Serpente piumato raffigurante Quetzalcoatl dal Codice Telleriano-Remensis |
La conclusione del sesto libro di Carlos Castaneda riprende sotto un punto di vista estremamente diverso l'epica conclusione del quarto, percepita e descritta dalla seconda attenzione del lato sinistro. La scena, che nel lato destro della prima attenzione era l'esercizio finale dell'apprendistato, buttarsi dalla cima di una montagna per essere costretti per salvarsi ad entrare totalmente nella seconda attenzione, nel lato sinistro della seconda attenzione contiene la disintegrazione del gruppo di Don Juan e Don Genaro nell'infinito.
Tempio del serpente pimuato, Xochicalco |
IL SERPENTE PIUMATO
Raggiunte tutte le mete indicate dalla regola, don Juan e il suo seguito di guerrieri erano pronti per il compito finale, il distacco dal mondo della vita quotidiana. Tutto quel che restava da fare alla Gorda, agli altri apprendisti e a me, era assistere all’evento. C’era solo un problema irrisolto: che fare degli apprendisti? Don Juan disse che di norma dovevano partire con lui, incorporandosi nel gruppo; però non erano pronti. Le reazioni che avevano avute nel tentativo di attraversare il ponte gli avevano lasciato vedere i loro punti deboli.
Don Juan disse che, secondo lui, era stata saggia la scelta del suo benefattore, che aveva atteso anni prima di mettergli insieme un seguito di guerrieri, e aveva prodotto risultati positivi, mentre la propria decisione di organizzarmi rapidamente un gruppo insieme alla donna Nagual ci era stata quasi fatale.
Capii che quanto diceva non era tanto un’espressione di rammarico quanto un’affermazione della libertà del guerriero di scegliere e di accettare la sua scelta. Disse inoltre che aveva preso in seria considerazione l’idea di seguire l’esempio del suo benefattore e che se l’avesse fatto avrebbe scoperto abbastanza presto che io non ero un Nagual simile a lui o che nessuno all’infuori di me sarebbe stato impegnato oltre quel punto. Al momento Lydia, Rosa, Benigno, Nestor e Pablito presentavano problemi seri; la Gorda e Josefina avevano bisogno di tempo per perfezionarsi; soltanto Soledad ed Eligio erano sicuri, in quanto erano forse persino più avanti dei guerrieri del suo seguito. Don Juan aggiunse che stava a ciascuno dei nove considerare le proprie circostanze, favorevoli o sfavorevoli che fossero, e, senza rincrescimento, disperazione o pacche sulla schiena, trasformare la maledizione o la benedizione in sfida di vita.
Don Juan fece notare che non tutto quel che avevamo fatto era stato un fallimento - la particina che avevamo avuto tra i suoi guerrieri era stata un trionfo completo in quanto la regola si attagliava a tutto il mio gruppo, me escluso. Ero pienamente d’accordo con lui.Per cominciare, la donna NaguaI era proprio come diceva la regola.Aveva grazia, controllo; creatura di guerra, eppure sempre serena.Senza alcuna manifesta preparazione, aveva trattato e diretto tutti i ben dotati guerrieri di don Juan anche se avevano più del doppio della sua età. Questi, uomini e donne, asserirono che lei era una copia esattadell’altra donna Nagual che avevano conosciuto. Rifletteva alla perfezione ognuna delle guerriere, e di conseguenza rifletteva anche le cinque donne che don Juan aveva trovato per il mio gruppo, in quanto esse stesse replica delle più anziane. Lydia era come Hermelinda, Josefina come Zuleica, Rosa e la Gorda come Nelida, e Soledad come Delia.
Anche gli uomini erano repliche dei guerrieri di don Juan: Nestor era copia di Vicente, Pablito di Genaro, Benigno di Silvio Manuel ed Eligio di Juan Tuma. La regola era in fondo la voce di un potere sconvolgente che aveva plasmato queste persone in un tutto omogeneo. Solo per uno strano capriccio della sorte erano rimasti in difficoltà senza un capo che potesse trovare per loro il passaggio nell’altra consapevolezza.
Don Juan disse che tutti i componenti del mio gruppo dovevano entrare nell’altra consapevolezza per proprio conto, e che egli non sapeva quali probabilità avessero perché dipendeva individualmente da ognuno di loro. Egli aveva aiutato in maniera impeccabile tutti,così il suo spirito era libero da pensieri e preoccupazioni e la mente scevra da inutili speculazioni. Tutto quel che gli rimaneva da fare era mostrarci pragmaticamente ciò che voleva dire attraversare le linee parallele nella propria totalità.
Don Juan mi disse che al massimo avrei soltanto potuto aiutare uno degli apprendisti e che lui aveva scelto la Gorda per il suo coraggio e perché io già la conoscevo. Disse che non mi restava più energia per gli altri, per il fatto che avevo ancora diversi doveri da compiere, ulteriori vie di azione, in carattere con il mio vero compito. Don Juan mi spiegò che ognuno dei suoi guerrieri sapeva qual era quel compito ma non me lo avevano rivelato perché io dovevo dimostrare di esserne degno. Il fatto che loro si trovassero al termine del cammino e che io avessi seguito alla lettera quanto mi veniva insegnato, rendeva imperativo che tale rivelazione avvenisse, anche se solo parzialmente.
Quando per don Juan fu giunto il momento di andare, me ne informò mentre ero in uno stato di consapevolezza normale. Non colsi il significato di quanto andava dicendo. Don Juan cercò fino all’ultimo di indurmi a unire i miei due stati di consapevolezza. Tutto sarebbe stato così semplice, se fossi stato capace di quella fusione. Poiché non ci riuscii, ed ero toccato solo razionalmente dalla sua rivelazione, mi fece cambiare livello di consapevolezza per farmi valutare l’avvenimento in termini più ampi.
Mi segnalò ripetute volte che essere nella consapevolezza del lato sinistro rappresenta un vantaggio solo nel senso che si accelera la nostra conoscenza delle cose. E uno svantaggio perché ci permette di focalizzare con inconcepibile lucidità solo una cosa per volta, e questo ci rende dipendenti e vulnerabili. Non possiamo star per conto nostro mentre ci troviamo nella consapevolezza del lato sinistro e dobbiamo esser protetti dai guerrieri che si sono guadagnata la totalità del proprio essere e sanno come comportarsi in quella condizione.
La Gorda disse che un giorno il Nagual Juan Matus e Genaro avevano radunato tutti gli apprendisti in casa sua. Il Nagual li aveva fatti spostare nella consapevolezza del lato sinistro e li aveva informati che il suo tempo sulla terra si era concluso.
Lei all’inizio non gli aveva creduto. Pensava che stesse cercando di scuoterli per farli agire da guerrieri. Ma poi s’era accorta che c’era nei suoi occhi uno scintillio che non gli aveva mai visto prima.
Dopo aver fatto cambiare loro livello di consapevolezza, don Juan chiacchierò individualmente con ognuno esigendo un riepilogo, come per ripassare tutti i concetti e le procedure che avevano imparato con lui. Fece lo stesso con me. Il nostro incontro avvenne il giorno prima che io lo vedessi per l’ultima volta. Nel mio caso egli fece il riepilogo in tutti e due i livelli di consapevolezza. Infatti, mi fece spostare dall’uno all’altro diverse volte quasi per assicurarsi che fossi davvero saturo sia nell’uno sia nell’altro.
Dapprima non m’era riuscito di ricordare come s’era svolto questo riepilogo. Un giorno la Gorda riuscì infine a spezzare le barriere della mia memoria. Mi disse che si trovava nella mia mente come se mi stesse leggendo. A suo giudizio, quel che mi bloccava la memoria era la paura di rammentare il mio dolore. Quanto era accaduto in casa di Silvio Manuel la notte prima che partissero era indissolubilmente intrecciato con il mio terrore. Disse di avere la netta sensazione che avessi paura, ma non ne conosceva il motivo. Né poteva ricordare quel che era accaduto con esattezza in quella casa, in particolare nella stanza dove eravamo soliti sederci.
Mentre la Gorda parlava mi parve di precipitare in un abisso. Mi accorsi che una parte di me stava cercando di trovare una connessione tra due avvenimenti separati cui avevo assistito nei miei due stati di consapevolezza. Sul lato sinistro avevo racchiuso i ricordi dell’ultimo giorno terreno di don Juan e del suo seguito di guerrieri, sul lato destro avevo il ricordo di essere saltato nell’abisso, quel giorno. Cercando di unire i miei due lati, provai una sensazione di totale cedimento fisico. Mi si piegarono le ginocchia e caddi in terra.
Quando descrissi alla Gorda la mia esperienza e come l’avevo interpretata, lei disse che senza dubbio quanto stava tornando alla mia consapevolezza del lato destro era la memoria che era affiorata in lei mentre io parlavo. S’era appena ricordata che avevamo fatto un ultimo tentativo di attraversare le linee parallele con il Nagual Juan Matus e il suo gruppo. Mi disse che noi due con il resto degli apprendisti avevamo cercato ancora una volta di attraversare il ponte.
Non mi riusciva di mettere a fuoco quel ricordo. Sembrava ci fosse una forza costrittiva che mi impediva di organizzare pensieri e sensazioni a quel proposito. La Gorda disse che Silvio Manuel aveva detto al Nagual Juan Matus di preparare alla traversata me e tutti gli apprendisti. Non voleva lasciarmi su questo mondo perché pensava che non sarei mai riuscito ad adempiere al mio compito. Il Nagual non era d’accordo con lui ma effettuò i preparativi nonostante la pensasse diversamente.
La Gorda mi disse di ricordarsi che ero andato a prenderla in macchina per portarla insieme agli altri apprendisti alla casa di Silvio Manuel. Loro erano restati lì mentre io ero tornato dal Nagual Juan Matus e da Genaro per prepararmi alla traversata.
Non me lo ricordavo affatto. Lei insisteva perché la usassi come guida, visto che eravamo uniti così intimamente; mi assicurò che avrei potuto leggerle la mente e trovarvi qualcosa che avrebbe risvegliato il mio completo ricordo.
La mia testa era tutta in subbuglio. Una grande ansietà mi impediva perfino di concentrarmi su quello che stava dicendo la Gorda. Lei continuava a parlare, descrivendo ciò che rammentava del nostro secondo tentativo di attraversare quel ponte. Disse che Silvio Manuel aveva fatto un discorso. Aveva detto che avevano abbastanza pratica per tentare una seconda volta la traversata; quello di cui avevano bisogno per entrare in pieno nel proprio altro era di abbandonare la volontà della prima attenzione. Una volta che avessero raggiunto la consapevolezza del proprio altro, il potere del Nagual Juan Matus e del suo seguito li avrebbe raccolti e sollevati fino alla terza attenzione con grande facilità - cosa che non potevano fare se gli apprendisti si trovavano nella consapevolezza normale.
A un certo punto, non stavo più ascoltando la Gorda. Il suono della sua voce in realtà mi fece da tramite. D’un tratto mi riaffiorò alla mente il ricordo di tutto quanto era accaduto. Barcollai, all’impatto con la memoria. La Gorda smise di parlare e mentre le descrivevo tutto quanto, tornò in mente anche a lei. Avevamo messo insieme gli ultimi pezzi delle memorie separate dei nostri due stati di consapevolezza.
Mi ricordai che don Juan e don Genaro mi avevano preparato alla traversata mentre ero in stato di consapevolezza normale. Avevo pensato razionalmente che mi stessero preparando per farmi saltare in un abisso.
La Gorda ricordava che per prepararli alla traversata Siivio Manuel li aveva issati fino alle travi del soffitto assicurati in imbracature di cuoio. Ce n’era una in ogni stanza. Gli apprendisti furono tenuti sospesi quasi tutto il giorno.
La Gorda commentò che avere un’imbracatura in camera è ideale. I Genaros, senza sapere bene quel che facevano, avevano centrato il quasi-ricordo delle imbracature nelle quali erano stati sospesi e avevano creato un loro gioco. Era un gioco che combinava le qualità curative e purificatrici dello star sollevati da terra, con la possibilità di esercitare la concentrazione di cui si ha bisogno per spostarsi dalla consapevolezza del lato destro a quella del sinistro. Quel loro gioco era, in fondo un espediente per far ricordare.
La Gorda disse che, dopo che lei e gli apprendisti erano rimasti sospesi tutto il giorno, all’imbrunire Silvio Manuel li aveva messi giù. Quindi erano andati tutti al ponte con lui e avevano aspettato lì con il resto del seguito finché non erano arrivati il Nagual Juan Matus eGenaro con me. Il Nagual Juan Matus aveva spiegato a tutti di aver impiegato più del previsto a prepararmi.
Mi ricordavo che don Juan e i suoi guerrieri avevano attraversato il ponte prima di noi. Dona Soledad ed Eligio andarono con loro automaticamente. La donna Nagual attraversò per ultima. Dall’altra parte del ponte Silvio Manuel ci fece segno di cominciare a camminare. Senza dire una parola, ci avviammo tutti insieme. A metà del ponte Lydia, Rosa e Pablito non sembrarono più in grado di fare un passo. Benigno e Nestor giunsero fin quasi all’estremità e poi si fermarono. Solo la Gorda, Josefina e io arrivammo fin dove stava don Juan con gli altri.
Quel che accadde dopo fu molto simile a quanto era accaduto al nostro primo tentativo di traversata. Silvio Manuel ed Eligio tenevano aperto qualcosa che mi sembrava proprio una fessura. Avevo abbastanza energia per concentrarvi la mia attenzione. Non era una spaccatura nella collina situata all’estremità del ponte e neanche nel muro di nebbia, benché riuscissi a scorgere un vapore nebbioso tutt’intorno all’apertura. Era un orifizio scuro e misterioso, a sé stante, discosto da ogni altra cosa; alto quanto un uomo ma forse più stretto. Don Genaro fece una battuta e lo chiamò “vagina cosmica”, suscitando sghignazzate fra i suoi pari. La Gorda e Josefina si tennero strette a me ed entrammo.
Ebbi l’immediata sensazione di essere schiacciato. La stessa incommensurabile forza che mi aveva quasi fatto scoppiare la prima volta, mi aveva afferrato di nuovo. Sentivo che la Gorda e Josefina si fondevano in me. Mi sembrava di essere più largo di loro e la forza ci appiattiva l’un contro l’altro.
La prima cosa di cui ebbi conoscenza fu che ero disteso supino per terra e su di me c’erano la Gorda e Josefina. Silvio Manuel ci aiutò a rialzarci. Mi disse che non sarebbe stato possibile unirci a loro in quel viaggio ma che forse più tardi, quando avessimo raggiunto il perfetto accordo tra noi, l’Aquila ci avrebbe fatti passare.
Mentre tornavamo a piedi verso casa, Silvio Manuel mi bisbigliò che da quella notte la loro strada e la mia divergevano l’una dall’altra. Disse che non si sarebbero più incontrate e che io ero solo. Mi invitò a essere frugale e a utilizzare ogni frammento di energia senza mai sciuparne nulla. Mi assicurò che se fossi riuscito a raggiungere la totalità del mio essere senza troppe perdite, ne avrei avuta abbastanza per portare a termine il mio compito. Se mi fossi esaurito eccessivamente prima di perdere la forma umana, ero spacciato.
Gli chiesi se c’era un modo per evitare d’esaurirsi. Scosse il capo. Rispose che un modo c’era, ma non per me. Che riuscissi o meno, non dipendeva dalla mia volontà. Poi mi rivelò qual era il mio compito, ma non mi disse come portarlo a termine. Disse che un giorno l’Aquila avrebbe messo qualcuno sulla mia strada per dirmi come fare. E non sarei stato libero fino a quando non ci fossi riuscito.
Quando arrivammo alla casa, ci radunammo tutti in un’ampia stanza. Don Juan si sedé al centro, volto verso sud-est. Lo circondavano le otto guerriere. Sedevano a due a due ai punti cardinali, anche loro volte a sud-est. Poi i tre guerrieri formarono un triangolo esterno al cerchio, con Silvio Manuel al vertice che puntavaa sud-est. Dei quattro messaggeri, le due donne gli si sedettero ai fianchi e i due uomini di fronte, quasi contro il muro.
La donna Nagual fece sedere gli apprendisti maschi contro il muro che dava a est, e le donne contro quello che dava a ovest. Dopo mi guidò a un posto proprio dietro a don Juan. Ci sedemmo insieme.
Restammo seduti per quel che mi parve solo un istante, eppure mi sentii in corpo un’ondata di energia insolita. Mi sembrava che ci fossimo seduti e poi alzati immediatamente dopo. Quando chiesi alla donna Nagual perché ci eravamo alzati così presto, lei mi rispose che eravamo lì da parecchie ore e che un giorno, prima di entrare nella terza attenzione, tutto mi sarebbe tornato in mente.
La Gorda disse che non solo lei aveva avuto la sensazione di esser rimasta seduta in quella stanza per un solo attimo, ma nessuno le aveva mai detto che non era stato così. Quel che il Nagual Juan Matus le aveva detto in seguito era che lei aveva l’obbligo di aiutare gli altri apprendisti, specie Josefina, e che un giorno sarei tornato io per darle la spinta finale di cui aveva bisogno per essere totalmente nel proprio altro.
Lei era legata a me e a Josefina. Durante il nostro sognare insieme sotto la guida di Zuleica ci eravamo scambiate quantità enormi della nostra luminosità. Ecco perché insieme riuscivamo a sopportare la pressione del proprio altro che penetrava nella carne. Le aveva anche detto che era stato il potere dei guerrieri del suo seguito a rendere la traversata così facile, quella volta, e che quando avrebbe dovuto attraversare da sola, doveva esser pronta a farlo sognando.
Dopo che ci eravamo alzati, mi si avvicinò Florinda. Mi prese per un braccio e passeggiò con me su e giù per la stanza, mentre don Juan e i suoi guerrieri parlavano agli apprendisti.
Disse che non dovevo lasciare che gli eventi di quella notte al ponte mi confondessero. Non dovevo credere, come a un certo punto aveva creduto il Nagual Juan Matus, che c’è un vero e proprio passaggio fisico per entrare nel proprio altro. La fessura che io avevo visto era solo un’idea della loro volontà, bloccata dall’ossessione per i passaggi del Nagual Juan Matus e dal bizzarro senso dell’umorismo di Silvio Manuel; la combinazione delle due cose aveva prodotto la vagina cosmica. Per quanto la riguardava, il passaggio da un io all’altro non aveva nulla di fisico. La vagina cosmica era un’espressione fisica del potere di muovere la “ruota del tempo” che i due uomini possedevano.
Florinda spiegò che quando lei e i suoi pari parlavano del tempo, non si riferivano a qualcosa che è misurato dal movimento dell’orologio. Il tempo è l’essenza stessa dell’attenzione; le emanazioni dell’Aquila sono fatte di tempo; e, giustamente, quando si entra in qualsiasi aspetto dei proprio altro, si viene a conoscere il tempo.
Fiorinda dichiarò che quella stessa notte, mentre sedevano in formazione, avevano avuto l’ultima occasione di aiutare me e gli apprendisti ad affrontare la ruota del tempo. Disse che la ruota del tempo è come uno stato di intensificata percezione che è parte del proprio altro, come la consapevolezza dei lato sinistro fa parte dell’io della vita quotidiana, e che potrebbe essere descritto fisicamente come un tunnel di lunghezza e larghezza infinite; un tunnel con solchi riflettenti. Ogni solco è infinito e ve n’è un numero infinito. Le creature viventi sono costrette, dalla forza della vita, a guardare nel proprio solco. Guardare vuoi dire esserne intrappolati, vivere in quel solco.
Affermò che quel che i guerrieri chiamano volontà appartiene alla ruota del tempo. È qualcosa simile al cirro del rampicante o a un intangibile tentacolo che tutti noi abbiamo. Lei disse che scopo finale d’un guerriero è imparare a mettere a fuoco la ruota del tempo per farla girare. I guerrieri che sono riusciti a far girare la ruota del tempo, possono guardare in qualsiasi solco e attingerne tutto quel che desiderano, per esempio, la vagina cosmica. Essere intrappolati a forza in un solco di tempo vuol dire vedere le immagini di quel solco soltanto quando se ne allontanano. Essere liberi dalla forza magica di quei solchi vuol dire poter guardare in ogni direzione, sia che le immagini si allontanino sia che si avvicinino.
Florinda smise di parlare e mi abbracciò. Mi bisbigliò all’orecchio che sarebbe tornata un giorno a terminare la mia istruzione, quando avessi acquistato la totalità del mio io.
Don Juan chiamò tutti perché venissero dov’ero. Mi si misero tutt’intorno. Don Juan fu il primo a parlarmi. Disse che non potevo andare in viaggio con loro perché non era possibile che abbandonassi il mio compito. Date le circostanze, l’unica cosa che potevano fare per me era augurarmi ogni bene. Aggiunse che i guerrieri non avevano una vita propria. Dal momento in cui comprendono la natura della consapevolezza, cessano di essere persone e la condizione umana non fa più parte dei loro orizzonti. Io avevo il mio dovere di guerriero e null’altro importava, perché venivo lasciato indietro per adempiere a un compito molto misterioso. Poiché avevo già rinunciato alla vita non avevano altro da dirmi, tranne che dovevo cercare di fare del mio meglio. E io non avevo altro da dire loro tranne che avevo capito e avevo accettato il mio destino.
Dopo di lui mi venne accanto Vicente. Parlò a voce molto bassa. Mi disse che l’impresa più difficile per un guerriero è giungere a un inafferrabile equilibrio di forze positive e negative. Questo non vuol dire che un guerriero deve lottare per avere tutto sotto controllo, ma deve cercare di far fronte a ogni situazione immaginabile, al previsto e all’imprevisto, con altrettanta efficienza. Essere perfetto in perfette circostanze voleva dire essere un guerriero di carta. La mia sfida, la mia impresa difficile, era restare indietro. La loro, di spingersi avanti, nell’inconoscibile. Erano entrambe logoranti. Per un guerriero, l’eccitazione di star fermo equivale a quella del viaggio. Si equivalgono in quanto tutte e due implicano l’adempimento di un sacro incarico.
Poi venne al mio fianco Silvio Manuel; lui si preoccupava del lato pratico. Mi diede una formula, un incantesimo per quando il mio compito avrebbe richiesto forze superiori alle mie; era l’incantesimo che mi venne in mente la prima volta che incontrai la donna Nagual.
Silvio Manuel sorrise, conscio del mio problema. Disse che ci voleva una forza enorme per staccarsi dalla volontà del quotidiano. Il segreto che mi aveva appena rivelato era come accelerare il distacco dalla volontà. Per fare quel che lui aveva fatto, si doveva porre la propria attenzione sul guscio luminoso.
Si trasformò un’altra volta in uovo luminoso e allora mi divenne ovvio quel che avevo sempre saputo. Gli occhi di Silvio Manuel si girarono per un attimo, mettendo a fuoco l’estremità della seconda attenzione. Aveva la testa eretta, come se stesse guardando avanti, solo gli occhi erano sghembi. Disse che un guerriero deve evocare la volontà. Il segreto sta nello sguardo. Gli occhi attirano la volontà.
A quel punto divenni euforico. Ero capace, alla fin fine, di pensare a qualcosa che sapevo senza saperlo veramente. La ragione per cui vedere sembra visivo è che abbiamo bisogno degli occhi per concentrarci sulla volontà. Don Juan e il suo seguito di guerrieri sapevano come usare lo sguardo per cogliere un altro aspetto della volontà e lo chiamavano vedere. Quel che mi aveva mostrato Silvio Manuel era la vera funzione degli occhi, catturare la volontà.
Allora usai deliberatamente lo sguardo per catturare la volontà. Lo concentrai sull’estremità della seconda attenzione. Di colpo don Juan, i suoi guerrieri, dona Soledad ed Eligio furono uova luminose, ma non la Gorda, le tre sorelline e i Genaros. Continuai a spostare lo sguardo, avanti e indietro, dai globi di luce alle persone, finché udii un crack alla base del collo e tutti quelli che si trovavano nella stanza divennero uova luminose. Per un istante sentii di non riuscire a distinguerli, ma poi mi parve che gli occhi si regolassero e scorsi due aspetti della volontà, due immagini alla volta. Potevo vedere i corpi fisici e anche le luminosità. Le due scene non erano sovraimpresse l’una sull’altra, ma ben distinte e però non riuscivo a spiegarmi come. Avevo certamente due canali visivi e vedere dipendeva senza dubbio dai miei occhi pur essendone avulso. Quando chiudevo le palpebre potevo ancora vedere le uova luminose ma non i corpi fisici.
A un certo punto ebbi la netta sensazione di sapere come trasferire la mia attenzione alla mia luminosità, e di sapere anche che, per tornare al livello fisico, non dovevo fare altro che concentrare lo sguardo sul mio corpo.
Dopo mi si avvicinò don Genaro e mi disse che, come dono d’addio, il Nagual Juan Matus mi aveva dato il dovere, Vicente mi aveva dato la sfida, Silvio Manuel la magia e lui mi avrebbe dato il senso dell’umorismo. Mi scrutò attentamente e aggiunse che ero il Nagual più triste che avesse mai visto. Osservò gli apprendisti e concluse che non ci restava altro da fare che essere ottimisti e guardare il lato positivo delle cose. Ci raccontò la barzelletta di una ragazza di campagna, sedotta e abbandonata da un imbroglione di città. Nel giorno delle nozze, quando le dissero che lo sposo se ne era andato, riuscì a mantenere la calma con il pensiero consolante che non proprio tutto era perduto. Aveva, sì, perduto la verginità, ma la porchetta per il banchetto nuziale non l’aveva ancora ammazzata.
Don Genaro ci disse che la sola cosa che poteva aiutarci a uscire dalla nostra situazione, che era poi quella della sposa abbandonata, era tener ben salde le nostre porchette, quale che ne fosse l’equivalente, ridere a crepapelle. Solo ridendoci sopra avremmo potuto mutare la nostra condizione.
Ci invitò con cenni del capo e delle mani a fargli un sonoro ah!ah! La vista degli apprendisti che cercavano di ridere era buffa quanto i miei tentativi. Mi trovai a un tratto a ridere con don Juan e i suoi guerrieri.
Don Genaro, che aveva sempre fatto battute dandomi del poeta, mi chiese di leggergli una poesia ad alta voce. Disse che voleva riassumere i suoi sentimenti e i suoi consigli nei versi che celebrano la vita, la morte e il riso. Si riferiva a un frammento di Muerte sin fin di José Gorostiza.
La donna Nagual mi porse il testo e io lessi la parte che don Juan e don Genaro amavano da sempre.
Emilito, come se la sua voce fosse un’eco di quella del messaggero Juan Tuma, disse che tutti e due erano convinti che sarei riuscito a portare a termine il mio compito. Mi avrebbero aspettato perché un giorno li avrei raggiunti. Il messaggero Juan Tuma soggiunse che l’Aquila mi aveva messo con il seguito di don Juan Matus quale mia unità di salvataggio. Mi abbracciarono di nuovo e mi mormorarono all’unisono che dovevo aver fiducia in me stesso.
Dopo i messaggeri mi si avvicinarono le guerriere. Ognuna mi abbracciò e mi mormorò un augurio all’orecchio, auguri di integrità e successo.
La donna Nagual fu l’ultima ad avvicinarmisi. Si sedé e mi prese in grembo come fossi un bambino. Da lei emanava affetto e purezza. Mi mancò il fiato. Ci alzammo e andammo in giro per la stanza. Chiacchierammo ed esaminammo il nostro destino. Forze assolutamente impenetrabili ci avevano guidato fino a quel momento culminante. L’angoscia che provavo era incommensurabile, come la mia tristezza.
Lei mi rivelò poi parte della regola che riguarda il Nagual triforcuto. Era in uno stato di estrema agitazione, eppure era calma. Il suo intelletto non aveva uguali eppure non cercava di spiegarsi nulla razionalmente. Il suo ultimo giorno sulla terra l’opprimeva. Mi comunicò il suo stato d’animo. Fu come se fino a quel momento non avessi recepito bene la finalità della situazione. Essendo sul lato sinistro, voleva dire che la superiorità dell’immediato aveva la precedenza e ciò mi rendeva impossibile prevedere nulla al di là di quel momento. Tuttavia l’impatto del suo stato d’animo occupò gran parte della mia consapevolezza del lato destro e della sua capacità di giudicare in anticipo sensazioni a venire. Seppi così che non l’avrei più rivista. Un pensiero che non riuscivo a sopportare!
Don Juan mi aveva detto che sul lato sinistro non ci sono lacrime, che un guerriero non sa più piangere e che l’unica espressione di dolore è un brivido che viene dalle viscere profonde dell’universo. Come se il dolore fosse un’emanazione dell’Aquila. Il brivido del guerriero è infinito. Mentre la donna Nagual parlava e mi teneva stretto, io provai quel brivido.
Mi mise il braccio intorno al collo e accostò il suo capo al mio. Pensai che mi stesse strizzando come un pezzo cencio. Sentii che qualcosa usciva dal mio corpo, o dal suo, entrando nel mio. Il mio dolore era così intenso e mi sommerse così in fretta che persi la ragione. Caddi in terra ancora abbracciato alla donna Nagual. Come in sogno, pensai che dovevo averle fatto male alla fronte cadendo. Il suo volto e il mio erano tutti insanguinati. Le sue orbite erano pozze di sangue.
Don Juan e don Genaro mi tiraron su molto in fretta. Mi abbracciarono. Ero scosso da spasmi irrefrenabili, come per un attacco epilettico. Le guerriere circondarono la donna Nagual, poi si misero infila al centro della stanza. Gli uomini si unirono a loro. In un attimo si formò un’innegabile catena di energia. La fila si mosse e mi passò davanti. Ognuno si veniva a fermare per un momento di fronte a me, ma senza rompere la fila. Era come se si muovessero su un nastro mobile che li trasportava e li faceva fermare uno per volta dinanzi a me. Per primi passarono i messaggeri, dopo le messaggere, poi i guerrieri, i sognatori, i cacciatori e infine la donna Nagual. Mi passarono vicino rimanendo visibili per un secondo o due, giusto il tempo per salutarci e poi scomparvero nell’oscurità della misteriosa fessura che s’era materializzata nella stanza.
Don Juan mi batté sulla spalla alleviando il mio insopportabile dolore. Disse che comprendeva la mia sofferenza e che l’affinità fra Nagual uomo e Nagual donna non è cosa che si possa esprimere. Esiste come risultato delle emanazioni dell’Aquila; una volta che i due sono messi insieme e poi separati, non c’è modo di riempire il vuoto in quanto non è vuoto sociale ma un movimento di quelle emanazioni.
Don Juan mi disse che stava per farmi spostare all’estrema destra. Mi confessò che si trattava di uno stratagemma pietoso anche se solo temporaneo; per il momento mi avrebbe fatto dimenticare, ma non mi avrebbe consolato, una volta tornata la memoria.
Don Juan mi disse anche che l’atto di ricordare è totalmente incomprensibile. In verità è l’atto di ricordare se stesso, che non si limita a rammentare l’interazione compiuta dai guerrieri nella consapevolezza del lato sinistro, ma continua a riportare a galla ogni cosa che il corpo luminoso ha immagazzinato nella memoria dal momento della nascita.
L’interazione sistematica che i guerrieri portano a termine in stati di intensa percezione è solo un mezzo per indurre il proprio altro a rivelarsi in termini di ricordi. L’atto di ricordare, benché sembri associarsi solo ai guerrieri, non esula dalle possibilità di ogni essere umano; ognuno di noi può attingere direttamente ai ricordi della propria luminosità con risultati insondabili.
Don Juan disse che quel giorno sarebbero partiti al tramonto e che l’unica cosa che dovevano ancora fare per me era creare una spaccatura, una interruzione nel continuo del mio tempo. Mi avrebbero fatto saltare in un abisso per riuscire a interrompere l’emanazione dell’Aquila che mi faceva sentire integro e continuo. Il salto doveva essere compiuto mentre mi trovavo in stato di normale consapevolezza; l’idea era che la mia seconda attenzione avrebbe preso la mano e piuttosto che morire sul fondo dell’abisso sarei entrato nell’altro io. Don Juan disse che alla fine sarei uscito dal mio altro, una volta che mi si fosse esaurita l’energia; ma non sarei venuto fuori sulla stessa vetta dalla quale stavo per saltare. Mi predisse che sarei sbucato nel mio angolo preferito, dovunque esso fosse. Questo avrebbe costituito una interruzione nel continuo del mio tempo.
Così dicendo mi spinse fuori dalla mia consapevolezza del lato sinistro. E io dimenticai il dolore, le intenzioni, il dovere.
Quel pomeriggio, verso il crepuscolo, Pablito, Nestor e io ci gettammo davvero in un precipizio. Il colpo del Nagual era stato così accurato e così misericordioso che nulla dell’importante evento del loro addio trascese i limiti dell’altro evento importante di gettarsi in una morte certa e non morire. Per quanto fosse mirabile, tale evento era poca cosa paragonato a quanto accadeva in un altro mondo.
Don Juan mi fece saltare nel preciso istante in cui con i suoi guerrieri aveva intensificato la propria consapevolezza. Come in sogno, ebbi la visione di una fila di persone che mi guardavano. In seguito la razionalizzai come una componente di una lunga serie di visioni o allucinazioni che avevo a proposito del salto. Fu questa la scarna interpretazione della mia consapevolezza del lato destro, sopraffatta dallo sgomento dell’accaduto.
Con il lato sinistro, tuttavia, mi accorsi di essere entrato nel mio altro, e questo non aveva nulla a che fare con la mia razionalità. I guerrieri del seguito di don Juan mi avevano afferrato per un eterno istante, prima di svanire nella luce totale, prima che l’Aquila li facesse passare. Sapevo che si trovavano in un campo di emanazioni dell’Aquila, ben oltre le mie possibilità di raggiungerli, e che aspettavano don Juan e don Genaro. Vidi che don Juan assunse il comando. Dopo, furono solo una fila di meravigliose luci nel cielo. Una sorta di vento animò quell’insieme luminoso, che sembrò contrarsi e ondeggiare. C’era un bagliore più intenso a una estremità della fila, dov’era don Juan. Pensai al serpente piumato della leggenda tolteca. E poi le luci scomparvero.
Don Juan disse che, secondo lui, era stata saggia la scelta del suo benefattore, che aveva atteso anni prima di mettergli insieme un seguito di guerrieri, e aveva prodotto risultati positivi, mentre la propria decisione di organizzarmi rapidamente un gruppo insieme alla donna Nagual ci era stata quasi fatale.
Capii che quanto diceva non era tanto un’espressione di rammarico quanto un’affermazione della libertà del guerriero di scegliere e di accettare la sua scelta. Disse inoltre che aveva preso in seria considerazione l’idea di seguire l’esempio del suo benefattore e che se l’avesse fatto avrebbe scoperto abbastanza presto che io non ero un Nagual simile a lui o che nessuno all’infuori di me sarebbe stato impegnato oltre quel punto. Al momento Lydia, Rosa, Benigno, Nestor e Pablito presentavano problemi seri; la Gorda e Josefina avevano bisogno di tempo per perfezionarsi; soltanto Soledad ed Eligio erano sicuri, in quanto erano forse persino più avanti dei guerrieri del suo seguito. Don Juan aggiunse che stava a ciascuno dei nove considerare le proprie circostanze, favorevoli o sfavorevoli che fossero, e, senza rincrescimento, disperazione o pacche sulla schiena, trasformare la maledizione o la benedizione in sfida di vita.
Don Juan fece notare che non tutto quel che avevamo fatto era stato un fallimento - la particina che avevamo avuto tra i suoi guerrieri era stata un trionfo completo in quanto la regola si attagliava a tutto il mio gruppo, me escluso. Ero pienamente d’accordo con lui.Per cominciare, la donna NaguaI era proprio come diceva la regola.Aveva grazia, controllo; creatura di guerra, eppure sempre serena.Senza alcuna manifesta preparazione, aveva trattato e diretto tutti i ben dotati guerrieri di don Juan anche se avevano più del doppio della sua età. Questi, uomini e donne, asserirono che lei era una copia esattadell’altra donna Nagual che avevano conosciuto. Rifletteva alla perfezione ognuna delle guerriere, e di conseguenza rifletteva anche le cinque donne che don Juan aveva trovato per il mio gruppo, in quanto esse stesse replica delle più anziane. Lydia era come Hermelinda, Josefina come Zuleica, Rosa e la Gorda come Nelida, e Soledad come Delia.
Anche gli uomini erano repliche dei guerrieri di don Juan: Nestor era copia di Vicente, Pablito di Genaro, Benigno di Silvio Manuel ed Eligio di Juan Tuma. La regola era in fondo la voce di un potere sconvolgente che aveva plasmato queste persone in un tutto omogeneo. Solo per uno strano capriccio della sorte erano rimasti in difficoltà senza un capo che potesse trovare per loro il passaggio nell’altra consapevolezza.
Don Juan disse che tutti i componenti del mio gruppo dovevano entrare nell’altra consapevolezza per proprio conto, e che egli non sapeva quali probabilità avessero perché dipendeva individualmente da ognuno di loro. Egli aveva aiutato in maniera impeccabile tutti,così il suo spirito era libero da pensieri e preoccupazioni e la mente scevra da inutili speculazioni. Tutto quel che gli rimaneva da fare era mostrarci pragmaticamente ciò che voleva dire attraversare le linee parallele nella propria totalità.
Don Juan mi disse che al massimo avrei soltanto potuto aiutare uno degli apprendisti e che lui aveva scelto la Gorda per il suo coraggio e perché io già la conoscevo. Disse che non mi restava più energia per gli altri, per il fatto che avevo ancora diversi doveri da compiere, ulteriori vie di azione, in carattere con il mio vero compito. Don Juan mi spiegò che ognuno dei suoi guerrieri sapeva qual era quel compito ma non me lo avevano rivelato perché io dovevo dimostrare di esserne degno. Il fatto che loro si trovassero al termine del cammino e che io avessi seguito alla lettera quanto mi veniva insegnato, rendeva imperativo che tale rivelazione avvenisse, anche se solo parzialmente.
Quando per don Juan fu giunto il momento di andare, me ne informò mentre ero in uno stato di consapevolezza normale. Non colsi il significato di quanto andava dicendo. Don Juan cercò fino all’ultimo di indurmi a unire i miei due stati di consapevolezza. Tutto sarebbe stato così semplice, se fossi stato capace di quella fusione. Poiché non ci riuscii, ed ero toccato solo razionalmente dalla sua rivelazione, mi fece cambiare livello di consapevolezza per farmi valutare l’avvenimento in termini più ampi.
Mi segnalò ripetute volte che essere nella consapevolezza del lato sinistro rappresenta un vantaggio solo nel senso che si accelera la nostra conoscenza delle cose. E uno svantaggio perché ci permette di focalizzare con inconcepibile lucidità solo una cosa per volta, e questo ci rende dipendenti e vulnerabili. Non possiamo star per conto nostro mentre ci troviamo nella consapevolezza del lato sinistro e dobbiamo esser protetti dai guerrieri che si sono guadagnata la totalità del proprio essere e sanno come comportarsi in quella condizione.
La Gorda disse che un giorno il Nagual Juan Matus e Genaro avevano radunato tutti gli apprendisti in casa sua. Il Nagual li aveva fatti spostare nella consapevolezza del lato sinistro e li aveva informati che il suo tempo sulla terra si era concluso.
Lei all’inizio non gli aveva creduto. Pensava che stesse cercando di scuoterli per farli agire da guerrieri. Ma poi s’era accorta che c’era nei suoi occhi uno scintillio che non gli aveva mai visto prima.
Dopo aver fatto cambiare loro livello di consapevolezza, don Juan chiacchierò individualmente con ognuno esigendo un riepilogo, come per ripassare tutti i concetti e le procedure che avevano imparato con lui. Fece lo stesso con me. Il nostro incontro avvenne il giorno prima che io lo vedessi per l’ultima volta. Nel mio caso egli fece il riepilogo in tutti e due i livelli di consapevolezza. Infatti, mi fece spostare dall’uno all’altro diverse volte quasi per assicurarsi che fossi davvero saturo sia nell’uno sia nell’altro.
Dapprima non m’era riuscito di ricordare come s’era svolto questo riepilogo. Un giorno la Gorda riuscì infine a spezzare le barriere della mia memoria. Mi disse che si trovava nella mia mente come se mi stesse leggendo. A suo giudizio, quel che mi bloccava la memoria era la paura di rammentare il mio dolore. Quanto era accaduto in casa di Silvio Manuel la notte prima che partissero era indissolubilmente intrecciato con il mio terrore. Disse di avere la netta sensazione che avessi paura, ma non ne conosceva il motivo. Né poteva ricordare quel che era accaduto con esattezza in quella casa, in particolare nella stanza dove eravamo soliti sederci.
Mentre la Gorda parlava mi parve di precipitare in un abisso. Mi accorsi che una parte di me stava cercando di trovare una connessione tra due avvenimenti separati cui avevo assistito nei miei due stati di consapevolezza. Sul lato sinistro avevo racchiuso i ricordi dell’ultimo giorno terreno di don Juan e del suo seguito di guerrieri, sul lato destro avevo il ricordo di essere saltato nell’abisso, quel giorno. Cercando di unire i miei due lati, provai una sensazione di totale cedimento fisico. Mi si piegarono le ginocchia e caddi in terra.
Quando descrissi alla Gorda la mia esperienza e come l’avevo interpretata, lei disse che senza dubbio quanto stava tornando alla mia consapevolezza del lato destro era la memoria che era affiorata in lei mentre io parlavo. S’era appena ricordata che avevamo fatto un ultimo tentativo di attraversare le linee parallele con il Nagual Juan Matus e il suo gruppo. Mi disse che noi due con il resto degli apprendisti avevamo cercato ancora una volta di attraversare il ponte.
Non mi riusciva di mettere a fuoco quel ricordo. Sembrava ci fosse una forza costrittiva che mi impediva di organizzare pensieri e sensazioni a quel proposito. La Gorda disse che Silvio Manuel aveva detto al Nagual Juan Matus di preparare alla traversata me e tutti gli apprendisti. Non voleva lasciarmi su questo mondo perché pensava che non sarei mai riuscito ad adempiere al mio compito. Il Nagual non era d’accordo con lui ma effettuò i preparativi nonostante la pensasse diversamente.
La Gorda mi disse di ricordarsi che ero andato a prenderla in macchina per portarla insieme agli altri apprendisti alla casa di Silvio Manuel. Loro erano restati lì mentre io ero tornato dal Nagual Juan Matus e da Genaro per prepararmi alla traversata.
Non me lo ricordavo affatto. Lei insisteva perché la usassi come guida, visto che eravamo uniti così intimamente; mi assicurò che avrei potuto leggerle la mente e trovarvi qualcosa che avrebbe risvegliato il mio completo ricordo.
La mia testa era tutta in subbuglio. Una grande ansietà mi impediva perfino di concentrarmi su quello che stava dicendo la Gorda. Lei continuava a parlare, descrivendo ciò che rammentava del nostro secondo tentativo di attraversare quel ponte. Disse che Silvio Manuel aveva fatto un discorso. Aveva detto che avevano abbastanza pratica per tentare una seconda volta la traversata; quello di cui avevano bisogno per entrare in pieno nel proprio altro era di abbandonare la volontà della prima attenzione. Una volta che avessero raggiunto la consapevolezza del proprio altro, il potere del Nagual Juan Matus e del suo seguito li avrebbe raccolti e sollevati fino alla terza attenzione con grande facilità - cosa che non potevano fare se gli apprendisti si trovavano nella consapevolezza normale.
A un certo punto, non stavo più ascoltando la Gorda. Il suono della sua voce in realtà mi fece da tramite. D’un tratto mi riaffiorò alla mente il ricordo di tutto quanto era accaduto. Barcollai, all’impatto con la memoria. La Gorda smise di parlare e mentre le descrivevo tutto quanto, tornò in mente anche a lei. Avevamo messo insieme gli ultimi pezzi delle memorie separate dei nostri due stati di consapevolezza.
Mi ricordai che don Juan e don Genaro mi avevano preparato alla traversata mentre ero in stato di consapevolezza normale. Avevo pensato razionalmente che mi stessero preparando per farmi saltare in un abisso.
La Gorda ricordava che per prepararli alla traversata Siivio Manuel li aveva issati fino alle travi del soffitto assicurati in imbracature di cuoio. Ce n’era una in ogni stanza. Gli apprendisti furono tenuti sospesi quasi tutto il giorno.
La Gorda commentò che avere un’imbracatura in camera è ideale. I Genaros, senza sapere bene quel che facevano, avevano centrato il quasi-ricordo delle imbracature nelle quali erano stati sospesi e avevano creato un loro gioco. Era un gioco che combinava le qualità curative e purificatrici dello star sollevati da terra, con la possibilità di esercitare la concentrazione di cui si ha bisogno per spostarsi dalla consapevolezza del lato destro a quella del sinistro. Quel loro gioco era, in fondo un espediente per far ricordare.
La Gorda disse che, dopo che lei e gli apprendisti erano rimasti sospesi tutto il giorno, all’imbrunire Silvio Manuel li aveva messi giù. Quindi erano andati tutti al ponte con lui e avevano aspettato lì con il resto del seguito finché non erano arrivati il Nagual Juan Matus eGenaro con me. Il Nagual Juan Matus aveva spiegato a tutti di aver impiegato più del previsto a prepararmi.
Mi ricordavo che don Juan e i suoi guerrieri avevano attraversato il ponte prima di noi. Dona Soledad ed Eligio andarono con loro automaticamente. La donna Nagual attraversò per ultima. Dall’altra parte del ponte Silvio Manuel ci fece segno di cominciare a camminare. Senza dire una parola, ci avviammo tutti insieme. A metà del ponte Lydia, Rosa e Pablito non sembrarono più in grado di fare un passo. Benigno e Nestor giunsero fin quasi all’estremità e poi si fermarono. Solo la Gorda, Josefina e io arrivammo fin dove stava don Juan con gli altri.
Quel che accadde dopo fu molto simile a quanto era accaduto al nostro primo tentativo di traversata. Silvio Manuel ed Eligio tenevano aperto qualcosa che mi sembrava proprio una fessura. Avevo abbastanza energia per concentrarvi la mia attenzione. Non era una spaccatura nella collina situata all’estremità del ponte e neanche nel muro di nebbia, benché riuscissi a scorgere un vapore nebbioso tutt’intorno all’apertura. Era un orifizio scuro e misterioso, a sé stante, discosto da ogni altra cosa; alto quanto un uomo ma forse più stretto. Don Genaro fece una battuta e lo chiamò “vagina cosmica”, suscitando sghignazzate fra i suoi pari. La Gorda e Josefina si tennero strette a me ed entrammo.
Ebbi l’immediata sensazione di essere schiacciato. La stessa incommensurabile forza che mi aveva quasi fatto scoppiare la prima volta, mi aveva afferrato di nuovo. Sentivo che la Gorda e Josefina si fondevano in me. Mi sembrava di essere più largo di loro e la forza ci appiattiva l’un contro l’altro.
La prima cosa di cui ebbi conoscenza fu che ero disteso supino per terra e su di me c’erano la Gorda e Josefina. Silvio Manuel ci aiutò a rialzarci. Mi disse che non sarebbe stato possibile unirci a loro in quel viaggio ma che forse più tardi, quando avessimo raggiunto il perfetto accordo tra noi, l’Aquila ci avrebbe fatti passare.
Mentre tornavamo a piedi verso casa, Silvio Manuel mi bisbigliò che da quella notte la loro strada e la mia divergevano l’una dall’altra. Disse che non si sarebbero più incontrate e che io ero solo. Mi invitò a essere frugale e a utilizzare ogni frammento di energia senza mai sciuparne nulla. Mi assicurò che se fossi riuscito a raggiungere la totalità del mio essere senza troppe perdite, ne avrei avuta abbastanza per portare a termine il mio compito. Se mi fossi esaurito eccessivamente prima di perdere la forma umana, ero spacciato.
Gli chiesi se c’era un modo per evitare d’esaurirsi. Scosse il capo. Rispose che un modo c’era, ma non per me. Che riuscissi o meno, non dipendeva dalla mia volontà. Poi mi rivelò qual era il mio compito, ma non mi disse come portarlo a termine. Disse che un giorno l’Aquila avrebbe messo qualcuno sulla mia strada per dirmi come fare. E non sarei stato libero fino a quando non ci fossi riuscito.
Quando arrivammo alla casa, ci radunammo tutti in un’ampia stanza. Don Juan si sedé al centro, volto verso sud-est. Lo circondavano le otto guerriere. Sedevano a due a due ai punti cardinali, anche loro volte a sud-est. Poi i tre guerrieri formarono un triangolo esterno al cerchio, con Silvio Manuel al vertice che puntavaa sud-est. Dei quattro messaggeri, le due donne gli si sedettero ai fianchi e i due uomini di fronte, quasi contro il muro.
La donna Nagual fece sedere gli apprendisti maschi contro il muro che dava a est, e le donne contro quello che dava a ovest. Dopo mi guidò a un posto proprio dietro a don Juan. Ci sedemmo insieme.
Restammo seduti per quel che mi parve solo un istante, eppure mi sentii in corpo un’ondata di energia insolita. Mi sembrava che ci fossimo seduti e poi alzati immediatamente dopo. Quando chiesi alla donna Nagual perché ci eravamo alzati così presto, lei mi rispose che eravamo lì da parecchie ore e che un giorno, prima di entrare nella terza attenzione, tutto mi sarebbe tornato in mente.
La Gorda disse che non solo lei aveva avuto la sensazione di esser rimasta seduta in quella stanza per un solo attimo, ma nessuno le aveva mai detto che non era stato così. Quel che il Nagual Juan Matus le aveva detto in seguito era che lei aveva l’obbligo di aiutare gli altri apprendisti, specie Josefina, e che un giorno sarei tornato io per darle la spinta finale di cui aveva bisogno per essere totalmente nel proprio altro.
Lei era legata a me e a Josefina. Durante il nostro sognare insieme sotto la guida di Zuleica ci eravamo scambiate quantità enormi della nostra luminosità. Ecco perché insieme riuscivamo a sopportare la pressione del proprio altro che penetrava nella carne. Le aveva anche detto che era stato il potere dei guerrieri del suo seguito a rendere la traversata così facile, quella volta, e che quando avrebbe dovuto attraversare da sola, doveva esser pronta a farlo sognando.
Dopo che ci eravamo alzati, mi si avvicinò Florinda. Mi prese per un braccio e passeggiò con me su e giù per la stanza, mentre don Juan e i suoi guerrieri parlavano agli apprendisti.
Disse che non dovevo lasciare che gli eventi di quella notte al ponte mi confondessero. Non dovevo credere, come a un certo punto aveva creduto il Nagual Juan Matus, che c’è un vero e proprio passaggio fisico per entrare nel proprio altro. La fessura che io avevo visto era solo un’idea della loro volontà, bloccata dall’ossessione per i passaggi del Nagual Juan Matus e dal bizzarro senso dell’umorismo di Silvio Manuel; la combinazione delle due cose aveva prodotto la vagina cosmica. Per quanto la riguardava, il passaggio da un io all’altro non aveva nulla di fisico. La vagina cosmica era un’espressione fisica del potere di muovere la “ruota del tempo” che i due uomini possedevano.
Florinda spiegò che quando lei e i suoi pari parlavano del tempo, non si riferivano a qualcosa che è misurato dal movimento dell’orologio. Il tempo è l’essenza stessa dell’attenzione; le emanazioni dell’Aquila sono fatte di tempo; e, giustamente, quando si entra in qualsiasi aspetto dei proprio altro, si viene a conoscere il tempo.
Fiorinda dichiarò che quella stessa notte, mentre sedevano in formazione, avevano avuto l’ultima occasione di aiutare me e gli apprendisti ad affrontare la ruota del tempo. Disse che la ruota del tempo è come uno stato di intensificata percezione che è parte del proprio altro, come la consapevolezza dei lato sinistro fa parte dell’io della vita quotidiana, e che potrebbe essere descritto fisicamente come un tunnel di lunghezza e larghezza infinite; un tunnel con solchi riflettenti. Ogni solco è infinito e ve n’è un numero infinito. Le creature viventi sono costrette, dalla forza della vita, a guardare nel proprio solco. Guardare vuoi dire esserne intrappolati, vivere in quel solco.
Affermò che quel che i guerrieri chiamano volontà appartiene alla ruota del tempo. È qualcosa simile al cirro del rampicante o a un intangibile tentacolo che tutti noi abbiamo. Lei disse che scopo finale d’un guerriero è imparare a mettere a fuoco la ruota del tempo per farla girare. I guerrieri che sono riusciti a far girare la ruota del tempo, possono guardare in qualsiasi solco e attingerne tutto quel che desiderano, per esempio, la vagina cosmica. Essere intrappolati a forza in un solco di tempo vuol dire vedere le immagini di quel solco soltanto quando se ne allontanano. Essere liberi dalla forza magica di quei solchi vuol dire poter guardare in ogni direzione, sia che le immagini si allontanino sia che si avvicinino.
Florinda smise di parlare e mi abbracciò. Mi bisbigliò all’orecchio che sarebbe tornata un giorno a terminare la mia istruzione, quando avessi acquistato la totalità del mio io.
Don Juan chiamò tutti perché venissero dov’ero. Mi si misero tutt’intorno. Don Juan fu il primo a parlarmi. Disse che non potevo andare in viaggio con loro perché non era possibile che abbandonassi il mio compito. Date le circostanze, l’unica cosa che potevano fare per me era augurarmi ogni bene. Aggiunse che i guerrieri non avevano una vita propria. Dal momento in cui comprendono la natura della consapevolezza, cessano di essere persone e la condizione umana non fa più parte dei loro orizzonti. Io avevo il mio dovere di guerriero e null’altro importava, perché venivo lasciato indietro per adempiere a un compito molto misterioso. Poiché avevo già rinunciato alla vita non avevano altro da dirmi, tranne che dovevo cercare di fare del mio meglio. E io non avevo altro da dire loro tranne che avevo capito e avevo accettato il mio destino.
Dopo di lui mi venne accanto Vicente. Parlò a voce molto bassa. Mi disse che l’impresa più difficile per un guerriero è giungere a un inafferrabile equilibrio di forze positive e negative. Questo non vuol dire che un guerriero deve lottare per avere tutto sotto controllo, ma deve cercare di far fronte a ogni situazione immaginabile, al previsto e all’imprevisto, con altrettanta efficienza. Essere perfetto in perfette circostanze voleva dire essere un guerriero di carta. La mia sfida, la mia impresa difficile, era restare indietro. La loro, di spingersi avanti, nell’inconoscibile. Erano entrambe logoranti. Per un guerriero, l’eccitazione di star fermo equivale a quella del viaggio. Si equivalgono in quanto tutte e due implicano l’adempimento di un sacro incarico.
Poi venne al mio fianco Silvio Manuel; lui si preoccupava del lato pratico. Mi diede una formula, un incantesimo per quando il mio compito avrebbe richiesto forze superiori alle mie; era l’incantesimo che mi venne in mente la prima volta che incontrai la donna Nagual.
Mi hanno già conferito il potere che regge il mio destino,Mi disse che mi avrebbe rivelato un utile stratagemma della secondaattenzione e nello stesso momento si trasformò in un uovo luminoso. Tornò poi al suo aspetto normale e ripeté questa trasformazione altre tre o quattro volte. Capii benissimo quello che faceva. Non ci fu bisogno che me lo spiegasse eppure non riuscii a estrinsecare quel che sapevo.
e io nulla stringo, così non avrò nulla da difendere.
Non ho pensieri, così potrò vedere.
Non temo nulla, così ricorderò me stesso.
Distaccato e sereno, sfreccerò oltre l’Aquila, verso la libertà.
Silvio Manuel sorrise, conscio del mio problema. Disse che ci voleva una forza enorme per staccarsi dalla volontà del quotidiano. Il segreto che mi aveva appena rivelato era come accelerare il distacco dalla volontà. Per fare quel che lui aveva fatto, si doveva porre la propria attenzione sul guscio luminoso.
Si trasformò un’altra volta in uovo luminoso e allora mi divenne ovvio quel che avevo sempre saputo. Gli occhi di Silvio Manuel si girarono per un attimo, mettendo a fuoco l’estremità della seconda attenzione. Aveva la testa eretta, come se stesse guardando avanti, solo gli occhi erano sghembi. Disse che un guerriero deve evocare la volontà. Il segreto sta nello sguardo. Gli occhi attirano la volontà.
A quel punto divenni euforico. Ero capace, alla fin fine, di pensare a qualcosa che sapevo senza saperlo veramente. La ragione per cui vedere sembra visivo è che abbiamo bisogno degli occhi per concentrarci sulla volontà. Don Juan e il suo seguito di guerrieri sapevano come usare lo sguardo per cogliere un altro aspetto della volontà e lo chiamavano vedere. Quel che mi aveva mostrato Silvio Manuel era la vera funzione degli occhi, catturare la volontà.
Allora usai deliberatamente lo sguardo per catturare la volontà. Lo concentrai sull’estremità della seconda attenzione. Di colpo don Juan, i suoi guerrieri, dona Soledad ed Eligio furono uova luminose, ma non la Gorda, le tre sorelline e i Genaros. Continuai a spostare lo sguardo, avanti e indietro, dai globi di luce alle persone, finché udii un crack alla base del collo e tutti quelli che si trovavano nella stanza divennero uova luminose. Per un istante sentii di non riuscire a distinguerli, ma poi mi parve che gli occhi si regolassero e scorsi due aspetti della volontà, due immagini alla volta. Potevo vedere i corpi fisici e anche le luminosità. Le due scene non erano sovraimpresse l’una sull’altra, ma ben distinte e però non riuscivo a spiegarmi come. Avevo certamente due canali visivi e vedere dipendeva senza dubbio dai miei occhi pur essendone avulso. Quando chiudevo le palpebre potevo ancora vedere le uova luminose ma non i corpi fisici.
A un certo punto ebbi la netta sensazione di sapere come trasferire la mia attenzione alla mia luminosità, e di sapere anche che, per tornare al livello fisico, non dovevo fare altro che concentrare lo sguardo sul mio corpo.
Dopo mi si avvicinò don Genaro e mi disse che, come dono d’addio, il Nagual Juan Matus mi aveva dato il dovere, Vicente mi aveva dato la sfida, Silvio Manuel la magia e lui mi avrebbe dato il senso dell’umorismo. Mi scrutò attentamente e aggiunse che ero il Nagual più triste che avesse mai visto. Osservò gli apprendisti e concluse che non ci restava altro da fare che essere ottimisti e guardare il lato positivo delle cose. Ci raccontò la barzelletta di una ragazza di campagna, sedotta e abbandonata da un imbroglione di città. Nel giorno delle nozze, quando le dissero che lo sposo se ne era andato, riuscì a mantenere la calma con il pensiero consolante che non proprio tutto era perduto. Aveva, sì, perduto la verginità, ma la porchetta per il banchetto nuziale non l’aveva ancora ammazzata.
Don Genaro ci disse che la sola cosa che poteva aiutarci a uscire dalla nostra situazione, che era poi quella della sposa abbandonata, era tener ben salde le nostre porchette, quale che ne fosse l’equivalente, ridere a crepapelle. Solo ridendoci sopra avremmo potuto mutare la nostra condizione.
Ci invitò con cenni del capo e delle mani a fargli un sonoro ah!ah! La vista degli apprendisti che cercavano di ridere era buffa quanto i miei tentativi. Mi trovai a un tratto a ridere con don Juan e i suoi guerrieri.
Don Genaro, che aveva sempre fatto battute dandomi del poeta, mi chiese di leggergli una poesia ad alta voce. Disse che voleva riassumere i suoi sentimenti e i suoi consigli nei versi che celebrano la vita, la morte e il riso. Si riferiva a un frammento di Muerte sin fin di José Gorostiza.
La donna Nagual mi porse il testo e io lessi la parte che don Juan e don Genaro amavano da sempre.
Oh, quale gioia accecanteL’atmosfera era terribile, per quei versi. Rabbrividii. Emilito e il messaggero Juan Tuma mi vennero vicino. Non dissero neanche una parola. Avevano gli occhi scintillanti come biglie di vetro nero. Pareva che ogni loro sentimento fosse concentrato negli occhi. Il messaggero Juan Tuma disse a voce bassissima che una volta, a casa sua, mi aveva iniziato ai misteri di Mescalito, e che quello era stato un presagio di un’altra occasione, nella ruota del tempo, nella quale lui mi avrebbe iniziato al mistero ultimo.
quale brama esaurire
l’aria che respiriamo,
la bocca, l’occhio, la mano.
Quale voglia bruciante
consumare fino in fondo tutto di noi
in un unico scoppio di riso.
Oh, questa morte sfrontata, insolente
che ci uccide da lontano.
Con il piacere che proviamo morendo
per una tazza di tè...
per una lieve carezza.
Emilito, come se la sua voce fosse un’eco di quella del messaggero Juan Tuma, disse che tutti e due erano convinti che sarei riuscito a portare a termine il mio compito. Mi avrebbero aspettato perché un giorno li avrei raggiunti. Il messaggero Juan Tuma soggiunse che l’Aquila mi aveva messo con il seguito di don Juan Matus quale mia unità di salvataggio. Mi abbracciarono di nuovo e mi mormorarono all’unisono che dovevo aver fiducia in me stesso.
Dopo i messaggeri mi si avvicinarono le guerriere. Ognuna mi abbracciò e mi mormorò un augurio all’orecchio, auguri di integrità e successo.
La donna Nagual fu l’ultima ad avvicinarmisi. Si sedé e mi prese in grembo come fossi un bambino. Da lei emanava affetto e purezza. Mi mancò il fiato. Ci alzammo e andammo in giro per la stanza. Chiacchierammo ed esaminammo il nostro destino. Forze assolutamente impenetrabili ci avevano guidato fino a quel momento culminante. L’angoscia che provavo era incommensurabile, come la mia tristezza.
Lei mi rivelò poi parte della regola che riguarda il Nagual triforcuto. Era in uno stato di estrema agitazione, eppure era calma. Il suo intelletto non aveva uguali eppure non cercava di spiegarsi nulla razionalmente. Il suo ultimo giorno sulla terra l’opprimeva. Mi comunicò il suo stato d’animo. Fu come se fino a quel momento non avessi recepito bene la finalità della situazione. Essendo sul lato sinistro, voleva dire che la superiorità dell’immediato aveva la precedenza e ciò mi rendeva impossibile prevedere nulla al di là di quel momento. Tuttavia l’impatto del suo stato d’animo occupò gran parte della mia consapevolezza del lato destro e della sua capacità di giudicare in anticipo sensazioni a venire. Seppi così che non l’avrei più rivista. Un pensiero che non riuscivo a sopportare!
Don Juan mi aveva detto che sul lato sinistro non ci sono lacrime, che un guerriero non sa più piangere e che l’unica espressione di dolore è un brivido che viene dalle viscere profonde dell’universo. Come se il dolore fosse un’emanazione dell’Aquila. Il brivido del guerriero è infinito. Mentre la donna Nagual parlava e mi teneva stretto, io provai quel brivido.
Mi mise il braccio intorno al collo e accostò il suo capo al mio. Pensai che mi stesse strizzando come un pezzo cencio. Sentii che qualcosa usciva dal mio corpo, o dal suo, entrando nel mio. Il mio dolore era così intenso e mi sommerse così in fretta che persi la ragione. Caddi in terra ancora abbracciato alla donna Nagual. Come in sogno, pensai che dovevo averle fatto male alla fronte cadendo. Il suo volto e il mio erano tutti insanguinati. Le sue orbite erano pozze di sangue.
Don Juan e don Genaro mi tiraron su molto in fretta. Mi abbracciarono. Ero scosso da spasmi irrefrenabili, come per un attacco epilettico. Le guerriere circondarono la donna Nagual, poi si misero infila al centro della stanza. Gli uomini si unirono a loro. In un attimo si formò un’innegabile catena di energia. La fila si mosse e mi passò davanti. Ognuno si veniva a fermare per un momento di fronte a me, ma senza rompere la fila. Era come se si muovessero su un nastro mobile che li trasportava e li faceva fermare uno per volta dinanzi a me. Per primi passarono i messaggeri, dopo le messaggere, poi i guerrieri, i sognatori, i cacciatori e infine la donna Nagual. Mi passarono vicino rimanendo visibili per un secondo o due, giusto il tempo per salutarci e poi scomparvero nell’oscurità della misteriosa fessura che s’era materializzata nella stanza.
Don Juan mi batté sulla spalla alleviando il mio insopportabile dolore. Disse che comprendeva la mia sofferenza e che l’affinità fra Nagual uomo e Nagual donna non è cosa che si possa esprimere. Esiste come risultato delle emanazioni dell’Aquila; una volta che i due sono messi insieme e poi separati, non c’è modo di riempire il vuoto in quanto non è vuoto sociale ma un movimento di quelle emanazioni.
Don Juan mi disse che stava per farmi spostare all’estrema destra. Mi confessò che si trattava di uno stratagemma pietoso anche se solo temporaneo; per il momento mi avrebbe fatto dimenticare, ma non mi avrebbe consolato, una volta tornata la memoria.
Don Juan mi disse anche che l’atto di ricordare è totalmente incomprensibile. In verità è l’atto di ricordare se stesso, che non si limita a rammentare l’interazione compiuta dai guerrieri nella consapevolezza del lato sinistro, ma continua a riportare a galla ogni cosa che il corpo luminoso ha immagazzinato nella memoria dal momento della nascita.
L’interazione sistematica che i guerrieri portano a termine in stati di intensa percezione è solo un mezzo per indurre il proprio altro a rivelarsi in termini di ricordi. L’atto di ricordare, benché sembri associarsi solo ai guerrieri, non esula dalle possibilità di ogni essere umano; ognuno di noi può attingere direttamente ai ricordi della propria luminosità con risultati insondabili.
Don Juan disse che quel giorno sarebbero partiti al tramonto e che l’unica cosa che dovevano ancora fare per me era creare una spaccatura, una interruzione nel continuo del mio tempo. Mi avrebbero fatto saltare in un abisso per riuscire a interrompere l’emanazione dell’Aquila che mi faceva sentire integro e continuo. Il salto doveva essere compiuto mentre mi trovavo in stato di normale consapevolezza; l’idea era che la mia seconda attenzione avrebbe preso la mano e piuttosto che morire sul fondo dell’abisso sarei entrato nell’altro io. Don Juan disse che alla fine sarei uscito dal mio altro, una volta che mi si fosse esaurita l’energia; ma non sarei venuto fuori sulla stessa vetta dalla quale stavo per saltare. Mi predisse che sarei sbucato nel mio angolo preferito, dovunque esso fosse. Questo avrebbe costituito una interruzione nel continuo del mio tempo.
Così dicendo mi spinse fuori dalla mia consapevolezza del lato sinistro. E io dimenticai il dolore, le intenzioni, il dovere.
Quel pomeriggio, verso il crepuscolo, Pablito, Nestor e io ci gettammo davvero in un precipizio. Il colpo del Nagual era stato così accurato e così misericordioso che nulla dell’importante evento del loro addio trascese i limiti dell’altro evento importante di gettarsi in una morte certa e non morire. Per quanto fosse mirabile, tale evento era poca cosa paragonato a quanto accadeva in un altro mondo.
Don Juan mi fece saltare nel preciso istante in cui con i suoi guerrieri aveva intensificato la propria consapevolezza. Come in sogno, ebbi la visione di una fila di persone che mi guardavano. In seguito la razionalizzai come una componente di una lunga serie di visioni o allucinazioni che avevo a proposito del salto. Fu questa la scarna interpretazione della mia consapevolezza del lato destro, sopraffatta dallo sgomento dell’accaduto.
Con il lato sinistro, tuttavia, mi accorsi di essere entrato nel mio altro, e questo non aveva nulla a che fare con la mia razionalità. I guerrieri del seguito di don Juan mi avevano afferrato per un eterno istante, prima di svanire nella luce totale, prima che l’Aquila li facesse passare. Sapevo che si trovavano in un campo di emanazioni dell’Aquila, ben oltre le mie possibilità di raggiungerli, e che aspettavano don Juan e don Genaro. Vidi che don Juan assunse il comando. Dopo, furono solo una fila di meravigliose luci nel cielo. Una sorta di vento animò quell’insieme luminoso, che sembrò contrarsi e ondeggiare. C’era un bagliore più intenso a una estremità della fila, dov’era don Juan. Pensai al serpente piumato della leggenda tolteca. E poi le luci scomparvero.
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