Milan Dobrojevic © ∞ |
La nostra civiltà, sulla quale puntiamo qui i riflettori per esaminarla e valutarla, affonda le sue radici principalmente in tre civiltà antiche: la romana, l'ebraica e la greca, e sembrerebbe che molti nostri problemi siano collegati a questo fatto: che una colonia oppressa e sfruttata in Palestina agì da lievito e fermento in una civiltà imperialista. In questo congresso cercheremo ancora una volta di risolvere il conflitto tra Romani e Palestinesi.
Come ricorderete, san Paolo proclamava con orgoglio: "lo sono nato libero", e intendeva dire di esser nato romano e che ciò gli procurava certi vantaggi giuridici.
In quella vecchia lotta ci si può impegnare solo parteggiando o per gli oppressi o per gli imperialisti: se volete combatterla dovete per forza schierarvi da una delle due parti. E questo è un fatto.
D'altra parte, come è ovvio, l'ambizione di san Paolo, l'ambizione degli oppressi, è sempre di passare dalla parte degli imperialisti (di diventare essi stessi degli imperialisti di ceto medio); è dubbio che la creazione di altri membri della civiltà che qui stiamo analizzando criticamente contribuisca a risolvere il problema.
C'è quindi un altro problema, più astratto. È necessario comprendere le patologie e le particolarità dell'intero sistema romano-palestinese; ed è di questo che m'interessa parlare. Non m'importa qui difendere i Romani o difendere i Palestinesi, i più forti o i più deboli. Voglio considerare la dinamica dell'intera patologia tradizionale in cui siamo imprigionati e in cui ci dibatteremo fino a quando continueremo a lottare all'interno di quel vecchio conflitto: non facciamo altro che girare su noi stessi secondo i termini delle vecchie premesse.
Per fortuna la nostra civiltà ha una terza radice, in Grecia. Naturalmente anche la Grecia fu intrappolata in un ginepraio abbastanza simile, ma lì c'era una riserva di pensiero terso e freddo di genere assai diverso e sorprendente.
Imposterò il problema più grosso in termini storici. Da san Tommaso d'Aquino fino al Settecento nei Paesi cattolici e fino alla Riforma in quelli protestanti (con la Riforma infatti noi eliminammo un bel po' di raffinatezza di origine greca), la struttura della nostra religione è stata greca. A metà del Settecento il mondo biologico appariva così: in cima alla scala c'era una mente suprema, che costituiva la spiegazione fondamentale di tutto ciò che giù giù ne seguiva (nel cristianesimo questa mente suprema era Dio), ed era dotata di vari attributi corrispondenti ai vari stadi filosofici. La scala esplicativa scendeva con moto deduttivo dall'Essere supremo all'uomo, alla scimmia, giù giù fino agli infusori.
Questa gerarchia era un insieme di passi deduttivi dal più perfetto al più rozzo o semplice; ed era rigida, poiché si supponeva che ogni specie fosse immutabile.
Lamarck, che fu probabilmente il più grande biologo della storia, capovolse quella scala esplicativa: fu lui a dire che la scala comincia con gli infusori e che si hanno cambiamenti che conducono su verso l'uomo. Il capovolgimento della tassonomia da lui operato fu uno dei fatti più stupefacenti mai occorsi: fu l'equivalente, in biologia, della rivoluzione copernicana in astronomia.
La conseguenza logica del capovolgimento della tassonomia fu che lo studio dell'evoluzione poteva fornire una spiegazione della mente.
Fino a Lamarck la mente era stata la spiegazione del mondo biologico; ma ora, d'un tratto, la questione si presentava così: e se invece il mondo biologico costituisse la spiegazione della mente? Quella che era stata la spiegazione diveniva ora ciò che si doveva spiegare. Circa tre quarti della Philosophie zoologique (1809) di Lamarck sono un tentativo, in verità grossolano, di edificare una psicologia comparata. Egli concepì e formulò numerose idee modernissime: che non si possono attribuire a nessuna creatura capacità psicologiche per le quali essa non possegga organi; che i processi mentali debbono avere sempre rappresentazione fisica; e che la complessità del sistema nervoso è correlata alla complessità della mente.
Le cose restarono a questo stadio per centocinquant'anni, soprattutto perché la teoria evoluzionistica fu ripresa non da un'eresia cattolica, ma da un'eresia protestante verso la metà dell'Ottocento. Gli avversari di Darwin, si ricorderà, non erano né Aristotele né san Tommaso, che possedevano una certa raffinatezza, ma cristiani fondamentalisti, la cui raffinatezza si fermava al primo capitolo del Genesi. La questione della natura della mente era qualcosa che gli evoluzionisti ottocenteschi tentarono di escludere dalle loro teorie e che riaffiorò, per essere considerata con serietà, soltanto dopo la seconda guerra mondiale. (Sto qui facendo un torto a qualche eretico vissuto nel frattempo, particolarmente a Samuel Butler, e altri).
Durante la seconda guerra mondiale si scoprì che razza di complessità abbia la mente, e dopo questa scoperta si sa che, ovunque nell'universo s'incontri questo genere di complessità, si ha a che fare con fenomeni mentali. E materialistico, ma è così.
Tenterò di descrivervi quest'ordine di complessità, il che in qualche misura è un problema tecnico. Russel Wallace inviò a Darwin dall'Indonesia un famoso saggio, in cui annunciava di aver scoperto la selezione naturale, la quale coincideva con quella di Darwin. È interessante un passo della sua descrizione della lotta per l'esistenza:
"L'azione di questo principio [la lotta per l'esistenza] è esattamente simile a quella della macchina a vapore, che controlla e corregge qualunque irregolarità quasi ancor prima che si manifesti; allo stesso modo nessuno squilibrio o deficienza nel regno animale può mai raggiungere una dimensione cospicua, perché si farebbe sentire già al suo primo inizio, col rendere l'esistenza difficile e l'estinzione una conseguenza quasi certa».
La macchina a vapore dotata di regolatore è semplicemente una catena circolare di eventi causali, in cui c' è in qualche punto un anello per cui, se qualche grandezza cresce, la grandezza seguente nella catena decresce: quanto più divergono le sfere del regolatore, tanto minore è l'erogazione del combustibile. Se si fornisce energia a catene causali dotate di questa caratteristica generale, il risultato (se si ha fortuna e se il tutto è ben equilibrato) è un sistema autocorrettivo.
Wallace, di fatto, propose il primo modello cibernetico.
Oggi la cibernetica si occupa di sistemi, molto più complessi, di questo tipo generale; ed è noto che quando si parla del procedere della civiltà, o si valuta il comportamento umano, 1'organizzazione umana, o qualunque sistema biologico, si ha a che fare con sistemi autocorrettivi. Fondamentalmente questi sistemi sono sempre conservativi di qualcosa. Come nella macchina con regolatore l'erogazione di carburante viene variata per conservare (per mantenere costante) la velocità del volano, così nei sistemi di questo tipo le variazioni avvengono sempre per conservare la verità di qualche proposizione descrittiva, di qualche componente dello status quo. Wallace vide giusto, e la selezione naturale agisce in primo luogo per mantenere invariata la specie; ma può agire a livelli superiori per mantenere costante quella complessa variabile che chiamiamo 'sopravvivenza'.
Il dottor Laing ha osservato che qualcuno può trovare molto difficile vedere ciò che è ovvio. Questo accade perché le persone sono sistemi autocorrettivi: essi sono autocorrettivi nei confronti di ciò che disturba, e se la cosa ovvia non è di un genere che essi possano facilmente assimilare senza fastidio interiore, i loro meccanismi autocorrettivi si attiveranno per metterla da parte, per nasconderla, addirittura fino al punto di far loro chiudere gli occhi se necessario, o di cortocircuitare varie porzioni del processo di percezione.
L'informazione fastidiosa può essere incapsulata come una perla, così da non dar noia; e ciò sarà fatto secondo il criterio che il sistema stesso possiede per giudicare che cosa potrebbe procurargli fastidio. Anche questo (la premessa relativa a ciò che potrebbe procurare fastidio) è qualcosa che viene appreso e viene poi perpetuato o conservato.
In questo congresso, in sostanza, ci occupiamo di tre di questi sistemi o aggregati di anelli conservativi enormemente complicati. Uno è l'individuo umano. La sua fisiologia e la sua neurologia conservano la temperatura del corpo, la composizione chimica del sangue, la lunghezza, la dimensione e la forma degli organi durante la crescita e lo sviluppo embrionale, e tutte le restanti caratteristiche del corpo. Si tratta di un sistema che conserva proposizioni descrittive sull'essere umano, corpo o anima; infatti lo stesso vale a proposito della psicologia dell'individuo, ave si abbia apprendimento per conservare le opinioni e le componenti dello status quo.
In secondo luogo ci occupiamo della società in cui vive quell'individuo: e questa società è a sua volta un sistema dello stesso tipo generale.
In terzo luogo, infine, ci occupiamo dell'ecosistema, cioè dell'ambiente biologico naturale di questi animali umani.
Comincerò dagli ecosistemi naturali che circondano l'uomo. Un bosco di querce inglesi, o una foresta tropicale, o un tratto di deserto sono comunità di creature. Nel bosco di querce vivono insieme forse un migliaio di specie, forse di più; nella foresta tropicale vivono insieme forse diecimila specie.
Credo di poter dire che ben pochi di voi hanno mai visto un tal sistema indisturbato: non ne sono rimasti molti, la maggior parte è stata sconvolta dall'Homo sapiens, che ha sterminato alcune specie, o ne ha introdotte altre che sono diventate piaghe e flagelli, o ha alterato la distribuzione delle acque, eccetera, eccetera. Noi stiamo, ovviamente, distruggendo in fretta tutti i sistemi naturali del mondo, i sistemi naturali equilibrati. Semplicemente li rendiamo squilibrati; ma restano pur sempre naturali.
Comunque sia, quelle creature e piante vivono insieme in una combinazione di concorrenza e dipendenza reciproca, ed è questa combinazione la cosa importante da considerare. Ogni specie ha una capacità malthusiana primaria. Qualunque specie non produca, potenzialmente, più individui nuovi di quanti non siano gl'individui della generazione dei padri è fuori causa: è votata all' estinzione. È assolutamente necessario che ogni specie e che ogni sistema siffatto abbiano componenti dotate di un aumento potenzialmente positivo nella curva della popolazione. Ma se ogni specie ha un aumento potenzialmente positivo, allora è un affare molto complicato raggiungere la stabilità: entrano in gioco tutti i tipi di equilibri e dipendenze interattive, e sono questi i processi che hanno il tipo di struttura circuitale che ho ricordato.
La curva malthusiana è esponenziale. È la curva della crescita demografica, e non è fuori luogo chiamare questo fenomeno esplosione demografica.
Si può deprecare che gli organismi abbiano questo carattere esplosivo, o si può accettarlo. Le creature che non l'hanno sono fuori causa.
D'altra parte, in un sistema ecologico equilibrato che si sostiene su impalcature di questa natura è chiarissimo che ogni interferenza provocherà verosimilmente la rottura dell'equilibrio del sistema: le curve esponenziali cominceranno a palesarsi; qualche pianta diventerà un flagello; alcune creature saranno sterminate; e il sistema, in quanto sistema squilibrato, andrà presumibilmente a catafascio.
Ciò che vale per le specie che vivono insieme in un bosco vale anche per i raggruppamenti e i generi di persone di una società, che similmente si trovano in un difficile equilibrio di dipendenza e competizione. Lo stesso vale anche proprio dentro ciascuno di noi, ave si riscontrano una difficile competizione fisiologica e una interdipendenza tra gli organi, i tessuti, le cellule, e così via. Senza questa competizione e interdipendenza non esisteremmo, poiché non possiamo fare a meno di nessuno di questi organi e parti in competizione. Se una delle parti non avesse queste caratteristiche di tendenza all'espansione, essa scomparirebbe, e noi con essa. Quindi anche nel corpo abbiamo un elemento di insicurezza. Se si disturba il sistema in modo inopportuno, compaiono le curve esponenziali.
In una società accade la stessa cosa.
Penso che si debba ritenere che tutti i cambiamenti importanti, fisiologici o sociali, siano in qualche misura uno slittamento del sistema in qualche punto lungo una curva esponenziale. Lo slittamento può andar poco lontano. o può andare fino al disastro. Ma, in linea di principio, se ad esempio si uccidono tutti i tordi di un bosco, certe componenti dell'equilibrio slitteranno lungo curve esponenziali sino a raggiungere un nuovo punto di assestamento.
In tale slittamento è sempre implicito un pericolo: la possibilità che qualche variabile, ad esempio la densità demografica, possa raggiungere un valore tale che un ulteriore slittamento sia controllato da fattori che sono intrinsecamente dannosi. Se per esempio la popolazione è in ultima istanza regolata dalle risorse alimentari presenti, gli individui che sopravvivono saranno semidenutriti e le risorse alimentari saranno troppo sfruttate, generalmente in modo irreversibile.
Comincerò ora a parlare dell' organismo individuale.
Questa entità assomiglia al bosco di querce e i suoi controlli vengono collocati nella mente totale, che è forse solo un riflesso del corpo totale. Il sistema è tuttavia segmentato in vari modi, così che gli effetti di qualche evento della vita alimentare, per esempio, non alterano del tutto la vita sessuale, e gli accadimenti della vita sessuale non cambiano del tutto la vita del movimento, e così via. Vi è un certo grado di divisione in compartimenti, il che è senza dubbio un' economia necessaria. Una di queste divisioni in compartimenti è sotto molti aspetti misteriosa, ma certo d'importanza cruciale nella vita dell'uomo: mi riferisco al legame 'semipermeabile' tra la coscienza e il resto della mente totale. Una certa quantità limitata d'informazione su ciò che accade in questa più ampia porzione della mente sembra essere trasmessa a ciò che possiamo chiamare lo schermo della coscienza. Ma ciò che giunge alla coscienza è selezionato, è un campione sistematico (non stocastico) del resto.
E ovvio che la totalità della mente non potrebbe essere riprodotta in una sua parte e ciò consegue logicamente dal rapporto fra il tutto e la parte. Lo schermo televisivo non fornisce una rappresentazione o riproduzione degli eventi che accadono nell'intero procedimento televisivo; e ciò non solo perché gli spettatori non sarebbero interessati a un tale resoconto, ma anche perché la descrizione di ogni ulteriore parte del processo complessivo richiederebbe ulteriori circuiti, e la descrizione degli eventi in questi circuiti richiederebbe a sua volta un'ulteriore aggiunta di circuiti, e così via. Ogni ulteriore passo verso un aumento di coscienza porterà il sistema più lontano dalla coscienza totale. Aggiungere la descrizione degli eventi in una certa parte della macchina farà in realtà diminuire la percentuale di tutti gli eventi descritti.
Dobbiamo perciò accontentarci di una coscienza molto limitata, e sorge perciò il problema: come viene compiuta la selezione? Sulla base di quali princìpi la mia mente sceglie ciò di cui 'io' sarò cosciente? E benché non si sappia molto di questi princìpi, tuttavia qualcosa è noto, per quanto i princìpi in questione spesso non siano essi stessi accessibili alla coscienza. In primo luogo, gran parte dell'ingresso è esaminato a livello cosciente, ma solo dopo essere stato elaborato dal processo di percezione, che è affatto inconscio. Gli eventi sensoriali vengono confezionati in immagini, e queste sono poi 'coscienti'.
Io (il mio 'io' conscio) vedo una versione, prodotta inconsciamente, di una piccola percentuale di ciò che eccita la mia retina; nella mia percezione io sono guidato dai miei fini. Vedo chi mi sta ascoltando e chi no, chi capisce e chi no, o almeno mi costruisco un mito a questo proposito, che può essere del tutto corretto. Mi preme ricavare questo mito mentre parlo. È pertinente ai miei fini che mi udiate.
Che cosa accade al quadro di un sistema cibernetico - un bosco di querce o un organismo - quando tale quadro è tracciato in modo selettivo per rispondere solo a requisiti di finalità?
Si consideri lo stato attuale della medicina. Essa viene definita 'scienza medica', ma in realtà ciò che accade è questo: i medici pensano che sarebbe bello eliminare la poliomielite, o il tifo, o il cancro, e quindi investono denaro e fatiche in ricerche che si concentrano su questi 'problemi' o fini. A un certo punto il dotto Salk e altri 'risolvono "il problema della poliomielite": scoprono una soluzione di bacherozzi che data ai bambini evita loro la poliomielite. Questa è la soluzione del problema della poliomielite, e a questo punto essi smettono di investire in questo problema sforzi e denaro e si attaccano al problema del cancro, o a qualunque altro problema.
Quindi la medicina finisce col diventare una scienza totale la cui struttura è sostanzialmente quella di un coacervo di trucchi. All'interno di questa scienza c'è una conoscenza straordinariamente scarsa del genere di cose di cui sto parlando; cioè del corpo visto come un sistema autocorrettivo organizzato in modo cibernetico e sistemi co. Le interdipendenze interne sono pochissimo comprese. E accaduto che i fini hanno determinato ciò che doveva diventare oggetto dell'indagine o della coscienza della scienza medica.
Se si lascia che siano i fini a organizzare ciò che diviene oggetto della nostra indagine conscia, ciò che si ottiene sono trucchi, alcuni dei quali magari eccellenti. E straordinario che questi trucchi siano stati scoperti: di questo io non discuto. Pure noi non sappiamo un fico secco, in realtà, del sistema d'interconnessione globale. Cannon ha scritto un libro sulla Saggezza del corpo, ma nessuno ha scritto un libro sulla saggezza della scienza medica, poiché la saggezza è proprio ciò che le fa difetto. Per saggezza intendo la conoscenza del più vasto sistema interattivo, quel sistema che, se è disturbato, genera con ogni probabilità curve di variazione esponenziali.
La coscienza opera allo stesso modo della medicina nel suo campionamento degli eventi e dei processi del corpo e di ciò che avviene nella mente totale; è organizzata in termini di finalità. Essa ci fornisce una scorciatoia che ci permette di giungere presto a ciò che vogliamo; non di agire con la massima saggezza per vivere, ma di seguire il più breve cammino logico o causale per ottenere ciò che si desidera appresso, e può essere il pranzo, o una sonata di Beethoven, o un rapporto sessuale. Può, soprattutto, essere il denaro o il potere.
Ma voi potreste dirmi: "Sì, però siamo vissuti in questa maniera per un milione d'anni". La coscienza e la finalità sono state caratteristiche dell'uomo per un milione d'anni almeno, e può darsi che ci abbiano accompagnato per un tempo anche molto più lungo: non me la sento di dire che i cani e i gatti non hanno coscienza, e ancor meno che le focene non hanno coscienza.
Dunque potete dire: "Perché darsi pensiero di ciò?".
Ma ciò che mi dà pensiero è l'aggiunta della tecnica moderna al vecchio sistema: oggi i fini della coscienza sono realizzati da macchine sempre più possenti, dai mezzi di trasporto, dagli aerei, dalle armi, dalla medicina, dagli insetticidi, eccetera. La finalità cosciente ha ora il potere di turbare gli equilibri del corpo, della società e del mondo biologico intorno a noi. C'è la minaccia di un fatto patologico, di una perdita di equilibrio.
Penso che gran parte di ciò che ci ha qui riuniti oggi sia fondamentalmente connessa coi pensieri che vi ho ora esposto, Da una parte abbiamo la natura sistemica dell'essere individuale, la natura sistemica della cultura in cui egli vive, e la natura sistemica del sistema biologico, ecologico, che lo circonda; e, dall'altra parte, la curiosa distorsione nella natura sistemica dell'uomo individuale, per effetto della quale la coscienza è, quasi di necessità, cieca di fronte alla natura sistemica dell'uomo stesso. La coscienza finalizzata estrae, dalla mente totale, sequenze che non hanno la struttura ad anello caratteristica della struttura sistemica globale, Se si seguono i dettami 'sensati' della coscienza, si diviene in realtà avidi e stolti: e per 'stolto' intendo colui che non riconosce e non si fa guidare dalla consapevolezza che la creatura globale è sistemica.
La carenza di saggezza sistemica è sempre punita. Si può dire che i sistemi biologici (l'individuo, la cultura e l'ecologia) sono in parte supporti viventi delle loro cellule, o organismi, componenti. Ma i sistemi nondimeno puniscono ogni specie che sia tanto stolta da non andare d'accordo con la propria ecologia. Se volete, potete chiamare 'Dio' le forze sistemiche.
Vi voglio raccontare un mito.
C'era una volta un Giardino, il quale conteneva molte centinaia di specie (era forse nella zona subtropicale) che vivevano in grande fecondità ed equilibrio, con abbondanza di humus, e così via. In quel giardino c'erano due antropoidi, più intelligenti degli altri animali,
Su uno degli alberi c'era un frutto, molto in alto, che le due scimmie non erano capaci di raggiungere. Esse cominciarono allora a pensare. Questo fu lo sbaglio: cominciarono a pensare per raggiungere un fine.
Dopo un po' la scimmia maschio, che si chiamava Adamo, andò a prendere una cassa vuota, che mise sotto l'albero; vi montò sopra, ma ancora non riusciva a raggiungere il frutto. Allora andò a prendere un'altra cassa, e la mise sopra la prima; si arrampicò sopra le due casse, e finalmente raggiunse la mela.
Adamo ed Eva erano ebbri d'eccitazione. Così si doveva fare: si escogita un piano, ABC, e si ottiene D.
Cominciarono allora a esercitarsi a fare le cose secondo un piano. Di fatto essi estromisero dal Giardino il concetto della sua natura sistemica globale e della loro stessa natura sistemica globale.
Dopo aver estromesso Dio dal Giardino, essi si misero a lavorare seriamente in questo modo finalizzato, e ben presto l'humus scomparve; in seguito a ciò parecchie specie di piante divennero 'malerbe' e alcuni animali divennero 'flagelli'; e Adamo si accorse che il giardinaggio era un lavoro molto più duro. Dovette guadagnarsi il pane col sudore della fronte, e disse: "E un Dio vendicativo; non avrei mai dovuto mangiare quella mela".
Inoltre, dopo che essi ebbero scacciato Dio dal Giardino, intervenne un cambiamento qualitativo nei rapporti tra Adamo ed Eva. Eva cominciò a risentire il peso del sesso e della riproduzione. Ogni volta che questi fenomeni abbastanza basilari interferivano con la sua vita, che ora si svolgeva in modo finalizzato, le tornava alla mente la più vasta vita che era stata bandita dal Giardino. Così Eva cominciò a soffrire per il sesso e per la riproduzione, e quando giunse il momento di partorire, trovò questo fenomeno molto doloroso. Ella disse che anche questo era imputabile alla natura vendicativa di Dio. Eva udì anche una Voce che diceva: «Tu partorirai nel dolore» e «Il tuo desiderio sarà rivolto verso tuo marito, ed egli dominerà su di te».
La versione biblica di questa storia, da cui ho attinto copiosamente, non spiega lo straordinario sovvertimento di valori per cui la capacità d'amare della donna finisce per apparire come una maledizione lanciata dalla divinità.
Comunque sia, Adamo continuò a perseguire i suoi scopi, e finalmente inventò il sistema della libera iniziativa. A Eva non fu permesso per lungo tempo di parteciparvi, essendo donna. Ella si iscrisse allora a un circolo di bridge ove trovò modo di scaricare il proprio rancore.
Nella generazione seguente, l'amore causò altre difficoltà. A Caino, l'inventore e l'innovatore, Dio disse: «Il suo [di Abele] desiderio sarà rivolto verso di te e tu dominerai su di lui ». Egli allora uccise Abele.
Naturalmente una parabola non equivale a dei dati sul comportamento umano; è solo un espediente esplicativo. Ma vi ho introdotto un fenomeno che sembra quasi universale quando l'uomo commette l'errore di pensare in modo finalizzato e trascura la natura sistemica del mondo con cui deve vedersela. Questo fenomeno è detto, in psicologia, «proiezione». L'uomo, in fin dei conti, ha agito secondo quanto pensava fosse sensato, e ora si trova nei guai: non si rende sufficientemente conto di ciò che lo ha cacciato nei guai, e sente che ciò che gli è accaduto è in qualche modo ingiusto. Non riesce ancora a vedersi come parte del sistema in cui accadono i guai, e allora dà la colpa al resto del sistema oppure a se stesso. Nella mia parabola Adamo combina due tipi di assurdità: la nozione 'Io ho peccato' con la nozione 'Dio è vendicativo'.
Se si considerano quelle situazioni reali del nostro mondo, ove la natura sistemica del mondo sia stata ignorata a favore della finalità o del buon senso, si trova una reazione abbastanza simile. Non c'è dubbio che il Presidente Johnson si rende conto assai bene di avere una bella gatta da pelare, non solo per il Vietnam ma anche per altre faccende entro gli ecosistemi nazionali e internazionali; e sono sicuro che, dal suo punto di vista, gli sembra di aver perseguito i suoi scopi con buon senso, e che i guai debbano essere stati causati o dalla malvagità altrui, o dai suoi peccati, o da una qualche combinazione delle due cose, secondo il suo temperamento.
E l'aspetto terribile di tali situazioni è che inevitabilmente esse abbreviano il tempo che si ha a disposizione per fare un qualunque piano. Le situazioni di emergenza sono già qui o sono dietro la porta, e quindi la saggezza dei tempi lunghi dev'essere sacrificata agli espedienti, anche se c'è l'oscura consapevolezza che questi non forniranno mai una soluzione a lungo termine.
Inoltre, dal momento che siamo impegnati nella diagnosi del meccanismo della nostra società, aggiungerò un'osservazione: i nostri politici (sia quelli al potere, sia quelli al1'opposizione o che smaniano per avere il potere) sono egualmente del tutto ignari delle questioni che ho discusso. Si possono consultare gli Atti del Congresso americano alla ricerca di discorsi da cui traspaia la consapevolezza che i problemi di governo sono problemi biologici. e se ne troveranno pochi. pochissimi, che applichino il punto di vista biologico. È straordinario!
In generale le decisioni di governo sono prese da persone che di questi argomenti sono del tutto ignoranti; come il famoso dottor Skinner in The Way of All Flesh, essi «combinano la saggezza della colomba con l'innocuità del serpente".
Ci siamo qui riuniti, tuttavia, non solo per diagnosticare certi mali del nostro mondo, ma anche per pensare ai rimedi. Ho già accennato che non si può trovare alcun rimedio semplice a quello che ho chiamato il problema romano-palestinese sostenendo i Romani contro i Palestinesi o viceversa. Il problema è di natura sistemica, e per poterlo risolvere occorre certamente rendersene conto.
Primo, c'è l'umiltà; e non la propongo come principio morale, sgradito a un gran numero di persone, ma semplicemente come elemento di una filosofia scientifica. Nel periodo della rivoluzione industriale il disastro più grande fu forse l'enorme aumento dell'arroganza scientifica. Si era scoperto come costruire treni e altre macchine; si sapeva come mettere le casse una sull'altra per raggiungere la mela, e l'uomo occidentale si vedeva come un autocrate dotato di potere assoluto su un universo fatto di fisica e chimica; e i fenomeni biologici alla fin fine si dovevano poter controllare come i processi sperimentali in una provetta. L'evoluzione era la storia di come gli organismi apprendevano stratagemmi sempre più numerosi per controllare l'ambiente, e gli stratagemmi dell'uomo erano migliori di quelli di qualsiasi al tra creatura.
Ma quell'arrogante filosofia scientifica è ora fuori moda, ed è stata sostituita dalla scoperta che l'uomo è solo una parte di più vasti sistemi e che la parte non può in alcun caso controllare il tutto.
Goebbels pensava di poter controllare l'opinione pubblica tedesca con un vasto sistema di comunicazioni, e forse i nostri addetti alle pubbliche relazioni si abbandonano a illusioni analoghe. In effetti l'ipotetico controllore deve sempre avere in azione spie che gli riferiscano che cosa dice la gente della sua propaganda. Egli pertanto si trova nella posizione di reagire a ciò che la gente dice; quindi non può esercitare un semplice controllo unidirezionale. Non viviamo in un tipo di universo ove il semplice controllo unidirezionale sia possibile. La vita non è fatta così.
Analogamente, nel campo della psichiatria, la famiglia è un sistema cibernetico del tipo che sto discutendo e, di solito, quando insorge una patologia sistemica, i componenti se la prendono l'uno con l'altro, o talvolta con se stessi. La verità è però che queste alternative sono entrambe sostanzialmente arroganti: ambedue presuppongono che l'individuo umano abbia potere totale sul sistema di cui fa parte.
Perfino all'interno dell'individuo umano il controllo è limitato. Ci possiamo in certa misura impegnare ad apprendere anche certi caratteri astratti come l'arroganza o l'umiltà, ma non siamo in alcun modo i capitani della nostra anima.
È tuttavia possibile che il rimedio per i mali della finalità cosciente si trovi nell'individuo. C'è quella che Freud chiamava la strada maestra verso l'inconscio; egli si riferiva ai sogni, ma io ritengo che si dovrebbero mettere insieme e i sogni e la creatività dell'arte, o la percezione dell'arte, e la poesia e le cose di questo genere. E insieme ci metterei anche il meglio della religione. Sono, tutte queste, attività in cui l'individuo intero è impegnato. L'artista può avere lo scopo conscio di vendere il suo quadro, e fors'anche lo scopo conscio di dipingerlo; ma nel dipingerlo egli deve per forza allentare quell'arroganza a favore di un'esperienza creativa in cui la sua mente cosciente ha solo una piccola parte.
Si potrebbe dire che nella creazione artistica l'uomo deve sentire se stesso - tutto il suo io - come un modello cibernetico.
È caratteristico degli anni Sessanta che un gran numero di persone si rivolga agli stupefacenti psichedelici per cercarvi qualche sorta di saggezza o di allargamento della coscienza, e io ritengo che questo sintomo della nostra epoca nasca probabilmente come un tentativo di compensazione per il nostro atteggiamento troppo finalistico. Non sono però sicuro che la saggezza si possa conquistare per questa via. Ciò che è necessario non è solo un rilassamento della coscienza per lasciar scaturire la materia inconscia: questo è semplicemente barattare una concezione parziale dell'io con un'altra concezione parziale. Ho idea che quel che occorre sia una sintesi delle due concezioni, e ciò è più difficile.
La mia esigua esperienza con l'LSD mi ha portato a credere che Prospero fosse in errore quando affermava: «Noi siamo della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni». Mi è sembrato che il puro sogno fosse, come la pura finalità, piuttosto scipito: non era la sostanza di cui siamo fatti, ma solo frammenti e brandelli di quella sostanza. I nostri fini coscienti, analogamente, sono solo frammenti e brandelli.
Il punto di vista sistemico è un'altra cosa ancora.
Conscious Purpose versus Nature, 1968.
Nessun commento:
Posta un commento