venerdì 15 marzo 2013

il canto del Tao

Tilopa (988 – 1069) fu un mahasiddha indiano del Buddhismo Vajrayana e inventore del corpo di pratiche spirituali del tantrismo tibetano noto come Mahamudra. Viene considerato il primo patriarca della tradizione Kagyu (bKa'-rgyud) del Buddhismo tibetano e nove suoi libri sono conservati, tradotti, nel canone tibetano.
Di questi il Canto di Mahamudra, in cui si rivolge al suo discepolo Nāropā, esprime ciò che è inesprimibile - "al di là di ogni parola e simbolo" - che rappresenta la comprensione suprema, dove il soggetto che conosce e l'oggetto conosciuto scompaiono e rimane solo la conoscenza:

Mahamudra è al di là di ogni parola e simbolo.
Ma per te, Naropa, fervente e leale,
questo va detto:

il Vuoto non ha bisogno di supporto;
Mahamudra non poggia su nulla.
Senza compiere alcuno sforzo,
restando sciolti e naturali,
è possibile spezzare il giogo,
e ottenere la Liberazione. 

Se, guardando nello spazio, non si vede nulla,
e se, allora, con la mente si osserva la mente,
si distrugge ogni distinzione
e si raggiunge la Buddhità. 


Le nubi che vagano per il cielo
non hanno radici, non hanno casa;
e così sono anche i pensieri discriminanti
che attraversano la mente.
Quando si è vista la mente universale,
ogni discriminazione cessa.

Nello spazio nascono forme e colori,
ma lo spazio non è macchiato né dal bianco né dal nero.
Dalla mente universale emerge ogni cosa,
ma essa non è macchiata né dai vizi né dalle virtù. 


L'oscurità dei secoli
non può velare lo splendore del sole;
le lunghe ere del samsara
non possono nascondere la chiara luce della Mente.

Benché ci si serva di parole per spiegare il Vuoto
il Vuoto in quanto tale è inesprimibile.
Benché si dica che "la Mente è una luce brillante",
essa è al di là di ogni parola e simbolo.
Benché la sua essenza sia il Vuoto,
essa abbraccia e contiene ogni cosa. 

Non fare nulla col corpo, rilassati;
chiudi stretta la bocca e resta in silenzio;
vuota la mente e non pensare a nulla,
Come un bambù cavo, lascia che il tuo corpo riposi a suo agio,
Senza dire né prendere, metti a riposo la mente,
Mahamudra è come una mente che non si attacca a nulla,
Praticando in questo modo, col tempo raggiungerai la Buddhità.

La pratica di mantra e pāramita,
la conoscenza dei sutra e dei precetti,
gli insegnamenti delle scuole e delle scritture
non valgono a produrre la consapevolezza della verità innata;
perché la mente che, piena di desiderio,
insegue un fine
non fa che nascondere la luce.

Colui che tien fede ai precetti tantrici, e tuttavia discrimina,
tradisce lo spirito del samara.
Desisti da ogni attività, abbandona ogni desiderio;
lascia che i pensieri salgano e scendano
a loro piacimento, come onde dell'oceano.
Colui che non viene mai meno al non-dimorare,
ne al principio di non-distinzione,
adempie ai precetti tantrici.

Colui che abbandona il desiderio
e non si attacca a questo o a quello,
coglie il vero significato contenuto nelle scritture.

Trascendere la dualità è il punto di vista regale;
domare le distrazioni è la pratica regale;
il cammino della non-pratica è il cammino di tutti i Buddha,
percorrendolo si perviene alla Buddhità.

Questo mondo è effimero
come sogno o fantasma, privo di sostanza.
Rinuncia a esso, abbandona la tua gente,
taglia i legami della lussuria e dell'odio,
e medita nei boschi e sulle montagne.

Se, sciolto e senza sforzo,
ti mantieni nella naturalezza,
presto otterrai Mahamudra
e raggiungerai il non-raggiungimento. 

Taglia la radice di un albero e le foglie appassiscono;
taglia la radice della mente e il samsara cade.
La luce di una lampada disperde in un istante
L’oscurità di lunghe ere:
la luce abbagliante della Mente
consuma in un attimo il velo dell’ignoranza.

Chi si aggrappa alla mente
non vede la verità che sta oltre la mente.
Chi si sforza di praticare il Dharma
non trova la verità che è al di là della pratica.
Per conoscere ciò che è al di là sia della mente che della pratica
bisogna tagliare di netto la radice della mente
e, nudi, guardare;
bisogna abbandonare ogni distinzione
e restare rilassati.


Non bisogna dare né prendere,
bensì restare naturali:
Mahamudra è al di là dell'accettazione e del rifiuto.
Poiché ālaya non è mai nata
non conosce macchia né ostruzione;
dimorando nella sfera dell'innato
le apparenze si dissolvono nel Dharmata,
e volontà autonoma e orgoglio svaniscono nel nulla.

La comprensione suprema
trascende questo e quello.
L'azione suprema unisce
grande ingegnosità e assoluto distacco.
La realizzazione suprema consiste
nel comprendere l'immanenza senza speranza. 


Dapprima la mente del praticante
precipita come una cascata;
a metà strada, come il Gange
fluisce lenta e placida;
alla fine è un vasto oceano,
in cui la luce del figlio e quella della madre si fondono.


L'esperienza della realtà ultima non è affatto un'esperienza, perché colui che esperisce è andato perduto. E, quando non c'è più chi esperisce, cosa si può dire dell'esperienza? E chi può dirlo? Chi può riferire l'esperienza? Quando non c'è più il soggetto, anche l'oggetto scompare; scompaiono le rive, resta solo il fiume dell'esperienza. C'è il conoscere, ma non chi conosce.
Questo è stato il problema di tutti i mistici: raggiunta la realtà ultima, non sono in grado di riferirne ai loro seguaci, agli altri che vorrebbero comprenderla razionalmente. Sono diventati una cosa sola con la realtà ultima: il loro intero essere la racconta, ma non nel linguaggio della mente. Possono comunicartela, se sei pronto a riceverla; possono far sì che accada in te, se anche tu sei pronto a lasciarla accadere, se sei ricettivo e aperto. Ma le parole non bastano, i simboli non servono, le teorie e le dottrine sono inutili.
È piuttosto un esperire che un'esperienza, è un processo: ha un inizio, ma non una fine. Ci entri dentro, ma non arrivi mai a possederlo. È come una goccia che cade nell'oceano; oppure come l'oceano stesso che cade nella goccia. È una fusione profonda, è unità; unità in cui ti perdi. Di te non resta nulla; neppure una traccia dietro di te. Perciò chi può comunicare? Chi può tornare da quelle altezze luminose a questa notte oscura, a riferire ciò che è accaduto?
È di tutti i mistici, in tutto il mondo, l'impotenza nei confronti della comunicazione. È possibile la comunione; ma non la comunicazione. Questo va compreso fin dall'inizio. La comunione è l'incontro di due cuori, è una faccenda d'amore. La comunicazione coinvolge la testa, la comunione il cuore. La comunione è qualcosa che si sente. La comunicazione è trasmissione di conoscenza: vengono date solo parole; e vengono prese, e comprese, solo parole. E la natura delle parole è tale che attraverso di loro non si può trasmettere nulla di vivo. Anche nell'ambito dell'esperienza ordinaria, per non parlare della realtà ultima, i momenti di estasi, i momenti in cui si sente e si è veramente, sono impossibili da riferire a parole.

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