mercoledì 5 ottobre 2011

Tao Synchronicity



With one breath, with one flow
You will know
Synchronicity
A sleep trance, a dream dance,
A shared romance
Synchronicity

A connecting principle
Linked to the invisible
Almost imperceptible
Something inexpressible
Science insusceptible
Logic so inflexible
Causally connectible
Yet nothing is invincible

If we share this nightmare
Then we can dream
Spiritus mundi
If you act as you think
The missing link
Synchronicity

We know you, they know me
Extrasensory
Synchronicity
A star fall, a phone call
It joins all
Synchronicity

It's so deep, it's so wide
You're inside
Synchronicity
Effect without a cause
Sub-atomic laws, scientific pause
Synchronicity

martedì 4 ottobre 2011

sincronicità del Tao


Gli eventi del futuro non possiamo arguirli dai presenti.
La credenza nel nesso causale è la superstizione.
Tractatus, proposizione  5.1361

Sincronicità (o principio di sincronicità) è un termine introdotto da Carl Gustav Jung nel 1949-50 per descrivere la contemporaneità di due o più eventi fisici ("esterni") e psichici ("interni") connessi in maniera acausale (ovvero la coincidenza temporale di due o più eventi non legati dal principio di causa-effetto), ma legati da un rapporto di analogo contenuto significativo.
Jung distingue la sincronicità dal "sincronismo" (eventi che accadono simultaneamente, cioè nello stesso tempo, es: ballerini che fanno lo stesso passo con la stessa cadenza simultaneamente, due orologi che segnano lo stesso orario, metronomo e musica che seguono lo stesso ritmo etc.), i quali sono eventi che accadono senza alcuna connessione di significato, sia causale che acasuale, perché sono azioni di pura contemporaneità temporale.

Jung si era interessato al tema degli eventi acausali e alla loro rilevanza nella cultura orientale, particolarmente cinese, già dal 1920 nell'ambito dei suoi studi e interessi riguardo agli archetipi dell'inconscio collettivo, sull'alchimia e sull'astrologia. Un ulteriore contributo alle sue idee sul tema fù la conoscenza con Richard Wilhelm, uno dei più importanti sinologi della antica cultura cinese, e con la sua relazione, prima come terapeuta e poi di amicizia, con Wolfgang Pauli, tra i padri fondatori della meccanica quantistica, premio Nobel per la Fisica 1945, in un rapporto in cui «Pauli non capiva niente di psicologia e Jung non capiva nulla di fisica». Inoltre nel 1928 si era già interessato ad un testo cinese di alchimia taoista del VIII d.C., "Il segreto del fiore d'oro", tradotto da Wilhelm.
Jung introdusse e formalizzò il termine sincronicità nel 1949-50 nella prefazione della traduzione in inglese di Wilhelm del I Ching, il Libro dei Mutamenti, ritenuto uno dei primi testi classici cinesi, datato in modo molto incerto intorno al I secolo a.C. ma ritenuto da diversi autori molto più antico, tra i primi testi classici cinesi datati prima del II a.C.


Nel 1952 Jung e Pauli pubblicarono due saggi nel volume Naturerklärung und Psyche. Nel proprio saggio Pauli applicava il concetto di archetipo alla costruzione delle teorie scientifiche di Keplero, mentre Jung intitolava il proprio "Sincronicità come Principio di Nessi Acausali", in cui l'idea di sincronicità è applicata all'astrologia, e da cui è tratto il brano seguente:

..Il principio causale ci dice che la relazione tra causa ed effetto è una relazione necessaria. Il principio di sincronicità afferma che i termini di una coincidenza significativa sono legati da un rapporto di contemporaneità e dal senso…. Occorre infatti considerare che l’atteggiamento intellettuale di noi occidentali non è l'unico possibile, o quello che racchiude in sé ogni possibilità, ma rappresenta sotto un certo rapporto una prevenzione e un'unilateralità che per quanto possibile andrebbero corrette. I cinesi, la cui civiltà è assai più antica, hanno in un certo senso pensato sempre in maniera diversa dalla nostra, e se vogliamo accertare qualcosa di analogo nel nostro ambito culturale - almeno per quanto riguarda la filosofia - dobbiamo risalire fino a Eraclito. È soltanto nella sfera dell'astrologia, dell'alchimia e delle procedure mantiche che non esistono differenze di principio tra il nostro atteggiamento e quello dei cinesi. Perciò anche l'evoluzione dell'alchimia ha proceduto sia in Occidente sia in Oriente su binari paralleli, mirando allo stesso fine con formazioni concettuali in parte identiche.
Da tempo immemorabile esiste nella filosofia cinese un concetto centrale definito col termine di Tao, che i gesuiti hanno tradotto "Dio". Ma questa traduzione è esatta solo nel senso occidentale. Altre traduzioni, come "provvidenza" e simili, sono puri espedienti suggeriti dalla necessità. Richard Wilhelm ha interpretato genialmente Tao come “senso”."




















La prefazione all'edizione inglese del I Ching illustra ulteriormente le idee di Jung in rapporto alla concezione cinese:

 
"Ho un gran debito di gratitudine verso Wilhelm, sia per il fiotto di luce che ha riversato sul complicato problema dell’I King, che per avere resa perspicua la sua applicazione pratica. Conoscevo l’I King da quasi trent’anni, e mi ero già familiarizzato con esso, quando per la prima volta incontrai Wilhelm poco dopo il millenovecentoventi. Egli mi confermò allora ciò che io già sapevo, e mi insegnò ancora molte altre cose. Non sono un sinologo e non sono mai stato in Cina. Posso assicurare i miei lettori che non è davvero facile trovare un accesso congruo a questo monumento del pensiero cinese, così infinitamente diverso dal nostro modo di pensare. Per capire in generale di che cosa tratti un simile libro è assolutamente imperativo buttare a mare certi pregiudizi della mentalità occidentale. E’ un fatto curioso che della gente così dotata e intelligente come i cinesi non abbia mai prodotto quella cosa che noi chiamiamo scienza. La nostra scienza, comunque, è basata sulla causalità, e quest’ultima è considerata verità assiomatica. Ciò che la Critica della Ragion Pura di Kant non ha saputo fare, è stato tuttavia compiuto dalla fisica moderna, vale a dire la messa in dubbio dell’assioma della causalità: noi ora sappiamo che tutte le leggi di natura non sono altro che delle verità statistiche, costrette perciò ad ammettere delle eccezioni. Non abbiamo sufficientemente tenuto conto deI fatto che, per dimostrare la validità invariabile delle leggi di natura, abbiamo implicitamente bisogno del laboratorio con le sue incisive restrizioni. Lasciando che la natura faccia da sé scorgiamo un quadro ben differente: ogni processo subisce delle interferenze parziali o totali da parte del caso, e ciò in misura tale che un regolare corso di eventi, rispettoso della legge, forma quasi un’eccezione in circostanze naturali. La mentalità cinese, quale io la vedo all’opera nell’I King, sembra invece preoccuparsi esclusivamente dell’aspetto accidentale degli eventi. Ciò che noi chiamiamo coincidenza sembra essere la cosa della quale questa peculiare mentalità principalmente si interessa, e ciò che noi adoriamo come causalitàpassa quasi inosservato. Dobbiamo ammettere che qualche cosa si possa dire in favore della immensa importanza del caso. Un importo incalcolabile di sforzo umano è destinato a combattere ed a limitare i danni o i pericoli rappresentati dal caso. Spesso la considerazione causale appare pallida e polverosa in confronto degli effetti pratici del caso. Va benissimo dire che il cristallo di quarzo è un prisma esagonale. Proprio vero — finché si prende di mira un cristallo ideale. Ma in natura non si trovano nemmeno due cristalli esattamente uguali, quantunque siano palesemente esagonali. La loro forma reale tuttavia sembra sollecitare il saggio cinese ben più di quello reale visto che la rappresentazione delle leggi di natura, passata per i più fini setacci che forma la realtà empirica, contiene per lui un significato ben più importante di una spiegazione causale degli eventi i quali inoltre devono di regola essere nettamente separati gli uni dagli altri prima di poter essere trattati appropriatamente. Il modo con cui l’I King è incline a considerare la realtà sembra non veder di buon occhio i nostri procedimenti causalistici. L’istante che sta attualmente sotto osservazione appare all’antica visione cinese più come un colpo di fortuna che come un ben costruito risultato di catene causali concorrenti. L’oggetto che interessa sembra essere la configurazione che gli eventi accidentali formano al momento dell’osservazione, e nulla affatto le ragioni ipotetiche che apparentemente rendono conto della coincidenza. Mentre la mentalità occidentale accuratamente separa, pesa, sceglie, classifica, isola, ecc., l’immagine cinese del momento contiene ogni particolare fino al più minuto assurdo dettaglio, perché l’istante osservato è il totale di tutti gli ingredienti. Accade così che quando succede che si gettino le monete o che si contino i 49 steli di millefoglie, questi dettagli causali entrano nel quadro dell’istante d’osservazione formandone una parte — insignificante per noi eppure colma di significato per la mentalità cinese. Da noi dire che qualunque cosa avvenga in questo momento possiede inevitabilmente la qualità peculiare per quest’ultimo sarebbe un’affermazione banale e quasi senza senso (per lo meno, superficialmente). Questo non è un argomento astratto, anzi è un argomento assai pratico: vi sono certi esperti che dall’aspetto, gusto e comportamento di un vino, sapranno dire il sito della sua vigna ed il suo anno di origine; vi sono degli antiquari che sapranno informarci dell’epoca, della provenienza e dell’artefice di certi oggetti d’arte o d’un pezzo di mobilio con un’accuratezza impressionante, e vi sono persino degli astrologi che sanno dire, senza nessuna previa conoscenza della natività, quale fu la posizione del sole e della luna nonché il segno zodiacale che sorgeva all’orizzonte al momento della nascita di un individuo. Considerando simili fatti bisogna ammettere che degli istanti possono lasciare delle tracce di lunga durata.

In altre parole: chiunque sia stato l’inventore dell’I King, era convinto che l’esagramma costruito in un dato momento coincideva con questo anche nella qualità e non soltanto nel tempo. Per lui l’esagramma era l’esponente del momento in cui lo si otteneva, anzi più ancora del misuramento del tempo, in quanto lo si comprendeva come un indicatore della situazione essenziale prevalente al momento della sua origine. Questa assunzione implica un certo strano principio che io ho denominato sincronicità, concetto che formula un punto di vista diametralmente opposto alla causalità. Siccome quest’ultimo è una verità meramente statistica e non assoluta, essa è una specie di ipotesi di lavoro esprimente come gli eventi evolvono l’uno dall’altro, mentre la sincronicità considera la coincidenza degli eventi in spazio e tempo come significatore di qualche cosa di più d’un mero caso, cioè di una peculiare interdipendenza di eventi oggettivi tra di loro, come pure fra essi e le condizioni soggettive (psichiche) dell’osservatore o de­gli osservatori. La mentalità cinese antica contempla l’universo in una maniera paragonabile a quello del fisico moderno, il quale non può negare che il suo modello dell’universo è una struttura decisamente psicofisica. L’evento microfisico include l’osservatore proprio altrettanto quanto la realtà che forma il sostrato dell’I King comprende delle condizioni soggettive, ovverosia psichiche, nella totalità della situazione momentanea. Come la causalità spiega la sequenza degli eventi, nella mentalità cinese la sincronicità spiega la loro coincidenza. Il punto di vista causale ci narra una drammatica storia della maniera in cui D giunse all’esistenza; prese la sua origine da C che era esistito prima di D, e C a sua volta aveva un padre che fu B, ecc. La veduta sincronistica da parte sua invece tenta di produrre un quadro altrettanto significativo della coincidenza: come accade che A, B, C, D ecc. compaiono tutti nel medesimo momento e al medesimo posto? E' così, perché anzitutto gli eventi fisici A, B, sono della medesima qualità degli eventi psi­chici C e D, e poi perché tutti quanti sono esponenti d’una e della medesima situazione momentanea. La situazione è pre­sunta essere un’immagine leggibile o comprensibile.


I 64 esagrammi dell’I King sono ora lo strumento mediante il quale il significato di 64 differenti ma pure presumibilmente tipiche situazioni può essere determinato. Queste interpretazioni sono equivalenti a spiegazioni causali. La connessione causale è statisticamente necessaria e può perciò essere assoggettata all’esperimento. Ma poiché una situazione è unica e non può essere ripetuta, sembra essere impossibile fare degli esperimenti con la sincronicità sotto condizioni ordinarie; il solo criterio di validità per l’ultima ipotesi poggia sull’opinione dell’osservatore che il testo degli esagrammi sia equivalente ad una pittura fedele delle sue condizioni psichiche soggettive. Si presume che la caduta delle monete o la divisione del fascio di steli sia proprio quella che in un data ((situazione)) dev’essere, in quanto qualsiasi cosa che avviene in quel momento vi appartiene quale indispensabile parte del quadro. Una manciata di fiammiferi gettati al suolo forma il disegno caratteristico di quell’istante. Ma una verità così ovvia come questa rivela la sua significatività soltanto nel caso che sia possibile leggere questi disegni e verificarne l’interpretazione, in parte mediante ciò che l'osservatore conosce della situazione soggettiva ed oggettiva, in parte mediante la conferma apportata dagli eventi susseguenti. Non è evidentemente un procedimento gradito ad una mente critica abituata alla verificazione sperimentale dei fatti o all’evidenza fattiva. Ma per qualcuno che ami gettare uno sguardo sul mondo valendosi dell’angolo di visuale sotto il quale l’antica Cina lo ha scorto, l’I King può presentare qualche attrattiva"
La scienza occidentale si occupa - per definizione - degli eventi fisici "esterni". La contemporaneità di due eventi fisici, sia di tipo deterministico che probabilistico, può essere spiegato in tre casi:
  1. i due eventi sono deterministici e legati da un rapporto causa-effetto; ad esempio se premiamo un interruttore si accende una lampadina.
  2. i due eventi sono di tipo probabilistico e legati da un rapporto causa-effetto. In questo caso la probabilità che i due eventi si verifichino contemporaneamente è pari alla probabilità di uno dei due eventi moltiplicato con la probabilità dell'altro evento condizionato al verificarsi del primo, ed è in generale regolato dal Teorema di Bayes.
  3. i due eventi sono di tipo probabilistico ma non legati da un rapporto causa-effetto, ovvero statisticamente indipendenti. In questo caso la probabilità congiunta che i due eventi si verifichino contemporaneamente è un caso particolare del 2. ed è pari al prodotto delle  probabilità dei due eventi; esempi di questo tipo sono che nello stesso momento in una stanza una lampadina si bruci ed un quadro si stacchi dal muro, oppure che nello stesso momento in cui mi allaccio le scarpe una mucca muggisca in Nuova Zelanda, eventi non correlati con probabilità congiunta molto piccola ma non zero. Questo caso è spesso denominato "coincidenze significative", benchè l'unico significato è che un evento congiunto molto improbabile, ma non impossibile, è accaduto. Anche il caso di una coincidenza significativa tra stato psichico ed evento fisico, come il classico esempio in cui uno pensa ad una persona e quella persona nello stesso momento bussa alla porta, viene considerato come un evento casuale e probabilistico.
    Lo studio dei rapporti causa-effetto degli eventi fisici, delle loro catene causali e soprattutto delle leggi che le governano è stata una delle ragioni della nascita e dello sviluppo della scienza occidentale. Il postulato di fondo del principio di causalità è che i fenomeni/eventi si susseguano unicamente in un processo di causa-effetto, e tutto ciò che non risponde a questo principio legge è dovuto al caso.
    La scienza occidentale non si occupa invece dell'eventuale relazione tra eventi fisici ed eventi psichici, e tantomeno di un loro possibile significato congiunto o interdipendente. Lo studio degli eventi, "funzioni" o "stati" psichici è nato all'interno della scienza occidentale (principalmente in Germania nell'800) da poco più di un secolo in una disciplina denominata psicologia, della quale Jung, naturalmente, è stato uno dei protagonisti.

    L'antica concezione cinese è opposta e complementare a quella occidentale. Benchè sia ben consapevole dei rapporti di causa-effetto (che fanno parte della competenza logica di ogni individuo maturo) non è mai stata particolarmente interessata a spiegarli, al contrario della scienza occidentale. Che le stelle brillino in cielo, il sole sorga ogni giorno e una pietra (o una mela) cada sempre ed inevitabilmente per terra è per l'Oriente un fatto del tutto naturale, spiegato con il fatto che "il mondo è fatto così", e non necessita di ulteriori investigazioni o spiegazioni (è da notare che anche in Occidente, prima del 5 Luglio 1687, la spiegazione a questa fatti non era, e non poteva essere, sostanzialmente diversa).
    Al contrario, la tradizione orientale è sempre stata per millenni estremamente interessata al rapporto tra fatti ed eventi "interni" con quelli "esterni" per la sua concezione olistica integrale tra i due mondi, in cui soggetto e oggetto non hanno una definita linea di separazione ma si riflettono l'uno nell'altro, una concezione non diversa da quella della tradizione alchemica/ermetica medioevale in Occidente, ma anteriore di diversi millenni. Questa concezione paradigmatica dell'esistenza era considerata del tutto ovvia ed evidente per cui non necessitava di alcune spiegazione né tantomeno di "dimostrazioni": sarebbe stato come spiegare l'acqua ai pesci.
    Per questo motivo l' I Ching non contiene alcuna spiegazione né giustificazione del suo metodo e della sua validità, si presenta semplicemente come uno strumento da utilizzare. Solo dopo molti secoli il Tao Teh Ching, fortemente influenzato dal I Ching, tenterà di esprimere in parole l'inesprimibile, a scopo di insegnamento.
    Per l'antico saggio cinese la comprensione di una situazione complessa poteva venire osservando il volo degli uccelli, la direzione del vento, il cadere di una foglia. Per chi invece saggio non lo era particolarmente è stato creato l' I Ching come sistema altamente simbolico che nei suoi 64 esagrammi rappresentava in modo completo tutte le possibili situazioni dell'esistenza, da utilizzarsi con un metodo che si potrebbe definire "lettura della sincronicità", che consiste in:
    1. Formulare la domanda sulla situazione che si vuole conoscere ponendosi in uno stato psichico congruo, ad esempio concentrandosi sulla situazione stessa (pensandola, immaginandola, visualizzandola etc.)
    2. Estrarre in modo assolutamente casuale uno o più elementi dell'insieme simbolico
    3. Interpretare, conoscendo il significato degli elementi, la risposta ottenuta
    La contemporaneità dello stato psichico e dell'estrazione casuale dei simboli assicura, per il principio di sincronicità, la corrispondenza tra la risposta ottenuta e la domanda pensata.

    Fritjof Capra nel Tao della Fisica ha ampiamente illustrato le analogie tra le varie tradizioni orientali e la fisica moderna, in particolare come gli esagrammi (da lui definiti "archetipi cosmici") esprimano l'enorme dinamica che si riscontra nella fisica quantistica.

    Analogia di simmetria strutturale tra i trigrammi del I Ching
     e la rappresentazione quantistica dell'ottetto mesonico. (da Capra)
    Un'ipotesi estremamente affascinante è che in sistemi ad alta complessità con diffuse caratteristiche di tipo mentale e/o olografiche quali - ad esempio - società ed ecosistemi, il principio di sincronicità possa giocare un ruolo non secondario insieme alla causalità, alla casualità ed al caos; ad esempio che la modifica di un sottosistema generi in modo acausale modifiche in altri sottosistemi, o nell'intero sistema, oppure che uno o più processi di sistema creino acasualmente un nuovo processo.
    Il tipico caso portato ad esempio a livello fisico è quello dell'entanglement quantistico, la modificazione istantanea, e quindi acausale, degli stati quantici di due particelle gemelle indipendentemente dalla distanza, dimostrato sperimentalmente nel 1981. Un altro caso è quello del decadimento dei nuclei radioattivi, un evento probabilistico ma del tutto acausale, come evidenziato da James Jeans nel 1942.

    L' I Ching non è l'unico tra i sistemi simbolici completi creati per la lettura della sincronicità, anche se certamente è tra i più sofisticati. Un altro insieme più conosciuto in Occidente, anche questo di origine e datazione molto incerte, è quello dei Tarocchi, un mazzo di 78 carte (in alcuni mazzi 79) tradizionalmente suddivisi in 22 Arcani Maggiori (numerati da I a XXI più la carta "jolly" numero zero, il Matto) e 56 Arcani Minori suddivisi in quattro segni e comprendenti per ogni segno quattro carte di corte (Re, Regina, Cavaliere e Fante) e altre dieci carte numerate dall'uno al nove più l'Asso.





    Illustrazione dei 22 Arcani Maggiori dei Tarocchi di Marsiglia.
    Le tre file di sette carte tradizionalmente rappresentano tre fasi di un percorso iniziatico: la prima (1-7) nell'individuazione personale, la seconda (8-14) nella conoscenza interiore e la terza (15-21) nell'integrazione con l'esistenza.
    Illustrazione dei 22 Arcani Maggiori dei Tarocchi Rider-Waite con alcuni Arcani Minori.
    Comunemente il metodo di lettura della sincronicità tramite un insieme più o meno simbolico è conosciuto come divinazione o mantica, un termine divenuto piuttosto improprio per l'uso, e l'abuso, con cui è stato utilizzato. Se il termine è usato nel senso di ottenere una risposta da un sovra-sistema complesso (qualsiasi nome gli si dia) allora il significato è nel senso descritto da Jung e dalla tradizione orientale.
    Se invece per divinazione si intende l'accezione popolare e cialtronesca di "leggere il futuro" è inaccettabile dato che - naturalmente - è impossibile, in quanto (per utilizzare un termine usato da Popper e Lorenz) il futuro è aperto, e quindi imprevedibile. Tuttavia alcuni fattori possono giocare un ruolo nella possibilità di ottenere delle informazioni sul futuro:
    • l'istante presente di cui si legge la sincronicità ha, naturalmente, una storia e proseguirà in una storia. La risposta ottenuta da una lettura sincronica dell'istante presente può quindi dare indicazioni sia sulla storia passata che su quella futura, dato che il sovra-sistema soggetto/oggetto da cui si è "ottenuta" la risposta è in se stesso atemporale.
    • Gli elementi del sistema simbolico, particolarmente gli esagrammi del I Ching, contengono una miscela di dinamicità/staticità ed inoltre, in determinate condizioni, un esagramma si muta in un altro. Queste caratteristiche possono fornire informazioni sia sulla storia passata che su quella futura.
    • In generale la lettura della sincronicità si utilizza per avere indicazioni su situazioni complesse in insiemi complessi, quali individui o gruppi di individui, in una situazione di informazioni incomplete. E' una caratteristica non rara di questi sistemi - in linea di principio imprevedibili - di diventare invece ampiamente prevedibili, e per questo motivo "leggibili" nel futuro.

    “Un giorno venna da me un astrologo, uno dei più famosi di tutta l’India.
    Io gli dissi: bene, accomodati, ma ti devo subito avvertire.
     Qualunque cosa mi dirai io farò accadere l’esatto contrario.
    Se mi dirai che morirò, io vivrò.
    Se mi dirai che vivrò, morirò.
    Adesso dimmi pure.
    E lui rispose: va bene, tornerò.
    Ma non è mai più tornato”

    venerdì 30 settembre 2011

    far finta di essere Tao



    parlato: Io G. G. sono nato e vivo a Milano.
    Io non mi sento italiano
    ma per fortuna o purtroppo lo sono.

    Mi scusi Presidente
    non è per colpa mia
    ma questa nostra Patria
    non so che cosa sia.
    Può darsi che mi sbagli
    che sia una bella idea
    ma temo che diventi
    una brutta poesia.
    Mi scusi Presidente
    non sento un gran bisogno
    dell'inno nazionale
    di cui un po' mi vergogno.
    In quanto ai calciatori
    non voglio giudicare
    i nostri non lo sanno
    o hanno più pudore.

    Io non mi sento italiano
    ma per fortuna o purtroppo lo sono.

    Mi scusi Presidente
    se arrivo all'impudenza
    di dire che non sento
    alcuna appartenenza.
    E tranne Garibaldi
    e altri eroi gloriosi
    non vedo alcun motivo
    per essere orgogliosi.
    Mi scusi Presidente
    ma ho in mente il fanatismo
    delle camicie nere
    al tempo del fascismo.
    Da cui un bel giorno nacque
    questa democrazia
    che a farle i complimenti
    ci vuole fantasia.

    Io non mi sento italiano
    ma per fortuna o purtroppo lo sono.

    Questo bel Paese
    pieno di poesia
    ha tante pretese
    ma nel nostro mondo occidentale
    è la periferia.

    Mi scusi Presidente
    ma questo nostro Stato
    che voi rappresentate
    mi sembra un po' sfasciato.
    E' anche troppo chiaro
    agli occhi della gente
    che tutto è calcolato
    e non funziona niente.
    Sarà che gli italiani
    per lunga tradizione
    son troppo appassionati
    di ogni discussione.
    Persino in parlamento
    c'è un'aria incandescente
    si scannano su tutto
    e poi non cambia niente.

    Io non mi sento italiano
    ma per fortuna o purtroppo lo sono.

    Mi scusi Presidente
    dovete convenire
    che i limiti che abbiamo
    ce li dobbiamo dire.
    Ma a parte il disfattismo
    noi siamo quel che siamo
    e abbiamo anche un passato
    che non dimentichiamo.
    Mi scusi Presidente
    ma forse noi italiani
    per gli altri siamo solo
    spaghetti e mandolini.
    Allora qui mi incazzo
    son fiero e me ne vanto
    gli sbatto sulla faccia
    cos'è il Rinascimento.

    Io non mi sento italiano
    ma per fortuna o purtroppo lo sono.

    Questo bel Paese
    forse è poco saggio
    ha le idee confuse
    ma se fossi nato in altri luoghi
    poteva andarmi peggio.

    Mi scusi Presidente
    ormai ne ho dette tante
    c'è un'altra osservazione
    che credo sia importante.
    Rispetto agli stranieri
    noi ci crediamo meno
    ma forse abbiam capito
    che il mondo è un teatrino.
    Mi scusi Presidente
    lo so che non gioite
    se il grido "Italia, Italia"
    c'è solo alle partite.
    Ma un po' per non morire
    o forse un po' per celia
    abbiam fatto l'Europa
    facciamo anche l'Italia.

    Io non mi sento italiano
    ma per fortuna o purtroppo lo sono.

    Io non mi sento italiano
    ma per fortuna o purtroppo
    per fortuna o purtroppo
    per fortuna
    per fortuna lo sono.


    Famedio del Cimitero Monumentale di Milano

    mercoledì 28 settembre 2011

    Tao in blue



    Westchester Hills Cemetery
    Hastings-on-Hudson, Westchester County, New York, USA

    Politica (7 di Spade)


    Riconosci quest'uomo? Tutti noi, tranne forse i più innocenti e sinceri, abbiamo un politicante in agguato da qualche parte nella nostra mente. Di fatto, la mente è un politicante. Per sua stessa natura, pianifica e organizza, e cerca di manipolare le situazioni e le persone in modo da ottenere ciò che vuole. Nella carta, la mente è raffigurata dal serpente coperto di nuvole che parla con lingua biforcuta. La cosa importante da mettere a fuoco, per ciò che riguarda questa carta, è che entrambi i volti sono falsi. Il volto dolce, innocente, che invita alla fiducia è una maschera; come pure è una maschera il maligno, ghignante volto del politico che sembra dire: "Ti farò fare quello che voglio". I politicanti non hanno volti reali: l'intero gioco è una menzogna. Osservati con attenzione per vedere se non hai giocato anche tu questo gioco. Ciò che vedrai potrà essere doloroso, ma non tanto quanto potrebbe esserlo proseguire nel gioco. Alla fine, non fa l'interesse di nessuno, men che meno il tuo. Qualsiasi cosa otterrai in questo modo, si trasformerà in polvere nelle tue mani.

    Chiunque sia abile nel fingere, qualsiasi ipocrita, diventerà il tuo leader politico, nella sfera politica, il tuo sacerdote, nella sfera religiosa. Tutto ciò che gli occorre è essere un ipocrita, avere astuzia, mettere su una facciata dietro cui nascondersi. I tuoi uomini politici vivono vite doppie, i tuoi preti hanno una doppia vita - una di facciata e una occulta, e quest'ultima è la loro vera vita. Quei sorrisi di facciata sono del tutto falsi, quei volti apparentemente tanto innocenti sono stati coltivati. Se vuoi vedere la realtà del politico, devi sbirciarlo dal retro. Là appare nella sua nudità, così com'è, e lo stesso vale per il prete. Questi due tipi di persone astute hanno dominato l'umanità. Fin dall'inizio hanno scoperto che, se si vuole dominare l'umanità, occorre indebolirla, farla sentire in colpa, indegna. Occorre distruggere la sua dignità, sottrarle ogni gloria, umiliarla. Ed essi hanno trovato tali e tante vie sottili di umiliazione che è difficile percepirle; in pratica lasciano che sia tu stesso a umiliarti, a distruggerti. Ti hanno insegnato una sorta di lento suicidio.

    martedì 27 settembre 2011

    l'Occidente del Tao


    Giorgio Gaber ed Adriano Sofri, pur seguendo l'un l'altro negli anni le reciproche vicende,  non si erano mai incontrati. Questo primo, e purtroppo unico, incontro nel carcere di Pisa nel 2000 è stato organizzato dall'amico comune Majid Andrea Valcarenghi, direttore e fondatore di Re Nudo.

    "Gaber e Sofri (prima parte)"

    di Antonio Priolo, da Re Nudo, marzo 2001

    Il nostro Occidente

    Adriano Sofri: Noi abbiamo in Occidente una popolazione vecchia, cui apparteniamo anche noi, ahimé, cioè è longeva, rincoglionita, visto il consumismo di cosi rapido riciclo, rincoglionita dal ritorno di superstizione, il più pacchiano, il più triviale e il più dilagante. Questa popolazione è spaventata dall’eventualità che tutto questo le sia minacciato, dal mondo giovane. A me sembra che la cosa sconfortante del mondo moderno sia esattamente questa specie di instupidimento di persone che la sanno molto più lunga, in teoria, per un verso, e per l’altro verso l’incattivimento preventivo, per cosi dire, di avarizia, di chiusura preventiva delle stesse persone. Dunque questo mi fa pensare che il mondo è brutto, e la discussione non so se ha senso se non a partire dal fatto che il mondo è spacciato...

    Giorgio Gaber: Certo, su questo siamo d’accordo... 

    Adriano: Certo, e la differenza non è tra catastrofisti ed ottimisti, secondo me, ma fra chi, pensando che il mondo sia spacciato, continua a lavarsi la faccia, a tagliarsi le unghie, come si fa con i malati terminali quando ci si prende cura di loro, e chi invece molla e diventa barbone subito, accelera l’agonia. Noi stiamo parlando tra persone che sanno che il mondo è spacciato e si tagliano ancora le unghie. A me sembra molto triste il fatto che un territorio, per me, forse, a differenza che per te [rivolgendosi a Majid, ndr], come l’Europa, assolutamente privilegiato dal punto di vista culturale, civile e morale, sia attraversato da una cattiveria e da una paura che rischiano di travolgerla: in Italia forse è ancora meno forte che in altri paesi, ma questa cosa avviene in Danimarca, visto il risultato del referendum [sull’ingresso nell’Euro, ndr], in Norvegia, che io conosco, conoscevo bene e amo molto, io ho una compagna norvegese; in Norvegia c’è l’affermazione di un partito apertamente fascista, come si può dire fascista di un paese scandinavo, il Partito Contadino, che ha preso il 30-35%. Cose di questo genere attraversano tutta l’Europa e tolgono l’unica specie di rassicurazione che fino ad oggi abbiamo avuto rispetto a questi anni lunghi d’incubazione di questo incattivimento, che era l’idea che l’unità europea, l’ingresso in Europa, avrebbero fatto argine agli estremismi e agli integralismi più fanatici. Ora il problema è che rischia di cedere, l’Europa, di fronte a tutto questo: una volta che cede la Germania, per intenderci, siamo fritti, come sempre per altro. Ma ci sono molti segni, molti scricchiolii di questo genere. L’Europa centro-orientale che adesso deve entrare nell’Unione, ad esempio: avrete visto le elezioni in Romania, che sono state poco commentate ma avrebbero meritato un’attenzione molto maggiore dal punto di vista esemplare. Nelle elezioni in Romania, che, come sapete, è un Paese dove la miseria è veramente brutale ed abbrutente per le persone – come rivela il carattere dell’immigrazione che riceviamo dalla Romania, persone anche con un livello d’istruzione alto perché li funzionava l’istruzione pubblica, – i concorrenti elettorali erano un partito apertamente nazista, che dichiarava di voler fare i ghetti chiusi con i muri per gli zingari, gli ebrei, gli ungheresi della Voivodina, di concentrarli tutti in un ghetto, ma non metaforico, che era il principale concorrente della coalizione al potere, e poi c’era un partito capeggiato da un ex alto burocrate della nomenklatura di Ceausescu. Per fortuna hanno vinto gli ex comunisti dell’apparato, capisci? L’alternativa era tra la vittoria di un raggruppamento nazista e uno di ex stalinisti. È stato visto come uno scampato pericolo, capite? Questi sono paesi che stanno giustamente per entrare nell’Unione Europea. Dunque questa cosa che abbiamo scoperto da tanto tempo, che non c’è progresso, che ci sono continui andate e ritorni, a me mi viene da pensare che, forse senza accorgercene, da un po’ di anni siamo entrati in una di queste fasi di regressione che segnarono l’avvento dei fascismi, dei totalitarismi, l’altra volta. Non significa, questo, il ritorno di quei fascismi e di quei totalitarismi che non hanno nessuna possibilità.

    Giorgio: Forse sono stati i periodi più alti quelli delle socialdemocrazie, da un punto di vista della qualità dei rapporti, rivisti adesso da lontano.

    Adriano: Credo di si, e non soltanto gli anni della socialdemocrazia, ma anche della Democrazia Cristiana, perché in Germania e in Italia è questo.

    Giorgio: Io mi riferivo alle socialdemocrazie nordiche.

    Adriano: Sì, ma c’era anche una coincidenza collaterale: quel periodo dalla ricostruzione alla prima costruzione europea, che noi vedevamo come loscamente mediocre, perciò lo odiavamo tanto, perché era mediocre, quando ci sembrava che le cose mediocri fossero le peggiori, e invece ce ne sono di molto peggiori che di mediocri. Comunque succedono cose nuove e così travolgenti che uno sa di non poterle maneggiare neanche mentalmente, come tutte le questioni scientifiche, genetiche, il genoma. Cose fantastiche, e al tempo quelle vecchie e peggiori non spariscono affatto ma si ringalluzziscono.

    Majid Valcarenghi: Secondo me c’è un appiattimento mortale; dicevo prima a Giorgio che come nei grandi media ci sono solo alcuni giullari, come Grillo o a “Striscia la notizia”, che attraverso la battuta riescono a dire qualcosa, sulla stampa ci sono i vecchi saggi come Montanelli, Ceronetti, Bobbio, le sole persone che dicono qualcosa rompendo gli equilibri, i patti non scritti e conformi, tu li avrai seguiti...

    Adriano: Io seguo tutto perché sono in galera, ti posso dire tutto sull’ultimo fidanzato di Anna Falchi come sulla politica internazionale...

    Giorgio: A proposito, Montanelli come s’è espresso sul tuo caso?

    Adriano: Ciclicamente, cioè dicendo cose di volta in volta a favore o contro, impermalosendosi quando gli sembrava che io dicessi cose sgradevoli; sostanzialmente alla fine diceva che bisognava darmi la grazia, chiudere tutto questo, ma insomma con un andamento molto alterno. È molto scandalizzato dalla mia arroganza, superbia, alterigia

    Giorgio: Anche io sono molto incazzato per il fatto che tu abbia accettato bene o male questa giustizia italiana di merda. Avrei fatto il tifo che tu te ne fossi andato. Umanamente questo te lo devo dire.

    Adriano: Ma io non l’ho accettata questa giustizia...

    Giorgio: Mi hanno detto che su queste cose non transigi.

    Adriano: Ma no, transigo tra me e me ma fuori fingo di non transigere sennò non riuscirei più, avrei dei problemi all’anca insuperabili; pagherebbe il corpo.

    Giorgio: Io ho sentito questo tuo discorso molto interessante, ma in questo periodo m'è venuto in mente una cosa di Pasolini che tu certamente ricorderai, quando dice che non ci può essere progresso senza sviluppo, ma che ci può essere sviluppo senza progresso. E mi pare che siamo esattamente in questa condizione, cioè tutto si sviluppa ma l'uomo peggiora: è la sensazione che io ho anche da un "Grande Fratello" europeo che non è più un fatto d'imbecillità generale, il sistema sta diventando imbecille. Questo mi porta a dire, e questa è la domanda che mi pongo anch'io per il mestiere che faccio, se c'è un abbandono totale del senso delle cose, e questo lo possiamo riferire anche a quella scienza che tu hai nominato, che va nel senso di cambiarti un braccio ma di non toglierti un raffreddore. È come se il senso volesse dire che c'è qualcosa che migliora la persona; ecco, non c'è più nulla che migliora la persona. Avrai seguito naturalmente alcuni avvenimenti, non so, due milioni e mezzo di giovani dal papa; io non sono credente, però sento che anche quel fenomeno è di consumo, non è di fede come fatto intimo o come fatto di crescita, che posso accettare, che non mi riguarda ma che posso accettare. L'ascolto di "Padre Pio", l'ascolto del "Grande Fratello", per me sono fenomeni simili, e mi fanno capire che c'è una produzione consumistica che ormai ha perso completamente di vista qualsiasi senso dell'arricchimento dell'individuo; ecco questo mi rende sgomento di fronte a tutto e mi fa paura e mi fa vivere peggio perché la gente non mi piace, proprio la gente, faccio fatica! Adesso quando sono entrato in questo carcere e questi qui alla porta sono stati gentili, mi sono sorpreso, c'è ancora qualcuno che è gentile; la qualità delle persone mi sembra che stia scadendo sempre di più, nell'ottica del discorso di Pasolini, per cui c'è uno sviluppo ormai paradossale ed un progresso totalmente nullo. Questo è un altro punto di vista che non si discosta molto da quello che dicevi tu prima, ma a me che mi occupo più delle facce della gente che della politica, perché non ne avrei la competenza, mi fa star male, mi fa sentire inutile. Mi sembra quasi che questa mancanza di senso non sia neanche colpa di questo o di quell'altro, ma mi sembra che sia proprio incapacità di affrontare un mercato che si sta sviluppando da solo ormai e che va in una direzione e nessuno sa dare risposte; neanche quelli che vorrebbero opporsi ma neanche quelli che vorrebbero aiutarlo, perché anche loro sono vittime di un meccanismo che sta andando da solo, un meccanismo invincibile. Questa è la mia sensazione. In tutte le vicende a cui assistiamo, compresa la tua, s'intravvede dietro qualcosa di sporco, di oscuro, capisci poco; alla fine magari dico "Sofri è innocente e Marino è un testa di cazzo, basta guardarlo in faccia", e mi fermo lì perché se vado avanti e mi perdo in tutte le cose faccio ancora più fatica a capire. Ti devi fermare ad una impressione iniziale. Non sono andato a vedere lo spettacolo di Fo, mi ha dato fastidio, non mi piace, cerchiamo di emozionarci diversamente, poi non so se ti abbia fatto male o ti abbia fatto bene…

    Adriano: Non lo so nemmeno io però gli sono molto grato perché lui è anche una persona molto affettuosa e generosa, e questa cosa prevale in me su qualsiasi valutazione delle convenienze, criterio che ho ormai abbandonato da molto tempo in qualunque campo compresa la mia miserabile storia di cui adesso non vale la pena di parlare. Io sono sempre esitante rispetto a questi sentimenti che provo fortissimi sulla questione del progresso, che è ormai ben risolta, è chiaro che non c'è nessun progresso, è risolta da Leopardi, non c'era nemmeno bisogno di arrivare ai nostri giorni.

    Giorgio: E no, perché la razza a cui io mi sono affezionato, perché sono un po' più grande di voi… mi sono affezionato che voi eravate già una generazione successiva, e io sentivo questa voglia di senso, e non stiamo parlando di secoli fa…

    Adriano: Certo, è una cosa che si è consumata nel giro delle nostre vite.

    Giorgio: Devo dirti che, avendo ancora i teatri tutti esauriti quando ho la gamba a posto, forse un bisogno di senso c'è.

    Adriano: Sì, ma anche i due milioni di ragazzi che vanno dal papa hanno, insieme alle cose che dicevi tu, un fortissimo bisogno di senso e di trovarlo in comune, cosa che ogni generazione cerca con strumenti diversi; e anche i loro comportamenti erano contemporaneamente gregari e al tempo stesso indipendenti.

    Giorgio: Ecco, è su questa autonomia che io ho delle riserve. Ricordo una frase di Canetti che diceva che il palco del teatro distrugge la massa, cioè nel teatro ognuno è seduto ed è in qualche modo individuo di fronte a quello che sta succedendo, è per questo che ho scelto il teatro. La manifestazione di piazza crea la massa e annulla gli individui. Io ho sempre avuto paura di queste cose. Tuttora quando vedo, e le vedrai anche tu in televisione, queste adunate rispetto a certi gruppi musicali, o, che so, a Pavarotti, e vengono ripresi, e ti salutano, ho un restringimento di cuore, ho la sensazione che questi non siano individui ma siano inseriti in un processo di massa. Ecco perché il processo di massa anche della fede non mi suona come una prova di senso, ma mi suona come adesione acritica. Lo so che in qualche modo le masse una volta contavano…

    Adriano: In quella nostra mitizzazione delle masse, compresa la parola sulla quale ho poi recuperato una bella citazione di Leopardi che ho usato recentemente "Le masse, questa leggiadra paroletta moderna" diceva sarcasticamente Leopardi, quindi come vedi già allora, in noi (fatte salve tutte le cazzate che non vale la pena di deplorare più, anche quello è consumato) c'era una fortissima ispirazione individualista dentro quel culto della partecipazione comune, collettiva; quando noi abbiamo fatto fallimento e dichiarato fallimento, ci siamo sciolti, è perché questa specie di fusione, lungi dall'accrescere, dall'arricchire la personalità individuale e la libertà individuale, le stava alienando e impoverendo, questa è stata la vera ragione per cui siamo andati a casa, no?

    Giorgio: Settantasette?

    Adriano: Settantasei, ma io Lotta Continua l'avrei già voluta sciogliere nel Settantacinque.

    Giorgio: Io seguivo da lontano, c'era anche la questione femminile?

    Adriano: La questione femminile è stata cruciale per farci capire quelle cose lì perché le donne che si muovevano come un sol uomo con plotoni organizzati… Era però il principale modo di buttarci addosso questa specie di fallimento, questa specie di fondo toccato da una cosa che all'inizio era la più promettente e la più bella per noi giovani, compresi quelli che vanno dal papa, per questo io continuo ad avere una specie di paternalistica simpatia. Questa sorta di generosissimo mimetismo sociale che contraddistingueva la nostra militanza politica: la scelta di fare politica non aveva nulla a che fare con la professione politica, l'idea che ciascuno potesse diventare ciascun altro, confondersi con gli altri e attraverso questo diventare più ricco personalmente; questo cosiddetto Sessantotto, che è successo in tutti altri anni, aveva una cosa molto bella, nella quale io ero un vero campione, una specie di caso clinico, un po' diversamente da me ma in modo forse ancora più magistrale, nel senso del talento circense, lo era Mauro Rostagno che era un suo intimo amico [rivolgendosi a Majid, n.d.r.].

    Giorgio: Anch'io lo conoscevo.

    Adriano: …e cioè persone giovani, di quelle quindi che non hanno bisogno di stabilire una distanza fisica fra sé e gli altri, anzi si danno gomitate, si abbracciano, si stanno addosso perché sanno di non assomigliare agli altri, mentre noi vecchi temiamo… Io se non avessi una cella privata, ho un buggigattolo, la cella più brutta del carcere dove però sono solo, sarei un uomo finito, mi taglierei come i ragazzi arabi. Allora in quella nostra scelta questo mimetismo sociale, questo somigliare all'altro come una identificazione che ci metteva cinque minuti a compiersi, parlare con l'altro, diventare l'altro, era un'esperienza straordinaria rispetto alla rigidità dei ruoli che questa società attribuiva, non so "tu sei nato lì e farai solo questo, l'universitario, il sottotenente di marina, la sposa fedele e madre", in questo mimetismo sociale di cui Lotta Continua era veramente la più alta espressione, che insegnava anche ai suoi adepti con l'esempio, al di là della linea politica e dei contenuti, c'era una fortissima ricchezza individuale, cioè s'imparavano le lingue, s'imparavano le facce, capite? Poi questa cosa decade e si tramuta esattamente nel contrario. Cioè alla fine non sai più chi sei, somigli a tutti e quindi più a nessuno, ti comporti in modo conformista, gregario; dunque quando arrivano le donne e ti sbattono in faccia questa realtà gergale, militante, manesca, tutte cose che caratterizzavano questa degenerazione quasi fisiologica di questa parabola, e soprattutto ti dicono che tu non puoi diventare donna, puoi diventare operaio, immigrato, tedesco, sardo, ma non puoi diventare donna, anche se qualcuno ci ha provato. E dunque perché non torni a chiederti chi sei? Questa è stata la cosa molto bella del femminismo, che io considero di tutte le esperienze della mia vita la più preziosa, quella a cui devo di più, umanamente, anche teoricamente, culturalmente.

    Giorgio: Io nel '76 facevo uno spettacolo che si chiamava "Libertà obbligatoria" che riecheggiava questi temi di cui stai parlando. A quel punto ebbi il coraggio, o per lo meno la spudoratezza, di usare la parola "noi", cosa che prima non ero riuscito a fare fisicamente. Ecco, nel Settantasei uso la parola "noi", nel Settantotto non ce la faccio più ad usarla, e parlo in prima persona. Quello è stato proprio un momento cruciale, io ho odiato il Settantasette…

    Adriano: Anch'io, il Settantasette è uno dei miei vanti; cioè io dissi nel Settantasette, e confermo, che era una di quelle circostanze in cui mi sarebbe piaciuto poter dire ai miei nipoti "io non c'ero". Questi sabato pomeriggio di Roma su Cossiga, i ragazzini con le pistole in tasca, erano giorni molto brutti, veramente.

    Giorgio: Io facevo il cantante ed ero già affermato…

    Adriano: E lo so bene, io le so le tue canzoni.

    Giorgio: Ombretta studiava russo e cinese alla Statale, russo e cinese guardacaso, alla Statale, ed io andavo a prenderla, però andavo a prenderla con la macchina che avevo, che era una macchina da cantante, che era una Jaguar 4200, e la sensazione che ebbi allora fu una sensazione di mio disagio; non gliene fregava niente a nessuno che io avessi la Jaguar perché ritenevano che i valori fossero degli altri, e questo mi mise un po' nella merda. Questo succedeva nel '69 all'Università. Quando poi invece ho visto scritto sui muri "liquori gratis" ho capito che volevano anche loro la fettina di merda e questo non mi è piaciuto più, perché culturalmente non erano diversi dagli altri.

    Adriano: io mi ricordo il lusso, i ragazzi del Settantasette inventarono il concetto di "abbiamo diritto al lusso", che era una bella idea se a dirla era un barbone, ma che in bocca a loro diventava una scempiaggine.






    MeTA(O)logo: e allora? questo Tao?

    "O, reason not the need: our basest beggars Are in the poorest things superfluous: Allow not nature more than nature needs, Man's life is cheap as beast's".

    Oh, non calcolatemi il bisogno
    I nostri mendicanti più meschini
    nella cosa più povera hanno il superfluo;
    negate alla natura più del suo bisogno
    e la vita dell'uomo è vile quanto quella di una bestia.
    Shakespeare, "King Lear", II, 4.

    Figlia. E allora? Ci parli di quattro o cinque importanti presupposti e di grandi sistemi stocastici; e partendo di lì noi dovremmo immaginare come "è" il mondo? Ma...
    Padre. No, no. Ti ho anche parlato dei limiti dell'immaginazione. Dovresti quindi sapere che non puoi immaginare il mondo come "è". (Perchè‚ poi sottolineare questa paroletta?). E ti ho parlato del potere di autoconvalida delle idee: ti ho detto che il mondo in parte diviene - viene ad essere - come è immaginato.
    F. E questa sarebbe l'evoluzione? Questo continuo muoversi e fluire delle idee per mettere d'accordo tutte le idee? Ma non sarà mai possibile.
    P. Sì, è vero. Tutto si muove e ruota intorno alle verità. “Cinque più sette continuerà a far dodici”. Nel mondo delle idee, i numeri continueranno ad essere in contrapposizione con le quantità. Probabilmente la gente continuerà a usare i "numerali" come nomi sia per le quantità sia per i numeri. E continuerà a lasciarsi fuorviare dalle proprie cattive abitudini, e così via. Però, sì, la tua immagine dell'evoluzione è esatta. E ciò che Darwin chiamava “selezione naturale” è l'affiorare della tautologia o presupposto secondo cui ciò che resta vero più a lungo resta appunto vero più a lungo di ciò che non resta vero altrettanto a lungo.
    F. Sì, lo so che ti piace declamare questa frase. Ma le verità restano vere per sempre? E queste cose che tu chiami "verità" sono tutte tautologiche?
    P. Piano, piano. Ci sono almeno tre domande, tutte legate fra loro. Al tempo. Primo, "no". Le nostre opinioni sulle verità possono benissimo cambiare. Secondo, se le verità che sant'Agostino chiamava verità "eterne" siano vere per sempre a prescindere dalle nostre opinioni, questo io non posso saperlo.
    F. Ma puoi "sapere" se è tutto tautologico?
    P. No, naturalmente. Ma una volta fatta la domanda, non posso evitare di avere un'opinione.
    F. Allora, lo è?
    P. Lo è che cosa? F. Tautologico?
    P. E va bene. La mia opinione è che la Creatura, il mondo dei processi mentali, è sia tautologica sia ecologica. Voglio dire che è una tautologia capace di guarire lentamente da sola. Se la si lascia stare, qualunque ampia porzione di Creatura tende a stabilizzarsi verso la tautologia, cioè verso una "coerenza interna" di idee e di processi. Ma ogni tanto la coerenza si lacera, la tautologia si infrange come la superficie di uno stagno quando vi si getta un sasso. Poi, lentamente ma immediatamente, la tautologia comincia a guarire. E la guarigione può essere spietata: nel corso di questo processo possono venire sterminate intere specie.
    F. Ma, papà, potresti derivare la coerenza dall'idea che essa ricomincia sempre a guarire.
    P. Ecco dunque, la tautologia non è infranta, è solo spinta al livello di astrazione successivo, al successivo tipo logico. Ecco.
    F. Ma quanti livelli ci sono?
    P. No, questo non posso saperlo. Non posso sapere né se si tratti in ultima analisi di una tautologia né quanti livelli logici possegga. Io mi ci trovo dentro e perciò non posso conoscere i suoi limiti esterni - ammesso che ne abbia.
    F. Mi pare deprimente. Ma il punto della faccenda qual è?
    P. No, no: se tu fossi innamorata non faresti questa domanda.
    F. Vuoi dire che è l'amore?
    P. Ma no. Il mio no era un commento alla tua domanda, non una risposta. E' una domanda che va bene per un industriale occidentale e per un ingegnere. Tutto questo libro riguarda appunto l'errore insito nella tua domanda.
    F. Questo nel libro non l'hai mai detto.
    P. Ci sono milioni di cose che non ho mai detto. Ma risponderò alla tua domanda: possiede milioni - un numero infinito - di “punti”, come li chiami tu.
    F. Ma allora è come se non ne avesse nessuno... Papà, è una sfera?
    P. Ma sì, come metafora può andare. Una sfera multidimensionale, forse.
    F. Mmm... una tautologia che guarisce da sola, che è anche una sfera, una sfera multidimensionale.
    F. E a questo punto?
    P. Ma ti ripeto che non c'è un “questo punto”. Milioni di punti o nessuno.
    F. E allora perchè‚ scrivere questo libro?
    P. E' diverso. Questo libro, o tu e io che parliamo, eccetera... questi sono soltanto pezzetti del più grande universo. La tautologia complessiva che guarisce da sola non ha 'punti' che tu possa contare. Ma quando la suddividi in tanti pezzetti, la cosa è diversa. Quando l'universo viene dissezionato compare il 'fine'. Quello che Paley chiamava “disegno” e Darwin chiamava “adattamento”.
    F. Un prodotto della dissezione e basta? Ma a che serve la dissezione? Tutto questo libro è una dissezione. A che serve?
    P. Sì, in parte è una dissezione, in parte è una sintesi. E penso che a un macroscopio abbastanza grosso nessuna idea può essere sbagliata, nessuna finalità distruttiva, nessuna dissezione fuorviante.
    F. Tu hai detto che noi ci limitiamo a "creare" le parti di una totalità.
    P. No, ho detto che le parti sono "utili" quando vogliamo descrivere delle totalità.
    F. Allora tu vuoi descrivere delle totalità? Ma quando l'hai fatto, che cosa ci hai guadagnato?
    P. E va bene, diciamo che noi viviamo, come ho detto, in una tautologia che guarisce da sola, la quale più o meno sovente viene lacerata in modo più o meno grave. Così sembra che vadano le cose nella nostra zona di spazio-tempo. Direi anche che qualche lacerazione del sistema ecologico tautologico sia addirittura - in un certo modo - positiva. Può darsi che la sua capacità di guarire da solo abbia bisogno di esercitarsi, come dice Tennyson, “affinchè‚ una sola buona consuetudine non abbia a corrompere il mondo”.
    E, naturalmente, la morte ha questo lato positivo: per quanto un uomo sia buono, se resta in circolazione per troppo tempo diventa un pernicioso inconveniente. La lavagna su cui si accumulano tutte le informazioni dev'essere cancellata, e i suoi eleganti caratteri devono essere ridotti a una disordinata polvere di gesso.
    F. Ma...
    P. E così via. All'interno dell'ecologia più grande e più duratura ci sono sottocicli di vita e di morte. Ma che dire della morte del sistema più ampio? Della "nostra" biosfera? Forse agli occhi del cielo o di Shiva, ciò non ha importanza. Ma noi non ne conosciamo altre.
    F. Ma il tuo libro ne fa parte.
    P. E' naturale. Però, sì, capisco che cosa vuoi dire, e naturalmente hai ragione. Né il cervo né il leone di montagna hanno bisogno di una giustificazione per esistere, e neppure il mio libro, in quanto parte della biosfera, ha bisogno di una giustificazione. Neanche se ho torto marcio!
    F. Possono aver "torto" il cervo o il leone di montagna?
    P. Qualunque specie può finire in un vicolo cieco evolutivo e immagino che questa specie commetta un qualche errore, per così dire, se è complice della propria estinzione. Oggi la specie umana, come tutti sappiamo, può distruggere se stessa da un momento all'altro.
    F. E allora? Perchè‚ scrivere il libro?
    P. Be', in ciò vi è anche un po' di orgoglio, il desiderio che se stiamo tutti marciando imperterriti verso il mare come tanti lemming, vi sia almeno un lemming che prenda appunti e dica: “Io ve l'avevo detto”. Credere di poter arrestare la corsa verso il mare sarebbe una presunzione ancora più grande che dire: “Io ve l'avevo detto”.
    F. Mi sembra che tu stia dicendo delle sciocchezze, papà. Non ti vedo come l'unico lemming intelligente che prende appunti sull'autodistruzione degli altri. Non è da te... ecco. Nessuno comprerà il libro di un lemming sardonico.
    P. Già, ma... E' bello vedere che il proprio libro si vende, però è sempre una sorpresa, credo. In ogni caso non è di questo che stiamo parlando ora. (E ti sorprenderebbe sapere quanti libri di lemming sardonici in realtà si vendono molto bene).
    F. E allora?
    P. Dopo aver rimuginato queste idee per cinquant'anni, ho cominciato pian piano a vedere chiaramente che la stupidità non è necessaria. Ho sempre odiato la stupidità e ho sempre pensato che fosse una condizione necessaria della religione. Ma sembra che non sia così.
    F. Oh, allora è "questo" l'argomento del libro?
    P. Vedi, si predica la "fede" e si predica l'"abbandono". Ma io volevo la "chiarezza". Tu potresti dire che la fede e l'abbandono sono necessari per sostenere la ricerca della chiarezza, ma io ho cercato di evitare il genere di fede che porta a nascondere le lacune della chiarezza.
    F. Continua.
    P. Be', ci sono state delle svolte. Una fu quando capii che l'idea di magia di Frazer era alla rovescia, o al contrario. Sai, l'idea tradizionale è che la religione si sia sviluppata dalla magia, ma io penso che sia stato il contrario... che la magia sia una sorta di religione degenere.
    F. Allora che cosa "non" credi?
    P. Be', per esempio non credo che lo scopo originale della danza della pioggia fosse quello di 'far mandare' la pioggia. Ho il sospetto che questo sia un fraintendimento degenere di un bisogno religioso molto più profondo: affermare l'appartenenza a quella che possiamo chiamare la "tautologia ecologica", le verità eterne della vita e dell'ambiente. C'è sempre la tendenza - il bisogno, quasi - di volgarizzare la religione, di trasformarla in spettacolo, in politica, in magia, in 'potere'.
    F. E la percezione extrasensoriale? E la materializzazione? E l'esperienza extracorporea? E lo spiritismo?
    P. Tutti sintomi, tentativi sbagliati di compiere sforzi ingegnosi per sfuggire a un rozzo materialismo che sta diventando intollerabile. Il miracolo è l'idea che il materialista ha di come sfuggire al proprio materialismo.
    F. Non c'è via di fuga? Non capisco.
    P. Oh, sì. Ma vedi, la magia in realtà è solo una specie di pseudoscienza. E come la scienza applicata, essa propone sempre la possibilità del "controllo". Perciò non si può sfuggire a quel modo di pensare ricorrendo a sequenze che contengono quello stesso modo di pensare.
    F. Come si sfugge, allora?
    P. Ah, già. La risposta al rozzo materialismo non sono i miracoli, ma la bellezza... oppure, naturalmente, la bruttezza. Poche battute di una sinfonia di Beethoven, una variazione Goldberg, un organismo, un gatto o un cactus, il ventinovesimo sonetto di Shakespeare o i serpenti marini del Vecchio Marinaio. Ricordi? Egli “li benedisse, inconsapevole” e l'Albatros che aveva al collo cadde in mare.
    F. Ma tu non l'hai scritto, questo libro. Ecco cosa avresti dovuto scrivere, un libro sull'Albatros e la Sinfonia.
    P. Già. Ma vedi, non potevo: prima dovevo scrivere questo. Ora, dopo tutte le discussioni sulla mente e la tautologia e le differenze immanenti e così via, comincio ad essere pronto per le sinfonie e gli albatros...
    F. Continua.
    P. No, vedi, non è possibile rappresentare bellezza-e-bruttezza su un foglio di carta piatto. Certo, un disegno può essere bello ed essere su un foglio piatto, ma non è di questo che parlo. La domanda è: su quale superficie deve essere proiettata una "teoria" estetica? Se me lo chiedi oggi, posso tentare una risposta; ma due anni fa, quando questo libro non era stato ancora scritto, non avrei potuto.
    F. Bene, e quale sarebbe la tua risposta, oggi?
    P. E poi vi è la "coscienza", che in questo libro non ho nemmeno toccato - o che ho toccato solo una volta o due. La coscienza e l'estetica sono i grandi problemi non toccati.
    F. Ma nelle biblioteche ci sono sale intere piene di libri su questi problemi “non toccati”.
    P. No, no, ciò che non è stato toccato è la domanda: su che genere di superficie si dovranno proiettare l''estetica' e la 'coscienza'?
    F. Non capisco.
    P. Voglio dire qualcosa del genere: la 'coscienza' e l''estetica' (qualunque sia il significato di queste parole) o sono entrambe caratteristiche presenti in tutte le "menti" (così come sono state definite in questo libro), oppure sono emanazioni... tarde creazioni fantasiose di queste menti. In entrambi i casi, è la definizione primaria di mente che deve accogliere le teorie dell'estetica e della coscienza. E' su questa definizione primaria che dev'essere proiettato il passaggio successivo. La terminologia per trattare la bellezza-bruttezza e la terminologia per la coscienza devono essere elaborate a partire dalle idee contenute in questo libro o da idee simili (o proiettate su queste idee). Semplice, no?
    F. Semplice?
    P. Sì, semplice. Voglio dire: la proposizione che questo è quanto si deve fare è semplice e chiara. Non voglio dire che sarà semplice "farlo".
    F. Bene. Come cominceresti?
    P. "Il n'y a que le premier pas qui co–te". La difficoltà sta nel primo passo.
    F. Va bene, lascia perdere. "Da dove" cominceresti?
    P. Dev'esserci un motivo se a queste domande non è mai stata data risposta. Cioè, come prima indicazione per una risposta potremmo considerare proprio questo: il fatto storico che tanti uomini abbiano provato e non ci siano riusciti. La risposta dev'essere in qualche modo nascosta. Dev'essere così: il fatto stesso di porre queste domande porta l'investigatore fuori strada, su una pista falsa.
    F. Ebbene?
    P. Allora consideriamo le ovvietà 'da scolaretto' che ho raccolto in questo libro, per vedere se per caso è lì che si nascondono le risposte alle domande sulla coscienza o l'estetica. Sono certo che una persona o una poesia o un vaso... o un paesaggio...
    F. Perchè non fai un elenco di quelli che chiami i punti 'da scolaretto'? Dopo potremmo mettere a confronto con questo elenco le idee di 'coscienza' e di 'bellezza'.
    P. Ecco un elenco. In primo luogo c'erano i sei criteri di "mente":

    1. Fatta di parti che non sono in sè mentali. La 'mente' è immanente in certi generi di "organizzazione" delle parti.
    2. Le parti sono attivate da eventi nel tempo. Le differenze, bench‚ statiche nel mondo esterno, possono generare eventi se "tu" ti muovi rispetto ad esse.
    3. Energia collaterale. Lo stimolo (in quanto differenza) non può fornire alcuna energia, ma ciò che reagisce ad esso possiede un'energia, di solito fornita dal metabolismo.
    4. Poi le cause-ed-effetti si dispongono in catene circolari (o più complesse).
    5. Tutti i messaggi sono codificati.
    6. Da ultimo c'è il fatto più importante: i tipi logici.

    Tutti questi punti sono abbastanza ben definiti e si sostengono l'un l'altro piuttosto bene. Forse l'elenco è ridondante e potrebbe essere ridotto, ma in questo momento ciò non ha importanza. Al di là di questi sei punti c'è il resto del libro, il quale riguarda diversi generi di quella che ho chiamato "doppia descrizione" e che vanno dalla visione binoculare all'effetto combinato dei 'grandi' processi stocastici e all'effetto combinato della 'calibrazione' e della 'retroazione'. Chiamiamoli anche 'rigore e immaginazione' o 'pensiero e azione'.
    Ecco tutto.
    F. Benissimo. E dove sistemeresti i fenomeni della bellezza, della bruttezza e della coscienza?
    P. E non dimenticare il "sacro". Ecco un altro argomento che non è stato trattato nel libro.
    F. Per favore, papà, smettila: come ci avviciniamo a una possibile domanda, tu subito ti scansi. C'è sempre un'altra domanda, a quanto pare. Se tu potessi rispondere a "una" domanda. Una sola.
    P. No, non capisci. Che cosa dice E.E. Cummings? “Sempre la più bella risposta a chi fa la domanda più difficile”. Qualcosa del genere. Vedi, io non faccio ogni volta una domanda diversa, io rendo più ampia la stessa domanda. Il "sacro" (checchè ciò significhi) è certamente collegato (in qualche modo) al "bello" (checchè ciò significhi). E se riuscissimo a dire come sono collegati, riusciremmo forse a stabilire il significato delle parole. O forse ciò non sarebbe mai necessario. Ogni volta che aggiungiamo alla domanda un pezzo ad essa collegato otteniamo più indicazioni sul genere di risposta che dovremmo aspettarci.
    F. Quindi adesso abbiamo sei pezzi della domanda?
    P. Sei?
    F. Sì. All'inizio di questa conversazione erano due; ora sono sei. C'è la coscienza, la bellezza e il sacro, poi c'è la relazione tra coscienza e bellezza, la relazione tra bellezza e sacro e la relazione tra sacro e coscienza. In tutto, sei.
    P. No. Sette. Dimentichi il libro. I tuoi sei pezzi presi insieme costituiscono una specie di domanda triangolare, e questo triangolo dev'essere in relazione con ciò che si trova in questo libro.
    F. D'accordo. Continua, per favore.
    P. Penso che il mio prossimo libro mi piacerebbe chiamarlo "Là dove gli angeli temono di posare il piede", perchè‚ è lì che tutti vogliono che io mi precipiti (*). E' mostruoso... volgare, riduzionista, sacrilego... chiamalo come vuoi... arrivare a precipizio con una domanda troppo semplificata. E' un peccato contro tutti e tre i nostri nuovi princìpi: contro l'estetica, contro la coscienza, contro il sacro.
    F. Ma dove?
    P. Già, ecco. Questa domanda dimostra la stretta relazione tra coscienza, bellezza e sacro. La domanda troppo semplice e la risposta volgare vengono dalla coscienza che corre intorno come un cane con la lingua penzoloni - alla lettera il cinismo. Essere consci della natura del sacro o della natura della bellezza è la follia del riduzionismo.
    F. E c'entra tutto con questo libro?
    P. Sì. Proprio così. ... l'elenco dei criteri, se fosse l'unico, sarebbe grossolano: sarebbe una risposta volgare a una domanda troppo semplificata. O una risposta troppo semplificata a una domanda volgare. Ma è propriol'elaborazione della discussione sulla 'doppia descrizione', su 'struttura e processo' e sui sistemi stocastici doppi, è questa elaborazione che impedisce al libro di cadere nella volgarità. Almeno lo spero.
    F. E il prossimo libro?
    P. Comincerà da una mappa della regione "dove gli angeli temono di posare il piede".
    F. Una mappa volgare?
    P. Forse. Ma non so che cosa verrà dopo la mappa e la racchiuderà in una domanda più vasta e più difficile.

    NOTA
    (*) Allusione a un famoso verso di Alexander Pope: "For fools rush in where angels fear to tread ". ( “Gli stolti si precipitano là dove gli angeli temono di posare il piede”).