa posizione passammo a nuotare e a giocare insieme per alcuni minuti.
Il giorno dopo eseguii la stessa sequenza, ma quando il delfino mi si allungò di fianco non aspettai per lo stesso periodo di tempo del giorno prima e gli accarezzai il dorso con la mano. Subito il delfino mi corresse: si allontanò di poco e poi si mise a nuotarmi intorno e mi diede un colpetto con il bordo anteriore della pinna caudale, atto che gli sembrò certo gentile. Quindi andò all'estremità più lontana della vasca e se ne stette là.
Anche queste sono sequenze evolutive, ed è importante vedere con chiarezza "che cosa" esattamente viene evoluto. Descrivere il gioco interspecifico di cane e gibbone o di uomo e delfino come un'evoluzione di elementi di comportamento non sarebbe corretto, poichè‚ non viene generato alcun nuovo elemento di comportamento. Anzi, in ciascuna singola creatura non si evolve alcun nuovo contesto di azione. Il cane è sempre cane, il gibbone è sempre gibbone, il delfino delfino e l'uomo uomo. Ciascuno conserva il proprio 'carattere' - la propria organizzazione dell'universo percepito - eppure è chiaro che qualcosa è accaduto. Sono state generate o scoperte certe strutture di interazione, le quali hanno avuto una durata, per quanto breve. In altre parole, vi è stata una selezione naturale di strutture di interazione. Certe strutture sono sopravvissute più a lungo di altre.
Vi è stata un'evoluzione di "accomodamento reciproco". Con un cambiamento minimo nel cane o nel gibbone il sistema cane-gibbone è diventato più semplice, più internamente coerente e integrato.
Esiste dunque una entità più ampia, diciamo A più B, che, nel gioco, compie un processo per il quale ritengo che il nome giusto sia "pratica". Si tratta di un processo di apprendimento in cui il sistema A più B non riceve informazioni nuove dall'esterno, ma solo dall'"interno del sistema". L'interazione mette a disposizione delle parti di B informazioni sulle parti di A e viceversa. C'è stato un cambiamento di confini.
Inseriamo questi dati in una cornice teorica più ampia. Facciamo un po' di "abduzione", cercando altri casi che siano analoghi al gioco nel senso che rientrano nella stessa regola.
Si noti che il termine "gioco" non limita n‚ definisce gli atti che costituiscono il gioco. "Gioco" è applicabile solo a certe ampie premesse dell'interscambio. Nel linguaggio ordinario, “gioco” non è il nome di un atto o di un'azione; è il nome di una "cornice" per l'azione. Possiamo attenderci allora che il gioco non sia soggetto alle regolari norme del rinforzo. Anzi, chiunque abbia tentato di far smettere di giocare dei bambini sa che cosa si prova vedendo che i propri sforzi vengono semplicemente incorporati nella struttura del loro gioco.
Così per trovare altri casi che rientrano nella stessa regola (o fetta di teoria) cerchiamo integrazioni di comportamento che (a) non definiscano le azioni che ne costituiscono il contenuto; e (b) non obbediscano alle regole ordinarie del rinforzo.
Due casi vengono subito alla mente: l''esplorazione' e la 'delinquenza'. Altri casi degni di considerazione sono il 'comportamento di tipo A' (che i medici psicosomatici considerano in parte eziologico dell'ipertensione essenziale), la 'paranoia', la 'schizofrenia' e così via.
Esaminiamo l''esplorazione' per vedere dove essa sia un contesto per qualche sorta di descrizione doppia, o un suo prodotto.
Primo, esplorazione (e con essa delinquenza e gioco e ogni altra parola di questa classe) è una descrizione primaria, verbale o non verbale, del sé: “Io" esploro”. Ma "ciò che" viene esplorato non è semplicemente 'il mio mondo esterno', o 'il mondo esterno come io lo vivo'.
Secondo, l'esplorazione si autoconvalida, quale che sia il suo esito, gradevole o sgradevole per l'esploratore. Se cercate di insegnare a un ratto a non-esplorare facendogli prendere una scossa quando caccia il naso nelle scatole, esso continuerà a esplorare, come abbiamo visto nel capitolo precedente, presumibilmente perchè‚ ha bisogno di sapere quali scatole sono sicure e quali pericolose. In questo senso, l'esplorazione ha sempre buon esito.
Dunque, l'esplorazione non solo si autoconvalida, ma negli esseri umani sembra generare anche assuefazione. Un tempo conoscevo un grande scalatore, Geoffrey Young, che scalò la parete nord del Cervino con una gamba sola (l'altra l'aveva persa nella prima guerra mondiale). E conoscevo un corridore di fondo, Leigh Mallory, le cui ossa sono ora a meno di sessanta metri dalla vetta dell'Everest. Questi scalatori ci suggeriscono alcune indicazioni sull'esplorazione. Geoffrey Young era solito dire che "non dare ascolto" alle lamentele di autocommiserazione e ai dolori del corpo era una delle discipline più importanti dello scalatore - e anzi, io penso, una delle soddisfazioni della scalata. La vittoria sul sé.
Un siffatto cambiamento del 'sè' è comunemente descritto come una “vittoria”, e si usano parole lineali come “disciplina” e “autocontrollo”. Naturalmente, queste sono esempi di puro soprannaturalismo e per giunta probabilmente un po' tossiche. Ciò che accade è molto più simile a un'incorporazione o a un connubio di idee sul mondo con idee sul sé.

Omaggio al Tao visionario


il Te del Tao: XXII - L'UMILTÀ CHE ELEVA


XXII - L'UMILTÀ CHE ELEVA

Se ti pieghi ti conservi,
se ti curvi ti raddrizzi,
se t'incavi ti riempi,
se ti logori ti rinnovi,
se miri al poco ottieni
se miri al molto resti deluso.
Per questo il santo preserva l'Uno
e diviene modello al mondo.
Non da sé vede perciò è illuminato,
non da se s'approva perciò splende,
non da sé si gloria perciò ha merito,
non da sé s'esalta perciò a lungo dura.
Proprio perché non contende
nessuno al mondo può muovergli contesa.
Quel che dicevano gli antichi:
se ti pieghi ti conservi,
erano forse parole vuote?
In verità, integri tornavano.

mercoledì 5 ottobre 2011

la mamma del Tao è sempre la mamma...

Freud at Clark University in 1909.
Front Row: Freud, G. Stanley Hall, C.J. Jung.
Back Row: Abraham A. Brill, Ernest Jones, Sandor Ferenczi.
“Non sanno che portiamo loro la peste”.

Omaggio al Tao: Carl Gustav Jung

Vocatus atque non vocatus
deus aderit
(Called or not called
God will be present)
Protestant Church Graveyard
Kusnacht, Zurich Switzerland

























«Nella seconda metà dell' esistenza rimane vivo solo chi, con la vita, vuole morire.
Perché ciò che accade nell'ora segreta del mezzogiorno della vita è l'inversione della parabola, è la nascita della morte.
La vita dopo quell'ora non significa più ascesa, sviluppo, aumento, esaltazione vitale ma morte, dato che il suo scopo è la fine.
Disconoscere la propria età significa ribellarsi alla propria fine. Entrambi sono un non voler vivere: giacchè non voler vivere e non voler morire sono la stessa cosa. Divenire e passare appartengono alla medesima curva.»
(Anima e Morte)

La casa di Jung a Bollingen, lago di Zurigo, da lui stesso progettata e costruita.

Iscrizione su pietra in latino a Bollingen
"Orphanus sum, solus tamen ubique reperior, unus sum sed mihi contrarius, iuvenis et senex simul, nec patrem nec matrem novi, quia levandus sum e profundo ad instar piscis, seu delabor a coelo quasi calculus albus, nemoribus montibusque inerro, in penitissimo autem hominem delitesco, mortalis in unumquodque caput, non tamen tangor temporum mutatione."

"Sono un orfano, solo; eppure mi trovo dovunque.
Sono Uno, ma opposto a me stesso.
Non ho conosciuto né padre né madre,
perché hanno dovuto trarmi dal profondo come un pesce.
O perché sono caduto dal cielo come una pietra bianca.
Vago per boschi e monti, ma sono nascosto nell’intimo dell’uomo.
Per tutti sono mortale, eppure il mutare dei tempi non mi tocca.”


Narra la leggenda che la sera del 5 giugno 1961, a 85 anni, Jung stappò una bottiglia del suo miglior vino.

Il giorno dopo morì serenamente nella sua casa sul lago a Bollingen, che aveva costruito e modificato con le sue mani.

Un'ora dopo la sua morte si scatenò una tempesta.

Tao Synchronicity



With one breath, with one flow
You will know
Synchronicity
A sleep trance, a dream dance,
A shared romance
Synchronicity

A connecting principle
Linked to the invisible
Almost imperceptible
Something inexpressible
Science insusceptible
Logic so inflexible
Causally connectible
Yet nothing is invincible

If we share this nightmare
Then we can dream
Spiritus mundi
If you act as you think
The missing link
Synchronicity

We know you, they know me
Extrasensory
Synchronicity
A star fall, a phone call
It joins all
Synchronicity

It's so deep, it's so wide
You're inside
Synchronicity
Effect without a cause
Sub-atomic laws, scientific pause
Synchronicity

martedì 4 ottobre 2011

sincronicità del Tao


Gli eventi del futuro non possiamo arguirli dai presenti.
La credenza nel nesso causale è la superstizione.
Tractatus, proposizione  5.1361

Sincronicità (o principio di sincronicità) è un termine introdotto da Carl Gustav Jung nel 1949-50 per descrivere la contemporaneità di due o più eventi fisici ("esterni") e psichici ("interni") connessi in maniera acausale (ovvero la coincidenza temporale di due o più eventi non legati dal principio di causa-effetto), ma legati da un rapporto di analogo contenuto significativo.
Jung distingue la sincronicità dal "sincronismo" (eventi che accadono simultaneamente, cioè nello stesso tempo, es: ballerini che fanno lo stesso passo con la stessa cadenza simultaneamente, due orologi che segnano lo stesso orario, metronomo e musica che seguono lo stesso ritmo etc.), i quali sono eventi che accadono senza alcuna connessione di significato, sia causale che acasuale, perché sono azioni di pura contemporaneità temporale.

Jung si era interessato al tema degli eventi acausali e alla loro rilevanza nella cultura orientale, particolarmente cinese, già dal 1920 nell'ambito dei suoi studi e interessi riguardo agli archetipi dell'inconscio collettivo, sull'alchimia e sull'astrologia. Un ulteriore contributo alle sue idee sul tema fù la conoscenza con Richard Wilhelm, uno dei più importanti sinologi della antica cultura cinese, e con la sua relazione, prima come terapeuta e poi di amicizia, con Wolfgang Pauli, tra i padri fondatori della meccanica quantistica, premio Nobel per la Fisica 1945, in un rapporto in cui «Pauli non capiva niente di psicologia e Jung non capiva nulla di fisica». Inoltre nel 1928 si era già interessato ad un testo cinese di alchimia taoista del VIII d.C., "Il segreto del fiore d'oro", tradotto da Wilhelm.
Jung introdusse e formalizzò il termine sincronicità nel 1949-50 nella prefazione della traduzione in inglese di Wilhelm del I Ching, il Libro dei Mutamenti, ritenuto uno dei primi testi classici cinesi, datato in modo molto incerto intorno al I secolo a.C. ma ritenuto da diversi autori molto più antico, tra i primi testi classici cinesi datati prima del II a.C.


Nel 1952 Jung e Pauli pubblicarono due saggi nel volume Naturerklärung und Psyche. Nel proprio saggio Pauli applicava il concetto di archetipo alla costruzione delle teorie scientifiche di Keplero, mentre Jung intitolava il proprio "Sincronicità come Principio di Nessi Acausali", in cui l'idea di sincronicità è applicata all'astrologia, e da cui è tratto il brano seguente:

..Il principio causale ci dice che la relazione tra causa ed effetto è una relazione necessaria. Il principio di sincronicità afferma che i termini di una coincidenza significativa sono legati da un rapporto di contemporaneità e dal senso…. Occorre infatti considerare che l’atteggiamento intellettuale di noi occidentali non è l'unico possibile, o quello che racchiude in sé ogni possibilità, ma rappresenta sotto un certo rapporto una prevenzione e un'unilateralità che per quanto possibile andrebbero corrette. I cinesi, la cui civiltà è assai più antica, hanno in un certo senso pensato sempre in maniera diversa dalla nostra, e se vogliamo accertare qualcosa di analogo nel nostro ambito culturale - almeno per quanto riguarda la filosofia - dobbiamo risalire fino a Eraclito. È soltanto nella sfera dell'astrologia, dell'alchimia e delle procedure mantiche che non esistono differenze di principio tra il nostro atteggiamento e quello dei cinesi. Perciò anche l'evoluzione dell'alchimia ha proceduto sia in Occidente sia in Oriente su binari paralleli, mirando allo stesso fine con formazioni concettuali in parte identiche.
Da tempo immemorabile esiste nella filosofia cinese un concetto centrale definito col termine di Tao, che i gesuiti hanno tradotto "Dio". Ma questa traduzione è esatta solo nel senso occidentale. Altre traduzioni, come "provvidenza" e simili, sono puri espedienti suggeriti dalla necessità. Richard Wilhelm ha interpretato genialmente Tao come “senso”."




















La prefazione all'edizione inglese del I Ching illustra ulteriormente le idee di Jung in rapporto alla concezione cinese:

 
"Ho un gran debito di gratitudine verso Wilhelm, sia per il fiotto di luce che ha riversato sul complicato problema dell’I King, che per avere resa perspicua la sua applicazione pratica. Conoscevo l’I King da quasi trent’anni, e mi ero già familiarizzato con esso, quando per la prima volta incontrai Wilhelm poco dopo il millenovecentoventi. Egli mi confermò allora ciò che io già sapevo, e mi insegnò ancora molte altre cose. Non sono un sinologo e non sono mai stato in Cina. Posso assicurare i miei lettori che non è davvero facile trovare un accesso congruo a questo monumento del pensiero cinese, così infinitamente diverso dal nostro modo di pensare. Per capire in generale di che cosa tratti un simile libro è assolutamente imperativo buttare a mare certi pregiudizi della mentalità occidentale. E’ un fatto curioso che della gente così dotata e intelligente come i cinesi non abbia mai prodotto quella cosa che noi chiamiamo scienza. La nostra scienza, comunque, è basata sulla causalità, e quest’ultima è considerata verità assiomatica. Ciò che la Critica della Ragion Pura di Kant non ha saputo fare, è stato tuttavia compiuto dalla fisica moderna, vale a dire la messa in dubbio dell’assioma della causalità: noi ora sappiamo che tutte le leggi di natura non sono altro che delle verità statistiche, costrette perciò ad ammettere delle eccezioni. Non abbiamo sufficientemente tenuto conto deI fatto che, per dimostrare la validità invariabile delle leggi di natura, abbiamo implicitamente bisogno del laboratorio con le sue incisive restrizioni. Lasciando che la natura faccia da sé scorgiamo un quadro ben differente: ogni processo subisce delle interferenze parziali o totali da parte del caso, e ciò in misura tale che un regolare corso di eventi, rispettoso della legge, forma quasi un’eccezione in circostanze naturali. La mentalità cinese, quale io la vedo all’opera nell’I King, sembra invece preoccuparsi esclusivamente dell’aspetto accidentale degli eventi. Ciò che noi chiamiamo coincidenza sembra essere la cosa della quale questa peculiare mentalità principalmente si interessa, e ciò che noi adoriamo come causalitàpassa quasi inosservato. Dobbiamo ammettere che qualche cosa si possa dire in favore della immensa importanza del caso. Un importo incalcolabile di sforzo umano è destinato a combattere ed a limitare i danni o i pericoli rappresentati dal caso. Spesso la considerazione causale appare pallida e polverosa in confronto degli effetti pratici del caso. Va benissimo dire che il cristallo di quarzo è un prisma esagonale. Proprio vero — finché si prende di mira un cristallo ideale. Ma in natura non si trovano nemmeno due cristalli esattamente uguali, quantunque siano palesemente esagonali. La loro forma reale tuttavia sembra sollecitare il saggio cinese ben più di quello reale visto che la rappresentazione delle leggi di natura, passata per i più fini setacci che forma la realtà empirica, contiene per lui un significato ben più importante di una spiegazione causale degli eventi i quali inoltre devono di regola essere nettamente separati gli uni dagli altri prima di poter essere trattati appropriatamente. Il modo con cui l’I King è incline a considerare la realtà sembra non veder di buon occhio i nostri procedimenti causalistici. L’istante che sta attualmente sotto osservazione appare all’antica visione cinese più come un colpo di fortuna che come un ben costruito risultato di catene causali concorrenti. L’oggetto che interessa sembra essere la configurazione che gli eventi accidentali formano al momento dell’osservazione, e nulla affatto le ragioni ipotetiche che apparentemente rendono conto della coincidenza. Mentre la mentalità occidentale accuratamente separa, pesa, sceglie, classifica, isola, ecc., l’immagine cinese del momento contiene ogni particolare fino al più minuto assurdo dettaglio, perché l’istante osservato è il totale di tutti gli ingredienti. Accade così che quando succede che si gettino le monete o che si contino i 49 steli di millefoglie, questi dettagli causali entrano nel quadro dell’istante d’osservazione formandone una parte — insignificante per noi eppure colma di significato per la mentalità cinese. Da noi dire che qualunque cosa avvenga in questo momento possiede inevitabilmente la qualità peculiare per quest’ultimo sarebbe un’affermazione banale e quasi senza senso (per lo meno, superficialmente). Questo non è un argomento astratto, anzi è un argomento assai pratico: vi sono certi esperti che dall’aspetto, gusto e comportamento di un vino, sapranno dire il sito della sua vigna ed il suo anno di origine; vi sono degli antiquari che sapranno informarci dell’epoca, della provenienza e dell’artefice di certi oggetti d’arte o d’un pezzo di mobilio con un’accuratezza impressionante, e vi sono persino degli astrologi che sanno dire, senza nessuna previa conoscenza della natività, quale fu la posizione del sole e della luna nonché il segno zodiacale che sorgeva all’orizzonte al momento della nascita di un individuo. Considerando simili fatti bisogna ammettere che degli istanti possono lasciare delle tracce di lunga durata.

In altre parole: chiunque sia stato l’inventore dell’I King, era convinto che l’esagramma costruito in un dato momento coincideva con questo anche nella qualità e non soltanto nel tempo. Per lui l’esagramma era l’esponente del momento in cui lo si otteneva, anzi più ancora del misuramento del tempo, in quanto lo si comprendeva come un indicatore della situazione essenziale prevalente al momento della sua origine. Questa assunzione implica un certo strano principio che io ho denominato sincronicità, concetto che formula un punto di vista diametralmente opposto alla causalità. Siccome quest’ultimo è una verità meramente statistica e non assoluta, essa è una specie di ipotesi di lavoro esprimente come gli eventi evolvono l’uno dall’altro, mentre la sincronicità considera la coincidenza degli eventi in spazio e tempo come significatore di qualche cosa di più d’un mero caso, cioè di una peculiare interdipendenza di eventi oggettivi tra di loro, come pure fra essi e le condizioni soggettive (psichiche) dell’osservatore o de­gli osservatori. La mentalità cinese antica contempla l’universo in una maniera paragonabile a quello del fisico moderno, il quale non può negare che il suo modello dell’universo è una struttura decisamente psicofisica. L’evento microfisico include l’osservatore proprio altrettanto quanto la realtà che forma il sostrato dell’I King comprende delle condizioni soggettive, ovverosia psichiche, nella totalità della situazione momentanea. Come la causalità spiega la sequenza degli eventi, nella mentalità cinese la sincronicità spiega la loro coincidenza. Il punto di vista causale ci narra una drammatica storia della maniera in cui D giunse all’esistenza; prese la sua origine da C che era esistito prima di D, e C a sua volta aveva un padre che fu B, ecc. La veduta sincronistica da parte sua invece tenta di produrre un quadro altrettanto significativo della coincidenza: come accade che A, B, C, D ecc. compaiono tutti nel medesimo momento e al medesimo posto? E' così, perché anzitutto gli eventi fisici A, B, sono della medesima qualità degli eventi psi­chici C e D, e poi perché tutti quanti sono esponenti d’una e della medesima situazione momentanea. La situazione è pre­sunta essere un’immagine leggibile o comprensibile.


I 64 esagrammi dell’I King sono ora lo strumento mediante il quale il significato di 64 differenti ma pure presumibilmente tipiche situazioni può essere determinato. Queste interpretazioni sono equivalenti a spiegazioni causali. La connessione causale è statisticamente necessaria e può perciò essere assoggettata all’esperimento. Ma poiché una situazione è unica e non può essere ripetuta, sembra essere impossibile fare degli esperimenti con la sincronicità sotto condizioni ordinarie; il solo criterio di validità per l’ultima ipotesi poggia sull’opinione dell’osservatore che il testo degli esagrammi sia equivalente ad una pittura fedele delle sue condizioni psichiche soggettive. Si presume che la caduta delle monete o la divisione del fascio di steli sia proprio quella che in un data ((situazione)) dev’essere, in quanto qualsiasi cosa che avviene in quel momento vi appartiene quale indispensabile parte del quadro. Una manciata di fiammiferi gettati al suolo forma il disegno caratteristico di quell’istante. Ma una verità così ovvia come questa rivela la sua significatività soltanto nel caso che sia possibile leggere questi disegni e verificarne l’interpretazione, in parte mediante ciò che l'osservatore conosce della situazione soggettiva ed oggettiva, in parte mediante la conferma apportata dagli eventi susseguenti. Non è evidentemente un procedimento gradito ad una mente critica abituata alla verificazione sperimentale dei fatti o all’evidenza fattiva. Ma per qualcuno che ami gettare uno sguardo sul mondo valendosi dell’angolo di visuale sotto il quale l’antica Cina lo ha scorto, l’I King può presentare qualche attrattiva"
La scienza occidentale si occupa - per definizione - degli eventi fisici "esterni". La contemporaneità di due eventi fisici, sia di tipo deterministico che probabilistico, può essere spiegato in tre casi:
  1. i due eventi sono deterministici e legati da un rapporto causa-effetto; ad esempio se premiamo un interruttore si accende una lampadina.
  2. i due eventi sono di tipo probabilistico e legati da un rapporto causa-effetto. In questo caso la probabilità che i due eventi si verifichino contemporaneamente è pari alla probabilità di uno dei due eventi moltiplicato con la probabilità dell'altro evento condizionato al verificarsi del primo, ed è in generale regolato dal Teorema di Bayes.
  3. i due eventi sono di tipo probabilistico ma non legati da un rapporto causa-effetto, ovvero statisticamente indipendenti. In questo caso la probabilità congiunta che i due eventi si verifichino contemporaneamente è un caso particolare del 2. ed è pari al prodotto delle  probabilità dei due eventi; esempi di questo tipo sono che nello stesso momento in una stanza una lampadina si bruci ed un quadro si stacchi dal muro, oppure che nello stesso momento in cui mi allaccio le scarpe una mucca muggisca in Nuova Zelanda, eventi non correlati con probabilità congiunta molto piccola ma non zero. Questo caso è spesso denominato "coincidenze significative", benchè l'unico significato è che un evento congiunto molto improbabile, ma non impossibile, è accaduto. Anche il caso di una coincidenza significativa tra stato psichico ed evento fisico, come il classico esempio in cui uno pensa ad una persona e quella persona nello stesso momento bussa alla porta, viene considerato come un evento casuale e probabilistico.
    Lo studio dei rapporti causa-effetto degli eventi fisici, delle loro catene causali e soprattutto delle leggi che le governano è stata una delle ragioni della nascita e dello sviluppo della scienza occidentale. Il postulato di fondo del principio di causalità è che i fenomeni/eventi si susseguano unicamente in un processo di causa-effetto, e tutto ciò che non risponde a questo principio legge è dovuto al caso.
    La scienza occidentale non si occupa invece dell'eventuale relazione tra eventi fisici ed eventi psichici, e tantomeno di un loro possibile significato congiunto o interdipendente. Lo studio degli eventi, "funzioni" o "stati" psichici è nato all'interno della scienza occidentale (principalmente in Germania nell'800) da poco più di un secolo in una disciplina denominata psicologia, della quale Jung, naturalmente, è stato uno dei protagonisti.

    L'antica concezione cinese è opposta e complementare a quella occidentale. Benchè sia ben consapevole dei rapporti di causa-effetto (che fanno parte della competenza logica di ogni individuo maturo) non è mai stata particolarmente interessata a spiegarli, al contrario della scienza occidentale. Che le stelle brillino in cielo, il sole sorga ogni giorno e una pietra (o una mela) cada sempre ed inevitabilmente per terra è per l'Oriente un fatto del tutto naturale, spiegato con il fatto che "il mondo è fatto così", e non necessita di ulteriori investigazioni o spiegazioni (è da notare che anche in Occidente, prima del 5 Luglio 1687, la spiegazione a questa fatti non era, e non poteva essere, sostanzialmente diversa).
    Al contrario, la tradizione orientale è sempre stata per millenni estremamente interessata al rapporto tra fatti ed eventi "interni" con quelli "esterni" per la sua concezione olistica integrale tra i due mondi, in cui soggetto e oggetto non hanno una definita linea di separazione ma si riflettono l'uno nell'altro, una concezione non diversa da quella della tradizione alchemica/ermetica medioevale in Occidente, ma anteriore di diversi millenni. Questa concezione paradigmatica dell'esistenza era considerata del tutto ovvia ed evidente per cui non necessitava di alcune spiegazione né tantomeno di "dimostrazioni": sarebbe stato come spiegare l'acqua ai pesci.
    Per questo motivo l' I Ching non contiene alcuna spiegazione né giustificazione del suo metodo e della sua validità, si presenta semplicemente come uno strumento da utilizzare. Solo dopo molti secoli il Tao Teh Ching, fortemente influenzato dal I Ching, tenterà di esprimere in parole l'inesprimibile, a scopo di insegnamento.
    Per l'antico saggio cinese la comprensione di una situazione complessa poteva venire osservando il volo degli uccelli, la direzione del vento, il cadere di una foglia. Per chi invece saggio non lo era particolarmente è stato creato l' I Ching come sistema altamente simbolico che nei suoi 64 esagrammi rappresentava in modo completo tutte le possibili situazioni dell'esistenza, da utilizzarsi con un metodo che si potrebbe definire "lettura della sincronicità", che consiste in:
    1. Formulare la domanda sulla situazione che si vuole conoscere ponendosi in uno stato psichico congruo, ad esempio concentrandosi sulla situazione stessa (pensandola, immaginandola, visualizzandola etc.)
    2. Estrarre in modo assolutamente casuale uno o più elementi dell'insieme simbolico
    3. Interpretare, conoscendo il significato degli elementi, la risposta ottenuta
    La contemporaneità dello stato psichico e dell'estrazione casuale dei simboli assicura, per il principio di sincronicità, la corrispondenza tra la risposta ottenuta e la domanda pensata.

    Fritjof Capra nel Tao della Fisica ha ampiamente illustrato le analogie tra le varie tradizioni orientali e la fisica moderna, in particolare come gli esagrammi (da lui definiti "archetipi cosmici") esprimano l'enorme dinamica che si riscontra nella fisica quantistica.

    Analogia di simmetria strutturale tra i trigrammi del I Ching
     e la rappresentazione quantistica dell'ottetto mesonico. (da Capra)
    Un'ipotesi estremamente affascinante è che in sistemi ad alta complessità con diffuse caratteristiche di tipo mentale e/o olografiche quali - ad esempio - società ed ecosistemi, il principio di sincronicità possa giocare un ruolo non secondario insieme alla causalità, alla casualità ed al caos; ad esempio che la modifica di un sottosistema generi in modo acausale modifiche in altri sottosistemi, o nell'intero sistema, oppure che uno o più processi di sistema creino acasualmente un nuovo processo.
    Il tipico caso portato ad esempio a livello fisico è quello dell'entanglement quantistico, la modificazione istantanea, e quindi acausale, degli stati quantici di due particelle gemelle indipendentemente dalla distanza, dimostrato sperimentalmente nel 1981. Un altro caso è quello del decadimento dei nuclei radioattivi, un evento probabilistico ma del tutto acausale, come evidenziato da James Jeans nel 1942.

    L' I Ching non è l'unico tra i sistemi simbolici completi creati per la lettura della sincronicità, anche se certamente è tra i più sofisticati. Un altro insieme più conosciuto in Occidente, anche questo di origine e datazione molto incerte, è quello dei Tarocchi, un mazzo di 78 carte (in alcuni mazzi 79) tradizionalmente suddivisi in 22 Arcani Maggiori (numerati da I a XXI più la carta "jolly" numero zero, il Matto) e 56 Arcani Minori suddivisi in quattro segni e comprendenti per ogni segno quattro carte di corte (Re, Regina, Cavaliere e Fante) e altre dieci carte numerate dall'uno al nove più l'Asso.





    Illustrazione dei 22 Arcani Maggiori dei Tarocchi di Marsiglia.
    Le tre file di sette carte tradizionalmente rappresentano tre fasi di un percorso iniziatico: la prima (1-7) nell'individuazione personale, la seconda (8-14) nella conoscenza interiore e la terza (15-21) nell'integrazione con l'esistenza.
    Illustrazione dei 22 Arcani Maggiori dei Tarocchi Rider-Waite con alcuni Arcani Minori.
    Comunemente il metodo di lettura della sincronicità tramite un insieme più o meno simbolico è conosciuto come divinazione o mantica, un termine divenuto piuttosto improprio per l'uso, e l'abuso, con cui è stato utilizzato. Se il termine è usato nel senso di ottenere una risposta da un sovra-sistema complesso (qualsiasi nome gli si dia) allora il significato è nel senso descritto da Jung e dalla tradizione orientale.
    Se invece per divinazione si intende l'accezione popolare e cialtronesca di "leggere il futuro" è inaccettabile dato che - naturalmente - è impossibile, in quanto (per utilizzare un termine usato da Popper e Lorenz) il futuro è aperto, e quindi imprevedibile. Tuttavia alcuni fattori possono giocare un ruolo nella possibilità di ottenere delle informazioni sul futuro:
    • l'istante presente di cui si legge la sincronicità ha, naturalmente, una storia e proseguirà in una storia. La risposta ottenuta da una lettura sincronica dell'istante presente può quindi dare indicazioni sia sulla storia passata che su quella futura, dato che il sovra-sistema soggetto/oggetto da cui si è "ottenuta" la risposta è in se stesso atemporale.
    • Gli elementi del sistema simbolico, particolarmente gli esagrammi del I Ching, contengono una miscela di dinamicità/staticità ed inoltre, in determinate condizioni, un esagramma si muta in un altro. Queste caratteristiche possono fornire informazioni sia sulla storia passata che su quella futura.
    • In generale la lettura della sincronicità si utilizza per avere indicazioni su situazioni complesse in insiemi complessi, quali individui o gruppi di individui, in una situazione di informazioni incomplete. E' una caratteristica non rara di questi sistemi - in linea di principio imprevedibili - di diventare invece ampiamente prevedibili, e per questo motivo "leggibili" nel futuro.

    “Un giorno venna da me un astrologo, uno dei più famosi di tutta l’India.
    Io gli dissi: bene, accomodati, ma ti devo subito avvertire.
     Qualunque cosa mi dirai io farò accadere l’esatto contrario.
    Se mi dirai che morirò, io vivrò.
    Se mi dirai che vivrò, morirò.
    Adesso dimmi pure.
    E lui rispose: va bene, tornerò.
    Ma non è mai più tornato”