giovedì 12 gennaio 2012

caos del Taos


Una distinzione fondamentale nella struttura e nella morfogenesi dei sistemi è quella tra ordinati e disordinati.
Come  spiegato da Bateson nel suo metalogo i sistemi ordinati sono quasi impossibili per ragioni puramente statistiche: nell'esempio, la scatola di colori di Cathy è "in ordine" se si trova in, diciamo, dieci posizioni sullo scaffale mentre nella stanza vi sono, per ipotesi, cento milioni di possibili posti e posizioni dove si può trovare, allora la probabilità che il sistema "scatola di colori nella stanza di Cathy" sia "in ordine" è di una su dieci milioni.
In generale i sistemi considerati "ordinati" presentano sempre un qualche grado di simmetria, come nei cristalli nello stato solido o nelle varie forme viventi in biologia.
Tipi di simmetria in biologia. (Field Museum, Chicago)
La caratteristica dei sistemi simmetrici è la drastica riduzione della quantità di informazione necessaria per descriverli e per sintetizzarli. Nei cristalli, ad esempio, è sufficiente definire la cella elementare per conoscere tutta la struttura cristallina, a parte i difetti reticolari sempre presenti. In una simmetria bilaterale, come quella umana assiale verticale, è sufficiente l'informazione di metà della struttura, l'altra metà è automaticamente replicata simmetricamente.
Un esempio classico di sistema simmetrico
I sistemi disordinati, come ad esempio le molecole di un gas rinchiuso in un certo volume, sono stati tradizionalmente trattati in modo probabilistico tramite la meccanica statistica. Nell'esempio, mentre la descrizione classica di posizione nel tempo delle molecole è praticamente impossibile e appare completamente disordinata, le variabili macroscopiche statistiche, come pressione e temperatura, sono definibili in modo preciso e determinano completamente lo stato termodinamico del sistema. Se le variabili macroscopiche di stato in considerazione sono due allora sono rappresentate in modo bidimensionale:
Diagramma di fase per l'acqua. La linea di fase verde mostra la transizione tra liquido e solido, quella blu tra liquido e gas.
o in modo tridimensionale se sono tre:
Diagramma di fase 3D per una quantità fissa di un generico materiale.
I diagrammi risultanti sono conosciuti come diagrammi di fase e definiscono completamente lo stato termodinamico del sistema anche se questo, dal punto di vista fisico-strutturale dei componenti, è completamente disordinato.
I diagrammi di fase sono statici, e non rappresentano l'evoluzione dinamica nel tempo del sistema, ma solo lo stato di questo per determinati valori delle sue variabili di stato. Per caratterizzare la dinamica di un sistema i diagrammi di fase sono stati generalizzati nei cosidetti diagrammi di stato (o spazio delle fasi, o spazio degli stati), introdotti da Gibbs nel 1901, e rappresentanti l'insieme di tutti i possibili stati (traiettorie o orbite) di un sistema dinamico, nel senso che ogni possibile stato dinamico del sistema corrisponde ad un'unico punto nello spazio delle fasi e viceversa. Per esempio in un sistema meccanico lo spazio delle fasi consiste generalmente in tutti possibili valori delle variabili posizione e velocità. Viceversa, un sistema dinamico si può definire in modo astratto come una regola per l'evoluzione nel tempo delle traiettorie delle variabili di stato in uno spazio delle fasi. I sistemi dinamici sono caratterizzati dal loro grado di libertà, ovvero la dimensione del loro spazio delle fasi dovuta al numero di variabili che lo descrivono completamente. Se il grado di libertà è 1 lo spazio delle fasi è unidimensionale e si riduce ad una linea di fase in un'unica variabile di stato x, come nel caso il sistema sia una reazione chimica in cui la variabile di stato è la concentrazione del reagente, oppure un circuito elettrico passivo RC caratterizzato dalla tensione ai capi del condensatore. Al variare dello stato del sistema f(x) la linea di fase identifica gli stati di equilibrio, dove f(x)=0, in quelli stabili o instabili e le traiettorie che li connettono. In questo caso la rappresentazione unidimensionale è definita da intervalli e cerchi, ad esempio:

Spazio delle fasi unidimensionale
dove i cerchi vuoti rappresentano punti di instabilità del sistema, mentre quelli pieni punti stabili di equilibrio. Ad esempio se x è la posizione angolare di un pendolo e f(x) la velocità i punti dove la velocità è zero, cioè il pendolo è fermo, sono:
Stati di equilibrio stabili e instabili
entrambi gli stati del sistema sono di equilibrio (il sistema è a riposo), ma lo stato di destra è stabile mentre quello di sinistra instabile. Una minima variazione nel primo stato riporta il sistema al punto di riposo, mentre nel secondo lo allontana verso un punto di stabilità.
Gli intervalli tra i cerchi possono essere quindi stabili o instabili e le freccie descrivono l'evoluzione (traiettoria) della variabile di stato x nei punti intermedi verso la stabilità.

Nel caso le variabili di stato di descrizione siano due lo spazio delle fasi diventa un piano delle fasi nelle due variabili di stato x e y, ad esempio posizione e velocità di una particella, lo stato di un sistema preda-predatore o la concentrazione di due reagenti in una reazione chimica omogenea.
Pendolo di Foucault, Pantheon, Paris
Ad esempio se il sistema è un pendolo ideale (senza attrito) il piano delle fasi è:

Spazio delle fasi bidimensionale per un pendolo senza attrito.
Sull'asse orizzontale x è riportata la posizione angolare, misurata come angolo dal'asse verticale del pendolo, su quello verticale y la velocità angolare. L'origine degli assi corrisponde al pendolo in posizione di riposo (posizione e velocità zero). I cerchi blu corrispondono alle oscillazioni del pendolo: nei due punti dove i cerchi intersecano l'asse delle ascisse la velocità è nulla e l'oscillazione è massima; partendo da tali stati il pendolo percorre il cerchio blu in senso orario, aumentando la velocità e diminuendo l'angolo, fino ad arrivare ad una delle due intersezioni con l'asse delle ordinate, corrispondente al passaggio dalla verticale, dove la velocità è massima. Le curve rosse corrispondono alle rotazioni complete: il pendolo ruota sempre nello stesso verso, senza mai fermarsi, con velocità massima al passaggio verticale basso e minima al passaggio verticale alto. Le curve nere rappresentano il limite tra i due casi.
Se il pendolo non è ideale ma con attrito lo spazio delle fasi diventa del tipo:
Spazio delle fasi bidimensionale con punto focale (pendolo con attrito).
che rappresenta in generale un sistema dinamico in cui la traiettoria evolve verso un punto focale di stabilità. Nel caso del pendolo reale con attrito portato fuori equilibrio le variabili di stato "spiraleggiano" verso il punto di equilibrio a velocità zero e posizione verticale.

Dai diagrammi di stato precedenti si nota una corrispondenza tra l'"ordine" del sistema reale e la sua rappresentazione nello spazio delle fasi. Nel caso del pendolo le sue oscillazioni regolari (dette anche "armoniche") ordinate corrispondono a linee ordinate nello spazio delle fasi.

La stessa corrispondenza vale per sistemi dinamici che presentino disordine nelle loro variabili di stato. Se al pendolo viene applicata una forza esterna, tipo una torsione nel fulcro applicata tramite un motore, il moto circolare del pendolo diventa particolarmente disordinato, e corrispondentemente diventano le traiettorie nello spazio delle fasi:

Spazio delle fasi bidimensionale per un pendolo con applicata una forza esterna.
Una caratteristica molto particolare di alcuni sistemi dinamici è quella dell'apparire di un cambiamento qualitativo della sua dinamica e del numero o della natura dei suoi punti di equilibrio, situazione che nello spazio delle fasi appare e viene denominata come biforcazione.


La descrizione delle biforcazioni nel caso di reazioni chimiche è stata trattata da Prigogine e Stengers. Nello spazio delle fasi ad un certo valore critico di una delle variabili di stato la linea di fase si divide in due (o più) linee che fanno emergere due nuove traiettorie stabili del sistema, come nella figura seguente dove X può rappresentare la concentrazione di un componente chimico coinvolto nella reazione in funzione di un parametro di controllo della reazione stessa, ad esempio la temperatura o la concentrazione di un'altro componente:


La questione è quale delle due traiettorie il sistema "sceglierà" al punto di biforcazione? Vi è una "scelta" tra due possibilità, rappresentate dalla distribuzione spaziale della concentrazione X nelle figure seguenti:


Le due strutture sono immagini speculari l'una dell'altra, e il sistema non "distingue" tra destra e sinistra. Nella prima la concentrazione X è più alta a sinistra, nella seconda a destra. Come il sistema sceglierà tra destra e sinistra? Prigogine e Stengers fanno notare che vi è un elemento irriducibile casuale per cui le equazioni cinetiche macroscopiche del sistema chimico non possono predirre l'evoluzione del sistema.
Nella figura seguente viene illustrato un diagramma di biforcazioni più complesso nel quale il sistema ha la "scelta" tra diversi comportamenti stabili e instabili:


Il percorso "storico" lungo il quale il sistema si evolve incrementando il parametro di controllo è caratterizzato da un susseguirsi di regioni stabili, dove valgono leggi deterministiche, e di instabili, presso i punti di biforcazione, dove il sistema può "scegliere" fra due o più futuri possibili. Sia il carattere deterministico delle equazioni cinetiche in cui l'insieme degli stati possibili e la loro rispettiva stabilità può essere calcolata, sia le fluttuazioni casuali che "scelgono" tra gli stati intorno ai punti di biforcazione sono inestricabilmente collegati. Questa miscela di caso e necessità, determinismo e casualità, costituisce la storia del sistema.


La caratteristica delle biforcazioni di un sistema dinamico con aspetti deterministici/casuali/caotici si può estendere come metafora anche a sistemi non formalizzabili, quali la storia umana:
Evoluzione con biforcazioni di un sistema storico.
Il passaggio da sistemi ordinati a sistemi disordinati e da sistemi semplici a sistemi complessi è storicamente fatta riferendosi ad uno dei più importanti fisici-matematici  dell'800, Jules Henry Poincaré, per due argomenti precisi.
Il primo è il cosidetto "problema dei tre corpi", definito da Whittakerthe most celebrated of all dynamical problems”, il caso più semplice del problema degli N-corpi, che si può descrivere come:

"Tre masse puntiformi, libere di muoversi nello spazio, si attraggono reciprocamente secondo la legge newtoniana di gravitazione. Si chiede di determinarne il movimento per qualunque configurazione spaziale e velocità iniziale."

Il problema della soluzione generale del moto di più di due corpi orbitanti nel sistema solare aveva eluso i matematici sin dal tempo di Newton. Il problema degli N-corpi alla fine del XIX secolo veniva considerato una delle maggiori sfide scientifiche. Nel 1887, in onore del sessantesimo compleanno, Oscar II, Re di Svezia, consigliato da Gösta Mittag-Leffler, istituì un premio per chi avesse trovato la soluzione al problema. L'annuncio era piuttosto specifico:

« Dato un sistema di un numero arbitrario di masse puntiformi che si attraggono l’un l’altra in accordo alla legge dell’inverso del quadrato di Newton, con l’ipotesi che non vi siano masse che collidono, cercare di trovare una rappresentazione delle coordinate di ogni massa come una serie in una variabile, che sia una funzione nota del tempo, e che per tutti i valori converga uniformemente»
Nel caso il problema non fosse stato risolto, ogni altro contributo importante alla meccanica celeste sarebbe stato considerato degno di vincere il premio. Il premio fu assegnato a Poincaré, sebbene egli non avesse risolto il problema. Uno dei giudici, Karl Weierstrass, disse: "Questo lavoro non si può proprio considerare la soluzione completa del problema proposto, tuttavia è di una tale importanza che la sua pubblicazione inaugurerà una nuova era nella storia della meccanica celeste."
Dinamica di un sistema a tre corpi in un campo gravitazionale.
L'importanza, anche pratica, del problema dei 3 (N) corpi è evidente. Sistemi planetari come le lune di Giove, stelle binarie con pianeti e il problema (semplificato) del moto di un satellite artificiale tra la Terra e la Luna o entro un sistema planetario come quello gioviano o di Saturno sono tra i più rilevanti. Il passaggio dal problema dei due corpi, risolto completamente dalla meccanica newtoniana (spiegando - ad esempio - le leggi orbitali descritte sperimentalmente da Keplero), a quello a tre corpi segna il passaggio da quelli che Weaver definiva problemi semplici a problemi complessi.
La risoluzione analitica in forma esplicita del problema non è possibile, mentre quella numerica mostra anche in questa caso una estrema dipendenza delle traiettorie orbitali dalle condizioni iniziali del sistema:
Rappresentazione 2D di un sistema a tre corpi.
Rappresentazione 3D di un sistema a tre corpi.
Il secondo argomento discusso da Poincaré fu quello della predizione del tempo metereologico.
«Perché i meteorologi fanno tanta fatica a predire il tempo con qualche certezza?». È questa una domanda ricorrente nei discorsi comuni, magari dopo che bollettini improbabili ci hanno rovinato la gita del fine settimana. Sorprendentemente queste parole però vengono da un ponderoso trattato dei primi del ‘900 di Henri Poincaré, dedicato alla teoria della probabilità.
Poincaré
anticipava i tempi e in un’epoca ferocemente determinista cominciava a vedere i limiti della prevedibilità matematica del mondo meccanico e infatti aveva una risposta a quell’interrogativo:
 «Le grandi perturbazioni – scrive Poincaré – si producono in genere nelle regioni in cui l’atmosfera è in equilibrio instabile. I meteorologi vedono bene che quest’equilibrio è instabile, che un ciclone sta per nascere da qualche parte; ma dove non sono in grado di dirlo; un decimo di grado in più o in meno in un punto qualunque e il ciclone scoppia qui e non là e stende le sue devastazioni su contrade che avrebbe risparmiato. Se si fosse conosciuto questo decimo di grado, lo si sarebbe potuto sapere in anticipo, ma le osservazioni non erano né abbastanza ravvicinate, né abbastanza precise, ed è per questo che tutto sembra dovuto all’intervento del caso. Qui troviamo ancora lo stesso contrasto tra una causa minima, inapprezzabile per l’osservatore, e degli effetti considerevoli, che sono a volte degli spaventosi disastri».
Negli anni 70 Edward Lorenz aveva costruito un modello semplificato dell'aria che si muove nell'atmosfera terrestre, con 12 equazioni ed altrettante variabili per descrivere il "tempo che farà". Ma i risultati non erano mai uguali: oscillavano in maniera apparentemente regolare eppure mai periodica. Lorenz decise di calcolare tutto su tempi più lunghi e si accorse di trovarsi di fronte a un caso di forte dipendenza dalle condizioni iniziali, di quelli ipotizzati da Poincaré. E non c’era nulla di patologico: ogni conto, ripetuto con diverse condizioni iniziali, mostrava lo stesso fenomeno. I parametri ripassavano più volte vicinissimi a valori già assunti, ma non li riproducevano mai esattamente. L’instabilità era presente per tutte le condizioni iniziali possibili; due traiettorie, per quanto vicine, alla fine divergevano sempre. Minore era la differenza tra le condizioni iniziali, maggiore era il tempo necessario perché le traiettorie si allontanassero di una data distanza, ma in un tempo abbastanza lungo l’allontanamento si verificava sempre. Una precisione finita fissata nella previsione per tempi arbitrariamente lunghi implicherebbe, di fatto, una precisione infinita nella misura delle condizioni iniziali, ovviamente impossibile.
Il fatto che una differenza piccolissima bastava a produrre evoluzioni successive diverse che davano un moto simile al passato ma mai uguale, mai ripetitivo, definirono un nuovo tipo di moto imprevedibile: il caos.
L’instabilità implica dunque incertezza ineliminabile sulle previsioni. Caos significa di fatto impredicibilità. Prevedere significa ricostruire, stabilire relazioni tra punti ed istanti. Quanto maggiore è l’informazione necessaria e quanto più lungo il processo, tanto più complesso è il fenomeno che si sta studiando.
Ci vollero anni prima che la scoperta di Lorenz, tanto inaspettata ed anti-intuitiva, venisse recepita dalla comunità scientifica e compresa in tutta la sua portata.
Lorenz scrive: «Fu un meteorologo a notare che se la teoria fosse stata corretta, un battito d’ali d’un gabbiano sarebbe stato sufficiente ad alterare per sempre l’evoluzione delle condizioni atmosferiche». Poi arrivò la gloria e Lorenz parafrasò quell’immagine rendendola ancora più lieve: intitolò la sua conferenza "Predictability: Does the Flap of a Butterfly’s Wings in Brazil set off a Tornado in Texas?" Da allora il mondo chiamerà la forte dipendenza dalle condizioni iniziali effetto farfalla.
Il lavoro di Lorenz portò alla luce un'altra caratteristica peculiare dei sistemi dinamici caotici nello spazio delle fasi: gli attrattori, definiti come
un insieme verso il quale evolve un sistema dinamico dopo un tempo sufficientemente lungo. Perché tale insieme possa essere definito come attrattore le traiettorie che arrivano ad essere sufficientemente vicine ad esso devono rimanere vicine anche se leggermente perturbate. Dal punto di vista geometrico un attrattore può essere un punto, una curva, una varietà, o anche un insieme più complicato dotato di struttura frattale o caotica e noto con il nome di attrattore strano. La descrizione degli attrattori dei sistemi dinamici caotici è stata uno dei fondamenti della teoria del caos.
Una traiettoria di un sistema dinamico su un attrattore non deve soddisfare nessuna proprietà particolare, escludendo il fatto che deve rimanere sull'attrattore. Le traiettorie possono essere periodiche, caotiche o di qualunque altro tipo.
Un esempio classico di attrattore, in questo caso strano, è quello modellato da Lorenz e riportato in 3D per tre variabili di stato:
Attrattore strano di Lorenz
Rendering 3D di un attrattore strano di Lorenz - chaoscope.org
L'evoluzione nel tempo delle tre variabili di stato per uno specifico attrattore di Lorenz:




mostra un andamento caotico, diverso per ogni minima variazione delle condizioni iniziali dell'attrattore.
Lo studio dell'attrattore di Lorenz porta un esempio dell'"effetto farfalla":

tempo 0 ≤ t ≤ 30
coordinata z

















Le figure mostrano due traiettorie dell'attrattore che evolvono in uno spazio tridimensionale per uno stesso periodo di tempo. La differenza tra il segmento blu e quello giallo è che la condizione iniziale ha una differenza di 10-5 rispetto alla coordinata z. Il secondo grafico indica la differenza tra le due traiettorie: all'inizio le traiettorie sono quasi coincidenti ma all'istante 23 si ha una brusca divergenza dove si separano per una distanza analoga alla loro dimensione. Dalla prima immagine si nota che le due traiettorie terminano in posizioni radicalmente diverse.

Un sistema dinamico può avere diversi attrattori, e la "scelta" tra questi dipende sempre dalle condizioni iniziali:

Nonostante i prodromi ottocenteschi, una vera e propria teoria del caos si è sviluppata solo a partire dagli anni '60 del Novecento, quando l'impiego dei computer consentì di compiere osservazioni controllate e allestire simulazioni numeriche.
In teoria del caos l'enfasi è posta sulla forte dipendenza del sistema dalle condizioni iniziali, nel senso che a variazioni infinitesime di queste possono aver luogo variazioni finite della traiettoria nello spazio delle fasi. Si parla allora di "caos deterministico", per sottolineare come l'evoluzione di un sistema possa farsi imprevedibile anche a partire da leggi di base ordinate o addirittura deterministiche.

La differenza radicale tra sistemi caotici e sistemi disordinati è proprio nel fatto che i primi sono, in linea teorica, deterministici ma imprevedibili, mentre i secondi sono prevedibili in senso statistico. Ad esempio questi due tipici esempi di sistemi caotici:



















che appaiono del tutto casuali sono in realtà deterministici; entrambi rappresentano "la soluzione" dell'evoluzione del sistema in quelle particolari condizioni, determinate da un numero enorme di condizioni iniziali e al contorno. Ogni "soluzione" è unica e determinata, anche se impredicibile, e non "la più probabile".

Un ulteriore classico esempio di questo tipo (oltre al problema dei tre corpi), è la cosidetta mappa logistica di Robert May, un biologo che si è occupato di dinamica delle popolazioni e di ecologia teorica. Nel 1976 May formulò una semplice successione iterativa non-lineare di tipo polinomiale per costruire un modello demografico che descrivesse la crescita di tipo esponenziale di una popolazione con competizione intraspecifica per le risorse (mortalità) quando la popolazione raggiunge valori elevati, con i vincoli che le risorse siano illimitate e non vi sia competizione interspecifica con altre specie.
Mappa logistica di May. x rappresenta la popolazione annuale calcolata sul lungo termine, r è un tasso combinato tra la riproduzione e la mortalità.
Il diagramma della mappa logistica mostra comportamenti estremamente diversi al variare del tasso r, in particolare all'aumentare di r oltre il valore di 3 iniziano ad apparire una serie di biforcazioni che per r maggiore di circa 3.6 diventano caotiche con caratteristiche frattali.
100 generazioni della mappa logistica della popolazione x con il parametro r che varia da 0 a 4.
Le caratteristiche frattali della parte caotica della mappa logistica si possono mettere in relazione con le caratteristiche dell'insieme di Mandelbrot:
Corrispondenza dinamica tra mappa logistica e il Mandelbrot set.
La relazione tra le rappresentazioni dei sistemi caotici e i frattali presenta alcune analogie e differenze. La differenza principale è che i primi esprimono l'imprevedibilità, il fatto che non si può prevedere in anticipo l'andamento del sistema su tempi lunghi rapportati al tempo caratteristico del sistema a partire da assegnate condizioni al contorno, mentre la caratteristica principale è l'auto-similarità e l'invarianza di scala, il fatto che a qualsiasi scala di ingrandimento di una sua parte l'oggetto è simile o uguale a se stesso. Le analogie principali sono che le loro rappresentazioni contengono una complessità molto elevata, se non infinita o meta-infinita, mentre le equazioni che li producono sono molto semplici, anche se non-lineari, e contengono operazioni non più complicate che moltiplicazioni ed addizioni.
chaos edge
Il comportamento caotico imprevedibile ma deterministico di sistemi apparentemente semplici e soggetti a leggi controllate e deterministiche è la radicale novità rispetto alla fisica classica, dove si riteneva che fossero sempre completamente calcolabili. L'insorgenza di comportamenti caotici in sistemi semplici e ordinati viene spesso denominata "il bordo del caos".


Così come il bordo tra strutture dissipative e strutture replicative segna un confine reciproco tra caos e ordine.


La relazione tra caos e complessità, in cui la complessità di un sistema non necessariamente implica un comportamento caotico e viceversa, è uno degli ambiti di studio più perseguiti attualmente, tanto che alcuni autori hanno coniato l'orrendo termine "caocomplessità" per evidenziarne l'unione delle ricerche. Ad esempio le relazioni tra sistemi ordinati-bordo del caos-caos si possono ripercuotere a diversi livelli di complessità, ad esempio da fisico a molecolare a biologico:


e la distinzione tra le varie caratteristiche dei sistemi si possono raggruppare a seconda del grado di calcolabilità (agreement tra modello teorico e reale) e imprevedibilità (certainty dei risultati del modello): 


La figura illustra alcune caratteristiche riassuntive dei sistemi complessi e caotici:


Il movimento degli indignati di Wall St. (NYC, 2011) ha ben chiara la distinzione tra caos e complessità.

mercoledì 28 dicembre 2011

alterazioni del Tao

La bataille de l'Argonne, 1959
Tentative de l'impossible, (1928, olio su tela, 116x81 cm, Toyota, Toyota Municipal Museum of Art)
Les vacances de Hegel, ( 1958, olio su tela, 61x50 cm, Courtesy Galerie Isy Brachot, Bruxelles-Parigi)
Les Valeurs personnelles, (1952, olio su tela, 80x100 cm, San Francisco, Museum of Modern Art)
La lampe philosophique, (1936, olio su tela, 50x66 cm, Collezione privata)


Non credo di essere un pittore nella piena accezione. Se, quand’ero giovane, la pittura era un grande piacere, in certi momenti non ero insensibile a un sentimento spontaneo che mi sorprendeva, precisamente quello di esistere senza conoscere la ragione del vivere e del morire. E’ questo sentimento che mi ha indotto a rompere con interessi - del resto assai poco precisi- d’ordine puramente estetico. Per esempio, mi accadeva di smettere all’improvviso di dipingere per essere stupito di essere, di avere un modello vivente davanti a me e di sentire che vedere “la vita” aveva un’importanza ben maggiore che dedicarsi ai piaceri dell’avanguardia. Nel 1925, stanco di quei piaceri, ho pensato che poco importava trovare un nuovo modo di dipingere ma che per me si trattava piuttosto di ciò che bisogna dipingere, di sapere perché il mistero sia messo in questione.

Schaarbeek Cemetery, Brussels

perchè il Tao finisce sempre in disordine?


PERCHÉ LE COSE FINISCONO IN DISORDINE?
M.C. Esher, Order and Caos, 1950
Figlia: Papà, perché le cose finiscono sempre in disordine?
Padre: Come? Le cose? Il disordine?
F. Be', la gente è sempre lì a mettere le cose a posto, ma nessuno si preoccupa di metterle in disordine. Sembra proprio che le cose si mettano in disordine da sole. E poi bisogna rimetterle a posto.
P. E le tue cose finiscono in disordine anche se tu non le tocchi?
F. No ... se nessuno le tocca, no. Ma se qualcuno le tocca allora si mettono in disordine, e se non sono io è ancora peggio.
P. Già ... ecco perché non voglio che tu tocchi le cose che sono sulla mia scrivania, perché il disordine diventa anche peggiore se le mie cose le tocca qualcuno che non sia io.
F. Ma perché le persone mettono sempre in disordine le cose degli altri, papà?
P. Be', un momento, non è così semplice. Prima di tutto, che cosa vuoi dire disordine?
F. Vuoi dire ... che non riesco a trovare le cose, e così tutto sembra in disordine. Cioè, quando niente è al suo posto ...
P. D'accordo, ma sei sicura di dare a 'disordine' il significato che gli darebbe una qualunque altra persona?
F. Ma sì, papà, sono sicura ... perché io non sono una persona molto ordinata, e se lo dico io che le cose sono in disordine, sono sicura che chiunque altro sarebbe d'accordo.
P. Va bene ... ma pensi che quando tu dici 'a posto' tu intenda la stessa cosa che intenderebbero gli altri? Se la mamma mette a posto le tue cose, sai dove ritrovarle?
F. Mah ... a volte ... perché, vedi, io so dove mette le cose quando fa ordine ...
P. Sì, anch'io cerco di impedirle di fare ordine sulla mia scrivania. Sono convinto che la mamma e io non intendiamo la stessa cosa per 'ordinato' .
F. Papà, e tu e io intendiamo la stessa cosa per 'ordinato'?
P. Non credo, cara ... non credo proprio.
F. Ma, papà, non è strano ... Tutti vogliono dire la stessa cosa quando dicono 'disordinato', ma pensano a cose diverse quando dicono 'ordinato'? Però 'ordinato' è il contrario di 'disordinato', non è vero?
P. Qui si entra nel difficile. Ricominciamo daccapo. Tu hai detto: "Perché le cose finiscono sempre in disordine?». Ora abbiamo fatto qualche passo avanti, e cambiamo la domanda così: «Perché le cose finiscono in uno stato che Cathy chiama 'non ordinato'?". Capisci perché voglio cambiare la domanda in questo modo?
F. Be', credo di sì ... perché se 'ordinato' vuoi dire per me una cosa speciale, allora certi 'ordini' delle altre persone mi sembreranno disordini ... anche se siamo d'accordo sulla maggior parte di quello che chiamiamo disordini ...
P. Proprio così. Ora esaminiamo quello che tu chiami ordinato. Dov' è la tua scatola di colori quando è in un posto ordinato?
F. Qui, da questa parte dello scaffale.
P. Bene ... e se fosse in qualche altro posto?
F. No, allora non sarebbe in ordine.
P. E se fosse qui, dall'altra parte dello scaffale? Così?
F. No, quello non è il suo posto, e comunque dovrebbe stare diritta e non tutta storta come la metti tu.
P. Ah, nel posto giusto e diritta.
F. Sì.
P. Be', allora ci sono solo pochissimi posti che sono 'ordinati' per la tua scatola di colori ...
F. Solo un posto ...
P. No ... pochissimi posti, perché se la muovo un pochino, così, è ancora in ordine.
F. Va bene ... ma proprio pochissimi posti.
P. D'accordo ... pochissimi posti. E allora il tuo orsetto, e la bambola, e il mago di Oz, e il tuo maglione e le scarpe? È vero per ogni cosa, no? - che ci sono pochissimi posti che per quella cosa sono' ordinati'.
F. Sì, papà ... ma il mago di Oz potrebbe stare in un punto qualsiasi di quello scaffale. E sai cosa, papà? Mi secca molto quando i miei libri si confondono coi tuoi e coi libri della mamma.
P. Sì, lo so. (Pausa).
F. Papà, non hai finito. Perché le mie cose finiscono sempre nel modo che io dico che non è ordinato?
P. Ma io ho finito ... è solo perché ci sono più modi che tu chiami 'disordinati' che modi che tu chiami 'ordinati'.
F. Ma questa non è una ragione ...
p. Ma sì, lo è. Ed è la vera, unica e importantissima ragione.
F. Papà, smettila!
P. Ma non ti sto prendendo in giro. La ragione è questa, e tutta la scienza è appesa a questa ragione. Prendiamo un altro esempio. Se io metto un po' di sabbia in fondo a questa tazzina, e sopra ci verso un po' di zucchero, e poi giro con un cucchiaino, la sabbia e lo zucchero si mescolano, no?
F. Sì, papà, ma ti sembra giusto adesso metterti a parlare di 'mescolare', quando abbiamo cominciato con 'disordinare'?
P. Ma credo proprio di sì... perché si può pensare che ci sia qualcuno che pensa che sia più ordinato avere tutta la sabbia sopra e tutto lo zucchero sotto. E se vuoi dirò che sono io a pensarla così.
F. Uhm ...
P. D'accordo ... prendiamo un altro esempio. Al cinema a volte vedrai che c'è un mucchio di lettere dell'alfabeto, tutte sparpagliate sullo schermo, tutte alla rinfusa, e qualcuna anche capovolta. E poi qualcosa comincia a scuoterle, e le lettere cominciano a muoversi, e queste scosse continuano e le lettere vanno tutte insieme a comporre il titolo del film.
F. Sì, sì, l'ho visto, il titolo era A Capri.
P. Non importa qual era il titolo. Il punto è che tu hai visto qualcosa che veniva scosso e agitato, ma invece di finire in un disordine più grande di prima, le lettere si componevano in bell'ordine, tutte in fila nel modo giusto, e formavano parole ... cioè costruivano qualcosa che moltissima gente sarebbe d'accordo nel giudicare sensato.
F. Sì, papà, ma vedi...
P. No, non vedo niente; quello che voglio dire è che nel mondo reale le cose non vanno mai a quel modo. Quello succede solo al cinema.
F. Ma, papà ...
P. Cioè, ti dico che è solo al cinema che si possono scuotere le cose e far loro acquistare più ordine e significato di quanto ne avessero prima ...
F. Ma, papà ...
P. Aspetta che finisca, questa volta ... E al cinema ottengono quell'effetto facendo andare tutto all'indietro. Mettono le lettere tutte in fila, che facciano A Capri, poi mettono in moto la macchina da ripresa e cominciano a scuotere la tavola.
F. Ma, papà ... lo sapevo e volevo proprio dirlo io a te ... e poi quando proiettano il film lo fanno all'indietro, così sembra che le cose siano accadute in avanti, invece veramente hanno scosso le lettere all'indietro. E devono filmarle capovolte ... Perché fanno così, papà?
P. Oddio!
F. Perché devono mettere la macchina capovolta, papà?
P. No, non voglio rispondere ora a questa domanda, perché ora siamo in mezzo al problema del disordine.
F. D'accordo, ma non dimenticare, papà, che un'altra volta dovrai rispondere alla mia domanda sulla macchina da presa. Non dimenticartene! Non te ne dimenticherai, vero, papà? Perché io potrei non ricordarmene. Ti prego, papà.
P. D'accordo, ma un'altra volta. Ora, dov'eravamo rimasti? Ah, sì, che le cose non avvengono mai all'indietro. E stavo cercando di dirti perché è un buon motivo che le cose avvengano in un certo modo, se possiamo mostrare che quel modo ha più modi di realizzarsi che non un altro modo.
F. Papà, non cominciare a dire cose assurde.
P. Non sto dicendo cose assurde. Ricominciamo daccapo. C'è solo un modo per scrivere A Capri. D'accordo?
F. Sì.
P. Bene. E ci sono milioni e milioni di modi di sparpagliare sei lettere sul tavolo. D'accordo?
F. Sì, penso di sì. Potrebbero essere anche capovolte?
P. Sì. .. proprio come hanno fatto in quel film. Ma ci potrebbero essere milioni e milioni e milioni di disordini come quello, no? E solo un A Capri.
F. Va bene ... sì. Ma papà, con le stesse lettere si potrebbe scrivere APrica.
P. Lascia perdere, quelli del film non vogliono che sia scritto Aprica. Vogliono solo A Capri.
F. Perché vogliono così?
P. Al diavolo quelli del film!
F. Ma sei stato tu a parlarne, papà.
P. Sì ... ma era solo per cercare di dirti perché le cose vanno a finire in quel modo che ha più maniere di realizzarsi. E adesso è ora di andare a letto.
F. Ma, papà, non hai ancora finito di dirmi perché le cose accadono in quel modo ... il modo che ha più modi.
P. D'accordo, ma non mettere altra carne al fuoco ... ce n'è già abbastanza. Comunque sono stufo di A Capri, prendiamo un altro esempio. Giocare a testa o croce.
F. Papà, stai ancora parlando del problema di prima? «Perché le cose finiscono sempre in disordine?».
P. Sì.
F. Allora, papà, quello che stai cercando di dire vale per le monete, e per A Capri, e per lo zucchero e la sabbia, e per la mia scatola di colori, e per le monete?
P. Sì ... è così.
F. Ah ... stavo solo pensando, ecco.
P. Vediamo se stavolta riesco a dirlo. Torniamo alla sabbia e allo zucchero, e supponiamo che qualcuno dica che quando la sabbia sta in basso, tutto è 'a posto' e 'ordinato'.
F. Papà, bisogna proprio che qualcuno dica una cosa del genere, prima che tu possa andare avanti e dire come le cose finiscono in disordine quando le tocchiamo?
P. Sì ... ecco il punto. Loro dicono quello che sperano accada, e io dico che non accadrà perché ci sono tante altre cose che potrebbero accadere. E io so che è più probabile che accada una delle tante cose che una delle poche. Dato che ci sono infiniti modi disordinati le cose andranno sempre verso il disordine e la confusione.
F. Ma, papà, perché non hai detto questo fin dall'inizio? Questo lo avrei capito benissimo.
P. Già, credo proprio di sì. Comunque è ora di andare a nanna.
F. Papà, perché i grandi fanno le guerre, invece di fare solo la lotta come fanno i bambini?
P. No ... a nanna. Basta. Parleremo un'altra volta delle guerre.

(1948)

secret Tao



Growing Up Tour, Milano, 2003

I stood in this sunsheltered place
'Til I could see the face behind the face
All that had gone before had left no trace

Down by the railway siding
In our secret world, we were colliding
All the places we were hiding love
What was it we were thinking of?

So I watch you wash your hair
Underwater, unaware
And the plane flies through the air
Did you think you didn't have to choose it
That I alone could win or lose it
In all the places we were hiding love
What was it we were thinking of?

In this house of make believe
Divided in two, like Adam and Eve
You put out and I recieve

[Chorus:]
Down by the railway siding
In our secret world, we were colliding
In all the places we were hiding love
What was it we were thinking of?

Oh the wheel is turning spinning round and round
And the house is crubling but the stairways stand

With no guilt and no shame, no sorrow or blame
Whatever it is, we are all the same

Making it up in our secret world [x3]
Shaking it up
Breaking it up
Making it up in our secret world

Seeing things that were not there
On a wing on a prayer
In this state of disrepair

[Chorus]

Shh, listen...


Peter Gabriel: voce, tastiere.
Tony Levin: basso elettrico, contrabbasso elettrico, cori.
David Rhodes: chitarre, cori.
Ged Lynch: batteria, percussioni.
Rachel Z: tastiere, cori.
Richard Evans: chitarre, mandolino, tin whistles, cori.
Melanie Gabriel: cori.

martedì 27 dicembre 2011

Tao e controTao


Nel 1967 la Prof.ssa Mara Selvini Palazzoli fondò  il Centro per lo Studio della Famiglia a Milano con un gruppo di ricerca che includeva Luigi Boscolo, Gianfranco Cecchin e Giuliana Prata. La Selvini aveva già nel 1963 pubblicato un volume ormai classico, "Anoressia Mentale" e, come gli altri membri del gruppo, aveva una formazione di tipo classico-psicoanalitico. L'obiettivo del gruppo era di verificare i limiti dell'approccio individuale ed iniziare una nuova metodologia che richiede la presa in carico dell'intero gruppo familiare, unitamente all'adozione di quello che al tempo era un nuovo modello paradigmaticamente rivoluzionario: il modello sistemico-relazionale introdotto dalle Scuole di Palo Alto di Gregory Bateson e Paul Watzlawick.
Inizia così una sperimentazione che porterà il gruppo ad una rilevanza internazionale nel suo specifico metodo di lavoro pratico e teorico, conosciuto come Milan Approach o Scuola di Milano.

Paul Watzlawick (a sinistra), John Weakland (al centro, con gli occhiali)
e una sorridente Mara Selvini Palazzoli, (1979).
"I quattro della Scuola di Milano si incontravano un giorno a settimana presso il Centro, vedendo famiglie gratuitamente o dietro un compenso bastante appena a pagare le spese. In un caffè di una stradina secondaria leggevano e discutevano i lavori del gruppo di Palo Alto, dedicando ore a discussioni, liti e opera di persuasione reciproca per arrivare a stendere quello che sarebbe stato un importante modello di terapia sistemica e rifiutando sistematicamente gli inviti pressanti dei colleghi di mettere per iscritto le loro idee o di presentarle a qualche evento: il gruppo voleva attendere di avere una propria casistica capace di sostenere il proprio modello, situazione che si manifestò (e solo parzialmente, vinti infine dalle insistenti richieste) nel 1975, con il libro Paradosso e Controparadosso. E' da evidenziare come le relazioni d'équipe furono fondamentali: il gruppo credeva fortemente nella necessità di rimanere indipendente da sovvenzioni e pubbliche istituzioni, per evitare fenomeni di pressione che ne potessero disturbare il lavoro. A spronarli nel loro lavoro fu anche Paul Watzlawick, che nei suoi viaggi in Italia visitò il loro Centro e citò la Scuola di Milano in più di un'occasione."

Il libro si basa sulla discussione teorica e pratica della comunicazione paradossale sviluppata dalle Scuole di Palo Alto e basata sulla prescrizione e connotazione positiva del sintomo. Il carattere paradossale del sintomo, studiato nelle prime sedute per stabilire il "modello di funzionamento" o "gioco" della famiglia sintomatica, viene quindi formalizzato, connotato positivamente e ri-iniettato entro la dinamica del sistema familiare come controparadosso. La Scuola di Milano utilizzò il setting di terapia già iniziato negli Stati Uniti e diventato uno standard nella terapia familiare: conformemente all'approccio sistemico il setting consiste in due stanze, una dove la famiglia viene intervistata da uno o più terapeuti, la seconda, separata da uno specchio unidirezionale, con uno o più co-terapeuti che osservano il sistema complessivo famiglia più terapeuti e che, periodicamente, fornisce le proprie indicazioni.
I modelli di studio ed intervento sviluppati dalla Scuola nell'ambito sistemico-relazionale, benchè costruiti specificamente per la terapia familiare, hanno validità generale per descrivere l'interazione di gruppi umani.
Un esempio di questo è un classico lavoro del 1980 che, benchè presentato come direttive fondamentali per la conduzione di una terapia familiare efficace, presenta dei principi e metodi validi in generale per uno studio ed intervento significativi su qualsiasi sistema relazionale in quanto modalità di interazione come fornire false o devianti informazioni e il rifiuto squalifica e disconferma della relazione, benchè tipiche dei gruppi familiari schizofrenogenici o sintomatici, non sono certo prerogative solo di questi e sono caratteristiche generali per qualsiasi gruppo organizzato che tenda a conservare in modo rigido la propria omeostasi e rifiutare il cambiamento, quando necessario.


IPOTIZZAZIONE: Con ipotizzazione ci riferiamo alla formulazione da parte del terapeuta di un'ipotesi basata sulle informazioni che possiede riguardo la famiglia che sta intervistando. L'ipotesi prevede un punto di partenza per la sua indagine così come la verifica della validità di questa ipotesi basata su metodi e competenze specifiche. Se l'ipotesi è dimostrata falsa, il terapeuta deve formare una seconda ipotesi sulla base delle informazioni raccolte durante il collaudo (testing) della prima.

CIRCOLARITÀ: per circolarità si intende la capacità del terapeuta di condurre la sua indagine sulla base dei feedback da parte della famiglia in risposta alle informazioni che egli sollecita sulle relazioni e, quindi, sulla differenza e sul cambiamento.

NEUTRALITÀ: Con neutralità del terapeuta si intende uno specifico effetto pragmatico che il suo comportamento totale durante la sessione esercita sulla famiglia (e non la sua disposizione intrapsichica).

Mentre il primo principio vale in generale per la definizione e lo studio di un sistema dinamico complesso interattivo con storia sul quale si hanno poche o nessuna informazione, gli altri due metodi derivano direttamente dalle basi epistemologiche cibernetiche e pragmatiche del modello sistemico.

IPOTIZZAZIONE
"Che cosa intendiamo, dunque, per ipotesi? E qual è la sua funzione?"

Definizione generale di ipotesi. Ipotesi, nell'etimologia greca significa "ciò che è sotto," o meglio, la proposizione alla base di una costruzione concettuale. Secondo l'Oxford Dictionary, l'ipotesi è "una supposizione fatta come base per un ragionamento, senza alcun riferimento alla sua verità; come punto di partenza per un'indagine. "Nella terminologia della scienza sperimentale, un'ipotesi è una supposizione non dimostrata provvisoriamente accettata per fornire una base per ulteriori indagini, dalle quali si può ottenere una verifica o una confutazione.
Nella sessione familiare, i fenomeni provocati dal tipo di ipotesi formulata dal terapeuta come guida per la sua attività definiscono tale attività come sperimentale. I dati di tale sperimentazione derivano da un feedback immediato (verbale e non verbale), così come feedback ritardati risultanti dalle prescrizioni e dai rituali prescritti dal terapeuta alla fine della sessione. Questi hanno come obiettivo l'ulteriore verifica dell'ipotesi che si è fino a quel momento dimostrata plausibile.
Come noto, la procedura classica del metodo sperimentale si compone di tre fasi: osservazione, formulazione di una ipotesi, e sperimentazione, Il più grande sforzo mentale si verifica nella seconda fase; è allora che la mente deve organizzare le osservazioni che ha raccolto. Un'ipotesi può organizzare in poche righe una serie di fatti empirici per la cui catalogazione potrebbe essere necessario un intero volume. E ovvio che la genialità (o la sua assenza) di una ricerca ruoti sulla formulazione delle ipotesi.
Il concetto di ipotesi così specificato coglie il significato fondamentale del termine alla sua radice etimologica di supposizione, escludendo esplicitamente la sua verità o falsità.

Valore funzionale del Ipotesi in generale. L'ipotesi, come tale, non è né vera né falsa, ma piuttosto, più o meno utile. Anche un'ipotesi che si riveli falsa porta informazioni in quanto elimina un certo numero di variabili che fino a quel momento era apparse possibile. Proprio per questa funzione categorizzare informazione ed esperienza, l'ipotesi occupa una posizione centrale tra i mezzi con cui discipliniamo il nostro lavoro investigativo.
La funzione essenziale delle ipotesi consiste quindi nella guida che fornisce a nuove informazioni, con la quale sarà confermata, smentita, o modificata.

Valore funzionale dell'Ipotesi nell'Intervista della Famiglia. Il valore funzionale delle ipotesi nell'intervista della famiglia è sostanzialmente quello di garantire l'attività del terapeuta, che consiste nel monitoraggio delle strutture relazionali. E molto probabile che tali modelli sono provocati e portati allo scoperto dal comportamento attivo del terapeuta. Se il terapeuta tende invece a comportarsi in modo passivo, come un osservatore piuttosto che come un giocatore, sarebbe la famiglia che, conformemente alle proprie ipotesi lineari, imporrebbe una propria sceneggiatura, dedicata esclusivamente alla designazione di chi è "pazzo" e chi è "colpevole", risultante in informazioni zero per il terapeuta. L'ipotesi del terapeuta, tuttavia, introduce il potente input dell'inaspettato e dell'improbabile nel sistema familiare e per questo motivo agisce ad evitare deragliamento e disordine. Cercheremo di spiegare questo ultimo concetto.

Ipotesi, Informazione, e Entropia negativa. Gregory Bateson, nel suo metalogo, "Why Do Thing Get in a Muddle?" (Perchè le cose finiscono in disordine?) afferma: "So che ci sono infiniti modi disordinati, quindi le cose andranno sempre verso il disordine e la confusione".
Se trasferiamo questa affermazione da un significato universale al recinto ristretto di una sessione di terapia familiare, siamo in grado per esperienza di confermare la sua validità. Le nostre sessioni con la famiglia tenderebbero, senza la nostra attività sulla base di una ipotesi, per andare verso un aumento scoraggiante di disordine e confusione.
...
Il disordine, la disorganizzazione, la mancanza di strutturazione, o la casualità di organizzazione di un sistema è nota come la sua entropia. Una diminuzione di entropia può essere considerata come una misura della quantità di informazione. E stato notato da Wiener e Shannon che la misura statistica per l'entropia negativa è la stessa di quella per l'informazione, che Schrödinger  ha chiamato "negentropia". Wiener ha dimostrato che i concetti di "informazione" e "negentropia" sono sinonimi.
Tuttavia, De Beauregard in seguito ha definito con più precisione il rapporto tra i due concetti di entropia negativa e informazione sulla base di due significati che sono illuminanti per la nostra ricerca.

La cibernetica è portata a definire "negentropia" e "informazione" con una sorta di raddoppio soggettivo, e ad ammettere la possibilità di una transizione in due sensi:

negentropia   informazione

Notiamo che il significato della parola informazione non è la stessa nei due sensi: nel passaggio diretto
neghentropia
informazione, "informazione" significa acquisizione di conoscenze
Nel passaggio reciproco
informazioni
neghentropia, "informazione" significa potere di organizzazione.

L'ipotesi deve essere sistemica. Un punto fondamentale da sottolineare è che ogni ipotesi deve essere sistemica, deve, quindi, comprendere tutti i componenti della famiglia, e deve fornirci una supposizione sulla funzione relazionale totale.

CIRCOLARITÀ
"Per circolarità intendiamo la capacità del terapeuta di condurre la sua indagine sulla base dei feedback da parte della famiglia in risposta alle informazioni che egli sollecita sulle relazioni e, quindi, sulla differenza e sul cambiamento."

L'acquisizione di una tale capacità richiede che i terapeuti liberarino se stessi dai condizionamenti linguistici e culturali che li fanno credere che sono capaci di pensare in termini di "cose" in modo che possano riscoprire "la verità più profonda che noi continuiamo a pensare solo in termini di relazioni "(Ruesch, Bateson - 1968).
Nel 1968 Bateson aveva già spiegato e dimostrato questo concetto.

"La stessa verità generale - che tutta la conoscenza di eventi esterni deriva dai rapporti tra di loro - è riconoscibile nel fatto che per raggiungere la percezione più accurata, un essere umano ricorrerà sempre al cambiamento del rapporto tra lui e l'oggetto esterno. Se sta ispezionando una macchia ruvida posta su qualche superficie per mezzo del tatto egli muove il dito sul punto, creando così una cascata di impulsi nervosi, con una precisa struttura sequenziale, da cui può derivare la forma statica ed altre caratteristiche della cosa studiata ... In questo senso, i nostri dati sensoriali iniziali sono sempre "derivate prime", dichiarazioni sulle differenze che esistono tra gli oggetti esterni o dichiarazioni sui cambiamenti che avvengono sia in loro o nel nostro rapporto con loro ... Ciò che percepiamo facilmente è differenza e cambiamento - e la differenza è una relazione." (Ruesch, Bateson - 1968)

Ciò che noi chiamiamo circolarità è dunque la nostra coscienza, o meglio ancora, la nostra convinzione di poter ottenere dalla famiglia informazioni autentiche solo se lavoriamo con i seguenti fondamentali :
1. L'informazione è una differenza.
2. La Differenza è una relazione (o un cambiamento nella relazione.

Questo non è tuttavia sufficiente. Un altro dispositivo è ancora necessario per aiutare il terapeuta ad affrontare la complessità della famiglia: ogni membro della famiglia è invitato a raccontarci come vede il rapporto tra due altri membri della famiglia. Qui abbiamo a che fare con le indagini di una relazione diadica, come si vede da una terza persona. Uno sarà prontamente d'accordo che è molto più fruttuoso, in quanto è efficace nel superare la resistenza, di chiedere a un figlio: "Dicci come vedi il rapporto tra tua sorella e tua madre", che chiedere alla madre direttamente sul suo rapporto con la figlia. Quello che è forse meno evidente è l'estrema efficienza di questa tecnica ad avviare un vortice di reazioni nella famiglia che tanto illuminano le varie relazioni triadiche. Infatti, invitando formalmente un membro della famiglia a metacomunicate sul rapporto di altri due, in loro presenza, non stiamo solo rompendo una delle regole onnipresenti delle famiglie disfunzionali, ma siamo anche conformi al primo assioma della pragmatica della comunicazione umana: in una situazione di interazione, i vari partecipanti non possono evitare di comunicare.

NEUTRALITÀ
"Con neutralità del terapeuta si intende uno specifico effetto pragmatico che il suo comportamento totale durante la sessione esercita sulla famiglia (e non la sua disposizione intrapsichica)."
 
Cercheremo di spiegare esattamente che cosa sia questo effetto pragmatico descrivendo una situazione ipotetica. Immaginiamo che quando uno dei membri del nostro team ha terminato la sua intervista con la famiglia ed è andato per discutere le informazioni che ha raccolto con il resto della squadra, un intervistatore si avvicini alla famiglia e chieda ai vari membri le loro impressioni sul terapeuta. Se la sessione è proceduto secondo l'epistemologia sistemica, i vari membri della famiglia avranno molto da dire sulla personalità del terapeuta (la sua intelligenza o mancanza di intelligenza, calore umano, simpatia, stile, ecc) Tuttavia, se gli si chiede di dichiarare per chi aveva parteggiato o con chi si era schierato o che giudizio aveva fatto verso l'uno o l'altro componente o su tutta la famiglia, dovrebbero rimanere perplessi e incerti.

Infatti, fintanto che il terapeuta invita un membro a commentare il rapporto di altri due membri, sembra in quel momento di essere alleato a quella persona. Tuttavia, questa alleanza si sposta nel momento in cui chiede a un altro membro della famiglia e ancora ad un altro a fare lo stesso. Il risultato finale delle alleanze successive è che il terapeuta è alleato con tutti e con nessuno allo stesso tempo.

Inoltre, quanto più il terapeuta assimila l'epistemologia sistemica, tanto più è interessato a provocare feedback e raccogliere informazioni e meno agisce a dare giudizi morali di qualsiasi tipo. La dichiarazione di qualsiasi giudizio, sia che si tratti di approvazione o di disapprovazione, implicitamente e inevitabilmente lo allea con uno degli individui o dei gruppi all'interno della famiglia. Allo stesso tempo, cerchiamo di osservare e neutralizzare il più presto possibile ogni tentativo verso la coalizione, seduzione, o di rapporti privilegiati con il terapeuta fatta da ogni un membro o sottogruppo della famiglia.

Infatti, è nostra convinzione che il terapeuta può essere efficace solo nella misura in cui è in grado di ottenere e mantenere un diverso livello (metalivello) da quello della famiglia.


Nel proseguire la sperimentazione il gruppo della Selvini Palazzoli  dalla fine degli anni 70 giunse a riconsiderare nel 1988 l'uso dei metodi paradossali ed ad analizzare in profondità le ricadute che si erano presentate.


L'autocritica verteva su diversi argomenti, quali l'interesse orientato esclusivamente su aspetti pragmatici (visti come indicatori di presunti bisogni del sistema), l'arbitrarietà, genericità e stereotipia degli interventi paradossali (in realtà il paradosso aveva effetti positivi solo se altamente specifico per quel sistema), la necessità di una richiesta d’aiuto fortemente investita, il rischio di alimentare il vittimismo del paziente designato e la necessità di evitare le stereotipie anche linguistiche. Tra i vari metodi e tecniche sviluppati il gruppo passò dai modelli diacronici, ovvero schemi generali progressivamente più dettagliati corrispondenti alla scansione storica del processo evolutivo del gioco di famiglia, ai modelli sincronici, ovvero una “foto istantanea del gioco di coppia” che serve a mostrare cosa sta avvenendo nel rapporto tra il terapeuta e la famiglia nell’immediato della seduta terapeutica. La necessità di creare modelli sincronici era emersa da situazioni particolarmente difficoltose nel corso di trattamenti terapeutici.

Nell'ambito della Scuola di Milano vi è stato inoltre uno dei primi tentativi di utilizzare il modello sistemico verso le organizzazioni, sia per stabilire modelli di analisi sia per eventuali interventi di management sistemico.


Mara Selvini Palazzoli
(Milano, 1916 – Milano, 21 giugno 1999)

  
Il Centro e la Scuola del Milan Approach ®

http://www.scuolamaraselvini.it/