giovedì 10 novembre 2011

organizzazione del Tao umano


Definiti i fondamenti e gli assiomi, la Scuola di Palo Alto di Watzlawick ha descritto l'aspetto pragmatico dell'organizzazione dell'interazione umana, ovvero la struttura dei modelli di interazione che avvengono tramite la comunicazione.
Per definire meglio gli autori hanno chiamato messaggio una singola unità di comunicazione ed interazione una serie di messaggi scambiati tra persone. Un sistema di questo tipo, di cui le persone sono gli  elementi e l'interazione tramite la comunicazione è il processo che le lega, è inevitabilmente un sistema complesso, tuttavia per mezzo degli strumenti sviluppati nell'ambito della teoria generale dei sistemi e della Ia e IIa cibernetica è possibile identificare delle strutture nei processi interattivi, definite come modelli di interazione - un'unità di comunicazione di livello più elevato che rappresenta la ripetizione o ridondanza di eventi comunicativi/comportamentali - che spiega il comportamento osservato in due o più individui non-isolati i quali, per il primo assioma, non possono non-comunicare e quindi non-interagire.
  • L'interazione come sistema
L’interazione può essere considerata come un sistema e la teoria generale dei sistemi ci aiuta a capire la natura dei sistemi interattivi. La Teoria Generale dei Sistemi non è soltanto una teoria dei sistemi della biologia, dell’economia e dell’ingegneria. Nonostante che le materie di cui si occupano presentino aspetti assai diversi, queste teorie dei sistemi particolari hanno in comune tante concezioni che hanno reso possibile sviluppare una teoria più generale la quale organizza i punti in comune in isomorfismi formali.
  • Definizione di sistema
Per cominciare possiamo rifarci alla definizione di sistema che hanno dato A. D. Hall e R. E. Fagen nel 1956: "Un insieme di oggetti e di relazioni tra gli oggetti e tra i loro attributi", in cui gli oggetti sono componenti o parti del sistema, gli attributi sono le proprietà degli oggetti, e le relazioni “tengono insieme” il sistema. Mentre gli oggetti possono essere degli individui, gli attributi che servono ad identificarli sono i loro comportamenti di comunicazione. I due studiosi precisano che "le relazioni dobbiamo considerare nel contesto di un dato insieme di oggetti dipendono dal problema in questione poiché vengono incluse le relazioni importanti o interessanti ed escluse quelle banali o irrilevanti. Decidere quali relazioni siano importanti e quali banali spetta alla persona che si occupa del problema, cioè la questione della banalità è relativa all’interesse che si ha per il problema". Qui l’aspetto che è importante non è il contenuto della comunicazione in sé, ma l’aspetto di relazione (“comando”) della comunicazione umana. Sono sistemi interattivi dunque due o più comunicanti impegnati nel processo di definire la natura della loro relazione (o che si trovano a un livello tale per farlo).
  • Ambiente e sottosistemi
Quando si definisce un sistema è importante definire anche il suo ambiente. "L’ambiente di un dato sistema è costituito dall’insieme di tutti gli oggetti che sono tali che un cambiamento nei loro attributi influenza il sistema e anche di quegli oggetti i cui attributi sono cambiati dal comportamento del sistema ... Ogni sistema dato si può ulteriormente suddividere in sottosistemi e gli oggetti che appartengono a un sottosistema si possono benissimo considerare che facciano parte dell’ambiente di un altro sottosistema".
Che il concetto di sistema-ambiente e sistema-sottosistema sia così elusivo e flessibile spiega in gran parte l’efficacia che la teoria dei sistemi ha nello studio dei sistemi viventi (organici), perché "i sistemi organici sono aperti, cioè scambiano materiali, energie o informazione col loro ambiente. Un sistema è chiuso se non c’è alcuna immissione o emissione di energia in nessuna delle sue forme".
Con lo sviluppo della teoria dei sottosistemi aperti gerarchicamente ordinati, non occorre più isolare artificialmente il sistema dal suo ambiente: essi si compenetrano all’interno della stessa struttura teorica.

  • Proprietà dei sistemi aperti
    Totalità
    Ogni parte di un sistema è in rapporto tale con le parti che lo costituiscono che qualunque cambiamento in una parte causa un cambiamento in tutte le parti e in tutto il sistema. Vale a dire, un sistema non si comporta come un semplice composto di elementi indipendenti, ma coerentemente come un tutto inscindibile. Se le variazioni di una parte non influenzano le altre o il tutto, è allora chiaro che le parti non dipendono allora l’una dall’altra e costituiscono invece un “agglomerato” (heap) che non ha una complessità maggiore di quella che risulta dalla somma dei suoi elementi. La sommatività e la totalità si trovano dunque ai due poli di un continuum ipotetico e si può affermare che un qualche grado di totalità caratterizza sempre i sistemi.
    La non-sommatività in quanto corollario della nozione di totalità ci offre una guida negativa per definire un sistema. Un sistema non può essere fatto coincidere con la somma delle sue parti; infatti, l’analisi formale di segmenti isolati artificialmente distruggerebbe l’oggetto stesso dell’interesse. E’ necessario trascurare le parti per la Gestalt e fare attenzione a ciò che ne sostanzia la complessità, che è l’organizzazione. Il concetto psicologico di Gestalt è soltanto un modo per esprimere il principio di non-sommatività; in altri campi si nutre un grande interesse per la “qualità emergente” (emergent quality) che scaturisce dall’interrelazione di due o più elementi. Quando si considera l’interazione come la conseguenza di certe “proprietà” individuali (ruolo, valori, aspettazioni e motivazioni) il composto –due o più individui che interagiscono- è una pura somma, un “agglomerato” che si può spezzare in unità più fondamentali (individuali). Per contro, quel che consegue dal primo assioma della comunicazione –secondo cui ogni comportamento è comunicazione e quindi non si può non-comunicare- è che le sequenze di comunicazione sono reciprocamente inscindibili; in breve, che l’interazione è non-sommativa.
    Un’altra teoria dell’interazione contraddetta dal principio di totalità è quella dei rapporti unilaterali tra elementi, cioè che A può influenzare B ma non viceversa. Asserire che il comportamento di A provoca il comportamento di B vuol dire negare l’effetto del comportamento di B sulla reazione di A; in realtà, è come distorcere la cronologia degli eventi punteggiando certi rapporti a tratto forte e oscurandone altri. Quando la relazione è complementare è facile perdere la totalità dell’interazione e spezzettarla in unità indipendenti e linearmente causali.

    Retroazione
    L’unione delle parti di un sistema non è dovuta quindi né ai rapporti unilaterali, né a quelli sommativi. Dall’avvento della cibernetica e dalla “scoperta” della retroazione, ci si è resi conto che una correlazione circolare e assi complessa è un fenomeno notevolmente diverso ma non meno scientifico delle nozioni causali più semplici e più ortodosse. Retroazione e circolarità sono il modello causale appropriato per la teoria dei sistemi interattivi.

    Equifinalità
    In un sistema circolare e autoregolantesi, i “risultati” non sono determinati tanto dalle condizioni iniziali quanto dalla natura del processo o dai parametri del sistema. Secondo il principio di equifinalità gli stessi risultati possono avere origini diverse perché ciò che è determinante è la natura dell’organizzazione. Secondo von Bertalanffy:
    "Il principio di equifinalità caratterizza lo stato stazionario dei sistemi aperti; ciò, contrariamente a quanto si verifica nei sistemi chiusi dove sono le condizioni iniziali a determinare lo stato di equilibrio, nei sistemi aperti soltanto i parametri del sistema determinato lo stato che è indipendente (anche temporalmente) dalle condizioni iniziali". Se il comportamento equifinale dei sistemi aperti è basato sulla loro indipendenza dalle condizioni iniziali, allora non soltanto condizioni iniziali diverse possono produrre lo stesso risultato finale ma risultati diversi possono essere prodotti dalle stesse “cause”. E’ un corollario che poggia anch’esso sulla premessa che i parametri del sistema prevalgono sulle condizioni iniziali.
    Il comportamento tradizionalmente classificato come “schizofrenico” non venga più reificato ma piuttosto studiato soltanto nel contesto interpersonale in cui si attua –la famiglia, l’istituzione- dove risulta chiaro che questo comportamento non è semplicemente né il risultato né la causa delle condizioni ambientali, di solito strane, ma la parte complessamente integrata di un sistema patologico in corso.
    Infine, una delle caratteristiche più significative dei sistemi aperti è il comportamento equifinale, che contrasta in modo particolare con il modello del sistema chiuso. Lo stato finale del sistema chiuso è completamente determinato dalle circostanze iniziali per cui possiamo sostenere che esse sono la migliore “spiegazione” di quel sistema. Ma, nei sistemi aperti, le caratteristiche organizzative del sistema possono operare in modo da ottenere –ed è il caso limite- anche l’indipendenza totale dalle condizioni iniziali: il sistema è in tal caso la propria migliore spiegazione e lo studio della sua organizzazione attuale la metodologia appropriata.


    • Sistemi interattivi in corso
    I sistemi caratterizzati dalla stabilità sono quelli codiddetti con “stato stazionario”. Secondo A. D. Hall e R. E. Fagen, "un sistema è stabile rispetto a certe sue variabili se tali variabili tendono a restare entro i limiti definiti".

    Relazioni in corso
    E’ quasi inevitabile che un simile livello di analisi concentri l’attenzione sulle relazioni in corso in gruppi-vitali-con-storie, cioè su quelle che sono
    a.) importanti per entrambe le parti
    b.) di lunga durata.
    In una visione globale non si può ignorare il perché dell’energia e dello scopo (pulsione e bisogni, in termini psicologici), ma non si può neppure ignorare la natura dell’operazione, il come.

    Limitazione
    Esistono dei fattori identificabili, intrinseci al processo di comunicazione che servono a legare e a perpetuare una relazione.
    In via sperimentale questi fattori si possono far rientrare nella nozione di effetto limitante della comunicazione, tenendo presente che in una sequenza di comunicazione, ogni scambio di messaggi restringe il numero delle possibili mosse successive. Il contesto può essere più o meno limitante, ma in qualche misura determina sempre le situazioni contingenti. Definire una relazione come simmetrica o complementare oppure imporre una punteggiatura particolare sono atti che in linea di massima limitano la persona che ci sta di fronte. Vale a dire, non è soltanto il trasmettitore ma anche la relazione (che include il ricevitore) a risentire di questo modo di considerare la comunicazione.

    Regole di relazione
    In ogni comunicazione i partecipanti si danno a vicenda delle definizioni della loro relazione, o per dirla con più precisione, ciascuno cerca di determinare la natura della relazione. Analogamente, ciascuno risponde con quella che è la sua definizione della relazione, la quale può confermare, rifiutare o modificare la definizione che ha dato l’altro. E’ un processo che garantisce la massima attenzione, poiché in una relazione in corso non si può certo lasciarlo irrisolto o fluttuante. Se il processo non si stabilizzasse, le grandi variazioni che si verificherebbero e l’impaccio che ne conseguirebbe, per non dire che i partecipanti non sarebbero in grado di definire di nuovo la relazione ad ogni scambio, porterebbero al runaway e alla dissoluzione della relazione. Le famiglie patologiche, sono l’esempio più evidente di questa necessità.
    D. D. Jackson ha dato il nome di regola della relazione allo stabilizzarsi delle definizioni della relazione stessa. Si nota la tendenza a circoscrivere al massimo entro una configurazione ridondante i comportamenti possibili di qualunque particolare dimensione, il che ha spinto ulteriormente lo studioso a caratterizzare le famiglie come sistemi governati da regole. E’ evidente che questo non vuol dire che leggi a priori governano il comportamento della famiglia.


    Famiglia in quanto sistema
    La teoria delle regole di famiglia non è certo in contrasto con la definizione di sistema secondo cui un sistema è stabile rispetto a certe sue variabili se tali variabili tendono a restare entro limiti definiti.
    D. D. Jackson ha proposto un modello simile per l’interazione della famiglia quando ha elaborato il concetto di omeostasi familiare. Osservò che le famiglie di pazienti psichiatrici manifestavano ripercussioni violente (ad esempio depressione, attacchi psicosomatici...) quando il paziente migliorava, per cui postulò che tali comportamenti e forse anche la malattia del paziente erano “meccanismi omeostatici” che operavano per restituire al sistema disturbato il suo precario equilibrio.

    Totalità
    Il comportamento di ogni individuo all’interno della famiglia è in rapporto con il comportamento di tutti gli altri membri. Quando il membro della famiglia identificato come paziente ha un miglioramento o un peggioramento, di solito questi suoi cambiamenti hanno un effetto sugli altri membri della famiglia.

    Non-sommatività
    L’analisi di una famiglia non è la somma delle analisi dei suoi membri individuali. Molte “qualità individuali” dei membri, soprattutto il comportamento sintomatico, sono in realtà proprie del sistema.
    Secondo W. F. Fry i sintomi di un dei partner sembrano proteggere il coniuge e a sostegno di questa tesi fa notare che l’inizio dei sintomi è tipicamente in correlazione con un cambiamento nella situazione di vita del coniuge, un cambiamento che potrebbe essere una fonte di ansia per il coniuge. Il modello interattivo e il problema caratteristico di queste coppie lo studioso lo definisce “controllo duale”.

    Retroazioni e omeostasi
    Il sistema familiare reagisce ai dati in ingresso (azioni dei membri della famiglia o circostanze ambientali) e li modifica. Si deve considerare la natura del sistema e dei suoi meccanismi di retroazione come pure la natura dei dati in ingresso (equifinalità).
    Il termine omeostasi equivale ormai a stabilità o a equilibrio, non soltanto quando lo si applica alla famiglia ma anche in altri campi. Ma esistono due definizioni di omeostasi:
    1. in quanto fine, o stato, specificamente il fatto che esiste una certa costanza di fronte al cambiamento (esterno);
    2. in quanto mezzo: i meccanismi di retroazione negativa che agiscono per minimizzare il cambiamento.
    Attualmente è più chiaro far riferimento allo stato stazionario o alla stabilità di un sistema, che in genere è mantenuta da meccanismi di retroazione negativa.
    A caratterizzare tutte le famiglie che rimangono unite deve esserci qualche grado di retroazione negativa che consente loro di resistere alle tensioni imposte dall’ambiente e dai singoli membri. Le famiglie disturbate sono particolarmente refrattarie al cambiamento e spesso dimostrano una notevole capacità di mantenere lo status quo mediante una retroazione prevalentemente negativa.
    Ma nelle famiglie esiste anche un processo di apprendimento e di crescita, ed è proprio qui che un modello di pura omeostasi compie gli errori maggiori, perché questi effetti sono più vicini alla retroazione positiva. 

    Calibrazione e funzioni a gradino
    L’analogia classica col termostato della caldaia per il riscaldamento illustrerà i termini di “calibrazione” e “funzione a gradino”. Il termostato viene regolato, o calibrato, per una certa temperatura della stanza, le fluttuazioni al di sotto di tale temperatura attiveranno la caldaia finché la deviazione non viene corretta (retroazione negativa) e la temperatura della stanza non è di nuovo entro l’ambito della calibrazione. Si consideri però che cosa accade quando si cambia la messa a punto del termostato – cioè quando viene regolato per una temperatura più alta o più bassa-; è chiaro che il comportamento del sistema nel suo insieme è diverso anche se il meccanismo di retroazione negativa resta esattamente lo stesso. Questo cambiare la calibrazione, così come il cambiare la messa a punto del termostato o le marce di un’automobile sono “funzioni a gradino”.
    Occorre rilevare che una funzione simile ha un effetto stabilizzatore. Inoltre, le funzioni a gradino consentono di ottenere effetti che sono maggiormente adattativi. Per il circuito di retroazione conducente-acceleratore-velocità della macchina esistono precisi limiti per ciascuna marcia, il che rende necessaria una ricalibrazione (cambio di marcia) per accrescere la velocità o per salire una collina. Sembra che anche nelle famiglie le funzioni a gradino abbiano un effetto stabilizzatore: la psicosi è un brusco cambiamento che ricalibra il sistema e può persino essere adattivo. Cambiamenti interni che praticamente sono inevitabili (l’età e la maturazione sia dei genitori che dei figli) possono cambiare la messa a punto di un sistema, sia gradatamente dall’interno sia drasticamente dall’esterno quando l’ambiente sociale incide su questi cambiamenti. E alla fine può portare a una nuova messa a punto del sistema (funzione a gradino). 

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