mercoledì 28 dicembre 2011

perchè il Tao finisce sempre in disordine?


PERCHÉ LE COSE FINISCONO IN DISORDINE?
M.C. Esher, Order and Caos, 1950
Figlia: Papà, perché le cose finiscono sempre in disordine?
Padre: Come? Le cose? Il disordine?
F. Be', la gente è sempre lì a mettere le cose a posto, ma nessuno si preoccupa di metterle in disordine. Sembra proprio che le cose si mettano in disordine da sole. E poi bisogna rimetterle a posto.
P. E le tue cose finiscono in disordine anche se tu non le tocchi?
F. No ... se nessuno le tocca, no. Ma se qualcuno le tocca allora si mettono in disordine, e se non sono io è ancora peggio.
P. Già ... ecco perché non voglio che tu tocchi le cose che sono sulla mia scrivania, perché il disordine diventa anche peggiore se le mie cose le tocca qualcuno che non sia io.
F. Ma perché le persone mettono sempre in disordine le cose degli altri, papà?
P. Be', un momento, non è così semplice. Prima di tutto, che cosa vuoi dire disordine?
F. Vuoi dire ... che non riesco a trovare le cose, e così tutto sembra in disordine. Cioè, quando niente è al suo posto ...
P. D'accordo, ma sei sicura di dare a 'disordine' il significato che gli darebbe una qualunque altra persona?
F. Ma sì, papà, sono sicura ... perché io non sono una persona molto ordinata, e se lo dico io che le cose sono in disordine, sono sicura che chiunque altro sarebbe d'accordo.
P. Va bene ... ma pensi che quando tu dici 'a posto' tu intenda la stessa cosa che intenderebbero gli altri? Se la mamma mette a posto le tue cose, sai dove ritrovarle?
F. Mah ... a volte ... perché, vedi, io so dove mette le cose quando fa ordine ...
P. Sì, anch'io cerco di impedirle di fare ordine sulla mia scrivania. Sono convinto che la mamma e io non intendiamo la stessa cosa per 'ordinato' .
F. Papà, e tu e io intendiamo la stessa cosa per 'ordinato'?
P. Non credo, cara ... non credo proprio.
F. Ma, papà, non è strano ... Tutti vogliono dire la stessa cosa quando dicono 'disordinato', ma pensano a cose diverse quando dicono 'ordinato'? Però 'ordinato' è il contrario di 'disordinato', non è vero?
P. Qui si entra nel difficile. Ricominciamo daccapo. Tu hai detto: "Perché le cose finiscono sempre in disordine?». Ora abbiamo fatto qualche passo avanti, e cambiamo la domanda così: «Perché le cose finiscono in uno stato che Cathy chiama 'non ordinato'?". Capisci perché voglio cambiare la domanda in questo modo?
F. Be', credo di sì ... perché se 'ordinato' vuoi dire per me una cosa speciale, allora certi 'ordini' delle altre persone mi sembreranno disordini ... anche se siamo d'accordo sulla maggior parte di quello che chiamiamo disordini ...
P. Proprio così. Ora esaminiamo quello che tu chiami ordinato. Dov' è la tua scatola di colori quando è in un posto ordinato?
F. Qui, da questa parte dello scaffale.
P. Bene ... e se fosse in qualche altro posto?
F. No, allora non sarebbe in ordine.
P. E se fosse qui, dall'altra parte dello scaffale? Così?
F. No, quello non è il suo posto, e comunque dovrebbe stare diritta e non tutta storta come la metti tu.
P. Ah, nel posto giusto e diritta.
F. Sì.
P. Be', allora ci sono solo pochissimi posti che sono 'ordinati' per la tua scatola di colori ...
F. Solo un posto ...
P. No ... pochissimi posti, perché se la muovo un pochino, così, è ancora in ordine.
F. Va bene ... ma proprio pochissimi posti.
P. D'accordo ... pochissimi posti. E allora il tuo orsetto, e la bambola, e il mago di Oz, e il tuo maglione e le scarpe? È vero per ogni cosa, no? - che ci sono pochissimi posti che per quella cosa sono' ordinati'.
F. Sì, papà ... ma il mago di Oz potrebbe stare in un punto qualsiasi di quello scaffale. E sai cosa, papà? Mi secca molto quando i miei libri si confondono coi tuoi e coi libri della mamma.
P. Sì, lo so. (Pausa).
F. Papà, non hai finito. Perché le mie cose finiscono sempre nel modo che io dico che non è ordinato?
P. Ma io ho finito ... è solo perché ci sono più modi che tu chiami 'disordinati' che modi che tu chiami 'ordinati'.
F. Ma questa non è una ragione ...
p. Ma sì, lo è. Ed è la vera, unica e importantissima ragione.
F. Papà, smettila!
P. Ma non ti sto prendendo in giro. La ragione è questa, e tutta la scienza è appesa a questa ragione. Prendiamo un altro esempio. Se io metto un po' di sabbia in fondo a questa tazzina, e sopra ci verso un po' di zucchero, e poi giro con un cucchiaino, la sabbia e lo zucchero si mescolano, no?
F. Sì, papà, ma ti sembra giusto adesso metterti a parlare di 'mescolare', quando abbiamo cominciato con 'disordinare'?
P. Ma credo proprio di sì... perché si può pensare che ci sia qualcuno che pensa che sia più ordinato avere tutta la sabbia sopra e tutto lo zucchero sotto. E se vuoi dirò che sono io a pensarla così.
F. Uhm ...
P. D'accordo ... prendiamo un altro esempio. Al cinema a volte vedrai che c'è un mucchio di lettere dell'alfabeto, tutte sparpagliate sullo schermo, tutte alla rinfusa, e qualcuna anche capovolta. E poi qualcosa comincia a scuoterle, e le lettere cominciano a muoversi, e queste scosse continuano e le lettere vanno tutte insieme a comporre il titolo del film.
F. Sì, sì, l'ho visto, il titolo era A Capri.
P. Non importa qual era il titolo. Il punto è che tu hai visto qualcosa che veniva scosso e agitato, ma invece di finire in un disordine più grande di prima, le lettere si componevano in bell'ordine, tutte in fila nel modo giusto, e formavano parole ... cioè costruivano qualcosa che moltissima gente sarebbe d'accordo nel giudicare sensato.
F. Sì, papà, ma vedi...
P. No, non vedo niente; quello che voglio dire è che nel mondo reale le cose non vanno mai a quel modo. Quello succede solo al cinema.
F. Ma, papà ...
P. Cioè, ti dico che è solo al cinema che si possono scuotere le cose e far loro acquistare più ordine e significato di quanto ne avessero prima ...
F. Ma, papà ...
P. Aspetta che finisca, questa volta ... E al cinema ottengono quell'effetto facendo andare tutto all'indietro. Mettono le lettere tutte in fila, che facciano A Capri, poi mettono in moto la macchina da ripresa e cominciano a scuotere la tavola.
F. Ma, papà ... lo sapevo e volevo proprio dirlo io a te ... e poi quando proiettano il film lo fanno all'indietro, così sembra che le cose siano accadute in avanti, invece veramente hanno scosso le lettere all'indietro. E devono filmarle capovolte ... Perché fanno così, papà?
P. Oddio!
F. Perché devono mettere la macchina capovolta, papà?
P. No, non voglio rispondere ora a questa domanda, perché ora siamo in mezzo al problema del disordine.
F. D'accordo, ma non dimenticare, papà, che un'altra volta dovrai rispondere alla mia domanda sulla macchina da presa. Non dimenticartene! Non te ne dimenticherai, vero, papà? Perché io potrei non ricordarmene. Ti prego, papà.
P. D'accordo, ma un'altra volta. Ora, dov'eravamo rimasti? Ah, sì, che le cose non avvengono mai all'indietro. E stavo cercando di dirti perché è un buon motivo che le cose avvengano in un certo modo, se possiamo mostrare che quel modo ha più modi di realizzarsi che non un altro modo.
F. Papà, non cominciare a dire cose assurde.
P. Non sto dicendo cose assurde. Ricominciamo daccapo. C'è solo un modo per scrivere A Capri. D'accordo?
F. Sì.
P. Bene. E ci sono milioni e milioni di modi di sparpagliare sei lettere sul tavolo. D'accordo?
F. Sì, penso di sì. Potrebbero essere anche capovolte?
P. Sì. .. proprio come hanno fatto in quel film. Ma ci potrebbero essere milioni e milioni e milioni di disordini come quello, no? E solo un A Capri.
F. Va bene ... sì. Ma papà, con le stesse lettere si potrebbe scrivere APrica.
P. Lascia perdere, quelli del film non vogliono che sia scritto Aprica. Vogliono solo A Capri.
F. Perché vogliono così?
P. Al diavolo quelli del film!
F. Ma sei stato tu a parlarne, papà.
P. Sì ... ma era solo per cercare di dirti perché le cose vanno a finire in quel modo che ha più maniere di realizzarsi. E adesso è ora di andare a letto.
F. Ma, papà, non hai ancora finito di dirmi perché le cose accadono in quel modo ... il modo che ha più modi.
P. D'accordo, ma non mettere altra carne al fuoco ... ce n'è già abbastanza. Comunque sono stufo di A Capri, prendiamo un altro esempio. Giocare a testa o croce.
F. Papà, stai ancora parlando del problema di prima? «Perché le cose finiscono sempre in disordine?».
P. Sì.
F. Allora, papà, quello che stai cercando di dire vale per le monete, e per A Capri, e per lo zucchero e la sabbia, e per la mia scatola di colori, e per le monete?
P. Sì ... è così.
F. Ah ... stavo solo pensando, ecco.
P. Vediamo se stavolta riesco a dirlo. Torniamo alla sabbia e allo zucchero, e supponiamo che qualcuno dica che quando la sabbia sta in basso, tutto è 'a posto' e 'ordinato'.
F. Papà, bisogna proprio che qualcuno dica una cosa del genere, prima che tu possa andare avanti e dire come le cose finiscono in disordine quando le tocchiamo?
P. Sì ... ecco il punto. Loro dicono quello che sperano accada, e io dico che non accadrà perché ci sono tante altre cose che potrebbero accadere. E io so che è più probabile che accada una delle tante cose che una delle poche. Dato che ci sono infiniti modi disordinati le cose andranno sempre verso il disordine e la confusione.
F. Ma, papà, perché non hai detto questo fin dall'inizio? Questo lo avrei capito benissimo.
P. Già, credo proprio di sì. Comunque è ora di andare a nanna.
F. Papà, perché i grandi fanno le guerre, invece di fare solo la lotta come fanno i bambini?
P. No ... a nanna. Basta. Parleremo un'altra volta delle guerre.

(1948)

secret Tao



Growing Up Tour, Milano, 2003

I stood in this sunsheltered place
'Til I could see the face behind the face
All that had gone before had left no trace

Down by the railway siding
In our secret world, we were colliding
All the places we were hiding love
What was it we were thinking of?

So I watch you wash your hair
Underwater, unaware
And the plane flies through the air
Did you think you didn't have to choose it
That I alone could win or lose it
In all the places we were hiding love
What was it we were thinking of?

In this house of make believe
Divided in two, like Adam and Eve
You put out and I recieve

[Chorus:]
Down by the railway siding
In our secret world, we were colliding
In all the places we were hiding love
What was it we were thinking of?

Oh the wheel is turning spinning round and round
And the house is crubling but the stairways stand

With no guilt and no shame, no sorrow or blame
Whatever it is, we are all the same

Making it up in our secret world [x3]
Shaking it up
Breaking it up
Making it up in our secret world

Seeing things that were not there
On a wing on a prayer
In this state of disrepair

[Chorus]

Shh, listen...


Peter Gabriel: voce, tastiere.
Tony Levin: basso elettrico, contrabbasso elettrico, cori.
David Rhodes: chitarre, cori.
Ged Lynch: batteria, percussioni.
Rachel Z: tastiere, cori.
Richard Evans: chitarre, mandolino, tin whistles, cori.
Melanie Gabriel: cori.

martedì 27 dicembre 2011

Tao e controTao


Nel 1967 la Prof.ssa Mara Selvini Palazzoli fondò  il Centro per lo Studio della Famiglia a Milano con un gruppo di ricerca che includeva Luigi Boscolo, Gianfranco Cecchin e Giuliana Prata. La Selvini aveva già nel 1963 pubblicato un volume ormai classico, "Anoressia Mentale" e, come gli altri membri del gruppo, aveva una formazione di tipo classico-psicoanalitico. L'obiettivo del gruppo era di verificare i limiti dell'approccio individuale ed iniziare una nuova metodologia che richiede la presa in carico dell'intero gruppo familiare, unitamente all'adozione di quello che al tempo era un nuovo modello paradigmaticamente rivoluzionario: il modello sistemico-relazionale introdotto dalle Scuole di Palo Alto di Gregory Bateson e Paul Watzlawick.
Inizia così una sperimentazione che porterà il gruppo ad una rilevanza internazionale nel suo specifico metodo di lavoro pratico e teorico, conosciuto come Milan Approach o Scuola di Milano.

Paul Watzlawick (a sinistra), John Weakland (al centro, con gli occhiali)
e una sorridente Mara Selvini Palazzoli, (1979).
"I quattro della Scuola di Milano si incontravano un giorno a settimana presso il Centro, vedendo famiglie gratuitamente o dietro un compenso bastante appena a pagare le spese. In un caffè di una stradina secondaria leggevano e discutevano i lavori del gruppo di Palo Alto, dedicando ore a discussioni, liti e opera di persuasione reciproca per arrivare a stendere quello che sarebbe stato un importante modello di terapia sistemica e rifiutando sistematicamente gli inviti pressanti dei colleghi di mettere per iscritto le loro idee o di presentarle a qualche evento: il gruppo voleva attendere di avere una propria casistica capace di sostenere il proprio modello, situazione che si manifestò (e solo parzialmente, vinti infine dalle insistenti richieste) nel 1975, con il libro Paradosso e Controparadosso. E' da evidenziare come le relazioni d'équipe furono fondamentali: il gruppo credeva fortemente nella necessità di rimanere indipendente da sovvenzioni e pubbliche istituzioni, per evitare fenomeni di pressione che ne potessero disturbare il lavoro. A spronarli nel loro lavoro fu anche Paul Watzlawick, che nei suoi viaggi in Italia visitò il loro Centro e citò la Scuola di Milano in più di un'occasione."

Il libro si basa sulla discussione teorica e pratica della comunicazione paradossale sviluppata dalle Scuole di Palo Alto e basata sulla prescrizione e connotazione positiva del sintomo. Il carattere paradossale del sintomo, studiato nelle prime sedute per stabilire il "modello di funzionamento" o "gioco" della famiglia sintomatica, viene quindi formalizzato, connotato positivamente e ri-iniettato entro la dinamica del sistema familiare come controparadosso. La Scuola di Milano utilizzò il setting di terapia già iniziato negli Stati Uniti e diventato uno standard nella terapia familiare: conformemente all'approccio sistemico il setting consiste in due stanze, una dove la famiglia viene intervistata da uno o più terapeuti, la seconda, separata da uno specchio unidirezionale, con uno o più co-terapeuti che osservano il sistema complessivo famiglia più terapeuti e che, periodicamente, fornisce le proprie indicazioni.
I modelli di studio ed intervento sviluppati dalla Scuola nell'ambito sistemico-relazionale, benchè costruiti specificamente per la terapia familiare, hanno validità generale per descrivere l'interazione di gruppi umani.
Un esempio di questo è un classico lavoro del 1980 che, benchè presentato come direttive fondamentali per la conduzione di una terapia familiare efficace, presenta dei principi e metodi validi in generale per uno studio ed intervento significativi su qualsiasi sistema relazionale in quanto modalità di interazione come fornire false o devianti informazioni e il rifiuto squalifica e disconferma della relazione, benchè tipiche dei gruppi familiari schizofrenogenici o sintomatici, non sono certo prerogative solo di questi e sono caratteristiche generali per qualsiasi gruppo organizzato che tenda a conservare in modo rigido la propria omeostasi e rifiutare il cambiamento, quando necessario.


IPOTIZZAZIONE: Con ipotizzazione ci riferiamo alla formulazione da parte del terapeuta di un'ipotesi basata sulle informazioni che possiede riguardo la famiglia che sta intervistando. L'ipotesi prevede un punto di partenza per la sua indagine così come la verifica della validità di questa ipotesi basata su metodi e competenze specifiche. Se l'ipotesi è dimostrata falsa, il terapeuta deve formare una seconda ipotesi sulla base delle informazioni raccolte durante il collaudo (testing) della prima.

CIRCOLARITÀ: per circolarità si intende la capacità del terapeuta di condurre la sua indagine sulla base dei feedback da parte della famiglia in risposta alle informazioni che egli sollecita sulle relazioni e, quindi, sulla differenza e sul cambiamento.

NEUTRALITÀ: Con neutralità del terapeuta si intende uno specifico effetto pragmatico che il suo comportamento totale durante la sessione esercita sulla famiglia (e non la sua disposizione intrapsichica).

Mentre il primo principio vale in generale per la definizione e lo studio di un sistema dinamico complesso interattivo con storia sul quale si hanno poche o nessuna informazione, gli altri due metodi derivano direttamente dalle basi epistemologiche cibernetiche e pragmatiche del modello sistemico.

IPOTIZZAZIONE
"Che cosa intendiamo, dunque, per ipotesi? E qual è la sua funzione?"

Definizione generale di ipotesi. Ipotesi, nell'etimologia greca significa "ciò che è sotto," o meglio, la proposizione alla base di una costruzione concettuale. Secondo l'Oxford Dictionary, l'ipotesi è "una supposizione fatta come base per un ragionamento, senza alcun riferimento alla sua verità; come punto di partenza per un'indagine. "Nella terminologia della scienza sperimentale, un'ipotesi è una supposizione non dimostrata provvisoriamente accettata per fornire una base per ulteriori indagini, dalle quali si può ottenere una verifica o una confutazione.
Nella sessione familiare, i fenomeni provocati dal tipo di ipotesi formulata dal terapeuta come guida per la sua attività definiscono tale attività come sperimentale. I dati di tale sperimentazione derivano da un feedback immediato (verbale e non verbale), così come feedback ritardati risultanti dalle prescrizioni e dai rituali prescritti dal terapeuta alla fine della sessione. Questi hanno come obiettivo l'ulteriore verifica dell'ipotesi che si è fino a quel momento dimostrata plausibile.
Come noto, la procedura classica del metodo sperimentale si compone di tre fasi: osservazione, formulazione di una ipotesi, e sperimentazione, Il più grande sforzo mentale si verifica nella seconda fase; è allora che la mente deve organizzare le osservazioni che ha raccolto. Un'ipotesi può organizzare in poche righe una serie di fatti empirici per la cui catalogazione potrebbe essere necessario un intero volume. E ovvio che la genialità (o la sua assenza) di una ricerca ruoti sulla formulazione delle ipotesi.
Il concetto di ipotesi così specificato coglie il significato fondamentale del termine alla sua radice etimologica di supposizione, escludendo esplicitamente la sua verità o falsità.

Valore funzionale del Ipotesi in generale. L'ipotesi, come tale, non è né vera né falsa, ma piuttosto, più o meno utile. Anche un'ipotesi che si riveli falsa porta informazioni in quanto elimina un certo numero di variabili che fino a quel momento era apparse possibile. Proprio per questa funzione categorizzare informazione ed esperienza, l'ipotesi occupa una posizione centrale tra i mezzi con cui discipliniamo il nostro lavoro investigativo.
La funzione essenziale delle ipotesi consiste quindi nella guida che fornisce a nuove informazioni, con la quale sarà confermata, smentita, o modificata.

Valore funzionale dell'Ipotesi nell'Intervista della Famiglia. Il valore funzionale delle ipotesi nell'intervista della famiglia è sostanzialmente quello di garantire l'attività del terapeuta, che consiste nel monitoraggio delle strutture relazionali. E molto probabile che tali modelli sono provocati e portati allo scoperto dal comportamento attivo del terapeuta. Se il terapeuta tende invece a comportarsi in modo passivo, come un osservatore piuttosto che come un giocatore, sarebbe la famiglia che, conformemente alle proprie ipotesi lineari, imporrebbe una propria sceneggiatura, dedicata esclusivamente alla designazione di chi è "pazzo" e chi è "colpevole", risultante in informazioni zero per il terapeuta. L'ipotesi del terapeuta, tuttavia, introduce il potente input dell'inaspettato e dell'improbabile nel sistema familiare e per questo motivo agisce ad evitare deragliamento e disordine. Cercheremo di spiegare questo ultimo concetto.

Ipotesi, Informazione, e Entropia negativa. Gregory Bateson, nel suo metalogo, "Why Do Thing Get in a Muddle?" (Perchè le cose finiscono in disordine?) afferma: "So che ci sono infiniti modi disordinati, quindi le cose andranno sempre verso il disordine e la confusione".
Se trasferiamo questa affermazione da un significato universale al recinto ristretto di una sessione di terapia familiare, siamo in grado per esperienza di confermare la sua validità. Le nostre sessioni con la famiglia tenderebbero, senza la nostra attività sulla base di una ipotesi, per andare verso un aumento scoraggiante di disordine e confusione.
...
Il disordine, la disorganizzazione, la mancanza di strutturazione, o la casualità di organizzazione di un sistema è nota come la sua entropia. Una diminuzione di entropia può essere considerata come una misura della quantità di informazione. E stato notato da Wiener e Shannon che la misura statistica per l'entropia negativa è la stessa di quella per l'informazione, che Schrödinger  ha chiamato "negentropia". Wiener ha dimostrato che i concetti di "informazione" e "negentropia" sono sinonimi.
Tuttavia, De Beauregard in seguito ha definito con più precisione il rapporto tra i due concetti di entropia negativa e informazione sulla base di due significati che sono illuminanti per la nostra ricerca.

La cibernetica è portata a definire "negentropia" e "informazione" con una sorta di raddoppio soggettivo, e ad ammettere la possibilità di una transizione in due sensi:

negentropia   informazione

Notiamo che il significato della parola informazione non è la stessa nei due sensi: nel passaggio diretto
neghentropia
informazione, "informazione" significa acquisizione di conoscenze
Nel passaggio reciproco
informazioni
neghentropia, "informazione" significa potere di organizzazione.

L'ipotesi deve essere sistemica. Un punto fondamentale da sottolineare è che ogni ipotesi deve essere sistemica, deve, quindi, comprendere tutti i componenti della famiglia, e deve fornirci una supposizione sulla funzione relazionale totale.

CIRCOLARITÀ
"Per circolarità intendiamo la capacità del terapeuta di condurre la sua indagine sulla base dei feedback da parte della famiglia in risposta alle informazioni che egli sollecita sulle relazioni e, quindi, sulla differenza e sul cambiamento."

L'acquisizione di una tale capacità richiede che i terapeuti liberarino se stessi dai condizionamenti linguistici e culturali che li fanno credere che sono capaci di pensare in termini di "cose" in modo che possano riscoprire "la verità più profonda che noi continuiamo a pensare solo in termini di relazioni "(Ruesch, Bateson - 1968).
Nel 1968 Bateson aveva già spiegato e dimostrato questo concetto.

"La stessa verità generale - che tutta la conoscenza di eventi esterni deriva dai rapporti tra di loro - è riconoscibile nel fatto che per raggiungere la percezione più accurata, un essere umano ricorrerà sempre al cambiamento del rapporto tra lui e l'oggetto esterno. Se sta ispezionando una macchia ruvida posta su qualche superficie per mezzo del tatto egli muove il dito sul punto, creando così una cascata di impulsi nervosi, con una precisa struttura sequenziale, da cui può derivare la forma statica ed altre caratteristiche della cosa studiata ... In questo senso, i nostri dati sensoriali iniziali sono sempre "derivate prime", dichiarazioni sulle differenze che esistono tra gli oggetti esterni o dichiarazioni sui cambiamenti che avvengono sia in loro o nel nostro rapporto con loro ... Ciò che percepiamo facilmente è differenza e cambiamento - e la differenza è una relazione." (Ruesch, Bateson - 1968)

Ciò che noi chiamiamo circolarità è dunque la nostra coscienza, o meglio ancora, la nostra convinzione di poter ottenere dalla famiglia informazioni autentiche solo se lavoriamo con i seguenti fondamentali :
1. L'informazione è una differenza.
2. La Differenza è una relazione (o un cambiamento nella relazione.

Questo non è tuttavia sufficiente. Un altro dispositivo è ancora necessario per aiutare il terapeuta ad affrontare la complessità della famiglia: ogni membro della famiglia è invitato a raccontarci come vede il rapporto tra due altri membri della famiglia. Qui abbiamo a che fare con le indagini di una relazione diadica, come si vede da una terza persona. Uno sarà prontamente d'accordo che è molto più fruttuoso, in quanto è efficace nel superare la resistenza, di chiedere a un figlio: "Dicci come vedi il rapporto tra tua sorella e tua madre", che chiedere alla madre direttamente sul suo rapporto con la figlia. Quello che è forse meno evidente è l'estrema efficienza di questa tecnica ad avviare un vortice di reazioni nella famiglia che tanto illuminano le varie relazioni triadiche. Infatti, invitando formalmente un membro della famiglia a metacomunicate sul rapporto di altri due, in loro presenza, non stiamo solo rompendo una delle regole onnipresenti delle famiglie disfunzionali, ma siamo anche conformi al primo assioma della pragmatica della comunicazione umana: in una situazione di interazione, i vari partecipanti non possono evitare di comunicare.

NEUTRALITÀ
"Con neutralità del terapeuta si intende uno specifico effetto pragmatico che il suo comportamento totale durante la sessione esercita sulla famiglia (e non la sua disposizione intrapsichica)."
 
Cercheremo di spiegare esattamente che cosa sia questo effetto pragmatico descrivendo una situazione ipotetica. Immaginiamo che quando uno dei membri del nostro team ha terminato la sua intervista con la famiglia ed è andato per discutere le informazioni che ha raccolto con il resto della squadra, un intervistatore si avvicini alla famiglia e chieda ai vari membri le loro impressioni sul terapeuta. Se la sessione è proceduto secondo l'epistemologia sistemica, i vari membri della famiglia avranno molto da dire sulla personalità del terapeuta (la sua intelligenza o mancanza di intelligenza, calore umano, simpatia, stile, ecc) Tuttavia, se gli si chiede di dichiarare per chi aveva parteggiato o con chi si era schierato o che giudizio aveva fatto verso l'uno o l'altro componente o su tutta la famiglia, dovrebbero rimanere perplessi e incerti.

Infatti, fintanto che il terapeuta invita un membro a commentare il rapporto di altri due membri, sembra in quel momento di essere alleato a quella persona. Tuttavia, questa alleanza si sposta nel momento in cui chiede a un altro membro della famiglia e ancora ad un altro a fare lo stesso. Il risultato finale delle alleanze successive è che il terapeuta è alleato con tutti e con nessuno allo stesso tempo.

Inoltre, quanto più il terapeuta assimila l'epistemologia sistemica, tanto più è interessato a provocare feedback e raccogliere informazioni e meno agisce a dare giudizi morali di qualsiasi tipo. La dichiarazione di qualsiasi giudizio, sia che si tratti di approvazione o di disapprovazione, implicitamente e inevitabilmente lo allea con uno degli individui o dei gruppi all'interno della famiglia. Allo stesso tempo, cerchiamo di osservare e neutralizzare il più presto possibile ogni tentativo verso la coalizione, seduzione, o di rapporti privilegiati con il terapeuta fatta da ogni un membro o sottogruppo della famiglia.

Infatti, è nostra convinzione che il terapeuta può essere efficace solo nella misura in cui è in grado di ottenere e mantenere un diverso livello (metalivello) da quello della famiglia.


Nel proseguire la sperimentazione il gruppo della Selvini Palazzoli  dalla fine degli anni 70 giunse a riconsiderare nel 1988 l'uso dei metodi paradossali ed ad analizzare in profondità le ricadute che si erano presentate.


L'autocritica verteva su diversi argomenti, quali l'interesse orientato esclusivamente su aspetti pragmatici (visti come indicatori di presunti bisogni del sistema), l'arbitrarietà, genericità e stereotipia degli interventi paradossali (in realtà il paradosso aveva effetti positivi solo se altamente specifico per quel sistema), la necessità di una richiesta d’aiuto fortemente investita, il rischio di alimentare il vittimismo del paziente designato e la necessità di evitare le stereotipie anche linguistiche. Tra i vari metodi e tecniche sviluppati il gruppo passò dai modelli diacronici, ovvero schemi generali progressivamente più dettagliati corrispondenti alla scansione storica del processo evolutivo del gioco di famiglia, ai modelli sincronici, ovvero una “foto istantanea del gioco di coppia” che serve a mostrare cosa sta avvenendo nel rapporto tra il terapeuta e la famiglia nell’immediato della seduta terapeutica. La necessità di creare modelli sincronici era emersa da situazioni particolarmente difficoltose nel corso di trattamenti terapeutici.

Nell'ambito della Scuola di Milano vi è stato inoltre uno dei primi tentativi di utilizzare il modello sistemico verso le organizzazioni, sia per stabilire modelli di analisi sia per eventuali interventi di management sistemico.


Mara Selvini Palazzoli
(Milano, 1916 – Milano, 21 giugno 1999)

  
Il Centro e la Scuola del Milan Approach ®

http://www.scuolamaraselvini.it/

giovedì 22 dicembre 2011

tutti i colori del Tao


GREEN
Rana mimetizzata in un fiume. La Brenne, Francia.
© Philippe Clement/Nature Picture Library

BLU
Il grande blu, iceberg. Antartide. Ecocepts International
© Eyedea

BLACK
Disastro ecologico, Guerra del Golfo. Al Ahmadi, Kuwait .Steve McCurry
© Steve McCurry/Magnum Photos

WHITE
Burqua alla moschea. Mazar-i-Shariff, Afghanistan.
© Ahmad Masood/Reuters

YELLOW
Spirali architettoniche. Bilbao, Spagna.
© Stefano De Luigi/Contrasto

RED
Cerimonia d’apertura del Congresso Nazionale del Popolo. Pechino, Cina.
© Nir Elias/Reuters

il Te del Tao: XXXIII - LA VIRTÙ DEL DISCERNIMENTO


XXXIII - LA VIRTÙ DEL DISCERNIMENTO

Chi conosce gli altri è sapiente,
chi conosce sé stesso è illuminato.
Chi vince gli altri è potente,
chi vince sé stesso è forte.
Chi sa contentarsi è ricco,
chi strenuamente opera attua i suoi intenti.
A lungo dura chi non si diparte dal suo stato,
ha vita perenne quello che muore ma non perisce.

martedì 20 dicembre 2011

Tao, mi ami?

 




















"Se la razza umana sopravvive, ho il sospetto che gli uomini del futuro, guarderanno indietro alla nostra epoca illuminata come un vero e proprio Age of Darkness (Era dell'oscurità)... Si vedrà che quello che era considerato malattia era una delle forme in cui, attraverso la gente comune, la luce ha iniziato a irrompere nelle nostre fin troppo chiuse menti "


DOTTORE Come sta?

Il paziente indica il tubo da tracheotomia che ha nel collo

DOTTORE Mi scusi

Rendendosi conto che il paziente non può parlare,il dottore prende taccuino e matita e scrive

COME STA?

Il paziente prende taccuino e matita e scrive

NON SONO SORDO

LEI dovevi chiedermi che regalo volevo per il mio compleanno
LUI oh già. Dimenticavo. Che regalo vorresti?
LEI indovina
LUI la testa di Giovanni Battista
LEI non essere frivolo
LUI allora che cosa?
LEI il divorzio
LUI è troppo costoso
LEI oh tesoro ti prego
LUI vedrò quello che posso fare ma non posso promettere
LEI prometti che farai il possibile
LUI prometto
LEI bacio
LUI bacio

Prendi questa pillola | e urlerai un po' meno | ti porta via la vita | senza, stai più sereno

Fu nel decimo anno | che mangiai dei topi bolliti | ora che gli uomini azzanno | non li trovo così saporiti

LEI mi ami?
LUI sì ti amo
LEI più di tutto?
LUI sì più di tutto
LEI più di tutto al mondo?
LUI sì più di tutto al mondo
LEI ti piaccio?
LUI sì mi piaci
LEI ti piace stare vicino a me?
LUI sì mi piace stare vicino a te
LEI ti piace guardarmi?
LUI sì mi piace guardarti
LEI pensi che io sia stupida?
LUI no non penso che tu sia stupida
LEI pensi che io sia carina?
LUI sì penso che tu sia carina
LEI ti annoio?
LUI no non mi annoi
LEI ti piacciono le mie sopracciglia?
LUI si mi piacciono le tue sopracciglia
LEI molto?
LUI molto
LEI quale ti piace di più?
LUI se dico quale l’altra sarà gelosa
LEI lo devi dire
LUI sono tutt’e due squisite
LEI davvero?
LUI davvero
LEI ho delle belle ciglia?
LUI sì delle ciglia bellissime
LEI ti piace annusarmi?
LUI sì mi piace annusarti
LEI ti piace il mio profumo?
LUI sì mi piace il tuo profumo
LEI pensi che io abbia buon gusto?
LUI sì penso che tu abbia buon gusto
LEI pensi che abbia del talento?
LUI sì penso che tu abbia del talento
LEI non pensi che io sia pigra?
LUI no non penso che tu sia pigra
LEI ti piace toccarmi?
LUI sì mi piace toccarti
LEI pensi che io sia buffa?
LUI solo in un modo simpatico
LEI stai ridendo di me?
LUI no non sto ridendo di te
LEI mi ami davvero?
LUI sì ti amo davvero
LEI dì “TI AMO”
LUI ti amo
LEI hai voglia di abbracciarmi?
LUI sì ho voglia di abbracciarti, e stringerti, e coccolarti, e amoreggiare con te
LEI va tutto bene?
LUI sì va tutto bene
LEI giura che non mi lascerai mai?
LUI giuro che non ti lascerò mai, mi faccio una croce sul cuore e che possa morire se non dico la verità

(pausa)

LEI mi ami davvero?

Come la neve a me l'amore pare
quand'è venuto se ne deve andare
non dir così, che questa è una bugia
l'amore resta, il tempo vola via

il Fulmine (la Torre) - XVI Major


La carta mostra una torre che viene bruciata, distrutta, annientata. Un uomo e una donna si stanno lanciando non perché lo vogliano, ma perché non hanno scelta. Sullo sfondo si vede una figura trasparente, in meditazione: rappresenta la consapevolezza testimoniante. In questo momento potresti sentirti alquanto scombussolato, come se ti mancasse il terreno sotto i piedi. Il tuo senso di sicurezza è stato sfidato, e la tendenza naturale è cercare di aggrapparsi a qualsiasi cosa. Ma questo terremoto interiore è necessario e importantissimo se lasci che accada, emergerai dalle macerie più forte e disponibile a nuove esperienze. Dopo il fuoco, la terra è più compatta; dopo la tempesta, l'aria è limpida. Cerca di osservare la distruzione con distacco, quasi accadesse a qualcun altro. Di' di sì al processo, andandogli incontro.

Ciò che la meditazione fa lentamente, un urlo del Maestro, inaspettatamente, in una situazione in cui il discepolo sta ponendo una domanda, e all'improvviso il Maestro balza in piedi e urla, o picchia il discepolo, o lo butta fuori dalla porta, o gli salta addosso, questi metodi non erano mai stati usati. Furono frutto del puro genio creativo di Ma Tzu, ed egli fece illuminare moltissime persone. A volte sembra così ridicolo: getta fuori dalla finestra di una casa a due piani un uomo, venuto a chiedere su cosa meditare. E non solo Ma Tzu lo getta fuori dalla finestra, salta dopo di lui, gli cade addosso, si siede sul suo petto e gli chiede: “Hai capito?!” E il poveretto risponde: “Sì”, perché se dicesse di no potrebbe tornare a picchiarlo o chissà cos'altro farebbe. Gli basta: ha il corpo fratturato, e Ma Tzu, seduto sul petto gli chiede: “Hai capito?!”. E di fatto quell'uomo ha compreso: è stato tutto così improvviso, istantaneo non se lo sarebbe mai immaginato.